La Madia Travelfood n. 298 - Maggio/Giugno 2015

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QUALI SONO LE PIZZERIE DI QUALITÀ E QUALI LE NUOVE FRONTIERE DEL PIATTO ITALIANO PIÙ AMATO AL MONDO

MENSILE SPED. IN ABB. POST. - GRUPPO III° - 45% - ART.2 COMMA 20/B LEGGE 662/96 - FIL. FORLì - TASSA PAGATA - TAXE PERÇUE - REG. TRIB. DI FORLì N.653 - DEL 14/6/84 DIR. RESP. ELSA MAZZOLINI - GOURMADIA SRL - VIA PACCHIONI, 365 - CESENA - EURO 4,00 - IN CASO DI MANCATO RECAPITO RESTITUIRE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A PAGARE LA RELATIVA TASSA

L’ un di ica s r de trib ivis u lla it ta G a a ita l R A lla ian N ris a B R tor di s ET a e A zio tto G re n N A e

E lsa

D irettore M azzolini

SPECIALE

PIZZA

ANNO XXX Maggio/Giugno 2015 N. 298

®

€ 4,00

www.lamadia.com




SOMMARIO

GOLAVAGANDO

di G. Di Lorenzo

pag. 22 Residenza Sveva Il fascino della storia a termoli in un albergo diffuso.

GOURMETFOOD

di Alessandra Meldolesi

pag. 43

Ristorante 21.9 L’equinozio della nuova cucina ligure.

GOURMETFOOD

di Sandro Romano

pag. 52 Peppe Zullo Simple food for intelligent people.


SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD 298

GOURMETFOOD

VINARIA

di Gianluca Ricci

pag. 59

pag. 104 Speciale pizza

Gli archeovini

PIzza & Birra, cronaca di una storia d’amore.

Da vinaccioli di 1500 anni fa i vini più esclusivi del mondo.

e inoltre... SicurezzAtavola

Casa Li Jalantùmene............................................. pag.

Gualtiero Marchesi primo promotore

Locanda Belvedere in Alto Molise

del progetto SicurezzAtavola

di Maria Chiara Zucchi.......................................... pag.

di Maria Chiara Zucchi.......................................... pag.

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La Bottega del Felix

Dietologicamente parlando

di Maurizio Magni................................................... pag.

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Caffè e infarto: e se il rischio

Lettere al Direttore..................................................... pag.

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fosse dettato dal gene?

Golavagando “Mon Trésor”

di Primo Vercilli........................................................ pag.

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Moonshine

Assaggi di Galateo

di Teresa Cremona................................................ pag.

Quando l’arte dell’accoglienza

Leondoro

parte dallo staff

di Daniele Briani...................................................... pag.

di Fabio Ferrantino................................................. pag.

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Work in Food a cura di ManpowerGroup.................................. pag.

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Summertrade di Daniele Briani...................................................... pag.

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Prodotti Eccellenti

Golavagando

Vincenzo Guarino interpreta

Piadineria Il Biancomangiare

Divine Creazioni Surgital........................................ pag.

di Antonietta Mazzeo............................................ pag.

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Vinaria

Brillo Burger.............................................................. pag.

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Il focus di Alessandro Magnum

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GolavagandOraviaggiando

di Alessandro Rossi.................................................. pag. 100

Polo Pasta e Pizza

Assaggio di libri......................................................... pag. 108

di Alessia Pellegrini................................................. pag.

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Golavagando Residence La Campagnola di Giorgia Zucchi.................................................... pag.

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Expo - Nutrire il pianeta (Ma non tutto)

editoriale

L’Expo di Milano, pur sventolando lo slogan “Nutrire il pianeta”, si è

di Elsa Mazzolini

aperto in realtà con qualche macroscopica incongruenza di fondo. Ne sia un esempio la Carta etica di intenti per affermare il diritto al cibo, sconfiggere le disuguaglianze e annullare gli sprechi alimentari, che stride però con il vistoso cappello pesantemente calcato sulla testa di Expo da quella serie di multinazionali che, di fatto, controllano la sovranità alimentare nel mondo imponendo modelli di coltivazioni massive, impregnate di pesticidi e ogm, che tolgono terra e potere contrattuale ai contadini, ai pescatori e ai piccoli produttori, specialmente nelle zone più deboli del pianeta. E’ un modello economico che genera esclusione e povertà e che crea 850 milioni di affamati nel mondo dietro al paradosso dell’abbondanza, dato che produce per 2 miliardi di persone in più rispetto al necessario. Ma già anche quel milione di metri quadrati sottratti all’agricoltura lombarda, sepolti sotto una coltre sterminata di cemento, la dice lunga sulla reale visione di sviluppo sostenibile. Così come la dice lunga il miliardo e mezzo di euro spesi per un luna park babelico che avrà solo 6 mesi di vita. Altra incongruenza quella di continuare a farsi vanto del mito del Made in Italy, quando non esiste una tracciabilità certa delle nostre produzioni: abbiamo latte in polvere (!) senza provenienza dichiarata per le mozzarelle; olio marocchino di dubbia qualità per tagliare il nostro evo; cosce per prosciutti senza carta d’identità, che diventano dop italiana grazie alla legge che lo permette; carni di vitello sbiancate o gonfiate con ormoni e antibiotici perché i controlli che ne appurerebbero la presenza non sono ammessi dai disciplinari vigenti; polli, conigli e persino pesci alimentati con mangimi prodotti anche con scarti di produzioni industriali o di altri animali. E via di questo passo. E comunque, prima di vantarsi di volere “nutrire il pianeta”, basterebbe che Expo si fosse concentrato sul “nutrire i visitatori” con prezzi abbordabili: una piadina a 12 Euro, una birra piccola alla spina a 5,50 Euro, l’acqua a 3 Euro e mezzo, dopo un ingresso a 39 Euro, costituiscono un’altra evidente contraddizione rispetto alle dichiarazioni di intenti della propaganda demagogica.

ME

Per essere credibili bisognerebbe essere più ecumenici e popolari qui e ora, invece che sbandierare i proclami del poi, che si smentiscono subito sia nella forma che nella sostanza.

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di Maria Chiara Zucchi foto di Gianni Bergamaschi

in collaborazione con il Dott. Marco Squicciarini Medico Esperto per le tecniche rianimazione cardio-polmonare pediatrica Rete Formativa Salvamento Academy

I ristoranti e luoghi pubblici di somministrazione degli alimenti possono essere scenario di gravi problemi legati al soffocamento per ostruzione da cibo. Per questo, per primi in Italia, sentiamo la necessità di sensibilizzare il settore professionale sull’argomento. Cuochi, camerieri, insegnanti, gestori di mense, baristi sono coloro che per primi potrebbero, intervenendo tempestivamente e con competenza, cambiare la sorte di tante famiglie.

GUALTIERO MARCHESI

PRIMO PROMOTORE DEL PROGETTO SICUREZZATAVOLA Nel marzo scorso, presso L’Accademia Gualtiero Marchesi di via Bonvesin a Milano, ha avuto luogo il primo corso di disostruzione e rianimazione cardiopolmonare rivolto agli chef, diretto dal Dottor Marco Squicciarini, certificato dal centro di formazione “Salvagente Monza-Salvamento Academy” - accreditato alla Regione Lombardia, Azienda Regionale Emergenza Sanitaria AREU 118 con il Presidente Mirko Damasco e promosso dal mensile La Madia Travelfood. Il soffocamento derivato dall’ingestione di corpi estranei è infatti una delle principali cause di morte nei bambini di età compresa tra 0 e 3 anni ed è comune anche in età più avanzata, fino a 14 anni: il 78% dei bambini perde la vita per soffocamento, a causa del cibo, durante l’ora dei pasti. Il Maestro Gualtiero Marchesi, che ha sposato il progetto SicurezzAtavola e che è stato il primo a formarsi, insieme a tutto il personale

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di sala del Ristorante Il Marchesino, ha permesso ad altri chef stellati italiani di partecipare al corso e diventare così testimoni diretti di questo fondamentale messaggio. Erano presenti Cristian Angiolin, della Locanda Cipriani di Venezia, Giuseppe Aversa del ristorante il Buco di Sorrento, Vincenzo Guarino del ristorante L’Accanto di Vico Equense, Maurizio Urso Chef Executive (Presidente per la Sicilia Accademia Nazionale Italcuochi) e Christian De Simone del ristorante La Terrazza sul Mare di Ortigia, Liborio Genovese del ristorante Spirito Mediterraneo di Modica, Salvatore Calleri del ristorante Regina Lucia di Siracusa e Cristina Lunardini, volto noto di

Gli ultimi dati L’8 marzo scorso un bambino è morto soffocato da una caramella; nel 2014 una bambina di tre anni è deceduta per un chicco d’uva; a distanza di pochi mesi tra loro due bambini di meno di tre anni sono deceduti a causa di una polpetta e di un wurstel in due ristoranti di due grandi centri commerciali: nessuno li ha saputi aiutare in mezzo a tanta gente. Ogni anno in Italia ci sono 50 famiglie distrutte da tragedie simili a queste: 50 bambini perdono la vita per soffocamento da corpo estraneo (il 27% dei decessi accidentali – dati 2007 SIP Società Italiana di Pediatria) non solo per il “corpo estraneo” che hanno ingerito accidentalmente (palline di gomma, prosciutto crudo, insalata, polpette, caramelle gommose, giochi etc…), ma soprattutto perché chi li assiste nei primi drammatici momenti di solito NON è “formato” a praticare le semplici manovre di primo soccorso, con le conseguenze che purtroppo conosciamo.

Alice Tv. Tutti i partecipanti hanno ottenuto il brevetto secondo le nuove linee guida internazionali di operatore P-BLSD e ad ognuno è stata consegnata una vetrofania da apporre all’ingresso del proprio locale per segnalare ai clienti la presenza di personale formato. L’obiettivo di SicurezzAtavola è di annoverare un sempre più elevato numero di locali che espongano questo messaggio, per salvare sempre più vite. Il cammino appena cominciato si prefigge di portare l’eccellenza della formazione sanitaria all’eccellenza della ristorazione quale segnale etico e di grande impatto sociale. Al Maestro Marchesi, per il Ristorante Il Marchesino, è stato donato da “Salvagente Monza” un defibrillatore di ultima generazione prodotto da Cardiac Science, azienda leader nello sviluppo, produzione e commercializzazione di defibrillatori automatici esterni denominati DAE.

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DIETOLOGICAMENTE P

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di Primo Vercilli Medico Dietologo

CAFFÈ E INFARTO

E SE IL RISCHIO FOSSE DETTATO DAL GENE? Non c’è che dire: il caffè è una di quelle bevande che raramente non entra nella nostra quotidianità, ma, proprio per questo, spessissimo è stato oggetto di ampi dibattiti sull’opportunità o meno di consumarlo. I più grossi studi sul caffè riguardano l’azione della caffeina sul nostro organismo, sostanza cosiddetta “nervina” perché ha un effetto eccitatorio sul Sistema Nervoso e su numerosi recettori. Il contenuto medio di caffeina è di circa 85 mg per 150 ml (1 tazza) nel caffè tostato macinato, di 60 mg nel caffè istantaneo, di 3 mg nel caffè decaffeinato, di 30 mg nella foglia o nella busta di tè, di 20 mg nel tè istantaneo e di 4 mg nel cacao o nella cioccolata calda. Un bicchiere (200 ml) di una bevanda analcolica che contiene caffeina, ha un contenuto medio di caffeina di circa 20-60 mg. In Europa, la popolazione adulta ne consuma una media giornaliera di 200 mg (con un range di 100400 mg), per la maggior parte derivante da caffè e tè, ma anche da bevande analcoliche comprese le “bevande energetiche”. Tuttavia, la dose dipende molto dalle abitudini culturali. I paesi del Nord Europa sono noti per le loro bevande ad alto contenuto di caffeina: in Danimarca, Finlandia, Norvegia o Svezia, il consumo medio di caffeina raggiunge i 400 mg al giorno. L’associazione tra consumo di caffè e malattie cardiovascolari resta tuttavia poco chiara e forse, in tutto questo, i geni hanno la loro importanza!

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Ma andiamo per ordine: qual è la relazione tra consumo di caffè e aumentato rischio cardiovascolare? La risposta giunge da un recente studio condotto dai ricercatori della National University of Singapore e della Harvard Medical School di Boston, i quali hanno potuto riscontrare un’associazione di tipo non lineare tra il livello di consumo della bevanda e l’incidenza nel lungo termine dei principali disturbi a carico del sistema cardiovascolare: infarto, malattie coronariche ed eventi cerebrovascolari. Per giungere a queste conclusioni gli autori hanno analizzato i dati disponibili sui principali database online di letteratura scientifica, selezionando una serie di studi che analizzassero in modo specifico la relazione tra l’assunzione di caffè e l’incidenza di disordini cardiovascolari. In questo modo, l’analisi si è basata sulle informazioni provenienti da 36 studi, per un totale di 1.279.000 individui (Fonte: Ding M, Bhupathiraju SN, Satija A et al. Long-term coffee consumption and risk of cardiovascular disease: a systematic review and a dose-response meta-analysis of prospective cohort studies. Circulation. 2014 Feb 11). Direi che il campione analizzato è estremamente significativo e i risultati non dovrebbero lasciare dubbi su eventuali interpretazioni dei risultati. Invece i dati non sono stati esattamente come ce li si aspettava! I ricercatori, infatti, hanno riscontrato l’esistenza di una relazione tra il livello di consumo della bevanda e il rischio cardiovascolare, ma questa


DIETOLOGICAMENTEPARLANDO

relazione non è del tutto lineare. Infatti, rispetto alla categoria a minore consumo (0 tazze giornaliere), le tre categorie a più alto consumo erano caratterizzate da un rischio relativo pari a 0.95 (5 tazze giornaliere), 0.85 (3.5 tazze giornaliere) e 0.89 (1.5 tazze giornaliere). Tanto per esser chiari, un rischio lineare avrebbe dovuto indicare un rischio crescente in modo proporzionale rispetto al consumo di caffè; in questo caso invece non è esattamente così. C’è quindi qualcosa che sfugge nell’analisi statistica e questo “qualcosa” potrebbe proprio essere quella che spesso definiamo “predisposizione”, cioè quella che è data da un particolare assetto genetico. È proprio qui, a questo livello, che potremmo insinuare il dubbio: e se il fatto che non ci sia una perfetta linearità nel rischio dipendesse da fattori genetici? Lo sapete che ci sono dei geni che sono direttamente legati al metabolismo della caffeina? Infatti il gene CYP1A2, che fa parte della grossa famiglia del Citocromo Ossidasi P450, è responsabile proprio del metabolismo della caffeina, della teofillina (cioè la sostanza contenuta nel tè) e di numerosi farmaci. E’ stato quindi scoperto che le persone che presen-

tano una variante genetica sfavorevole (cioè un enzima CYP1A2 poco efficiente) hanno una capacità ridotta di metabolizzare la caffeina e presentano un aumento del rischio per l’infarto miocardico non fatale pari al 36% se bevono dalle due alle tre tazze di caffè al giorno e pari al 64% se bevono quattro o più tazze di caffè al giorno. Più queste persone sono giovani (<59 anni) e più aumenta il rischio (nella maggior parte dei casi analizzati, il tipo di caffè utilizzato era quello cosiddetto “americano” e non espresso). Ecco quindi che potrebbe essere questa la spiegazione per cui non c’è una relazione perfettamente lineare tra consumo di caffè e rischio cardiovascolare: ci potrebbero essere molte persone che, pur consumando un discreto numero di tazzine di caffè, non hanno grossi problemi proprio perché veloci metabolizzatori di questo prodotto. Che dire: concediamoci una buona tazzina di caffè (senza esagerare!) e cominciamo comunque a pensare che il nostro organismo è talmente complesso (bellissimo!) che molto spesso non bastano neanche studi su più di 1 milione di persone per dare una risposta definitiva al suo funzionamento!


Gala teo ASSAGGI DI

di Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia - IPSSAR Piobbico

QUANDO L’ARTE DELL’ACCOGLIENZA PARTE DALLO STAFF BON TON NEL CONDURRE AL SUCCESSO LA PROPRIA SQUADRA DI LAVORO Se vogliamo veramente incentrare il nostro lavoro sull’arte del ricevere e servire i nostri ospiti, prima di tutto è doveroso soffermarci sullo staff. La serenità e le relazioni all’interno di una squadra determinano il successo o l’insuccesso della propria impresa. Non a caso le risorse umane rappresentano uno dei costi fissi più importanti all’interno delle aziende ricettive e ristorative. La qualità del servizio è direttamente proporzionata al grado professionale della figura che svolge quel determinato servizio. Sicuramente quando si parla di ristorazione non si discute di lavori facili da affrontare. Diviene dunque indispensabile avere delle figure trainanti di carisma e svolgere una corretta scelta delle risorse umane per raggiungere in modo ottimale i propri obiettivi. Negli svariati contesti lavorativi, chi deve portare l’esempio del corretto comportamento e di quel pizzico di bon ton che non stona mai, sono i responsabili di reparto. Vedere un maître che davanti a tutto il personale di sala grida verso un dipendente che ha commesso un errore, offendendolo in malo modo e con parole non adeguate, è veramente disdicevole e poco garbato. Quanto sarebbe più formativo far comprendere con educazione l’errore riprendendo il dipendente, anche con severità, ma senza offese?

