Un grazie alla Madre per una madre Cesare Balbo e Francesco Gonin alla Consolata
Lino Ferracin
T
ra i mille e mille ex-voto che arricchiscono le pareti della nostra Basilica, uno in particolare spicca per la bellezza dell'opera, per il nome del donatore e per quello del suo esecutore: si tratta di un quadro ad olio di Francesco Gonin, dipinto per la famiglia di Cesare Balbo. L'opera, la più grande per misure di tutta la nostra attuale collezione (cm 58,5 x 97), riporta nella targhetta bronzea sul retro della cornice questa motivazione dettata dal cuore di Cesare Balbo: “L'an. 1833 addì 21 nov. natalizio del marito, Maria Felicia Balbo veniva, secondo l'uso suo, a raccomandar la famiglia in questa chiesa a Maria Vergine ed offerirsi per quella. Infermava nel medesimo giorno, e moriva addì 29. L'anno 1835 il vedovo marito, temendo per li gli, raccomandavali per li meriti della madre alla divina Protettrice e Consolatrice. O gliuoli di quella Pia, serbate la materna divozione.”. Grande era l'amore di Cesare per la sua sposa e così ne parla nella sua breve autobiograa: «Ei perdette la compagna sua, la madre degli otto gliuoli suoi, quella che non gli aveva dato in vita un momento, che non gli lasciò morendo una memoria che non fosse di santità, felicità e dolcezza»1. Difcili furono quei due primi anni di vedovanza ed a peggiorare le cose nell'estate del 1835 Torino fu colpita dal colera, mettendo in pericolo la vita dei gli; queste preoccupazioni ed il dolore non ancora sopito portarono il Balbo ad ammalarsi “n presso all'agonia”. Il quadro, dipinto certamente dopo il colera nel 1836, ha come scenario sullo sfondo a sinistra l'edicio all'angolo tra via della Consolata e via Valerio Lorenzo, sulla destra la porta meridionale della chiesa com'era prima dell'apertura della piazzetta nel 1846 e della realizzazione del pronao sulla stessa. La scena si articola in tre momenti: in alto a sinistra la Vergine Consolata, rappresentata non nel tradizionale gesto della mano destra ad in-
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Il Santuario della Consolata
dicare il Figlio, ma con la mano rivolta in basso verso quella di Felicita Balbo che, come un angelo biancovestita, si innalza verso la Vergine, lo sguardo sso su di Lei. In basso un uomo di spalle, nero vestito, alza la mano verso l'anima della moglie che sale al Cielo e vi è come una linea continua che parte dalla mano di Maria, scende lungo il corpo di Felicita Balbo e passa come una scarica di grazia in quella di Cesare Balbo. Attorno al padre gli otto gli: Prospero di 11 anni, Luigi di 10 e Ottavio di 9, tutti e tre in divisa di collegio militare; poi Enrichetta di 8, Ferdinando di 7, Casimiro di 4, Cesarina di 3 e, ultimo, Paolo di soli 2 anni 2. Tutti raccolti in pose diverse: chi a guardare in alto, chi col viso raccolto. Solo Cesarina guarda verso di noi spettatori come a invitarci ad unirci nel ringraziamento alla Vergine e nel ricordo della madre. Ma forse il particolare più curioso è proprio la rappresentazione del donatore che volge le spalle a chi guarda, tutto rivolto alla visione celeste del suo amore. Quale può essere il senso di quella particolare posa, certamente voluta dall'offerente? Umiltà o volontà di non interferire con la sua presenza, lui persona conosciuta nei salotti e nelle stanze del potere di Torino, con il centro dell'azione del quadro: un omaggio e una preghiera alla donna della sua vita e alla madre dei suoi gli e una supplica alla Consolata Consolatrice, Madre di tutti i credenti. “O gliuoli di quella Pia, serbate la materna divozione”. Non dimenticatevi, o gli, e voi fedeli di fronte a questo quadro, della devozione che Felicita Balbo ebbe per la Vergine Consolatrice!
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BALBO CESARE, Vita di Cesare Balbo scritta da lui medesimo, Torino,1853. 2 cfr. BALBO DI VINADIO CHANTAL, Cesare Balbo. Un ritratto di famiglia, Neos Edizioni, Rivoli, 2011.