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Il Nuovo Artico
Da un anno a questa parte migliaia e migliaia di persone sono scese in piazza per protestare contro l’inefficienza dei loro governi nella lotta al riscaldamento globale. Si è parlato di emissioni tossiche, desertificazione, disastri ambientali, estinzione di animali, di vegetali e di scioglimento dei ghiacci. E nonostante questo ultimo punto sia sotto l’attenzione mediatica da molto tempo, pochi sono a conoscenza delle opportunità che lo scioglimento della calotta polare comporta e gli interessi che stanno nascendo intorno all’apertura di nuove rotte nell’Artico. Il nostro viaggio sotto zero inizia nell’isola più grande della Terra: la Groenlandia. Questo gigante di ghiaccio ha sempre vissuto ai margini della storia umana. Dopo la breve avventura vichinga sull’isola nel medioevo (un periodo di innalzamento delle temperature nel Nord Atlantico permise l’agricoltura e l’allevamento) e la più duratura colonizzazione danese poi, la vita sull’isola è sempre rimasta la stessa. Con la progressiva “occidentalizzazione” del popolo indigeno degli Inuit, nonostante il loro stile di vita da cacciatori nomadi, la Groenlandia vive ormai solo di pesca, e la sua traballante economia è retta principalmente dalle concessioni del governo danese. Ma tutto questo potrebbe
finire molto presto. I dati satellitari degli ultimi anni mostrano che più del 97% della superficie dell’isola è andata incontro a grandissimi scioglimenti. Il ritiro dei ghiacci ha portato alla luce ricchezze inestimabili, come ha mostrato il rapporto dell’US Geological Survey, che ha localizzato in diverse aree del paese la presenza di enormi giacimenti di petrolio, di riserve auree, insieme ad uranio, terre rare, rubini e diamanti. Si stima che dall’estrazione petrolifera si possano ricavare circa 90 miliardi di barili di petrolio, che l’isola possa contenere il 13% delle risorse mondiali di petrolio e il 30% di quelle di gas, per un valore di 300-400 miliardi di dollari. Dopo queste scoperte il Parlamento groenlandese ha offerto la concessione per l’estrazione mineraria di una vasta area al largo delle coste dell’isola ed e così è iniziata una “corsa al ghiaccio” tra le potenze mondiali per accaparrarsi un pezzettino di questa terra dimenticata da Dio (dopotuuto ricorderete bene che l’anno scorso il presidente Trump cercò di comprare l’isola dal governo danese), come hanno già fatto gli australiani attraverso la Greenland Minerals LTD, compagnia australiana che si occupa di scavi ed energia, che ha già inaugurato l’Ilimaussaq Intrusive Complex, un progetto di scavo
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su quello che sembrerebbe essere il più grande giacimento di uranio al mondo. Ma gli australiani si sono trovati a dover gareggiare con un avversario che riesce a precedere tutti gli altri nel nuovo mercato polare: la Cina. Nel libro di Marzio G. Mian “Artico. La battaglia per il grande Nord” si cita la vicenda del complesso minerario di Kvanefjeld, inizialmente comprata dalla Greenland Minerals, ma successivamente acquisito dalla Shenghe Resources Holding Ltd di Shanghai.Aproposito di quest’ ultima Mian scrive: “Già colosso nello sfruttamento delle terre rare, ha acquisito il 12,5 per cento della Gme, con un ’ opzione a salire fino al 60 per cento delle azioni una volta ottenuto il via libera al cantiere. Se da una parte l’ operazione ha confermato che a Kvanefjeld si gioca una partita difficilmente gestibile dagli inesperti Inuit al governo (…) dall’ altra inquietano gli obiettivi della Cina con la gestione di una miniera politicamente tanto sensibile: si sa che il mercato dell’ uranio è ancora il più opaco, difficile da monitorare e si sa anche che il maggior azionista della Shenghe è l’Istituto di Stato per l’ utilizzo delle risorse minerarie, emanazione del Ministero delle risorse cinese, braccio operativo del regime nelle sue ambizioni geostrategiche nell’Artico ” . Ma gli interessi di Pechino nel Polo Nord non si fermano alle miniere groenlandesi, ma si estendono a tutto l’Artico. Infatti la Cina negli ultimi anni si è trovata a dover affrontare quello che viene definito dagli studiosi di geopolitica il “dilemma di Malacca” . Gran parte dell’attuale commercio cinese (ricordiamo che, se l’85% del commercio mondiale è via mare, l’80% del trasporto marittimo è in mano alla Cina, dati del Reportagen), passa attraverso lo stretto di Malacca e successivamente nello stretto di Ba bel Mandeb, tra la penisola arabica e il corno d’Africa, attraversando infine il canale di Suez. Per raggiungere i mercati europei la Cina deve dunque utilizzare passaggi che potrebbero essere potenzialmente