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Ancor meglio farlo in un ambiente appartato e non alla vista di tutti, specie se il richiamo non funge da insegnamento e da critica costruttiva valida anche per il resto dello staff. E’ così che si crea autorevolezza e rispetto verso la figura del capo squadra. Altro importante elemento di bon ton è ammettere i propri errori, soprattutto quando si ricoprono ruoli di responsabilità, senza scaricare le colpe sul personale che si trova al di sotto del nostro livello gerarchico. “Errare umanum est” ed ammetterlo sottolinea un acuto senso di professionalità. La ristorazione è fatta di apprendimento: l’errore è concesso, soprattutto quando si lavora in contesti di sperimentazione. Quando si forma uno staff, bisogna dedicarsi ad ogni componente per farlo sentire partecipe della propria casa, specialmente in un ristorante dove i ritmi lavorativi sono alti e prolungati. È costume tutto italiano quello di non curare le proprie risorse umane con la stessa importanza che si riserva al cliente. Non vi è cosa più sbagliata che considerare il personale come una sola macchina produttiva. Ogni persona ha bisogno del proprio spazio, degli strumenti adeguati e della considerazione dovuta. Oggi si sta perdendo il valore della parola e della


ASSAGGI DI

comunicazione. Un semplice grazie può aumentare la produttività di ogni singola figura. Se sarete in grado di approfondire la conoscenza dei vostri collaboratori, riuscirete a capire subito quando vi sono delle motivazioni, anche personali, che compromettono il rendimento professionale. La capacità di essere vicino ad un componente della squadra permette di instaurare delle empatie e dunque delle leve sulle quali fare forza per stimolare determinati collaboratori a svolgere le proprie mansioni seguendo al meglio gli standard prefissati e conseguendo i risultati previsti. Altra funzione fondamentale è l’ascolto, ruolo in parte messo nel cassetto. Uno chef o un maître devono essere in grado di ascoltare e, ancor più, di chiedere un consiglio anche dal commis che si trova nel livello più basso della scala gerarchica. Tale gesto fortifica la cooperazione e la volontà di apprendimento da parte di tutta la brigata. Anche in strutture rinomate può capitare (ma non dovrebbe mai accadere) che nel primo giorno di lavoro di un neoassunto, un responsabile o, ancor peggio, il direttore, non si presentino per far conoscere la struttura, i processi lavorativi e gli standard della propria azienda. Tutto ciò, di primo impatto, ci fa comprendere che in quel luogo non vi potrà mai essere una cura eccelsa dell’ospitalità. Ci si accorge subito se i nostri futuri collaboratori e responsabili fanno con passione il proprio mestiere da questi piccoli dettagli. L’arte dell’accoglienza è fatta di attenzioni. Semplici gesti possono solo accrescere la devozione per il proprio posto di lavoro e l’impegno verso la propria mansione. E’ il caso di un’addetta alla reception di una nota catena alberghiera americana alla quale fu inviato un mazzo di fiori ed un bigliettino di augurio per una pronta guarigione, dato il suo periodo di malattia. Un gesto lieve come questo può suscitare forti emozioni generate da un’importante e corretta considerazione. Per gestire lo staff di una azienda ricettiva/ristorativa, non è sufficiente un buono stipendio. Bisogna essere in grado di dar luogo ad input che gratificano la personalità umana a stadi superiori. Si sta perdendo sempre di più l’attenzione verso i singoli elementi che producono nelle nostre aziende il vero successo. La fredda economia e la crisi hanno

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aumentato l’indifferenza e l’ingratitudine verso coloro che svolgono con passione ogni giorno, con turni da 10-12 ore, il proprio lavoro. Diviene fondamentale, ancor più nel settore dell’ospitalità, tornare a considerare le buone maniere. Piccole azioni possono migliorare notevolmente, non solo il rendimento quantitativo del lavoro, ma soprattutto quello qualitativo svolto da ogni singola risorsa.

IL CLIENTE HA VERAMENTE SEMPRE RAGIONE? Il cliente è colui che paga ed è quindi la persona che ci permette di portare avanti la nostra attività e la nostra passione. Detto ciò, in casi estremi potrebbe anche non avere la ragione dalla sua parte e, quando questo accade, l’arma del bon ton si può dimostrare di grande aiuto. L’approccio della comunicazione in questo caso diventa essenziale. E’ importante che ad occuparsi di queste problematiche sia un responsabile di reparto e non un subordinato, spesso non a conoscenza dell’attività globale della struttura. Inoltre in questo modo facciamo notare ancor di più l’importanza riservata al cliente in questione. Bisogna porre il consumatore al centro, dunque una volta chiesto gentilmente su cosa è rivolta la lamentela, si deve lasciare spiegare la problematica riscontrata. Non si interrompe il cliente mentre parla: aumenterebbe soltanto il nervosismo innescato dalla situazione iniziale. Quando termina l’esposizione della lamentela, ci si dovrà scusare dell’inconveniente e di conseguenza si agirà fornendo spiegazioni chiare e brevi. Se notiamo, durante le nostre scuse, che dall’altra parte vi è una persona ostile, anche se capiamo che non ha del tutto ragione, provvederemo a rimediare al presunto errore fatto accontentando il fruitore con i mezzi a nostra disposizione. E’ fondamentale in questi casi dimostrare grande professionalità, senza mai creare tensioni nella conversazione, al fine di non alterare l’armonia ed il decoro che si addicono a qualunque buon ristorante.

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Work in Food a cura di ManpowerGroup

I TREND CHE STANNO CAMBIANDO IL

MERCATO ALIMENTARE MONDIALE Sono 6 i trend che cambieranno il mercato alimentare mondiale: la consapevolezza dei rischi alimentari, la sofisticazione del consumatore, la rivoluzione digitale, l’asimmetria tra domanda e offerta, la crescente volatilità delle materie prime e l’internazionalizzazione.

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Consapevolezza dei rischi alimentari: il consumatore moderno adotta stili di vita sempre più healthy

Continua a crescere la consapevolezza dei consumatori mondiali riguardo ai rischi alimentari come effetto della massiccia diffusione della diagnosi e dell’informazione. Il cosiddetto medical food, ossia il prodotto alimentare che si sviluppa per venire incontro a delle difficoltà sanitarie oggettive del consumatore, è un prodotto la cui crescita dipende dalla consapevolezza e dallo sviluppo di tecniche di diagnosi di massa a basso costo, e di test di screening. Questo fenomeno è estremamente diffuso. Basti pensare allo sviluppo dei prodotti per celiaci che evidenziano appunto come non sia la celiachia ad aumentare, ma coloro che sanno di esserlo, oppure agli integratori alimentari, oggi vero pilastro degli stili di vita contemporanei. Accanto alla celiachia, tra le patologie più diffuse che hanno innalzato l’attenzione nei confronti dei rischi alimentari vi sono anche il diabete, le patologie cardiovascolari e l’obesità. A ciò va aggiunto che si stanno sofisticando in tutto il mondo i quadri regolatori, non soltanto in termini di protezione da pesticidi e conservanti, ma anche in termini di tracciabilità, origine e qualità.

La sofisticazione del consumatore: evolvono i bisogni, affermando modelli di consumo sempre più polarizzati

Anche grazie alla diffusione del digital, il consumatore continua a sofisticarsi non solo in Italia, ma a livello globale. E’ sempre più orientato verso una qualità di prodotto che integri il concetto più ampio di qualità di processo e richiede sempre più prodotti sani, sicuri, nutrienti e ottenuti nel rispetto dell’ambiente e del benessere animale. Il consumatore italiano compra più prodotti Made in Italy, rispettosi dell’ambiente e, una volta conquistato un bisogno basico, vuole vedere soddisfatto quello stesso bisogno in maniera evoluta. Ne è un esempio lo yogurt che, dalle versioni basi “magro” e “gusto frutta”, si è oggi evoluto in numerose varianti, da quello diet a quello probiotico, arricchito, etnico e così via.


Work in Food

Anche il diverso stile di vita ricopre un ruolo fondamentale nell’evoluzione dei bisogni e se da un lato cresce il consumo dei break lunch veloci nella “corsa contro il tempo” in ufficio, dall’altro aumenta il tempo libero trascorso in casa, che porta a riscoprire i valori antichi della cucina. Un cambiamento che si riflette negli interessi dove, al primo posto, c’è la cucina, seguita da salute e viaggi. Non a caso, continuano a proliferare sul web, ma anche in TV, gli spazi dedicati a questo tema: saper cucinare è diventato trendy. Questi fenomeni rappresentano una grande opportunità per le aziende dell’alimentare italiano perché quello che è il gusto sofisticato dei prodotti italiani che oggi è molto diffuso nei Paesi occidentali, sta diventando un gusto sofisticato diffuso anche nei Paesi esteri. Il vero tema oggi è come catturare quest’opportunità.

Giornali, web, TV: cucinare è diventato trendy

Il terzo fattore è la rivoluzione digitale che riguarda non solo il rapporto con il consumatore, i cosiddetti big data, ossia l’elaborazione dei dati del consumatore per poterlo raggiungere più facilmente, ma sta colpendo a fondo tutta la catena del valore: ad esempio, la distribuzione. A Londra, e prima ancora in Korea, ci sono delle fermate della metropolitana in cui Tesco ha implementato il mobile shopping, ossia un negozio virtuale dove i prodotti non sono a scaffale, ma sono solo disegnati e si compra con lo smartphone.

La rivoluzione digitale: nuovi modi di presidiare la filiera alimentare e raggiungere il cliente finale

La rivoluzione digitale impatterà la logistica: i droni non serviranno solo per fare la guerra, ma anche per fare le consegne. Impatterà la produzione agricola: le tecniche di smartfactory, uno strumento di competizione importante, stanno già rendendo in produttività. Infine si sta sempre più affermando il precision farming, tecnica digitale ormai diffusa in Nord America e in America Latina con la quale si ottimizza la produttività della superficie agricola, andando a dosare in maniera automatizzata tutti gli ingredienti necessari allo sviluppo delle coltivazioni e a incrementare la resa per etto, riducendone gli investimenti.

Droni per aiutare l’agricoltura

Nel mondo del food mondiale, c’è una grande asimmetria tra domanda e offerta: esistono Paesi in cui la domanda cresce incredibilmente con un’offerta non capace di competere, e Paesi in cui c’è un surplus di produzione che non riesce a trovare adeguati sbocchi dal punto di vista commerciale. Il differenziale tra la domanda di prodotti alimentari e la produzione locale è per esempio nell’ordine del 33% in Asia Orientale, gap che spiega l’attivismo della Cina nell’acquisizione di terreni in Africa Orientale. Stesso problema nell’Africa Sub-Sahariana, dove la popolazione cresce in maniera incontrollata, mentre le capacità produttive sono assolutamente limitate e piuttosto primitive, e nel resto del SudEst Asiatico dove il differenziale è a quota 13%, a causa della lentezza dello sviluppo del mercato indiano. Situazione opposta in America Latina dove c’è un surplus di produzione, ragion per cui molte delle aziende agroalimentari hanno una grande capacità e una forte focalizzazione sull’esportazione.

Asimmetria tra domanda e offerta: i surplus di produzione non sono localizzati dove la domanda è scoperta

Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a una crescente volatilità delle materie prime, fenomeno non puramente speculativo, ma legato ad alcuni fattori strutturali di cui non ci libereremo facilmente. Il primo fattore, già toccato in precedenza, è un’emergenza idrica: la crescita e lo sviluppo della popolazione mondiale stanno consumando le risorse di acqua dolce disponibile sul pianeta. E l’acqua dolce si usa per tante applicazioni fra cui anche l’agricoltura: entro il 2025 si prevede ci saranno circa 5,5 miliardi di persone a rischio di scarsità d’acqua. Circa 2 miliardi in più rispetto al 2013.

Crescente volatilità della materia prima: siamo in emergenza idrica

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Work in Food Diminuiscono i terreni coltivabili e cresce la temperatura

Altro fattore importante sono le terre coltivabili che continuano a diminuire, a causa di tre fenomeni: la crescita della popolazione mondiale, i fenomeni di desertificazione e cementificazione e l’urbanizzazione. Si prevede che nel 2030 ci saranno circa 2,4 miliardi di persone in più nelle aree urbane e, sempre entro il 2030, ci saranno 175 nuove città al di sopra del milione di abitanti, di cui 13 saranno megalopoli (con più di 10 milioni di abitanti). Si afferma un altro fenomeno: buona parte delle materie prime per uso alimentare verranno comprate per usi non alimentari, quali il bio-fuel. Entro il 2020 verranno prodotti ulteriori 90 miliardi di litri di bio-fuel (+ del 2-3% della produzione mondiale annua di petrolio), il che equivale a dire che 30 milioni di ettari di terreno coltivabile, da qui al 2020, passeranno a essere destinati al bio-fuel (sono circa 2 volte l’Italia come superficie). Ci sono poi i cambiamenti climatici: in primis, il riscaldamento globale che ha determinato negli ultimi 30 anni un aumento delle calamità atmosferiche imprevedibili. Tutti questi fenomeni faranno sì che la volatilità e la tensione sui prezzi delle materie prime, nei prossimi anni, non faranno che aumentare.

L’internazionalizzazione è un must per le aziende italiane

La situazione di precarietà economica causata dalla crisi, tra il 2009 e il 2012, ha avuto come effetto un calo dei consumi alimentari in Italia (-1,8% consumi alimentari) e i dati dell’economia italiana ribadiscono che la risalita dalla recessione sarà molto lenta: rispetto al picco pre-crisi toccato nel 2007, il PIL italiano 2013 è diminuito dell’8,7% e, secondo le stime il PIL tornerà ai livelli pre-crisi non prima del 2020. E se la prospettiva del mercato domestico è negativa, anche le barriere all’ingresso del mercato domestico stanno calando una dopo l’altra e, in molti settori dell’agroalimentare, sono crollate completamente. In questo panorama, la parola chiave è internazionalizzare, anche perché lo sviluppo dei mercati emergenti è un fenomeno che riguarda i prossimi 10 anni e la partita si giocherà dunque da oggi al 2025.

L’eccellenza italiana è un valore che va speso bene

Premesso dunque che internazionalizzare è un must, si è a un bivio: entrare nell’arena del mass market globale oppure sviluppare un Made in Italy distintivo. Nel primo caso, bisogna capire se si è sufficientemente strutturati per compiere un passo del genere anche perché l’Italia ha svantaggi di scala come assetto industriale rispetto al mondo, svantaggi di costo, ma anche ritardi di competenze nell’internazionalizzazione. Nel secondo caso, le nostre chance sono molto maggiori: il nostro prodotto è un prodotto premium, la specializzazione e il know how sono riconosciuti sui mercati mondiali. Il prodotto alimentare italiano nel mondo è sinonimo di eccellenza: l’Italia è il primo Paese per numero di riconoscimenti DOP, IGP e STG conferiti dall’UE e sono 261 i prodotti di qualità riconosciuti al 31 dicembre 2013 (Dati Ismea-Qualivita).

La sfida per affermare il Made in Italy presuppone competenza e affidabilità

Infine, per giocare la partita globale, bisogna puntare sui propri elementi distintivi, valorizzare l’italianità, prendere a esempio il successo del Made in Italy in ambito moda e design e passare da fare volume unbranded a fare un prodotto Made in Italy distintivo riconoscibile e di qualità posizionato nella fascia alta. Bisogna puntare all’eccellenza del prodotto, investire nelle certificazioni e nella qualità. Bisogna selezionare le arene in cui si vuole competere: un’azienda media italiana non può scegliere di espandersi a macchia di leopardo sul pianeta senza avere la possibilità di investire in ogni Paese in advertising e promozione, senza avere una massa critica logistico-distributiva e un assetto produttivo locale. E’ preferibile scegliere due mercati assicurandosi una presenza commerciale, anche attraverso partnership, che vuol dire vere strutture logisticodistributive. Per chi vuole andare negli Stati Uniti, l’export è la strada e ci sono gli spazi: per esempio, l’area sudoccidentale, che dalle analisi statistiche risulta assolutamente sotto penetrata, e il Texas, la zona che cresce di più negli Stati Uniti. Per servire le grandi catene di distribuzione americane, però, bisogna avere una struttura logistico-distributiva locale. E da ultimo è necessario prepararsi a competere sulla qualità del servizio, bisogna essere in grado di comprendere le necessità degli interlocutori commerciali locali, il che vale non solo negli Stati Uniti, ma anche in Cina, Brasile, ovunque nel mondo.

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Tradizione, gusto, qualità e genuinità: su questi valori si basa la produzione di Lorenza Righini, che negli anni ha deciso di sfruttare la sua abilità di “arzdora” (si chiamava così, “reggitora”, la padrona di casa, colei che teneva le redini di casa, in Romagna) per aprire un’attività propria e convogliarvi quelle capacità con il mattarello, ereditate dalla famiglia e dalla zona d’origine. L’impasto è semplice e perfetto: farina, acqua, sale dolce di Cervia, strutto, senza aggiunta di conservanti o aromi additivi e… mattarello! Questi i pochi e naturali ingredienti della Piadina Romagnola, una delle protagoniste indiscusse delle tavole di Romagna, conosciuta e celebrata in Italia e nel mondo, atavico “cibo di strada”, storico fenomeno tra le abitudini consolidate degli amanti della buona tavola di ieri e di oggi. Piadine di grano, farro, integrali, kamut o riso, nelle più classiche delle proposte, dal prosciutto crudo alla salsiccia e cipolla fino a squacquerone e rucola e altre 50 varianti di gusto, per poi concludere dolcemente con crema di nocciola, granelle, o squacquerone e fichi, altro binomio strettamente locale. Specialità classiche e più innovative a cui si aggiungono anche crescioni ripieni di ogni bontà, schiacciate, rotoli e tortelli alla lastra. A quella produzione nostrana che il già citato Giovanni Pascoli definiva “il pane, anzi il cibo nazionale dei romagnoli”, è stato assegnato l’anno scorso il marchio Igt, per tutelarne l’autenticità. La piadina del ravennate si differenzia da quella di altre zone della Romagna per essere più spessa e soda. Quella di Lorenza Righini, nel chiosco appena aperto sulla statale che porta a Cervia, si differenzia invece dalle altre per la grande passione che la sua “arzdora” ci mette ogni giorno. E per i profumi invitanti che emana.

