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New entry nella corte suprema statunitense

La Corte suprema degli Stati Uniti, istituita il 24 settembre 1789, è la più alta corte federale degli Stati Uniti, disciplinata dalla Costituzione. Leggi statali e federali passano per la Corte suprema. La peculiarità della Corte suprema statunitense sta nel fatto che questa rappresenta tutte le diversità culturali, etniche e religiose dei vari stati statunitensi; infatti, lo schieramento ideologico dei giudici è prevalente nello stabilire le tendenze, progressiste o conservatrici che siano. Questa è composta da nove giudici, tra cui un presidente (attualmente John Glover Roberts), che sono nominati a vita. I nove membri possono decidere di ritirarsi qualora non si dovessero ritenere più adeguati a ricoprire il mandato. In tal caso il posto diviene vacante e a provvedere ad una nuova nomina è il Presidente degli Stati Uniti con il consenso del Senato. Il 18 settembre 2020 Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte suprema, si è spenta per un tumore al pancreas, lasciando così un posto vacante nella Corte suprema. Ginsburg è stata definita “il volto e la voce progressista” della corte, è stata una attivista per la parità tra gli uomini e donne, e nel corso della sua carriera da giurista ha affrontato numerosi casi riguardanti i diritti delle donne. Il Presidente DonaldTrump ha presentato la proposta al senato per la nuova giudice della corte:Amy Coney Barrett. Barrett, giudice cattolico e anti-abortista, è una conservatrice doc; quasi l’antitesi dell’icona liberal Ginsburg. Amy Coney Barrett ha accettato la nomina, affermando di avere un profondo rispetto per lo stato di diritto e che i tribunali hanno l’importante responsabilità di farlo rispettare, sebbene questi non possano correggere e risolvere ogni errore della vita pubblica, aggiungendo inoltre che il compito di legiferare spetta ai politici. Il Presidente Donald Trump nel corso di un solo mandato ha avuto modo di provvedere a tre mandati; al momento della morte di Ginsburg la corte era suddivisa in quattro progressisti e cinque conservatori, per Trump così si apre adesso la possibilità di rafforzare il ramo conservatore e di dare una direzione precisa al paese per gli anni a venire. Ciò ha destato nei sostenitori dei diritti LGBTQ e delle norme che regolano l’aborto non poche preoccupazioni, questi, infatti, temono un’inversione di marcia rispetto a quanto ottenuto negli ultimi decenni.

LAPENNACOLBAFFOARANCIONE

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Bombe e agguati, oriente nel sangue La faida trentennale non respira ancora aria pulita

Bombe e agguati, oriente nel sangue. La faida trentennale non respira ancora aria pulita Le radici di questo conflitto si possono rintracciare nel gennaio 1992, quando l’Azerbaijan e l’Armenia si contendevano il territorio del Nagorno Karabakh, nel sud-ovest dell'Azerbaijan. La questione ad oggi risulta a quanto pare ancora sospesa, e per questo motivo il territorio è epicentro di bombe e sfollati. La piccola regione a partire dal 1988 è stata sottoposta ad atti di pulizia etnica compiuti da entrambe le parti, questo fece in modo che il territorio del Nagorno si ribellasse e infatti, poco dopo, sulla base di una allora vigente legge sovietica, venne proclamata la nascita della repubblica autonoma del Karabakh Montagnoso. Il distacco e l’autonomia non misero di buon umore l’Azerbaijan, che, dopo essersi dichiarato anch’esso repubblica indipendente dal regime URSS (30 agosto 1991), volle approvare una mozione per l'abolizione dello statuto autonomo del Karabakh. Le cose non proseguirono però secondo i piani; infatti la Corte Costituzionale respinse la mozione, in quanto non più materia sulla quale l'Azerbaigian poteva legiferare, e, di conseguenza, il 31 gennaio ‘92 cominciarono i bombardamenti azeri sulla piccola regione autonoma. Due anni dopo, nel 1994, la guerra “finì”; ciò diede modo al Karabakh di consolidarsi come repubblica “de facto” , seppur non riconosciuta ancora dalla Comunità Internazionale. Conseguentemente, l’Azerbaijan ha ricominciato a rivendicare il principio di integrità territoriale, mentre l’Armenia oggi continua a battersi per associare il territorio conteso al suo, portando avanti il diritto di autodeterminazione dei popoli principio in base al quale i popoli hanno diritto di scegliere liberamente il proprio sistema di governo (autodeterminazione interna) e di essere liberi da ogni dominazione esterna, in particolare dal dominio coloniale In questo genere di guerra tra stati, i belligeranti sanno bene che le decisioni internazionali impediscono la protrazione dei combattimenti. Per questo motivo, spesso si cerca di cambiare la situazione sul campo, prima di dover stipulare un accordo di pace; esattamente ciò che sta accadendo nel caso dell’Azerbaijan. I paesi confinanti come si comportano?Agiscono per far sì che le ormai quotidiane uccisioni di civili abbiano termine? Come accade in quasi tutti i conflitti, molti stati rivendicano ideali pacifici ma, purtroppo, dal punto di vista pratico, non c’è veramente qualcuno che si batte per difendere la democrazia che porterebbe a far cessare i combattimenti. Mentre la Russia di Putin, pur facendo intendere il suo sostegno per l’Armenia, ha scelto una posizione più neutrale, il presidente turco Recep Tayyp Erdogan appoggia apertamente la guerra dell’Azerbaijan contro l’Armenia. Senza dubbio però, l’attivo ruolo dellaTurchia rientra in una serie di azioni che essa sta svolgendo all’interno di una politica più ampia finalizzata ad acquistare potere e territori a discapito delle regioni confinanti. Un altro motivo che avrebbe spinto Erdogan a schierarsi con l’Azerbaijan è l’incessante contrasto culminato con il genocidio degli armeni (1914-1916), che ha strappato alla vita circa 1,5 milioni di persone. Quest’esperienza ha causato un’incurabile ferita per l’Armenia e una profonda spaccatura nel rapporto tra i due paesi. Per questo motivo la comunità armena sta cercando di persuadere la comunità internazionale che le azioni turche devono essere condannate. La situazione odierna è il protrarsi del conflitto solo a tratti fermatosi per pochi anni, e la certezza che cesserà solo quando i tre stati (Armenia,Azerbaijan e Karabakh) firmeranno un contratto che stabilirà “forse” la pace. Il vero nodo sta nel retaggio culturale della società: una società che non riconosce l’alterità come identità autonoma e non considera la democrazia come un bene primario, conquista di numerosi sforzi passati, per tutti gli stati moderni.

CATERINADI GIULIO

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