chiusi in caso di un possibile conflitto o incidente politico (in particolare, con gli Stati Uniti). A questo si aggiunge l’instabilità politica di questi territori fino a pochi anni fa infatti i pirati somali imperversavano nel Golfo Arabico e il terrorismo in Sinai minaccia ancora la sicurezza del trasporto marittimo del canale di Suez. Per questo la Cina è stata a lungo alla ricerca di corridoi commerciali alternativi per raggiungere i mercati occidentali. Via terra sta già provvedendo a costruire una gigantesca autostrada, una “nuova via della seta” come la chiamano i progettisti di Pechino. L’Artico è perciò diventato la nuova possibile soluzione ai problemi economici del gigante asiatico, il quale sta già iniziando a muovere i primi passi verso la conquista del Polo Nord. La Cina ha infatti preso il ruolo di paese osservatore nel ConsiglioArtico (composto da tutti i paesi con uno sbocco sull’OceanoArtico, ovvero Canada, Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e USA) dove ha presentato un white paper sulla propria politica artica, dove si definisce “paese prossimo all’Artico” e dove viene enfatizzata la “ vicinanza geografica e la volontà di realizzare infrastrutture per queste nuove rotte, che vengono già definite da Pechino come parte di una Nuova Via della Seta Artica ” . Come osserva l’esperto di geopolitica Andrea Angelo Coldani “facilitando connettività e sviluppo sostenibile in termini economici e sociali della regione. Pur sostenendo il pieno rispetto del diritto internazionale, la Cina ha esplicitamente affermato che userà le risorse artiche per perseguire i propri interessi. ” Non solo, se le proiezioni di crescita della popolazione secondo le quali entro il 2030 la Cina dovrebbe arrivare fino a una popolazione di 1,5 miliardi, il mercato ittico A
sa di aver bisogno di nuovi porti che aprano le porte a vecchi mercati, ed è qui che è entra in gioco il protagonista di questo nuovo commercio marittimo: l’Islanda. Fino a pochi anni fa l’Islanda era rimasta, similmente alla sua cugina a Nord, la Groenlandia, un’isola sperduta al largo dell’Atlantico, anch’essa da sempre relegata a ultimo confine d’Europa, e il suo peso storico è sempre stato quasi del tutto nullo. Ma anche qui la situazione sta per cambiare drasticamente. Sulla costa nord-orientale dell’Islanda è già in fase di costruzione l’immenso porto di acque profonde a Finnafjord, che aprirà i mercati d’Europa alle rotte transpolari, capace di accogliere giganteschi portacontainer cinesi (insieme all’autorità portuale di Brema e alla società islandese Efla, Pechino è tra i più grandi investitori del progetto), insieme a depositi per lo stoccaggio di petrolio e gas e stabilimenti per la trasformazione di materie prime (molte di queste risorse proverranno dagli scavi in Groenlandia, la quale userà l’Islanda come suo tramite per l’esportazione delle sue nuove ricchezze nel vecchio continente). Come spiega Siggeir Stefànsson, responsabile dell’impianto di lavorazione e spedizione e capo del consiglio municipale del piccolo villaggio di Þórshöfn, di appena 320 abitanti,ma che si appresta a diventare uno dei principali centri legati alle attività del porto: “La distanza tra Rotterdam, il porto più trafficato d’Europa, e Yokohama in Giappone, è di 11.250 miglia nautiche passando dal canale di Suez. Scende a 7.350 miglia scegliendo la Northern Sea Route, lungo le coste artiche russe. Il passaggio a nordovest, invece, anche se nella storia è stato il più sfidato nel tentativo di trovare la scorciatoia per l’A-
sia, è meno adatto alla navigazione commerciale; i tratti di mare tra le 36mila isole canadesi sono troppo stretti e le acque troppo basse (…) Questo porto (Finnafjord) nasce come terminal della via transpolare. Dal Pacifico del nord si passa lo stretto di Bering, quindi si raggiunge il Polo Nord, poi lo stretto di Fram e s ’ arriva proprio qui, la porta dell’Atlantico del nord. In totale sono 4500 miglia nautiche. Evitare Suez e Panama navigando l’Artico significa evitare instabilità politiche, terrorismo, pirateria. Ma la via transpolare, rispetto alla Northern Sea Route, fa risparmiare ancora più tempo, perché è molto più breve e le acque sono più profonde; inoltre si taglia fuori la Russia, con i suoi dazi, la sua arroganza e la sua burocrazia. Finnafjord sarà la nuova Rotterdam ” . Ma il porto avrà anche una nuova funzione, quella di attirare il così definito “turismo last chance” , ovvero la ricerca di quegli ultimi luoghi della Terra rimasti “incontaminati” e che potrebbero presto essere perduti per sempre. Questa previsione spinge sempre più turisti ad imbarcarsi alla ricerca dell’“ ultima purezza” che rimane sul globo, finendo così con l’essere loro stessi una delle cause primarie della rovina ambientale di quelle zone. Il futuro dell’Artico si giocherà tra questi e altri contendenti: la Russia e il suo disperato tentativo di non venire esclusa da questa nuova Eldorado dell’Artico, o il Canada e gli Stati Uniti, entrambi uniti nel contrastare la potenza di Pechino nel nord. La quantità di interessi e di profitti che si celano sotto il sottile strato di ghiaccio della punta del nostro pianeta mostra come l’ uomo, per sua natura di adattamento, sia in grado di far frutt tare qualcosa anche dai propri errori. Ma il prezzo per lo scioglimento della calotta polare sarà ugualmente pagato, se non proprio da noi, certamente dai nostri figli. Concludere con un bel messaggio come “ma c’è ancora tempo” , “si può ancora far qualcosa” sarebbe come mentire. Troppi soldi sono investiti ogni giorno in vista della distruzione (che oramai potremmo quasi definire voluta) di una delle più antiche e magnifiche aree della Terra, perché qualcuno possa mettere un freno a tutto questo. Forse un giorno, quando la Groenlandia sarà a secco, la Cina troppo popolosa e l’Islanda diventerà un unico grande porto, i posteri si guarderanno indietro e si chiederanno se in fondo ne era davvero valsa la pena.
GABRIELE ASCIONE