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PIADINERIA IL BIANCOMANGIARE Via Camillo Torres, 208/C Castiglione di Ravenna (RA) Tel. 338.5634633 lorenza-righini@libero.it

PIADINERIA

IL BIANCOMANGIARE PIADINA SECONDO TRADIZIONE A CASTIGLIONE DI RAVENNA

... sul tagliere pulito, lo straccio balzellò rumoreggiando. Il bianco fiore ella ammucchiò: col dito aperse il mucchio, e vi gettava il sale e tiepi d’acqua dal paiuolo avito. Poci ch’ebbe intriso rimesto l’uguale pasta e poi la partì: staccò dal muro il mattarello, strinse il grembiale; e “le spinate” assottigliò col duro legno, rotondo, a una a una: e presto sì le portava ala focolare oscuro. Vi via la madre ponea sul testo sopra gli accesi tutoli: e su quello le rigirava con un lento gesto: nè cessava il rullio del mattarello. (da “Desinare” di Giovanni Pascoli)

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GOLA VAGANDO

BRILLO BURGER STREET FOOD DI QUALITÀ NEL CUORE DI ROMA

Nasce da una costola del Brillo Parlante, noto ristorante pizzeria e wine bar di cucina tradizionale, la nuova hamburgheria di qualità, aperta a due passi da Piazza del Popolo. Se il legame fisico è evidente, i due locali sono uno di fronte all’altro, quello concettuale si rintraccia a partire dal nome: Brillo Burger incarna infatti lo spirito dell’hamburgeria, declinato all’insegna dello street food di qualità. 11 Burger, 1 hot dog e 1 panino con la salsiccia, pietra miliare della storia gastronomica romana; 4 centrifughe, 4 insalate, 4 dolci e 4 fritti (cipolle, patate, filetti di baccalà e fiori di zucca), tutto preparato sul momento, nella cucina a vista. Che il progetto nasca all’insegna della vivacità lo si capisce anche solo leggendo i nomi dei burger proposti in menu, fantasiose derivazioni dello spirito Brillo; così è possibile ordinare l’AmaBrillo o il RidiBrillo, proposte gourmet di originali accostamenti, preparati con carne di fassona, angus, pollo o tacchino, con una variante di pesce, il NuotaBrillo e una vegetariana, il ViviBrillo. Oppure è possibile scegliere l’opzione Fatti il tuo Brillo e personalizzare il burger, scegliendo tipo di pane, carne, verdure e salse. Ad arricchire l’offerta gastronomica, una selezione di trenta birre

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artigianali, nazionali ed estere, e la BrilloBeer, prodotta in esclusiva da un birrificio pugliese, disponibile alla mescita o in bottiglia. Un menu che ricalca la filosofia del locale: prodotti selezionati, materie prime di qualità, originali accostamenti e chef gourmet in cucina, per uno street food che si rivolge a un pubblico trasversale. Gli stessi criteri che hanno informato la progettazione dello spazio. Costa Group ha infatti tradotto lo spirito del locale, in un ambiente fresco e d’impatto, che spicca per la scelta cromatica giocata sul contrasto giallo-nero e pensato come una sfida alla logica dell’omologazione dei sapori: più che una hamburgheria, una scommessa all’insegna della qualità. La cucina a vista, vera anima del locale, con aspetto spiccatamente industriale: lamiere ondulate giallo brillante, effetto container, a ricordare i camioncini per il cibo da strada. Pavimento a scacchi bianchi e neri, la colatura della vernice nera che lascia scie colorate sul legno grezzo, pareti piombo con specchi come oblò e una comunicazione fresca e d’impatto che riesce a trasmettere lo spirito Brillo, su menuboard, packaging personalizzato e sui fiori disegnati a mano che impreziosiscono tutta una parete. Un progetto che guarda al futuro perchè «abbiamo in cantiere - spiega Daniele Lassalandra, proprietario del locale - nuove aperture all’estero con lo stesso marchio e stiamo studiando una formula di ristorante steak-house, con servizio al tavolo, come evoluzione del concetto Brillo Burger».

BRILLO BURGER Via della Fontanella 8, Roma

Studio, design e progettazione: Costa Group, arch. Jacopo Vincenti

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di Alessia Pellegrini

POLO PASTA E PIZZA Viale Della Repubblica, 64 61121 Pesaro (PU) Tel. 0721 375902 www.polopastaepizza.eu info@polopastaepizza.com

POLO

PASTA E PIZZA UN VERO RISTORANTE DEMOCRATIC-GOURMET

Mario Di Remigio e Michele Poletti, titolari del ristorante Polo Pasta e Pizza, hanno la risata aperta di due ragazzini e tutto l’orgoglio di aver realizzato il loro desiderio, quello di aver dato vita ad un progetto di ristorazione democratica, aperta davvero a tutti, a chi ha voglia di un primo e poi di corsa tornare al lavoro, alle famiglie che vogliono riunirsi allegramente, agli appassionati gourmet sempre alla ricerca di preparazioni mai banali. La storia di questo locale che nasce nel 1999, ha radici lontane: una passione per la cucina, quella di Mario, ereditata dal nonno ristoratore di Pesaro e dalla mamma che da bambino cercava di tenerlo lontano, non riuscendoci, dai fornelli, perché metteva le mani dappertutto; un corso di studi che lo diploma all’Istituto Alberghiero; una lunga esperienza maturata in contesti di valore. Non pago, si adopera anche in anni di consulenze nello stesso ambito, crea programmi elettronici per la gestione delle cucine atti a

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facilitare i compiti e gli impegni dei cuochi. Anche la passione di Michele ha radici lontane, radicate nell’infanzia: ha infatti 7 anni quando la nonna paterna lo sorprende in cucina a preparare la crema pasticcera. Prima lo sgrida e poi si sorprende, assaggiandola, di come fosse buona. Nei sogni di ragazzino, mentre frequenta gli studi alberghieri, c’era il ristorante Symposium di Cartoceto tanto che prometteva ai genitori che proprio lì, in quel bel posto, un giorno avrebbe lavorato. E infatti al Symposium stringerà con Mario un sodalizio amicale


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e professionale destinato a durare negli anni a seguire e che li porterà proprio là dove vogliono arrivare, ossia al progetto e alla realizzazione di Polo Pasta e Pizza. Un ristorante democratic-gourmet, l’abbiamo voluto definire, perché mette insieme piatti di qualità e ottimo rapporto qualità/ prezzo. In cucina vale la regola del comprare prodotti selezionati che possano essere serviti ad un prezzo accessibile. Ne consegue una ricerca continua di ciò che di meglio offre il mercato: pesce fresco dall’Adriatico e dal resto del mondo, per quanto riguarda la carne, le costate vengono dall’Irlanda ed il filetto dall’Argentina, i conigli da un contadino della zona, i galletti ruspanti dalla campagna ferrarese, salumi e formaggi dai

con gelati e sorbetti, creme brulee, panna cotta e tortino al cioccolato, tutti i dolci, con o senza glutine, vengono preparati in casa. La cantina conta circa 150 etichette con i migliori locali e regionali, i classici nazionali, bollicine di casa nostra e champagne, un vasto assortimento di birra, alla spina, in bottiglia, birra artigianale ed agricola prodotte nella zona circostante e birra senza glutine. Al bancone del bar, inoltre, una vasta selezione di distillati e dopo pasto.

produttori locali, l’olio DOP da Cartoceto. Per le paste fresche, tagliatelle, chitarrine, pici, maltagliati di polenta, tacconi di farina di fave, strozzapreti, passatelli, gnocchi, tortellini e ravioli, si lavora come una volta di braccia e mattarello. Le paste secche, invece, sono quelle dell’azienda Setaro di Torre Annunziata. La varietà dei primi è davvero sorprendente, il menu conta infatti più di 30 proposte. Per la pizza, l’impasto utilizzato è a lunga fermentazione per ridurre la quantità di lievito, con possibilità di scegliere tra impasto integrale o impasto classico. E siccome l’idea di Mario e di Michele era quella di un ristorante democratico, non potevano restarne fuori i vegetariani ed i celiaci. Il ristorante, riconosciuto dall’AIC, Associazione Italiana Celiaci, ha creato un menù che può essere realizzato tutto nella versione gluten free. Un pasto completo, dal pane al dolce,

caratterizzano per la cromaticità gioiosa e per gli elementi che richiamano il sentirsi a casa. La zona “veranda”, piastrellata in cotto, si presenta nei colori bianco/azzurro, un fondo a righe in contrasto con il tovagliato bianco, caratterizza l’apparecchiatura. Belli i bicchieri in vetro colorato azzurro che si fanno beffa del cristallo vanitoso del bicchiere del vino. Appese, basta tirar su gli occhi, una fila di piante pensili nei loro bei porta vaso realizzati in corda. Dalla veranda è possibile godere della vista del mare e della Palla di Pomodoro. La sala interna, invece, davvero ampia, si presenta nei colori giallo uovo/blu di Persia, con tendaggi a richiamo ed apparecchiatura giallo tenue. Piacevole la decorazione che corre a banda lungo la parete, anch’essa a richiamo, e le mensole in legno scuro con cocci e vasellame. Confortevole.

L’AMBIENTE L’atmosfera e la realizzazione degli ambienti ricalca perfettamente l’ideale di un’accoglienza aperta e calorosa. Gli ambienti interni si

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LA DEGUSTAZIONE Consigliati dallo chef Michele Poletti, la nostra degustazione si apre con un antipasto a base di sardoncini marinati con aceto, alloro, sale, pepe, olio extravergine di oliva Cartoceto DOP, canocchia olio e limone, baccalà mantecato con crema di peperoni cotti con pomodoro e cipolla, salmone marinato con pomodorini ed aceto di lamponi, filetti di sogliola su polenta di mais ottofile. A seguire, un primo di pasta fresca, ravioli di melanzane alla sorrentina con dadi di mozzarella di bufala campana DOP, ed un secondo di carne, filetto di vitello con caciotta di Urbino DOP, trifola di tartufo nero di Acqualagna, accompagnato da un tortino di patate e melanzane fritte in tempura.

Per concludere, un tris di dolci, cassata di mousse bianca a base di panna aromatizzata da pinoli pralinati, bucce d’arancia candite al Gran Marnier, rivestita da una genovese e accompagnata da una salsa all’arancio, pinoli pralinati, dadi di arance e fili di cioccolato fuso fondente Valrhona; babà caldo con macedonia di frutta fresca e salsa vaniglia, servito con gelato di crema; profiterol Rossini al cioccolato caldo, bignè farcito con crema pasticcera aromatizzata all’arancio glassato di ganache al cioccolato Manjari Cru e Valrhona, accompagnato da una pallina di gelato al fior di latte.

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di G. Di Lorenzo

RESIDENZA SVEVA IL FASCINO DELLA STORIA A TERMOLI IN UN ALBERGO DIFFUSO E’ il fascino della storia il grande valore aggiunto che nessun nuovo progetto, seppur rivelante, può garantire. Milioni di turisti si muovono ogni giorno per cercare e trovare proprio questo, e lo fanno visitando città storiche, siti archeologici, mostre e monumenti. L’Italia, come tutti sanno, può vantare primati in questo senso, malgrado dimostri spesso, purtroppo, gravi carenze nella tutela e nella promozione del proprio patrimonio. Sono i privati allora che, se in molti casi distruggono, in altri mettono tutto

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il proprio impegno e la passione per assicurare dignità e prestigio alla storia. È il caso di chi, soprattutto nei piccoli borghi, recupera antiche dimore o strutture danneggiate dal tempo e dall’incuria, per farne alberghi diffusi, oggi il modo più intrigante per vivere i paesi come se vi si abitasse. Termoli, incantevole borgo storico affacciato sul mare molisano, offre appunto queste opportunità: suggestive spiagge e il piccolo porto collegato alle Isole Tremiti, l’imponente castello Svevo, viuzze, casette, balconi, mura antiche in pietra


bianca e la residenza Sveva, antico palazzo nel centro storico, di fianco alla bella cattedrale, collegato gestionalmente ad alcune camere e suites ricavate nelle vecchie abitazioni del paese. La famiglia proprietaria ha dimostrato grande sensibilità e tanto buon gusto nel recupero: soffitti a volta con pietra a vista sono esaltati dalle delicate tinte degli intonaci, dagli eleganti arredi con mobili d’epoca, suppellettili artistiche e finiture artigianali di pregio, unite ai confort più attuali e a bagni curatissimi. Professionale ma cordiale il personale addetto; piacevolissima colazione a buffet con specialità locali e ottimo l’elegante ristorante con cucina a vista, affiancato alla struttura.

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RESIDENZA SVEVA Piazza Duomo, 11 - 86039 Termoli (CB) Tel 0875.706803 - Fax 0875.872975 www.residenzasveva.com info@residenzasveva.com RISTORANTE SVEVIA Via Giudicato Vecchio, 24 86039 Termoli (CB) Tel. e Fax 0875.550284 - 0875. 706803

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di Giorgia Zucchi

A GARGNANO, SUL GARDA

LA CAMPAGNOLA È UN RESORT DA UNA LIMONAIA DEL ‘700

Esiste un piccolo comune italiano ricco di storia, sconosciuto alle masse, quasi volesse preservare la sua natura riservata. Il sole che lo illumina sorgendo oltre le vette del Monte Baldo, infondendo luce e calore alla lussureggiante costa occidentale che si getta a capofitto nelle pescose acque del lago di Garda. Gargnano è un comune di 3000 anime che godono dell’atmosfera serena che il parco dell’Alto Garda Bresciano trasmette in tutte le tredici frazioni diffuse tra lago e colline. Nato come insediamento di Celti ed Etruschi, precedente all’arrivo dei Romani, questo piccolo paese ha vissuto la lunga dominazione della Repubblica di Venezia, prima della sovranità Asburgica conclusasi con la nascita del Regno d’Italia. Delle numerose vestigia passate citiamo la chiesa con il Chiostro di San Francesco, risalente al tredicesimo secolo, dove i frati francescani, per volere del Vescovo di Brescia, diedero inizio alla colti-

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RESIDENCELACAMPAGNOLA

vazione dei limoni grazie al clima mite che ancora oggi caratterizza il territorio. Proprio il Chiostro, quest’anno, ha ospitato la prima edizione di “Giardini d’agrumi”: una manifestazione interamente dedicata alle tradizioni, la bellezza, le forme, i profumi, i colori e le varietà di limoni, cedri ed aranci. Fin dalla metà del 1200, gran parte della riva ovest del lago di Garda, iniziò la coltivazione dei limoni, che vide il suo massimo splendore alla metà del 1800, poco prima dell’unificazione d’Italia.

A quell’epoca Gargnano contava la metà delle limonaie presenti sulla costa del lago. Oggi, a memoria di quella fiorente attività, rimangono solo le strutture architettoniche in pietra e legno necessarie alla formazione di serre protettive invernali. Il fondo “La Campagnola” rappresenta un recupero edilizio di notevole spessore conservativo di una limonaia del 700. Un resort di dieci unità abitative distribuite in quattro edifici che in origine rappresentavano la casa padronale e i suoi caselli, ossia le antiche attrezzaie gargnanesi. La famiglia Frassine gestisce da due generazioni il resort che, unitamente all’albergo Europa, costituisce il complesso ricettivo di proprietà. I caselli sono ristrutturati in trilocali e bilocali ai quali sono assegnati i nomi di piante secondo lo spirito naturalistico che pervade la struttura.

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IL BENESSERE CHE VIENE DAI LIMONI Con un design che riprende il materiale usato per le antiche limonaie e in contrapposizione alle solite anguste casa-vacanza, questi appartamenti godono di un ampia visuale sul lago, sono ricchi di ogni confort e l’ambiente nel quale sono immersi contribuisce a far rallentare i ritmi frenetici della vita quotidiana. Il giardino, al centro del quale è posta la piscina, è suddiviso in terrazzamenti, ognuno dei quali contiene ogni varietà di agrumi, dai cedri giganti fino alle arance amare. Cespugli di capperi selvatici si arrampicano sui muri in pietra bianca delle limonaie, mentre tutt’intorno piante di rosmarino, alloro e lavanda sprigionano i loro profumi. Anche la colazione del mattino è ricca di profumi naturali e sapori genuini. Liliana Frassine prepara personalmente le marmellate di agrumi con la frutta raccolta dal suo giardino, cucina biscotti e pane rustico ogni mattino da abbinare ad una selezione di formaggi del luogo oppure alla lemon curd: una prelibatezza anglosassone a base di limoni. Da “La Campagnola” è possibile raggiungere facilmente campi da tennis e da golf, oppure iniziare percorsi a piedi o in mountain bike

alla scoperta dell’entroterra gardesano. La vicinanza del lago permette di praticare tutti gli sport acquatici: dalla vela al windsurf al kitesurf. Per gli amanti della storia, si consiglia una visita al centro del paese, dove possono godere della vista di Palazzo Feltrinelli (ex segreteria di Benito Mussolini dal 1943 al 1945) o del Palazzo del Comune vecchio, oltre che una visita alle poche limonaie ancora in funzione.

RESIDENCE LA CAMPAGNOLA Via Repubblica, 38 25084 Gargnano (BS) Lago di Garda Reception c/o Hotel Europa Tel. 0365.71191 - 72055 www.frassinehotels.it info@frassinehotels.it

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CASA LI JALANTUÙMENE Piazza De Galganis, 9 Monte Sant’angelo (FG) Tel. +39 0884 565484 www.li-jalantuumene.it

NELLA PUGLIA PIÙ AUTENTICA IL RISTORANTE

LI-JALANTUÙMENE È ANCHE BED & BREACKFAST

Siamo nel Parco Nazionale del Gargano, immersi tra natura e storia. Meta medievale dei pellegrini diretti alla grotta di San Michele Arcangelo, collegato a Mont Saint-Michel dalla via Francigena, Monte Sant’Angelo si snoda lungo migliaia di gradini, tra chiese-grotte scavate nella roccia. Dal 2011 il Santuario di San Michele Arcangelo è stato riconosciuto patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Proprio in questa splendida location, in una casa abbandonata nel centro storico di Monte Sant’Angelo, Gegè Mangano - con sua moglie Ninni, i suoi figli Girolamo e Sofia - ha visto il luogo perfetto per “Casa Li-Jalantuùmene”: due camere piene di confort e charme, ma senza perdere ciò che da sempre ha contraddistinto la famiglia Mangano, ossia il contatto con la tradizione. Così come nel noto e apprezzatissimo ristorante (Li-Jalantuùmene) anche nel B&B Gegè mantiene vive le tradizione di una volta, dando quel tocco di innovazione.

