Rivista Santuario della Consolata - gennaio/marzo 2020

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l'impegno di un cambiamento intimo e radicale per effetto del quale l'uomo si sforza di pensare, di giudicare e di riordinare la sua vita mosso dalla santità e dalla bontà di Dio, che non cessa di chiamarci al suo cuore di Padre. La conversione deve coinvolgere tutto l'uomo, con la sincera disposizione a riparare i danni del suo peccato, così da rischiarare sempre più il suo spirito e renderlo di giorno in giorno più conforme a Cristo.

La confessione delle colpe, cioè il riconoscimento dei propri peccati apertamente espresso nell'incontro con il confessore- si radica nella natura delle cose: il penitente, aprendo il proprio cuore, manifesta la sua concreta situazione al ministro di Dio e della Chiesa, afnché questi possa formulare il giudizio spirituale di misericordia nel nome del Salvatore Gesù. Naturalmente la confessione delle colpe va preceduta da un esame accurato della propria coscienza, per compiere il quale non

mancano apposite tracce e sussidi, con lo scopo di favorire quanti trovano difcoltà a fare chiarezza. Pare ovvio d'altronde che la richiesta di perdono debba essere esplicitamente espressa davanti a Dio e manifestata al confessore, come si fa con un medico quando si tratta della salute del corpo. Anche l'umile disponibilità del penitente a recepire gli eventuali suggerimenti e proposte del confessore è un elemento di non seconda-

santi e beati SAN GIUSEPPE BENEDETTO COTTOLENGO Nacque a Bra (CN) nel 1786 e fu ordinato sacerdote nel 1811. Nel 1818 ricevette la nomina a canonico della Basilica torinese del Corpus Domini e fu un ottimo confessore, prodigo nell'aiutare malati e poveri del centro cittadino. Fu un tragico fatto del settembre 1827 che diede, però, una svolta alla sua vita: la morte di una giovane partoriente, di passaggio a Torino e riutata dagli ospedali, cui diede gli ultimi Sacramenti. Dopo aver pregato davanti all'immagine della Madonna delle Grazie, venerata in Basilica, ebbe l'intuizione di aprire un piccolo ricovero per accogliere i più abbandonati. Nell'aprile 1832, trasferì l'ospedaletto a Valdocco, chiamandolo Piccola Casa della Divina Provvidenza. Con l'aiuto di molti benefattori sorsero a poco a poco ambulatori, asili e orfanotro: motore di tutto fu la preghiera. Amava ripetere: «Santicate tutte le opere vostre col farle per amore di Dio, sieno le preghiere, sieno gli esercizi della carità, sieno altre cose, il riposo, il cibo». Nel 1833 istituì le Suore Vincenzine e negli anni seguenti altre famiglie religiose con specici compiti. Fondò un monastero di clausura; volle inoltre una comunità di “Fratelli” e una di sacerdoti. La vicinanza e il grande amore che Cottolengo aveva per la Consolata, fecero del Santuario un riferimento per tutto l'Istituto. Chiamava l'ininterrotto dialogo con Dio “laus perennis”. Scrisse: «La preghiera vi fa cari a Dio, pregate dunque, pregate sempre; fatevi cari a Dio, e quando gli siate cari, egli sa molto bene, e meglio che non lo sappiate voi stessi, quello che vi è utile; non dubitate, ché vi darà in larga misura tutto che può valere a farvi santi». «Occupatevi unicamente del vostro spirito, attendendo con ogni impegno a viver bene e con pietà; […] spargete l'odore del buon esempio e della mutua edicazione, cercando di evitare i difetti anche più piccoli e meno osservati». Non cessava di raccomandare agli ospiti della Piccola Casa di accostarsi al sacramento della Confessione. Morì a Chieri il 30 aprile 1842.

▲ «S. Giuseppe Benedetto Cottolengo», olio su tela (dettaglio) di Piero Dalle Ceste conservato nella Basilica di Maria Ausiliatrice in Torino

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Il Santuario della Consolata


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