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di Maria Chiara Zucchi

UNA CUCINA DI PRODOTTO ALLA

LOCANDA BELVEDERE

NELL’ALTO MOLISE

Nell’era della comunicazione 2.0 e, contestualmente, del grande clamore sviluppato attorno alla figura dei cuochi, sembra impossibile trovare ancora un valore semisconosciuto o comunque ignoto ai più. Anche se un meritevole e accorto giornalista di Repubblica ha scritto: “La Locanda Belvedere a Castelnuovo Volturno è il miglior posto dove fare base in Molise”, l’informazione non si è mai propagata più di tanto e, a parte il flusso locale e quello dei soliti buongustai romani, il ristorante condotto dal giovane Stefano Rufo e dalla

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sua famiglia non è ancora entrato tra le segnalazioni autorevoli del settore. Peccato, perché posti così contribuiscono a consolidare il buon nome della nostra migliore cucina. Il problema sta probabilmente nella sua ubicazione, una sorta di nido delle aquile sperduto tra le montagne del Comune di Isernia. Un problema che, a saperlo rigirare, diventa un valore esclusivo se si considera la natura intatta a perdita d’occhio, l’aria fresca anche d’estate, la vicinanza a siti di epoca sannita di incommensurabile


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interesse archeologico e, per parlare di vil benessere, la selvaggina, le verdure coi sapori veri, le erbe spontanee che fanno la differenza in questa cucina. Al Belvedere, dopo curve, soste e sguardi all’orologio, siamo arrivati solo grazie al cortese ma perentorio diktat del consigliere regionale delegato alla cultura del Molise che, per fortuna, non ha nella testa pregiudizi sul concetto cultura e che ci ha dimostrato quanto sta facendo per il territorio questo sorridente ragazzone, evidentemente incurante delle difficoltà insite nel percorso che ha scelto. Il Belvedere, edificato nel 2007 sui resti di un vecchio casolare, si presenta con l’aspetto rustico tradizionale delle abitazioni di campagna, così come l’arredamento. Uno stile che non anticipa affatto quello della cucina, che si rivela invece fresco, curioso, poliforme. I piatti della memoria, grazie ad una rilettura più attuale, acquisiscono quella brillantezza e quella ricchezza di sapori che solo una sana disinvoltura

nell’approccio e una tangibile abilità tecnica possono spiegare. Ce ne accorgiamo subito con i pani fatti in casa, con profumi di scalogno, lardo, pomodoro, peperoncino ed erbe spontanee e poi con l’apparentemente scontata salsiccia di carne e di fegato “in camoscia” al forno, cotta in evo molisano, su vellutata di peperoni, e ancor più col tardaglion’, un ortaggio che localmente si chiama “minestra”, e che è un cavolo nero che deve subire una gelata per poter diventare commestibile, e poi con il raviolone Scapolise DeCo con ripieno di patate, bieta, salsiccia, pancetta, formaggio, uova e carne macinata di capra. La carne di bovini locali è splendida con ristretto di Tintilia del Molise Dop Cantine Valerio su letto di cicoria e perfetta in tagliata con porcini: la famiglia è proprietaria di una macelleria che utilizza carni nostrane con quella frollatura sapiente dovuta a esperienza e pazienza.

Tardaglion’

(polenta con cavolo nero) INGREDIENTI per 4 persone 3 litri di acqua, g. 500 di “minestra” (cavolo nero), g. 15 di sale grosso, g. 350 di farina di mais, g. 60 di olio extravergine d’oliva molisano, 2 spicchi di aglio rosso di Sulmona, 1 peperoncino, g. 20 di formaggio pecorino grattugiato. PREPARAZIONE Per la polenta: mondare il cavolo nero, tagliarlo a pezzi, lavarlo e cuocerlo in acqua bollente salata per circa 1 ora. Trascorso tale periodo, aggiungere la farina di mais a pioggia, facendo attenzione a non creare grumi, mescolando energicamente di continuo per 45 minuti. Per il condimento: in un padellino mettere a soffriggere nell’olio extravergine d’oliva, l’aglio precedentemente pulito e tagliato a fette e il peperoncino a pezzetti. Tenere in caldo per assemblare il piatto. Per completare il piatto: stendere in una fondina un po’ di olio del condimento e pecorino grattugiato; adagiarvi (aiutandosi con due cucchiai) uno strato di polenta. Ripetere l’operazione un’altra volta e finire con una generosa dose di condimento con aglio e peperoncino. Cospargere con formaggio grattugiato.

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Innegabilmente Stefano riesce a conferire ai suoi piatti un’eleganza fatta di contrasti accorti, di sapori delicati aggrediti da intense note selvatiche; il suo è un lavoro di archeologia alimentare e di appassionato recupero, con il pregio della valorizzazione in chiave contemporanea. Per chi cerca novità, per chi vuole certezze, è un viaggio da fare, meglio se lontano dalla fretta: le passeggiate tra i boschi del Parco Nazionale, la visita all’antica Abbazia di San Vincenzo al Volturno e all’eremo di San Michele, possono concludersi con il pernottamento nelle camere della locanda, immersi nel silenzio più assoluto.

LOCANDA BELVEDERE Località Pratola 86070 Rocchetta a Volturno (IS) Fraz. Castelnuovo al Volturno Tel. 338 1730892 stefanorufo@alice.it

Bufala Dop

su macedonia di pomodoro, mostarda di melanzane e tegola di pane

I VINI DEL “CAMPO” L’intera degustazione è stata accompagnata dai vini della Cantina Campi Valerio che ha il merito di aver recuperato, in vini di qualità, i valori della piccola viticoltura locale. Apertura con Lare, vino spumante metodo classico 36 mesi brut, fine perlage e profumi avvolgenti; a seguire Sannizzaro, 100% Montepulciano, morbidi tannini e sentore di frutti rossi maturi; quindi Pentro, 55% Montepulciano e 45% Sangiovese, corposo e complesso, con note di resina ed eucalipto; e infine lo splendido Opalia, da uve Tintilia del Molise in purezza; un pregevole inno al territorio. Campo infatti è il nome di un retaggio. Con un estensione che va dai 2500 mq ai circa 2 Ha, il Campo è oggi una eredità territoriale ricca di contenuti: tradizione, lavoro, dedizione, passione e amore per la propria Terra con una produzione vinicola che mira alla valorizzazione dei vitigni autoctoni del Sannio Pentro (Molise).

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INGREDIENTI per 4 persone 4 mozzarelle di bufala Dop di g. 125 Per la mostarda: g. 100 di melanzane, g. 80 di zucchero, 1/2 arancia, 1/2 limone, menta q.b., zenzero q.b., 2 pomodori rossi a grappolo, basilico, olio extravergine d’oliva, 4 fette di pane integrale e raffermo dello spessore di mm. 3, sale q.b. PREPARAZIONE Per la mostarda di melanzane: lavare e mondare le melanzane, tagliarle a mirepoix e metterle a cuocere per un’ora mescolando ripetutamente insieme allo zucchero, alla buccia e al succo di arancia e limone, allo zenzero grattugiato; 5 minuti prima della fine aggiungere la menta. Lavare e mondare i pomodori, levare i semi e tagliarli a concassé condendoli con sale e basilico emulsionato con olio extravergine d’oliva. Su una placca infornare le tegole di pane per 5 minuti a 180°C. Per servire, su un piatto fondo appoggiare un coppapasta al centro, adagiarvi dentro la concassé di pomodoro. Successivamente togliere il coppapasta e appoggiare la mozzarella sulla concassé, sopra di questa un cucchiaino di mostarda di melanzane e rinchiudere il tutto con la tegola di pane e qualche goccia di olio extravergine d’oliva molisano.


GOLAVAGANDO di Maurizio Magni

NASCE A MILANO MARITTIMA

MIGLIO NAUTICO ZERO LA BOTTEGA DEL FELIX PADINE GOURMAND E PRODOTTI D’ECCELLENZA FRA TENTAZIONI MODAIOLE E STILE FINGER FOOD In Riviera c’è chi lascia e chi raddoppia... A raddoppiare con gusto e un pizzico di originalità è il Felix di Milano Marittima (Rotonda Don Minzoni) che accanto al ristorante nato 12 anni fa e conosciuto per l’attenzione alle materie prime, al pescato e alla cucina del territorio, tiene a battesimo ‘Miglio Nautico Zero - La bottega del Felix’. Contigua al ristorante, la Bottega è un piccolo locale indipendente dove è possibile acquistare prodotti d’eccellenza, degustare piadine gourmand e una selezione di piatti sfornati direttamente dagli chef del Felix, in un ambiente fresco e informale che strizza l’occhio al finger food senza trascurare l’accuratezza dell’offerta, il piglio modaiolo e la grande attenzione alla qualità. Insomma una proposta fusion capace di mettere d’accordo la tradizione romagnola con le abitudini dei frequentatori di una spiaggia trend come quella di Mima. Qualche esempio? Il cono di piadina all’olio extravergine con spiedino di pesce o con il fritto misto, la piadina al farro bio con saraghina nostrana, il crescione con erbe di campo e formaggio erborinato di pecora del faentino, la piadina con battuta di fassona piemontese e senape allo yougurt, la piadina con salsiccia di mora romagnola… E per finire il ‘Kit PicNic’, una piada farcita o crescione abbinati ad una bevanda, ‘fidanzati alla nascita’ in box di cartone alimentare, da consumare direttamente in spiaggia.

LA BOTTEGA DEL FELIX Rotonda Don Minzoni, 13 48015 Milano Marittima (RA) Aperto tutti i giorni a pranzo e a cena Tel. 349.1111606

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Lettere al Direttore... LE DUE FACCE DELLA RISTORAZIONE Lavoro da quasi vent’anni nel settore della ristorazione professionale e di strutture, locali, wine bar, catering e mense ne ho davvero visitate tante. A rigor di logica dovrei dire che tutti dovrebbero avere la stessa sensibilità nel tenersi sempre aggiornati sulle normative di sicurezza sia del locale, sia del cibo che offrono ai loro clienti. Tuttavia non è così. Il personale che serve in tavola, così come quello che lavora nelle cucine, spesso fa a gara per vedere chi ha più inventiva nell’aggirare piuttosto che prevenire i problemi. Una palese incuria rischia costantemente di causare danni alla clientela. Personale disorganizzato, spesso frettoloso, che ti mette in mano un menù velocemente e torna solo per prendere la comanda senza neanche un sorriso per farti sentire a tuo agio, pulizia generale spesso trascurata; professionisti della ristorazione che devono dare il buon esempio su mille cose e che invece sono i primi a lavorare nelle cucine senza adeguato abbigliamento: assenza di cappello bianco, di divisa bianca, di guanti per la lavorazione delle materie prime; pavimenti e fornelli in cucina che sembrano settimane che non vengono puliti... ecco, queste sono le cose che

più mi saltano all’occhio visitando le cucine di tutta Italia e che mi lasciano incredulo. Accanto a gestioni tanto poco organizzate, vedo allo stesso modo ristoranti e cucine davvero modello, specchio di pulizia e di altissimo livello; cortesia da parte dei camerieri unica; pavimenti su cui si potrebbe mangiare; attrezzatura in cucina che sembra nuova, sebbene venga usata tutti i giorni. Due aspetti dell’Italia contrapposti, dove sicuramente il primo penalizza il secondo: e a fronte di ristoranti che espongono il cibo all’aria, senza copertura adeguata, a buffet libero, con cibo magari di qualche giorno, ce ne sono altri che pagano il prezzo dell’altrui trascuratezza, malgrado invece la qualità e la freschezza del cibo sia esposto che servito risulti ineccepibile. La cucina Italiana è conosciuta in tutto il mondo, facciamo scuola per la nostra arte culinaria, eppure questo nostro inestimabile patrimonio rischia ogni giorno di perdere fascino e credibilità perché avventori dell’ultima ora che vogliono farsi chiamare ristoratori stanno accanto a chi della cucina ha fatto la propria ragione di vita. E paga per errori non suoi. e-mail firmata - Roma

San Marino 26/27/28 Giugno 2015 Centro Storico di Borgo Maggiore • Confronto tra produttori ed operatori esperti del settore • Tavola rotonda sulle sinergie del territorio e il Sangiovese con enologi, agronomi, giornalisti e sommelier di fama nazionale. • Show cooking sull’abbinamento cibo/ sangiovese con uno chef stellato ed un sommelier d’eccezione • Musica, mostre, intrattenimento. Per informazioni: 333.7935849 - ilpaliodelsangiovese@gmail.com



I ristoranti

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di Teresa Cremona

A ROMA

Trésor MOONSHINE Scopriamo insieme quali sono i ristoranti che racchiudono piccoli grandi tesori...

Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...

VANTA UNO CHEF DI PRIM’ORDINE Moonshine: il nome evoca ambientazioni esotiche, spiagge tropicali, chiari di luna su mari tiepidi e sciabordanti. Nella realtà siamo a Roma, in un quartiere tra il borghese ed il commerciale, fra palazzi solidi costruiti in epoca umbertina per ospitare più che gli impiegati dei nuovi Ministeri della nascente Capitale d’Italia, quanti lavoravano nei vicini stabilimenti della Birra Peroni, oggi trasformati in MACRO Museo di Arte Contemporanea. Siamo appena fuori dalle mura aureliane, a pochi passi dalla breccia di Porta Pia, in un quartiere vivace, che negli ultimi anni si è andato arricchendo di moltissimi bar, caffè, ristoranti, ma che ha conservato la sua identità di origine e che nel mercato rionale di Piazza Alessandria ha il suo cuore verace. Il Moonshine è un locale giovane (ha aperto a novembre 2014) ed è na-

to come epigono del ristorante Perle Nere, che poco dopo essere stato inaugurato ha trovato un compratore. Moonshine dunque è un altro capitolo del progetto di investimenti nella ristorazione di un giovane imprenditore e l’excutive chef Emanuele Del Signore è parte integrante del successo del programma. Il Moonshine è accogliente, informale, un po’ bistrò un pò ristorante: 2 sale con 40 posti, più altri 18 posti nel dehors, cucina a vista con giovane brigata al lavoro, arredamento moderno, semplice, senza fronzoli, ma la funzionalità ha un tocco di personalità non banale. Ottimo il servizio in sala svolto per noi da Valentina, che sa presentare i piatti con sorridente gentilezza e partecipata competenza. Emanuele Del Signore, romano, 37 anni, giovane ma non giovanissimo, con un percorso di esperienze inter-


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MOONSHINE Via Mantova, 9 - Roma Tel. 06.85355492 www.fgourmet.it/moonshine Chiusura sabato a pranzo e domenica Prezzo circa 45 € bevande escluse Menu degustazione di carne (4 portate più dessert) 38 Euro Menu degustazione di pesce (5 portate più dessert) 46 Euro

nazionali che si ritrovano nella composizione dei suoi piatti: ricette che hanno una base di spiccata tradizione, ravvivata da accenni esotici che spaziano dal Messico alla Malesia, che giocano con le spezie, con l’agrodolce, con l’acidità contenuta. I suoi piatti sono gradevoli, la sua è cucina creativa che non vuole stupire, è senza eccessi, senza iperboli, senza ampollosità. Una cucina che ha come obiettivo quello di lasciare l’ospite appagato. Emanuele, diplomato all’Istituto alberghiero “M.Buonarroti” di Fiuggi, ha iniziato lavorando con Antonio Sciullo al Ristorante Le Jardin dell’Hotel Lord Byron; ha passato alcune stagioni estive a Capri, nella cucina dello chef provenzale Jean Marc Bourgan, poi in Sardegna con Agata Parisella. Le sue esperienze estere sono iniziate in Francia ad Avignone, dove, dice: “Ho imparato le tecniche della cucina: le salse, i fondi, le cotture a bassa temperatura”. Tornato a Roma è stato con Massimo D’Innocenti all’Asador Cafè di Via Veneto. Nel 2001 è in Malesia,

prima al JW Marriott di Kuala Lumpur e poi presso il complesso alberghiero Genting Hilands, e quella asiatica è l’esperienza che più ha inciso e rivoluzionato il suo approccio alla cucina. Le sue esperienze proseguono in America, dove è chef presso due ristoranti a Los Angeles. Da lì fa anche un breve periodo in Brasile. Tornato a Roma, con D’Innocenti lavora alla riapertura della Casina Valadier. Oggi è executive chef di Moonshine, che come abbiamo detto è un capitolo di un progetto più ampio che prevede future prossime novità: il 15 Aprile ha aperto un nuovo indirizzo che ha sede nei locali che furono di George’s . Noi abbiamo assaggiato: tartare di tonno italiano con salsa di soia in agrodolce, anacardi tostati, zenzero caramellato e salsa guacamole; creme bruleèe di Parmigiano riserva vacche rosse su crema di zucca, semi di zucca tostati, foie gras scottato e sale di Maldon; “cozzette” – sono piccoli gnocchetti - di acqua e farina

e nero di seppia, con polpo, colatura di alici, peperoni grigliati aromatizzati alla lavanda e pomodoro disidratato come guarnizione del piatto; ravioli con ripieno di amatriciana e sugo di pomodori affumicati con pecorino guanciale croccante e cenere di cipolla; pluma di Patanegra scottata in padella su disco di melanzana caramellata e pasta sfoglia con riduzione di clementine, polvere di olio; semifreddo al caramello salato, nougatine di mandorla e riduzione di balsamico e terra di cacao; creme brulèe alla liquirizia, spuma di caffè zucchero cristallizzato e polvere di liquirizia. Abbiamo trovato accattavanti le due entrèe, fresche e profumate le cozzette, veramente ottima la pluma di Patanegra. Nel cestino del pane grissini al nero di seppia e bottoncini con semi di salvia spagnola. Il pane e le paste fresche sono opera di Diletta, moglie di Emanuele. Cantina con circa 100 etichette prevalentemente Montresor. Nel menu sono indicate le provenienze delle materie prime utilizzate.

il Mon Trésor è... LA PROFESSIONALITÀ DELLO CHEF La professionalità dello chef, arricchita da un percorso di lavoro importante e impegnativo. Questa credenziale ci sembra rilevante in un settore dove impreparazione e improvvisazione sono una costante piuttosto frequente. Del Signore pertanto è una garanzia sia per il pubblico, sia per una proprietà che sa muoversi con competenza e buoni risultati.

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di Daniele Briani

Se nasci con la passione della cucina, tanto che a sei anni scrivi a Babbo Natale per avere in dono il Dolceforno, ma poi finisci per ascoltare i consigli della mamma e studi da odontotecnico, sai come va a finire? Ti diplomi, rendi felice la mamma e poi infili il diploma in un cassetto e te ne vai a far esperienza nelle cucine degli chef più importanti d’Italia e dell’estero. Gialuca Montin ha solo trentatré anni, metà dei quali passati davanti ai fornelli, o forse di più, se cominciamo a contare dal Dolceforno. Quando gli parli, capisci subito che lui

vive per la cucina, perché cucinare gli dà emozioni indescrivibili. Nello spiegarti una ricetta si agita in maniera indomita, ti gesticola un piatto e la sua tecnica di preparazione. Raccontato da lui, il suo passato sembra quasi un film d’azione, perché la cucina, quella vera, è fatta d’azione e d’inventiva. Una passione che gli è stata trasmessa da nonna Maria, la nonna materna, che conduceva assieme al marito il ristorante “Massimo” negli anni ’50 del secolo scorso. Gianluca rimase affascinato, da bimbo, dalla figura della nonna, che

PASSIONE E CAPACITÀ AL

LEONDORO DI PADOVA

gli trasmise la gioia di cucinare. Anche se in quegli anni poteva essere ancora più duro e massacrante il lavoro del cuoco, lei amava passare instancabilmente le giornate davanti ai fornelli, com’era d’uso per cuochi e massaie di una volta. Solo dopo aver cominciato a imitarla, Gianluca rimase folgorato dalla passione irrefrenabile di comporre i sapori delle varie materie prime per da-

© Graur Razvan Ionut

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re loro un senso compiuto in un unico elemento. In seguito la sua esperienza si rafforza grazie alla collaborazione con Fabio Rossi dell’Acero rosso di Rimini, dove riesce ad ampliare i suoi orizzonti verso una cucina stellata e contemporaneamente a diplomarsi al serale dell’istituto alberghiero “Savioli” di Riccione. Dopo Fabio, che considera il suo mentore e ancora oggi la sua fonte d’ispi-


onTrésor © Graur Razvan Ionut

© Graur Razvan Ionut

razione, il momento è quello giusto per un’esperienza all’estero. La scelta cade su Cannes, alla corte di Franco Geronutti: un veneto come lui, che gestisce la cucina dell’Armani Café di Parigi e il Venice Harry’s bar. Qui Gianluca affina ancora di più le tecniche di preparazione, la precisione e l’alta qualità legata a numeri di servizio importanti. Il ritorno a casa coincide con la nascita del primo figlio, data in cui inizia due anni fa il sodalizio con il papà che segue la sala del nuovo ristorante Leondoro nel padovano. La sua cucina non può essere quindi che l’amalgama delle sue esperienze, che partono dalla nonna e passano dagli chef internazionali e stellati che l’hanno formata. Secondo la sua filosofia, la miglior cucina è quella fatta con pochi ingredienti, il meglio che si può trovare sul mercato in quel momento, condito da una certa originalità. Di qui la nascita di un nuovo menù che lo chef ha intitolato “La cucina a modo mio”: una rivisitazione dei piatti della tradizione secondo estro, esperienze e mercato. Tra queste espressioni citiamo il flan di pecorino di vinaccia con marmellata di cipolla di Tropea, cannella, anice stellato e carciofo fritto. Una coesione di sapori interessante, dove la dolcezza della cipolla si sposa perfettamente con il salato del pecorino e il

fritto del carciofo, che sembra quasi un richiamo alla romanità del carciofo alla Giudia. Ottimo il fusillo di Gragnano con crema di asparagi verdi e culatello di Parma, mentre sontuoso è il petto di piccione e foies grais con salsa al Porto, pancetta di mora romagnola su asparago verde, dove la succulenza del piccione avvia un perfetto matrimonio con la morbidezza del foies grais. Un piatto dedicato al suo maestro Fabio Rossi che oggi gestisce il ristorante Vite di San Patrignano. Il Leondoro attualmente conta quaranta posti a sedere, ma a breve si amplierà fino ad ottanta, dando vita ad una saletta dedicata alle crudità espresse. La carta dei vini è ampia con prodotti in sempre rapida rotazione, come d’altronde il menù, e ricca di vini al calice che accompagnano perfettamente i pranzi di lavoro del mezzogiorno. Questi ultimi sono un ottimo rifugio dall’angoscia del fast food, e sono rivolti a una clientela di passaggio che voglia godere di una cucina di alta qualità a prezzi contenuti. L’ambiente è informale e per questo caldo e accogliente, diviso in due sale di cui una con un magnifico caminetto. Ma non è solo per l’ambiente che ci si deve fermare al Leondoro: lo è sicuramente per la cucina di Gianluca Montin che, per fortuna, il diploma da odontotecnico l’ ha riposto subito nel cassetto.

il Mon Trésor è... BIGOLI ALLA LADRA Tra i tanti piatti che potevamo scegliere, non si poteva tacere quello che rimanda direttamente a nonna Maria. Con questo vogliamo tributare il giusto onore a colei che instillò la passione in Gianluca, indicandogli la rotta professionale che persegue ancora oggi. Ingredienti: speck, pomodoro, panna da cucina, tabasco, basilico, olio evo, aglio. Frullare sei spicchi d’aglio in 200 ml di olio. Tagliare a fiammifero lo speck (circa 1 fetta per persona tagliata spessa). Mettere l’olio con l’aglio in una padella ampia, soffriggere appena lo speck. Aggiungere 2/3 mestoli di pomodoro, la panna e far bollire il meno possibile. Tritare il basilico, aggiungerlo alla fine insieme a qualche goccia di tabasco.

RISTORANTE LEONDORO Via mezzavia, 136 Due Carrare - 35020 Padova Tel. +39 049 912 5437 leondoro.mezzavia@gmail.com

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di Daniele Briani

A RIMINI

SUMMERTRADE È CATERING D’AUTORE Molte volte si pensa che lo chef di successo sia quello stellato, con una cucina raffinata ed elegante, pochi tavoli nel ristorante, inversamente proporzionali all’immensa carta dei vini e con una cura maniacale verso il cliente. Tutto vero. Sicuramente quanto appena descritto corrisponde a verità e, se il locale non arriva ad avere almeno una stella Michelin, comunque nella maggior parte dei casi esprime un elevato standard qualitativo. Nella maggior parte dei casi, ma non sempre, perché a volte a molti sarà capitato di rimanere delusi da un ambiente estremamente raffinato dove la cucina non si è espressa secondo le aspettative e il conto pagato. Quindi l’assioma “pochi posti a sedere, uguale a elevata qualità” può avere delle eccezioni. Pertanto anche l’assioma inverso, ossia “molti posti a sedere

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uguale a scarsa qualità” può avere delle eccezioni, questa volta però in positivo. E considerando che parliamo sempre di ristorazione, quale può essere la discriminante che fa saltare l’assioma? Il team. Cucinare per pochi è relativamente facile. Generalmente, per avere uno standard elevato, si mantiene una struttura sovradimensionata, dove lo chef esprime la sua passione creando i piatti come un orafo cesella il suo gioiello. La ristorazione collettiva, meglio conosciuta come catering o banqueting, è da sempre associata nell’immaginario collettivo a qualcosa di qualitativamente basso, dove il prezzo diventa, il più delle volte, la discriminate assoluta nella scelta della struttura. Anche in questo caso però esistono le eccezioni e allora si può cominciare a parlare di “Catering d’autore”. Come dicevamo,

la differenza la fa il team inteso come struttura e gruppo di lavoro. Lo chef, oltre che definire le linee guida della cucina, diventa anche il manager coordinatore di professionisti dedicati ognuno alle proprie competenze specifiche, assieme ai quali sperimenta tecniche di cottura utili ad agevolare il lavoro di preparazione sul luogo dell’evento. Cristian Pratelli interpreta alla perfezione da vent’anni questo ruolo per conto di Summertrade. Formatosi alla scuola dello chef Gino Angelini, dopo varie esperienze di ristorazione alberghiera, accoglie la sfida di affrancare la ristorazione collettiva dal basso profilo ed elevarla a Catering d’autore. Secondo Cristian cucinare per gli eventi, si svolgano essi in casa o in sedi esterne, è paragonabile a gestire un fuoco d’artificio: tutto, subito e fine. Solo una grande


onTrésor ricerca associata a una grande tecnica, possono dare alti livelli di qualità quando gli ospiti da servire partono dalle duecento persone fino alle cinquemila e oltre. Lo standard passa sicuramente anche attraverso la qualità delle materie prime, per questo Cristian ci tiene a precisare che il primo fornitore per Summertrade è l’ortolano. Nessun prodotto preconfezionato potrà mai garantire la freschezza della stagionalità che lui cerca di trasferire nel piatto. Il menù è studiato in base alla quantità delle persone partecipanti all’evento,

il Mon Trésor è...

alla sede e alla stagionalità dei prodotti. Generalmente per un ristorante è solo la terza componente che entra nella decisione del menù; per Summertrade le prime due sono fondamentali, per garantire il senso di artigianalità della cucina che rappresenta l’obiettivo finale di Cristian. Paradossalmente ci vuole una grande tecnologia per avere un prodotto artigianale quando gli ospiti di un evento sono numerosi. Il che non significa avere grandi abbattitori, ma saper essere organizzativamente invasivi con le proprie cucine anche quando si esce dalla sede. Il team funziona come un domino: se è costruito correttamente muovendo la prima pedina tutto scorre liscio fino all’ultima. Solo così Summertrade è cresciuta ad alti livelli negli ultimi trent’anni, riuscendo a gestire direttamente la ristorazione di Rimini Fiere, Pala Congressi, Orogel Stadium di Cesena e l’ultima new entry con il ristorante del Circuito Marco Simoncelli di Misano Adriatico. Naturalmente la gestione commerciale e

direzionale affidata a Franco Rilli è stata la valida spalla per la crescita degli eventi in sede e soprattutto quelli esterni, perché Catering d’autore significa anche andare all’estero, al servizio di strutture imprenditoriali italiane quali Scavolini o Scm Group, che utilizzano il brand della ristorazione italiana per conquistare nuovi mercati.

IL VALORE DELL’ARTIGIANALITÀ Artigianalità per la collettività: complesso da realizzare ma non impossibile per quanto visto in Summertrade. Per Cristian Pratelli le cose complesse sono l’insieme di piccole entità semplici. Ecco perché anche un evento di grandi numeri deve essere scisso in tante piccole entità dal carattere artigianale, l’insieme delle quali compone l’avvenimento. Il focus deve rimanere il cibo, la materia prima, mentre la tecnologia ti permette di gestirlo ovunque tu voglia consumarlo. Convivi, banchetti, simposi hanno sempre rappresentato il momento di socializzazione più elevato dei popoli, per festeggiare successi pubblici e privati, accordi politici o vittorie belliche, unioni familiari e sociali. Momenti importanti della propria esistenza che utilizzano il cibo come collante. Per Cristian è fondamentale che questo legante porti in sé la dote della genuinità.

SUMMERTRADE S.R.L. c/o Rimini Fiera - Via Emilia, 155 47921 – Rimini Tel. (+39) 0541.55502 - Fax (+39) 0541.55993 www.summertrade.com - info@summertrade.com

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GOURMETFOOD di Alessandra Meldolesi

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veva giurato che non sarebbe trasmigrato al mare, Flavio Costa: le ultime parole disattese, visto che dall’aprile del 2013 ha tuffato il suo talento nel lungomare di Albissola Marina. 21.9, recita l’insegna. Come l’equinozio di settembre; come il genetliaco delle sue gemelle Elisa e Alice. La stella Michelin non si è fatta attendere, in un trasloco lampo dalle volte dell’Arco Antico di Savona. Già occupato da un ristorante un po’ fané, datato anni ‘50, il locale è stato rimaneggiato solo in parte: poltroncine e intonaco rossi, il pavimento quadrettato

RISTORANTE21.9 L’EQUINOZIO DELLA NUOVA CUCINA LIGURE

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GOURMETFOOD

Palamita

al fuoco di fieno di malga, emulsione d’acqua e foglie di pomodoro e misticanza INGREDIENTI 1 palamita di g. 600 fieno di malga g. 500 di pomodori San Marzano 8 germogli di pianta di pomodoro olio extravrgine di taggiasca indivia riccia fiori eduli erbe aromatiche fiocchi di sale di Trapani PREPARAZIONE Pulire e sfilettare la palamita, far prendere fuoco alla paglia in una pentola alta e aiutandosi con una griglia far passare dalla parte della pelle il pesce sulla fiamma viva, lasciare raffreddare e riporla in abbattitore lascaindola per almeno 24 ore come di legge per la lavorazione del crudo. Pelare e frullare i pomodori, metterli poi in un canovaccio e lasciare filtrare solo l’acqua, scaldarla a 80° ed emulsionare con l’olio aggiunto a filo, salare e tenere a temperatura ambiente. Lasciare scongelare la palamita, tagliarla a fette e disporla sul piatto di ardesia, aggiungere l’emulsione, condire con i fiocchi di sale e finire con la misticanza, useremo poi erbe aromatice (timo selvatiso, maggiorana, finocchietto ed altro) e i fiori eduli (borragine, pisello selvatico, nasturzi, trifoglio etc).

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RISTORANTE21.9 e sullo sfondo la finestrella della cucina a vista. Ai piani alti si dipana una terrazza vista mare, da cui partiranno a fine estate i lavori di ristrutturazione, con parziale insonorizzazione a causa del traffico stradale; prima di mettere mano e maestranze a lavorare dabbasso, nell’ingentilimento degli spazi e degli arredi, per un numero di coperti che non potrà comunque oltrepassare la trentina. “Sono nato a Savona, e l’Arco Antico mi ha regalato tante soddisfazioni”, spiega oggi Costa. “Però la location non era quella giusta, e gli spazi erano troppo risicati. Lavoravamo in una cucina piccolissima, stretti fra due fuochi e fra due cuochi; praticamente non c’entrava neanche il pass”. In programma, oggi come allora, one man show, nonostante la brigata conti fino a 5 unità, compresi gli stagisti. Quando Costa non c’è, il ristorante infatti chiude; perché non dirige solo la cucina, ma compie gli acquisti ogni mattina, spesso in

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moto, e segue la cantina. Il padre ferroviere non c’è più, per dargli una mano a sbicchierare; mentre la mamma è rimasta una presenza quotidiana, in sala e nella preparazione di paste fresche e piccola pasticceria. Una famiglia nei métiers de la bouche, la sua, grazie a tre fratelli cacciatori, di cui un macellaio e un fruttivendolo di qualità. La nonna Santina poi era una cuoca eccellente, con la quale Costa si affaccendava sulla stufa a legna. Tanto da decidere precocemente di che materia fossero fatti i suoi sogni e morderli prima all’Alberghiero, poi nelle stagioni qua e là, infine per due anni con Corrado Fasolato a Borgo San Felice, durante la sua unica esperienza blasonata. Dall’altro lato della genealogia c’è già un allievo eccellente: Massimiliano Torterolo, che ha acceso una stella Michelin sulla Locanda dell’Angelo a Millesimo, dopo avere fiancheggiato anche Marchesi e Berton.

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G O U R M E T F O O D Considerato oggi il miglior cuoco sulla piazza ligure, Costa pratica una cucina del mercato, con le variazioni estemporanee del caso. E se il chilometro non è zero, poco ci manca, fra le erbe raccolte da una signora sulle colline; le carni acquistate a Pontinvrea, da un macellaio che controlla la filiera di maiali di cinta senese, bovini di razza angus, capretti e agnelli, fino al macello e alla norcineria; la cacciagione spesso proveniente da abbattimento selettivo e l’extravergine da olive taggiasche della Baita di Gazzo.

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Soprattutto il pesce del mercato di Savona, comprato in quantitativi quotidiani e sottoposto ad abbattimento solo nei casi di legge, cioè per la preparazione dei crudi, che lo chef non predilige. Quanto approda cotto nel piatto non ha subito trattamenti termici, un po’ perché di anisakis, salvo acciughe, se ne trova ben poco; soprattutto perché la qualità ne scapiterebbe. Alla testura, tanto per fare un esempio, nuocerebbe la perdita di succhi durante lo scongelamento. Un dettaglio che fa la diffe-


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Tortelli

di gamberi bianchi u pestun di fave INGREDIENTI Per la pasta fresca g. 200 di farina “00” 8 tuorli d’uovo 32 gamberi bianchi nostrani g. 100 gr di giuncata (formaggio tipico) g. 500 di fave olio extravergine di taggiasca 1 spicchio d’aglio nuovo g. 50 di parmigiano fumetto di pesce PREPARAZIONE Sgusciare e sbollentare i gamberi, raffreddarli e, con l’aiuto di un mixer, frullarli con la giuncata, sale e pepe. Riporre il ripieno in frigo per circa 30 minuti. Impastare la farina con i soli tuorli e lasciare riposare una decina di minuti. Per il pestun di fave, farle sbollentare un minuto in acqua bollente salata e sbucciarle. A parte far ridurre della metà il fumetto di pesce con lo spicchio d’aglio nuovo. In un blender mettere le fave, il fumetto ed emulsionare con l’olio a filo; aggiungere il parmigiano e sistemare di sale. Preparare i tortelli, farli bollire e saltarli con poco olio e qualche fava. Disporli sulla fondina con il pestun tiepido.

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Cioccolato carote e chinotti canditi di Savona

INGREDIENTI Per la spuma di cioccolato g. 200 di cioccolato fondente g. 300 di albumi g. 120 di zucchero per la spuma 4 chinotti canditi di Savona Per la marmellata di carote g. 500 di carote cardamomo g. 250 di zucchero per lo sciroppo Per il crumble g. 225 di farina g. 175 di burro g. 150 di zucchero per il crumble 2 cucchiai di cacao amaro

PREPARAZIONE Preparare la spuma di cioccolato montando a neve gli albumi con lo zucchero; una volta montati, aggiungere il cioccolato fuso e amalgamare bene. Cuocere poi le carote in uno sciroppo fatto con 250 grammi di zucchero, 150 di acqua e il cardamomo. A fine cottura frullarle fino a renderle una marmellata. Conservare in frigo. Infine impastare tutti gli ingredienti per il crumble e farlo cuocere in forno a 160째C, farlo raffreddare e sbriciolarlo con le mani. Comporre il dolce con la spuma, il crumble, la composta di carote e i chinotti a spicchi.

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RISTORANTE21.9

renza fra un grande ristorante e un grande ristorante di pesce. Accanto alla degustazione a sorpresa (8-10 assaggi a 100 euro, 150 con abbinamenti), il cliente può scegliere fra un menu di mare e uno di terra (6 portate rispettivamente a 70 e 60 euro), che privilegia quinto quarto e selvaggina. Più una selezione di piatti vegetariani, particolarmente appetitosi d’inverno, grazie a tuberi, radici e tartufi, e in primavera, quando da Albenga arrivano carciofi e asparagi violetti, da sposare magari a una bernese. Durante la stagione turistica c’è anche un’opzione easy con 3 portate e un dolce a 45-50 euro. Tutti piatti espressi, visto che dietro il pass non compaiono né roner né pacojet; e neppure l’ago di una sonda. L’artigianalità regna sovrana e trasmette l’emozione dei gesti del cuoco attraverso ricette misurate sul compasso di una gestione familiare, sempre attenta a non strafare. Particolarmente riusciti gli antipasti, portata prediletta dello chef, che su una porzionatura contenuta può osare i suoi affondi gustativi. Per esempio, la palamita appena scottata su fieno di malga, come fosse un cosciotto di agnello, bagnata dal sugo della sua

testa montato al burro, fra la Francia e il Giappone, più la misticanza a riprendere il profumo della primavera e le uova di salmone selvaggio per la sapidità. Esemplificativa di una koinè fra Ponente Ligure, influenze piemontesi e d’Oltralpe che ricorre felicemente in carta. La crema setosa di cavolfiore con ricci di mare locali e polvere di pistacchi pondera un equilibrio ardito fra dolcezze e mineralità, di origine vegetale oppure ittica, spinte dai sali della frutta secca; con testure che si avvinghiano grazie alla prossimità. Un piatto costruito per affinità piuttosto che per contrasto, senza cercare a tutti i costi spalle acide, ma prolungando il filo degli aromi, secondo un concetto evoluto di equilibrio gustativo. Lo stesso della sogliola che funge da veicolo, o forse da alibi, per l’incontro puntuto fra l’aromaticità degli asparagi violetti e la salsa intensa allo zafferano. L’insalata di mare tiepida, perfetta per cottura e testura, sparpaglia moscardini, gamberi, ricci, cozze e goujonettes di sogliola su un purè altrettanto soave di patate, spinto dall’essenza di prezzemolo. Le paste fresche variano secondo l’uso: tutte tuorli alle piemontese, classiche all’emiliana o povere come vuole la tradizione locale. Mentre lo sprint del purè di navone fermentato regala acidità alla coda stufata al vino rosso e poi panata come un bonbon, che grazie al sugo classico alla liquirizia disegna un triangolo di ispirazioni classiciste, regionali e contemporanee. La cantina, sparsa per gli scaffali del locale e nel ventre refrigerato di casa Costa a Stella, conta 500 etichette, ereditate in gran parte dalla casa madre. Molte le bollicine, anche piemontesi, per una leggera predominanza di bianchi, fra cui spicca la selezione di Pigato.

RISTORANTE 21.9 Corso Bigliati, 70 - 17012 Albissola Marina (SV) - Tel. 019.4004543 www. ristorante21punto9.it - info@ristorante21punto9.it Giorno di chiusura: giovedì

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GOURMETFOOD di Sandro Romano

PEPPE ZULLO

SIMPLE FOOD FOR INTELLIGENT PEOPLE

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PEPPEZULLO

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ppartata rispetto al turismo di massa del vicino ma impervio Gargano, la cittadina di Orsara di Puglia vive le sue tranquille giornate, tutte uguali sia d’estate che d’inverno. Pur essendo parte della Daunia, questa porzione di nord della Puglia che fa capo alla provincia di Foggia, è così defilata che risulta più agevole raggiungere Bari, l’attivo capoluogo della regione, piuttosto che rinomate località di mare come Vieste o Peschici. Eppure, buoni motivi per andarci ci sono e uno di questi è proprio questa tranquillità estrema che ti accoglie, dopo un lungo ma piacevolissimo viaggio nella natura incontaminata del Subappennino Dauno, tra strade un po’ strette, piene di curve e buche, che, snodandosi tra colli, boschi e campagne, regalano immagini di grande suggestione. In queste zone, dominate dall’ingombrante presenza di centinaia di pale eoliche, erette come sentinelle a guardia della natura, è possibile vivere alcune esperienze gastronomiche davvero intense, durante le quali i sapori del passato tornano prepotentemente alla ribalta. Già addentrandosi nell’intreccio di vicoli della sonnacchiosa cittadina, si respirano profumi di camino, di legna arsa che richiama la mente al tranquillo desinare familiare, al borbottio di panciute “pignate” di legumi accostate al calore indiretto del caminetto, e di ragù cotti a lungo per condire le tradizionali

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GOURMETFOOD

paste della tradizione locale. Tra questi vicoli, a un certo punto, arriva il profumo del pane appena sfornato, perché a Orsara opera ancora un meraviglioso forno del 1526, alimentato a paglia, di proprietà di Angelo Di Biccari, che a questo monumento dell’antica tradizione panificatoria ha dedicato buona parte della sua vita, sfornando ruote di pane di grano duro da 5 kg, per un totale di 75 kg al giorno. Entrare in questo luogo magico e vedere schierate le forme di pane che, come scudi achei a riposo, sono poggiate sulle mensole e sui tavoli, è qualcosa che tocca il cuore e riporta con l’immaginazione ad antiche usanze, ai tempi in cui il forno era frequentato da coloro che portavano a cuocere i loro pani marchiati con timbri di famiglia intagliati nel legno, per poterli riconoscere dopo la cottura. Nei forni pubblici, in passato, era usanza anche portare le “tielle”, ossia grandi teglie piene di patate, lampascioni e agnel-

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lo, oppure ortaggi ripieni e la meravigliosa pasta al forno con polpettine e mozzarella, che spesso costituivano il piatto della festa o quello domenicale di tante famiglie. Uscendo dal dedalo delle caratteristiche viuzze della cittadina dauna e lasciandosi alle spalle il paese, il ristorante Peppe Zullo è il luogo d’incontro di tanti gourmet provenienti da ogni dove, che vengono fin qui per provare la cucina di questo oste custode di antiche tradizioni, ma con l’occhio sempre attento e orientato al futuro. “Simple food for intelligent people” è il suo motto e la sua cucina, in effetti, è semplice, fatta di ortaggi, di carni locali, di legumi e di straordinarie erbe spontanee che lui stesso raccoglie nella sua splendida tenuta di Villa Jamele (foto in alto), dove il bosco e la campagna regalano oltre 50 specie di frutti diversi, tra i quali una “collezione” di antiche varietà di mele, come la chianella, la cotogna antica e la mela gelato.


PEPPEZULLO

LE ARTISTICHE CANTINE Visitare le sue cantine rappresenta una tappa obbligata. Sono tanto originali e particolari da essere riconosciute tra le “Cattedrali del Vino” e premiate, nel 2010, addirittura alla Biennale di Venezia di architettura. Concepite come un luogo dove accogliere gli ospiti, sono formate da vari ambienti che ospitano vini, salumi, formaggi e conserve, ma anche vecchie cineprese e opere d’arte come “la pecora poltrona” dello scultore altamurano Vito Maiullari. Progettate dall’architetto Nicola Tramonte, si sviluppano in salita e non, come normalmente avviene, in discesa. L’ingresso, infatti è situato nella parte bassa e, poi, attraverso un percorso

Giuncata

su letto di pomodori vernini con borragine e tartufo nero della Daunia INGREDIENTI per 4 persone 4 giuncate di g. 50 ciascuna, g. 100 di pomodori vernini, g. 10 di borragine, olio extravergine d’oliva q.b., tartufo nero della Daunia. PREPARAZIONE INGREDIENTI Lavare e tritate finemente i po-

modori vernini. Lavare e tagliate alla julienne la borragine. PREPARAZIONE Mettere in un piatto da portata il pomodoro, la giuncata, la borragine e l’olio extravergine d’oliva. Affettare il tartufo nero. Servire caldo.

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IL BOSCO DEI SAPORI PERDUTI

GOURMETFOOD che si snoda all’interno, decorato da affreschi molto belli del pittore Leon Marino, sale fino all’opposta uscita che porta al sovrastante vigneto, delimitato dalle camere per gli ospiti. Come sostiene lo stesso Peppe, avere il vigneto sulla cantina è l’estremizzazione del concetto di Km 0 e poiché la cantina è esattamente sotto le stanze, praticamente si dorme sul vino! Peppe Zullo è stato tra i primi, in Puglia, a comprendere il valore della comunicazione, intervenendo in trasmissioni come UnoMattina, La prova del cuoco e Geo&Geo, e rappresentando la regione in tantissime manifestazioni sia in Italia che all’estero. Alcuni anni fa Peppe acquisì anche la proprietà di un’antica villa, unica nel suo genere, denominata Villa Jamele, sede anche della sua scuola internazionale di cucina e di alcune suite, inserita in una meravigliosa tenuta con un rigoglioso boschetto.

E’ proprio nel “Bosco dei sapori perduti” - questo il nome che Zullo ha voluto dargli - che vengono raccolte le erbe spontanee alla base della sua cucina gustosa, semplice, genuina e salutare. Borragine, tarassaco, melissa, aglio orsino, paparina, rucola selvatica, menta, marasciuolo, spesso accostate a legumi e pasta fresca, ma anche a carni e formaggi, arricchiscono i piatti con i loro profumi e le loro proprietà e, nelle mani di Peppe Zullo, che ne conosce tutti i segreti e sa valorizzarle al meglio, si trasformano in pietanze degne di un re. “Sono doni della natura - ci dice - ed è la natura che stabilisce quello che devo mettere nei piatti. Posso affermare in tutta tranquillità che queste erbe sono l’anello di congiunzione tra il mio amore per la campagna e la passione per la cucina”. Addirittura alcuni anni fa, nel corso della trasmissione televisiva UnoMattina, il cuoco dauno, dopo aver cucinato in diretta un piatto di orecchiette di grano arso con marasciuolo, ha offerto alla conduttrice Sonia Grey un bouquet di questa pianta spontanea dai delicati fiorellini bianchi, quasi alla stregua di rose o orchidee, perché per lui hanno ancora più valore. Un mondo particolare davvero quello di Peppe Zullo, fatto di grandi spazi, di silenzi che si contrappongono gradevolmente al carattere inquieto, vivace, di quest’uomo mai statico e sempre alla ricerca di nuove strade, ma sempre con i piedi saldamente ancorati nella sua terra. Un modo di vedere la vita e la cucina che affonda le radici nella tradizione, la fa sua, la decodifica e la modernizza, trattenendo i valori della semplicità e della sostanza senza fronzoli, ma orientandoli verso il nuovo, verso un’evoluzione che avanza strizzando l’occhio al passato. “Simple food for intelligent people”. Appunto.

Fiori di zucca

con caciocavallo dei Monti Dauni al profumo di basilico INGREDIENTI per 4 persone 16 fiori di zucca, g. 200 di caciocavallo dei Monti Dauni, basilico q.b., olio extravergine d’oliva q.b. PREPARAZIONE INGREDIENTI Lavare i fiori di zucca accuratamente. A parte preparare il ripieno con caciocavallo grattugiato, basilico e qualche goccia d’olio. PREPARAZIONE Versare l’olio in una teglia da forno. Riempire i fiori di zucca, metterli nella teglia ed infornarli ad una temperatura di 180°C per 5 minuti. Disporre i fiori di zucca nei piatti e decorare con il basilico. Servire caldo.

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PEPPE ZULLO Simple food for intelligent people Via Piano Paradiso 71027 Orsara di Puglia (FG) Tel. e Fax +39.0881.964763 www. peppezullo.it - info@peppezullo.it

Orecchiette

di grano arso ai sapori dell’orto

INGREDIENTI per 4 persone g. 350 di farina di grano arso, g. 500 di verdure miste (borragine, bietole, marasciuolo e cicorie), cc. 100 di olio extravergine d’oliva, 2 spicchi d’aglio, sale q.b. PREPARAZIONE INGREDIENTI Per la pasta: impastare la farina di grano arso con acqua tiepida ottenendo un impasto morbido e formare dei bastoncini lunghi 1 centimetro; dargli la forma dell’orecchietta con l’aiuto di un coltello da cucina.

PEPPEZULLO

Parmigiana di borragine

INGREDIENTI per 4 persone g. 200 di pomodori vernini, g. 250 di foglie di borragine, g. 200 di caciocavallo dei Monti Dauni, olio extravergine d’oliva q.b., sale q.b., fiori di borragine.

PREPARAZIONE Fare bollire in acqua salata le verdure miste. Portarle a cottura e unire le orecchiette di grano arso. Fare dorare in una padella dell’aglio con olio extravergine d’oliva, unire le verdure e la pasta. Farle saltare e servire.

Agnello

dei Monti Dauni alle erbe spontanee e medaglioni di patate al timo serpiglio

INGREDIENTI per 4 persone g. 800 di cosciotto di agnello disossato, kg. 1 di cicorielle selvatiche, g. 200 di patate, olio extravergine d’oliva q.b., sale q.b. PREPARAZIONE INGREDIENTI Tagliare a pezzi il cosciotto di agnello. Lavare e pulire le cicorielle e sbollentarle in acqua salata. Tagliare a medaglioni le patate e sbollentarle per qualche minuto.

PREPARAZIONE INGREDIENTI Lavare accuratamente le foglie di borragine. Lavare e affettare i pomodori vernini. Tagliare a fettine sottili il caciocavallo. PREPARAZIONE Mettere in una pentola dell’olio extravergine d’oliva per friggere e, a parte, preparare con la farina bianca di grano tenero e con dell’acqua minerale un impasto molto leggero. Passare una alla volta le foglie di borragine in questo impasto e friggerle. Quando saranno leggermente dorate, scolarle con la schiumarola e lasciarle asciugare su carta da cucina. In una teglia mettere della carta da forno, quindi comporre la parmigiana disponendo un primo strato di borragine, i pomodori vernini, il caciocavallo. Proseguire gli strati alternando almeno per quattro volte, terminando con i pomodori vernini e il caciocavallo. Mettere in forno a 180°C per 15 minuti circa. Servire caldo completando con un filo d’olio extravergine d’oliva e un fiore di borragine.

PREPARAZIONE In una teglia da forno mettere l’olio extravergine d’oliva, l’agnello e il sale. Infornare a 200°C per 30 minuti circa. A cottura ultimata aggiungere le cicorielle e lasciare insaporire per qualche minuto. Porre in una teglia con dell’olio extravergine e timo serpiglio le patate e infornare per circa 20 minuti. Impiattare l’agnello con le cicorielle e i medaglioni di patate. Decorare il piatto con del timo serpiglio. Servire caldo.

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di GRANDE ANNI

cucina

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PIZZA&BIRRA

CRONACA DI UNA STORIA D’AMORE

C’era una volta la birra. E c’era una volta la pizza. Due prodotti della terra, due infinite declinazioni del gusto entrambe nate da ingredienti semplici e naturali come acqua, cereali e lievito (e il luppolo, nel caso della birra). E due storie parallele che, anche prima di incontrarsi in pizzeria circa 60 anni fa, hanno avuto molto in comune. 59

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LA CERVOGIA COSMOPOLITA CHE PIACEVA AI BARBARI E AI NOBILI,

“PROTOFOCACCIA”

G O U R M E T F O O D

PREISTORIA

LA (MEDITERRANEA) DELLA BIRRA E DELLA PIZZA

La schiacciata di farina intrisa d’acqua e ripassata al fuoco è una tradizione che appartiene a diversi popoli e diverse latitudini, con variazioni sul tema che vanno dalla tortilla messicana al naan indiano. C’è chi fa risalire la parola pizza al latino pinsere (pestare, schiacciare) o al greco peptòs, cioè “infornato”. L’origine più intrigante rimanda all’aramaico pisha, che significava il “passaggio”, ricordando l’attraversamento del Mar Rosso da parte degli Ebrei che per sfamarsi confezionavano focacce di pane azzimo. Una radice che ritroviamo nella “pita”, o pane arabo, un pane piatto, lievitato, rotondo e a base di farina di grano, di casa nelle culture gastronomiche di tutto il bacino mediterraneo, dai Balcani al Nordafrica. Le stesse regioni dove, circa settemila anni fa, si diffuse e consolidò il consumo di birra. Nel Talmud si nomina una birra leggera - la Pharzumah - e nella civiltà Egizia, dove pane e birra erano la base dell’alimentazione, non è difficile immaginare il primo incontro tra questi alimenti nell’accompagnare alla pita un boccale di Curmi o di Zithum…

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LA CHE SAZIAVA I CONTADINI

E in Italia? I primi estimatori di birra furono gli Etruschi che, nei loro convivi, amavano consumare una bevanda fermentata moderatamente alcolica, chiamata “pevakh”, fatta inizialmente con segale e farro, poi con frumento e miele. Anche tra i Romani si contano strenui sostenitori della bevanda “barbara” che tanto piaceva alle popolazioni non latine, come Celti, Galli e Germani, che libavano, racconta Tacito, “un liquido ricavato dall’orzo e dal frumento, fermentato in modo da sembrare vino”. Tra i consumatori “vip” dell’epoca, Nerone, che si approvvigionava di “cervogia” dalla Lusitania, o il governatore della Britannia Agricola, che, tornato a Roma nell’83 dopo Cristo, portò con sé tre mastri birrai da Glevum (l’odierna Gloucester) e aprì il primo pub della nostra penisola. Quanto alla pizza, non era ancora tale, ma Virgilio nell’Eneide fa riferimento all’idea del pane come piatto commestibile o tagliere per altri cibi, mentre nel Moretum pseudo-virgiliano si racconta la preparazione da parte del contadino Symilo di una schiacciata e del suo condimento d’erbe pestate nel mortaio con aglio, olio e cacio. È l’archetipo del modello nutritivo di sussistenza e dell’“unico piatto”, costituito da una base calorica che integra qualsiasi condimento, che costituirà la base alimentare di quell’Italia contadina dove l’abbondanza di cibo è solo un sogno.

I

200 ANNI

CHE CAMBIARONO LA PIZZA E LA BIRRA IN ITALIA Nei secoli la birra in Italia appassionò le corti medievali e rinascimentali, ma ebbe anche un commercio alternativo e “popolare” grazie ai monasteri. Furono i monaci di Montecassino i primi a produrre la birra d’Abbazia, creando una tradizione che ancora oggi sopravvive nelle celebri birre Trappiste olandesi e belghe. Alla fine del 18mo secolo inizia ufficialmente l’era industriale della birra. Per convenzione si fissa come


SPECIALEPIZZA data simbolica il 1789, con la concessione da parte delle autorità sabaude a Giovanni Baldassare Ketter di Nizza Monferrato di un privilegio per la fabbricazione di birra “per la città e per il suo contado”. Ma bisogna attendere la seconda metà dell’Ottocento e alcune invenzioni tecnologiche e scoperte scientifiche perché prenda il via una vasta e strutturata industria della birra in Italia, basata sul freddo artificiale e su una nuova tecnologia di produzione di birre chiare a bassa fermentazione. In quegli stessi anni, nella Napoli borbonica, un’altra “scoperta”, quella del pomodoro, segna la nascita della pizza come oggi la conosciamo. Lo storiografo dell’alimentazione M. Tossaint-Somat ricorda che nel 18mo secolo il pomodoro, fino ad allora considerato una pianta ornamentale e medicinale, diventa un alimento della cucina italiana. Senza l’apporto dell’oro rosso, probabilmente mangeremmo ancora la Mastunicola, l’antenata della pizza condita con sugna, formaggio e basilico (in dialetto napoletano vasunicola) o le sue variazioni sul tema con origano, acciughe e aglio. Risale al 1705 la prima ricetta, firmata da Francesco Gaudenzi, nella quale si consiglia di pelare e spezzettare i pomodori per poi soffriggerli. E Vincenzo Corrado, che 70 anni più tardi, ne “Il cuoco Galante” elenca oltre 20 ricette a base di pomodoro, racconta che questo prodotto viene impiegato per condire la pizza e i maccheroni. Il disciplinare di produzione della Pizza Napoletana STG data al 1734 la nascita della Marinara (così chiamata perché era il cibo che i pescatori mangiavano quando tornavano a casa dalle lunghe giornate di pesca) e al 1796–1810 la “margherita”, preparate in botteghe denominate “pizzerie”, la cui fama era arrivata sino al re di Napoli Ferdinando di Borbone. Quello della pizza è e resta un consumo popolare. Nel 1843, Dumas Padre racconta che la pizza era l’unico cibo per la gente umile durante l’inverno, e che “a Napoli la pizza è aromatizzata con olio, lardo, sego, formaggio, pomodoro, o acciughe sotto sale”. Mentre Collodi, nel “Viaggio per l’Italia di Giannettino” è meno morbido verso la nuova specialità napoletana: “quel nero pane abbrustolito, quel bianchiccio dell’aglio e dell’alice, quel giallo-verdacchio dell’olio e dell’erbucce soffritte e quei pezzetti rossi qua e là di pomidoro danno alla pizza un’aria di sudiciume complicato che sta benissimo in armonia con quello del venditore”. Fu l’incontro con un altro reale, Margherita di Savoia, a segnare la consacrazione della pizza napoletana nell’estate del 1889, quando il più rinomato pizzaiolo dell’epoca, don Raffaele Esposito, venne chiamato a Palazzo Capodimonte per preparare alcune pizze. La preferita dalla Regina? Quella condita in omaggio al tricolore, con pomodoro, mozzarella, basilico fresco, sale e olio, che le fu subito dedicata. Era nata la pizza Margherita.

LA

BELLE EPOQUE

L’ETÀ DELL’ORO DELLA BIRRA ITALIANA. E LE PIZZERIE DIVENTANO UN FENOMENO NAZIONALE All’inizio del Novecento, anche la birra diventa di moda: negli ambienti altoborghesi e cosmopoliti si sorseggia una “bionda” o una “monaco” nei caffè chantant stile liberty o negli chalet-birreria costruiti vicino alle fabbriche. Gli anni tra il 1900 e il 1925 vedono una crescita costante nell’apprezzamento di questo prodotto, una vera e propria età dell’oro in cui la birra riesce a conquistare anche le fasce più popolari della popolazione, senza però uscire dai caffè e dai bar. Nell’agosto del ’32 a Napoli si svolgono, con grande successo di pubblico, singolari gare fra i camerieri dei principali caffè e ristoranti cittadini, che, in tenuta da servizio, grembiule e salvietta, dovevano percorrere a passo svelto le vie del centro trasportando un cabaret con una bottiglia e un bicchiere pieni di birra. La pizza invece resta legata alle sue radici popolari. Se nelle campagne si faceva ancora la fame, la nascente classe operaia trova in città migliori condizioni di vita e nuove abitudini alimentari. Si afferma una nuova geografia gastronomica, fatta di bettole e rivendite di cibo caldo per il pasto di mezzogiorno che sanciscono in Campania il “sorpasso” del pizzaiolo sul maccaronaro. E l’emigrazione, assieme alla curiosità verso questo nuovo/vecchio alimento, porta le pizzerie nel resto d’Italia e nel mondo. Lo certifica, nel 1931 la Guida Gastronomica d’Italia del Touring Club citando la pizza, “per la quale vanno celebri le ‘pizzerie’ che da Napoli hanno dilagato in molte altre città nostre”.

ANNI CINQUANTA

L’INCONTRO CASUALE (E CAVILLOSO) TRA PIZZA E BIRRA Bisognerà aspettare gli anni Cinquanta perché avvenga il fatidico incontro tra pizza e birra. Fino ad allora, il consumo di birra si limitava ancora al solo periodo estivo e veniva inserita mentalmente fra le comuni bevande dissetanti, come le bibite gassate, e come tale consumata al banco. Provata da pesanti provvedimenti fiscali, e dalla “battaglia del grano” del regime fascista, la birra non era riuscita ad entrare nelle abitudini alimentari degli italiani. Colpa anche di un’apposita licenza di vendita di “bassa gradazione” che ne limitava lo smercio al dettaglio esclusivamente a bar, trattorie e birrerie, escludendo la vendita al det-

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GOURMETFOOD taglio negli allora popolari “Vini e oli”. Ma un’altra limitazione, stavolta sul fronte delle pizzerie, ha reso possibile la nascita di questo abbinamento: negli anni Cinquanta infatti le pizzerie non avevano la licenza per somministrare alcolici con una gradazione superiore a circa 8% vol. Con vini e spiriti tagliati fuori, spazio alle birre, che solo in rari casi superano quella gradazione e si sono presentate agli avventori delle pizzerie come alternativa alcolica ai soft drink e all’acqua.

ANNI SESSANTA CON PIZZA&BIRRA IL PASTO FUORI CASA IN FAMIGLIA DIVENTA DEMOCRATICO Questo connubio nato per caso ha permesso alla birra, fino ad allora consumata soprattutto nei bar, di farsi conoscere e apprezzare come bevanda da pasto, per di più in abbinamento ad un peso massimo della nostra tradizione gastronomica e in un contesto low cost. Nei primi anni Sessanta, la pizzeria è stato infatti il luogo che ha sdoganato presso le classi più popolari il pasto fuori casa con la famiglia, fino ad allora considerato roba da ricchi… In questo luogo, accompagnandosi a un prodotto accessibile e popolare (si mangia con coltello e forchetta oppure a mani nude, viene consumata in strada o sul lavoro, in pizzeria o da asporto, ha una sua versione povera e una lussuosa) la birra ha conquistato una sua connotazione democratica e easy nel suo essere semplice, ma non semplicistica, e nel suo offrirsi al gusto senza complicazione. Intuite le potenzialità di questa particolare occasione di consumo, diverse realtà del settore birrario hanno attivamente sostenuto, anche economicamente, il consolidarsi del fenomeno pizzeria, aggiungendo alla solita fornitura di birra, anche quella, a titolo gratuito, di bicchieri e sottobicchieri, vassoi, ombrelloni e sedie… Certo, se dopo mezzo secolo ne stiamo ancora a parlare, è segno che l’abbinamento funziona soprattutto dal punto di vista organolettico: Ancora oggi, secondo una ricerca Doxa/AssoBirra per circa 6 italiani su 10 si tratta di un “abbinamento dal gusto imbattibile”. Ma piace anche perché si tratta di “due prodotti semplici, della cucina popolare ed economica” (39%).

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LA BIRRA INCONTRA IL FRIGO, LA PIZZA IL FREEZER (E LO SCOOTER). E IL BINOMIO ESCE DALLA PIZZERIA Nei primi anni Settanta, anche grazie all’arrivo del frigorifero nelle case degli italiani, la bionda bevanda può finalmente accedere al canale alimentare e raggiungere così con facilità le famiglie, che iniziano a consumarla a tavola con qualsiasi pietanza. A distanza di 30 anni la pizza tonda, quella della pizzeria segue lo stesso percorso, prima sulle ruote degli scooter, poi direttamente nei banchi frigo della grande distribuzione, dove oggi una valida offerta di pizze surgelate può essere acquistata e conservata nel freezer di casa in attesa della giusta occasione.

PIZZA&BIRRA OGGI DAL RINASCIMENTO GOURMET ALLA MODA DEL FAI-DA-TE, SI SPOSTA A CASA Oggi in Italia ci sono 42 mila pizzerie, quelle d’asporto sono 21 mila e contano 100 mila addetti. Quello della pizza è un universo globale, fatto di 65 mila italiani, 20 mila egiziani, 10 mila marocchini e 5 mila dell’Est Europa, Asia e altri, impegnati a sfornare infinite variazioni sul tema pizza: tonda, al taglio, napoletana, romana, alla pala… Allo stesso modo, l’offerta birraria si è moltiplicata in modo esponenziale. Sul fronte della birra, oggi ci sono 500 produttori (tra aziende storiche, marchi internazionali e microbirrifici) che offrono al consumatore italiano circa 2000 marchi di birra, contro gli 800 di 10 anni fa. Negli ultimi 15 anni il rinascimento birrario ha portato con se una crescita culturale incredibile, che ha portato gli italiani a capire che dietro la bionda spumeggiante c’è un universo di stili, sapori, mondi diversi che si incontrano. Perché la birra possiede identità, caratteri e sfaccettature che vale la pena di conoscere e che gli italiani hanno imparato a valorizzare. La curiosità da parte dei cuochi e dal mondo della cucina ha fatto nascere carte delle birre e nuove forme di abbinamento. Allo stesso tempo, è rinata la tradizione pizzaiola, partita da Napoli ma ormai gloria nazionale, che ha scelto i migliori ingredienti, la voglia di buoni prodotti di territorio e un po’ di sana creatività, come terreno per cimentarsi con il desiderio di grande gastronomia a buon mercato. Ma la scoperta delle potenzialità gourmet di questi prodotti non ha intaccato la forza dell’abbinamento, anche se invece di pizza&birra ormai sarebbe più corretto parlare di pizze&birre...


LE STATISTICHE

SPECIALEPIZZA

Un terzo degli italiani (36%) quando mangia una pizza, sceglie la birra. Il quadruplo di quanti (8%) provano il vino, il doppio di quanti preferiscono un soft drink analcolico (16%). Per capirci, in un’ipotetica tavolata tra amici in pizzeria, per ogni bevitore di vino ce ne sarebbero 4 di birra. Ma c’è una novità: complice la crisi e l’affermarsi di nuovi stili di vita, la pizzeria non è più il principale luogo del consumo. Secondo l’Annual Report AssoBirra, il 59,7% della birra viene acquistato nella grande distribuzione (finendo direttamente nel nostro frigo) e la ricerca Doxa evidenzia percentuali analoghe per il consumo di pizza, che per il 58% avviene tra le mura domestiche, contro il 42% della pizzeria. Colpa della crisi certo, ma anche di un nuovo stile di vita che, anche a tavola, premia il ritorno alla semplicità e prodotti naturali. Una curiosità: la moda della pizza fatta in casa ha conquistato ormai quasi 14 milioni di pizzaioli fai-da-te (26%). Ma la “pizza della pizzeria”, mangiata sul posto (42%) o ordinata e portata a casa (29%), resta sempre la più consumata (71%). Merito anche dell’evoluzione tecnologica di strumenti (box per scooter, borse termiche) che rispetto a 20-30 anni fa ne conservano al meglio calore e croccantezza durante il trasporto a domicilio. Perfetta, quindi, per essere degustata con un bicchiere di birra…

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GOURMETFOOD di Simone Rosti

SIMONE PADOAN IL MAGO DELLA (NEW) PIZZA

C

ome si può mangiare una pizza guarnita pagando un conto da ristorante, ed uscire dal locale col sorriso sulle labbra? Semplice: andando a trovare Simone Padoan a “I Tigli” di San Bonifacio nei pressi Verona. Una pizza così non la si può mangiare da nessun’altra parte. Sgombriamo subito il campo dalla retorica delle pizza napoletana, quella con solo pomodoro e mozzarella (che comunque si trova anche qui), mangiata in locali “informali”: non è questa la storia che vogliamo raccontare. Per una sorta di regola del contrappasso, così come i migliori panettoni, da qualche anno a questa parte, si producono a sud di Roma, c’è una tendenza di pizzerie e di pizzaioli che meritano di essere raccontati proprio nell’estremo nord dell’Italia. Simone Padoan è uno di questi e forse ne rappresenta l’essenza, per essere stato fra i primi che hanno saputo dare alla pizza una nuova veste, accostandola ad ingredienti gourmet e proponendola come una nuova frontiera della ristorazione che va ben oltre i confini della mera pizzeria. Noi crediamo che proprio grazie a queste nuove visioni si sal-

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SIMONEPADOAN

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GOURMETFOOD

vaguardi la tradizione rimarcandone le differenze, con chiarezza. Quando Bottura ci propone i tortellini in crema di parmigiano, ci dice proprio questo, e non si sognerebbe mai di affermare che rappresentano la tradizione: proponendoceli, si fa portatore di un messaggio innovativo che parte

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dal riconoscimento delle tradizione per rafforzarla, sgombrando il campo dalla nostalgia e “traghettando nel futuro il meglio del passato” (cit.). Così da Simone Padoan, accanto alle proposte più convenzionali (tradizionali, e buonissime), troveremo la stupenda pizza con crudo di gambero rosso, fior di latte, rucola, pistacchio e capperi, la carbonara di cappasanta con finferli cotti e crudi, maionese di corallo e strisce di pancetta, il mare e la terra con baccalà e lumache, una vera prodezza da pizzaiolo che diventa grande chef! Una speciale menzione dobbiamo attribuirla alla pizza Liguria con fior di latte, olive di Taggia, emulsione di pinoli e basilico, scaglie di pecorino: all’assaggio dà i brividi per la compostezza ed un equilibrio che profuma proprio di Liguria. La seconda menzione la attribuiamo alla pizza tagliata di Sorana, fior di latte, insalatina


PIOVRA

SIMONEPADOAN

AL FORNO

INGREDIENTI per 1 pizza g. 270 di pasta a fermentazione naturale stesa su placca e lievitata, g. 90 di fior di latte a cubetti, g. 150 di piovra, g. 70 di cime di rapa, g. 50 di ricotta affumicata, 1 spicchio di aglio, olio, sale Maldon, salsa barbecue.

Il Mare e la Terra

Per la salsa barbecue Tritare una cipolla e dell’aglio e far soffriggere. Aggiungere zucchero e aceto e caramellare. Aggiungere pomodoro e tabasco e cucinare per mezzora. Aggiungere la salsa di soia per salare. Per la piovra Prendere una piovra di circa 1 kg. e pulirla. Congelarla a -18°C e lasciarla per circa 30/40 giorni (in questo modo le fibre della carne diventeranno più morbide). Cuocerla a bassa temperatura a 62°C gradi per 7/8 ore. Tagliare 150 grammi a pezzi grossolani, disporli su una placca da forno con filo d’olio e cuocerli per 14 minuti (stesso tempo i cottura della pizza). Per le cime di rapa Lavare e sbollentare in acqua le cime di rapa; scolare e raffreddare in acqua e ghiaccio. Una volta fredde strizzarle, tritarle grossolanamente e condirle con olio e sale. PREPARAZIONE Per la base realizzare un impasto molto idratato. Una volta arrivato a maturazione, stendere la boccia di 270 grammi cercando di mantenere la forma circolare in un placca, infornarla a 270°C forno statico per 14 minuti. Negli ultimi 5 minuti mettere le cime di rapa e il fior di latte a cubetti. A cottura ultimata, tagliarla in otto spicchi e farcirli con la piovra, qualche scaglia di ricotta affumicata e un giro di salsa barbecue.

di limone e guanciale di cinta senese Paolo Parisi. Dunque, la pizza come pretesto per un grande piatto. Di proposte del genere, tanto avventurose e goduriose, ce ne sono almeno una decina in carta, e tutte meritano l’assaggio. Ma veniamo ora all’impasto, perché alla base di tutto c’è uno studio maniacale sulla qualità degli impasti e della lievitazione. E qui Padoan dimostra tutto il suo talento per essere riuscito a creare impasti tecnicamente perfetti, dove croccantezza, morbidezza, lievità, cottura e digeribilità raggiungono un’alchimia sorprendente. E se si vorrà provare questa perfezione, suggeriamo di testarlo sulla nostra pizza del cuore, la pizza dell’orto con impasto alla romana con fior di latte, taleggio, grill di sedano rapa, zucca, fagiolini neri, cipolla in carpione. Grande classe, infine, anche nella scelta delle bevande, con vini naturali, bollicine italiane, grandi champagne, birre artigianali itaPIZZERIA I TIGLI liane e non…insomma, Via Camporosolo, 11 tutto quello che serve per 37047 San Bonifacio (VR) Tel. 045 610 2606 degustare al meglio le crewww.pizzeriaitigli.it azioni di Simone Padoan.

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GOURMETFOOD di Teresa Cremona foto di Raffaele Mariniello e Luciano Furia

PEPE IN GRANI PIZZERIA ECCELLENTE A CAIAZZO Tutto è significativo ed unico a Pepe in Grani: il paese, la location della pizzeria, le sue camere, e last but not least, il suo ideatore e fondatore, Franco Pepe. Franco è una persona gentile, affettuosa, generosa e mite, ma questo non gli ha impedito di avere chiaro il suo progetto e di averlo saputo costruire con determinazione, malgrado e nonostante tutto. I suoi sono ‘pizzaioli’ da tre generazioni, lui è cresciuto nel locale di famiglia lavorando insieme ai suoi fratelli. Ma da sempre ha chiaro l’obiettivo della qualità: l’impasto, i lieviti devono essere eccellenti così come i prodotti che devono esprimere il territorio. E poiché nel territorio è inclusa Caiazzo, anche la location deve essere un racconto. Caiazzo è un paese bello e antico, situato a 200 metri sul livello del mare, sulla cima di un colle con vista su una valle infinita. E’ ricco di storia, ed è l’unico in Campania oltre a Napoli; ad essere stato abitato ininterrottamente dalla sua fondazione che si data intorno all’VIII secolo avanti Cristo.


Ha conservato, nelle mura megalitiche, nel Castello, nei molti palazzi nobili, nelle chiese e nell’assetto urbanistico, la memoria artistica di questo importante passato. Sono tanti gli scorci, le scale, i sottopassi, i vicoli stretti che scendono e che si arrampicano in un insieme tipico e mosso, dove angolo dopo angolo, molto è da scoprire. Alcuni anni fa Franco matura la sua decisione ed acquista nel centro storico di Caiazzo un palazzetto del ‘700 che restaura con l’aiuto dell’architetto Beniamino Di Fusco: due piani dedicati alla ristorazione e alla formazione professionale e 92 coperti distribuiti fra sale interne e un dehors circondato da ciuffi di erbe aromatiche, che sembra sospeso sul rigoglio degli alberi d’arancio di un piccolo giardino. Pietre scure di tufo e muri bianchi, pietra chiara per le scale e semplicità industriale negli arredi, l’anima del palazzo rivive nel restauro intelligente dove l’antico si sposa allo stile minimale che architetto e committente hanno saputo coniugare. Tutto è giusto, nulla è di troppo, tutto è disegnato nel segno di un progetto dove l’eleganza è essenzialità. Solo il forno è un trono: grande e maestoso luccica di

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oro nelle tessere di mosaico che lo ricoprono. C’è anche il ‘Belvedere‘, terrazza panoramica con affaccio sulle colline caiatine dove è possibile cenare su prenotazione. E poi? E poi ci sono le camere. Perché qui la pizza è con ‘accomodation’. Camere grandi mansardate con finestre dalle forme antiche che affacciano su giardini chiusi e segreti. Tutti gli arredi disegnati e realizzati con materiali poveri; qui fabbro e falegname hanno lavorato a mano e su disegno. Il risultato è rigore ed armonia. Il legno riveste a doghe e con pensiero di capanna una parte del soffitto, il resto è lasciato a vista, cemento grezzo dipinto di grigio acciaio. Letto su pedana di legno, bagni grandi e moderni e pochissimo altro, per un risultato di piacevolissina accoglienza. Si accede alle camere da una stanza di soggiorno comune dove si può lavorare e leggere, dove sono libri, riviste, pubblicazioni sul territorio e la sua gastronomia. E la pizza? Magnifica. Un impasto leggero, saporito, che fa da supporto ad un’esplosione di profumi e sapori. Nel menu si ritrovano usanze antiche come la pizza a libretto, ripiegata su se stessa e tenuta in caldo sulla stufa di acciaio. La grande maestria di Franco Pepe è custodita nelle sue mani e la continuità di un buon impasto è la sfida con cui si misura ogni giorno. PEPE IN GRANI Nessuna miscela preVicolo San Giovanni Battista confezionata: solo tatto e 81013 Caiazzo (CE) Tel. 0823 862718 www.pepeingrani.it

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sensibilità ben collaudati per misurare il giusto “punto di pasta”. Gli amici dicono che lui decide il tipo di impasto al mattino dopo essere uscito sul terrazzo e dopo aver ‘assaggiato’ il tempo che fa. Il suo metodo non ha regole fisse, ma è basato su gesti antichi e libere combinazioni di farine studiate giorno per giorno in base al glutine, alla forza delle miscele, all’umidità e alla temperatura dell’ambiente, ed è il risultato di continua ricerca e di sperimentazioni. La sua pizza è senza fili e l’impasto (anche per 400 pizze) è lavorato a braccia nella madia di legno e lievitato naturalmente a temperatura ambiente. Pizza, Ricerca, Accoglienza, e anche Formazione. Intorno a Franco c’è una squadra di giovani (ragazzi e ragazze) che sembrano efficenti e motivati, che svolgono un lavoro faticoso con professionalità, sorriso e gentilezza e tutta la struttura si propone d’essere una finestra sul territorio, sulla tradizione gastronomica e sulle virtuose realtà produttive dell’Alto Casertano. A meno di 20 chilometri da Caserta, a Pepe in Grani sembra possibile realizzare un mondo di eccellenze e di risultati riconosciuti, dove come fu un tempo in tutta la nostra Penisola, l’Artigiano è Artista nel suo lavoro, ma ha una sensibilità alta che lo guida al bello nell’approccio alle cose della vita.


ILMULINODIORTANO

IL MULINO DI ORTANO LA PIZZA GENEROSA DI OMBRETTA, NELL’ALTA VALLE DEL SAVIO

di Maria Chiara Zucchi

Una grande casa di campagna, il portico, le stanze arredate senza pretese con mobili di ieri e di oggi. E’ in questo posto semplice, immerso nel silenzio e nel verde dell’Appennino romagnolo, che si riversano centinaia di persone alla ricerca proprio di un po’ di autenticità, cibo genuino, aria buona e prezzi popolari. La differenza la fanno anche alcuni aspetti non marginali: Ombretta, l’energica “manager” del Mulino di Ortano che ha messo a lavorare qui quasi tutta la famiglia, ha sempre puntato sui valori territoriali di sempre, ossia la buona pasta fatta in casa (cappelletti e ravioli in primis), carni di allevatori locali, il tartufo di stagione che lei cerca con i suoi lagotti, il miele di produzione propria, formaggi e verdure del posto e la sua mitica pizza. Grande, generosa come lei, la pizza del Mulino è quanto di più appetitoso si possa immaginare, ricchissima di sapori ma digeribilissima, spessa il giusto, morbida e croccante. Il forno a legna ne sforna a centinaia nel fine settimana, condite proprio con quegli ingredienti che sono ancora un vanto dell’Alta Valle del Savio e l’abbinamento non è solo con la birra, ma con i migliori vini della zona.

RISTORANTE PIZZERIA IL MULINO D’ORTANO Via Mulino, 1 Linaro di Mercato Saraceno (FC) www. ilmulinodortano.it info@ilmulinodortano.it Tel. 0547 693054 Cell. 347 2203771

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50 KALÒ L’IMPASTO BUONO CHE HA STREGATO IL PUBBLICO

50 KALÒ Piazza Sannazaro, 201/B - Napoli Tel. 081 19204667 www.50kalò.it

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Bianca con fior di latte di Agerola, lardo di colonnata IGP, cipolla ramata di Montoro, scaglie di conciato romano ‘Presidio Slow Food’, olio extravergine d’oliva selezioni Don Alfonso 1890 Presidio Slow Food.

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La pizzeria di Ciro Salvo 50 Kalò compie 1 anno. Un anno di successi che premiano lavoro e qualità. Ad un anno dall’apertura, nel febbraio 2014, la pizzeria di Ciro Salvo, in piazza Sannazaro, a Napoli ha scalato le classifiche gastronomiche e conquistato pubblico e critica, anche Oltreoceano. La sua pizza, unica per impasto, leggerezza e qualità delle materie prime, è stata osannata dal New York Times (“some of the best pizza in Italy”) che ha dedicato a 50 Kalò un ampio articolo il 17 agosto scorso, mentre la Tv giapponese Nippon Television ne ha voluto riprendere tutte le fasi di lavorazione. Anche il britannico The Indipendent (novembre 2014) e la rivista tedesca Der Feinschmecker ne hanno evidenziato il successo. La pizza di Ciro Salvo figura tra le migliori d’Italia: 3 Spicchi, il massimo riconoscimento, secondo la Guida alle Pizzerie d’Italia del Gambero Rosso. Identità Golose ha inserito Ciro Salvo tra i 100 chef italiani che hanno cambiato la cucina nazionale e la sua Pizza dell’Alleanza (con Fior


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di latte di Agerola, lardo di Colonnata igp, cipolla ramata di Montoro, Conciato romano stagionato a 6 mesi ed olio extra vergine Dop Cilento) compare nel libro “100x10 - I cento chef che hanno cambiato la cucina italiana” edito da Mondadori in occasione di Expo Milano 2015. Gli ingredienti di tanto successo sono ricerca e selezione dei migliori prodotti campani e nazionali con una particolare attenzione ai Presidi Slow Food. Non sorprende che ormai da un anno, tutti i giorni, a pranzo e cena, 50 Kalò mette in fila gli appassionati della pizza napoletana di alta qualità. Sono di casa Alessandro Siani e i calciatori Fabio Cannavaro e Marek Hamsik. Aurelio De Laurentiis, Peppino di Capri, Serena Autieri, Cristina Chiabotto, Enrico Bertolino, Gianfranco Zola quando sono a Napoli scelgono la pizza di Ciro Salvo. Anche Colin Farrell nel suo soggiorno partenopeo ha voluto assaggiare la sua margherita. E Oliviero Toscani, il guru dell’obiettivo, lo ha fotografato selezionandolo tra i 100 top pizzaioli italiani dell’Associazione Verace Pizza Napoletana. Quest’anno è in corso l’ampliamento del locale di piazza Sannazaro a Napoli e l’apertura di una pizzeria all’estero, in Europa.

Classe 1977, Ciro Salvo è nell’olimpo dei maestri della pizza napoletana. Figlio d’arte (tre generazioni di pizzaioli), si è distinto per l’attenzione quasi maniacale all’impasto: molto idratato e altamente digeribile. Docente nei master del Gambero Rosso, ha inaugurato 50 Kalò, la sua pizzeria nel febbraio 2014. 50 Kalò, nel gergo non scritto usato da secoli dai pizzaioli, vuol dire “impasto buono”. I pizzaioli usano infatti dire kalò per indicare qualcosa di buono e skatà per dire cattivo; parole di origine greca (kalos in greco significa bello, buono) che nel corso dei secoli hanno incontrato le infinite sfumature del dialetto partenopeo. Il 50 infatti nella cabala e nella smorfia partenopea è il pane. 50 kalò è dunque l’impasto, il panetto buono, da cui nasce una pizza buona, condita con i migliori ingredienti.

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GOURMETFOOD

APRE A NAPOLI

PIZZA GOURMET Viale Michelangelo, 77-79-81-83 - Napoli Tel. 081 2292227 - www.pizza-gourmet.it Aperto tutti i giorni a cena

PIZZA GOURMET

SOLO PRODOTTI SELEZIONATI PER UNA PIZZA BUONA Pizza Gourmet è la nuova pizzeria di Giuseppe Vesi in Viale Michelangelo nella zona residenziale del Vomero, crocevia tra la movida vomerese e il cuore del quartiere. Un buon impasto e ingredienti selezionati provenienti dalle migliori produzioni italiane è alla base del progetto di Giuseppe Vesi. Prodotti a Km 0, o comunque provenienti da una filiera corta, Presìdi Slow Food, di aziende che adottano il No Ogm ed il biologico e biodinamico che foraggiano il proprio bestiame con mangimi sani: sono questi gli ingredienti proposti da Giuseppe Vesi nella sua nuova pizzeria Pizza Gourmet. Figlio d’arte, Giuseppe è cresciuto tra le pizzerie di famiglia del centro storico di Napoli. L’esperienza, la passione per il suo lavoro unita al ricordo dei sapori dell’infanzia, hanno nutrito in lui il desiderio di applicare alla sua attività, quella di pizzaiolo secondo l’antica tradizione napoletana, la ricerca e l’amore per il cibo buono e genuino. <Il progetto di que-

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SPECIALEPIZZA sta pizzeria “alternativa” è nato nel 2012> - spiega Vesi. <Ho avuto bisogno di due anni per mettere a punto la mia idea e reclutare tutti i fornitori che avevo in mente. Oggi sono soddisfatto del risultato ma so anche che è solo l’inizio: continuerò nella mia ricerca del buono e spero di poter integrare la mia lista degli ingredienti per dare vita a pizze di gusto e qualità>. I prodotti e i condimenti utilizzati da Pizza Gourmet sono tutti prodotti di eccellenza, il Sale marino integrale di Trapani, i Capperi e l’Origano di Salina, le Alici di Menaica, i pomodori e i latticini campani, le carni e i salumi di Nero Casertano, le selezioni di carne Maremmana, in gran parte esposti nel bel banco gastronomia all’ingresso della pizzeria.

Particolarmente curato e accogliente è anche il locale, in linea con un progetto che fa del bello e del gusto le proprie linee guida: luminoso, mediterraneo nei colori, attento ai dettagli. Maioliche dipinte che rievocano la tradizione della riggiola napoletana, tavoli di legno e seggiole impagliate, lambrì bianchi alle pareti e grandi lampadari di rame. A vista c’è la dispensa del fresco con prosciutti e formaggi, ortaggi di stagione ed altri prodotti. Grande, totemico e disegnato su misura è il forno, cuore pulsante del locale. Non mancano pochi e studiati dettagli di gusto rétro che conferiscono al locale la rassicurante atmosfera di casa.

FARINE 00, SENZA DUBBIO La linea Primitiva di Molino Pasini vuole rispondere al trend di mercato che porta gli operatori professionali a richiedere farine salutistiche ad alto contenuto di fibre ed elevato apporto proteico. Una risposta decisa anche alle polemiche che hanno suscitato inutili allarmismi sulla lavorazione delle farine 00. Sull’onda della cicliche polemiche che suscitano non poco, ma sterile allarmismo intorno alla lavorazione delle farine 00, per cui quando una farina viene raffinata perderebbe le proprietà nutrienti tipiche del frumento integrale (ottima fonte di fibre e ricco di numerose sostanze che si trovano nella crusca e nel germe), Molino Pasini ha le idee ben chiare. E le mette nero su bianco sul proprio sito: ‘Togliti ogni dubbio: le farine “00” non fanno male, soprattutto se prodotte in modo naturale da miscele di grani scelti e selezionati. Se poi vuoi una farina più scura e ancora più ricca di fibre e minerali, ti invitiamo a scoprire la nostra linea Primitiva’. “Primitiva, nelle varianti Tipo 1 e Tipo 2 vuole rispondere al nascente trend di mercato che porta i nostri clienti a richiedere farine salutistiche ad alto contenuto di fibre ed elevato apporto proteico. A questo scopo il laboratorio di ricerca e sviluppo ha perfezionato una nuova tecnica di miscelazione e macinazione per la riscoperta di nuove sfaccettature del gusto di una delle migliori selezioni di grani pregiati oggi sul mercato”. Primitiva Tipo 1, declinata nei tre prodotti “100”,“300”,“400”, e Tipo 2, “300” e “400” , si è rivelata ideale per la breve, media e lunga lievitazione in particolare nel settore della Pizzeria. Le farine della linea Primitiva sono ricche di fibre, di proteine e di minerali che conferiscono ai prodotti realizzati un sapore e un aroma unico nel suo genere. Le farine Primitiva Tipo 1 vantano gusto inconfondibile, eccezionale elasticità ed elevata digeribilità. Quelle della linea Primitiva Tipo 2, oltre a elevati standard in merito a elasticità, assorbimento e digeribilità, si caratterizzano per ancora più gusto e aroma, più fibre e sali minerali”. La linea Primitiva oggi si arricchisce anche di una nuova referenza: Integrale. È una farina di frumento tenero che si presta a un utilizzo diversificato, sia dolce sia salato. Primitiva Integrale è una farina molto elastica, facilmente lavorabile e caratterizzata da ottimo assorbimento. www.molinopasini.com

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GOURMETFOOD di Maria Chiara Zucchi foto di Andrea Amadori

Si possono fare chilometri per andare a mangiare una pizza eccellente, che dimostri di possedere il valore aggiunto di tutte quelle qualità gastronomiche di solito attribuibili ad un grande piatto. Perché la pizza fatta con scienza e coscienza può essere davvero uno dei più favolosi piatti gourmet che si possano desiderare, ricca, come dovrebbe essere, di sapori e profumi tali da saziare corpo e anima! E’ una pizza tre stelle quella elaborata con pazienza, studio e passione dal ristorante Pomod’Oro di Rimini, dove l’offerta di una cucina saporita e ben fatta, definita “di campagna”, è affiancata da una pizzeria per la quale la gente è disposta a fare un apposito viaggio. Ne è responsabile Mimmo, al secolo Domenico Fabozzi, di soli 23 anni, spesi in buona parte per imparare, poi sperimentare, poi ancora per creare. Nativo di Aversa, delle sue origini campane conserva doti di assoluta dedizione per il prodotto che ha reso Napoli famosa nel mondo. Lo vuole perfetto e per questo ha a lungo ponderato ogni dettaglio: una farina sufficientemente dura, poco lievito, una lievitazione che di frequente raggiunge le 72, ore affinchè la pizza risulti di facilissima digestione.

MIMMO

IL PIFFERAIO MAGICO DEL POMOD’ORO DI RIMINI travelfood 76

IL POMOD’ORO CUCINA E PIZZERIA DI CAMPAGNA VIa della Torretta, 4 47923 - Rimini Tel. 0541.753014 www.pomodororimini.com


ILPOMOD’ORO

E forno sempre ben caldo. Ora il suo impasto è costituito solo da lievito madre e per il 50% da acqua, uniti alla farina prescelta, che può essere anche di Kamut, di cereali o integrale. A quella fragranza che rende unica ogni sua pizza, grazie anche a farciture realizzate solo con prodotti di ineccepibile qualità, non è giunto per caso. Per mesi, tutti i giorni, si è presentato davanti alla porta di uno dei pizzaioli più famosi di Cattolica, Gustavo De Leo, maestro per tanti giovani motivati come lui, al solo scopo di essere ammesso nella squadra dei suoi apprendisti. Tanta caparbietà è stata alla fine premiata e dopo soli due mesi di apprendistato, Mimmo era già stato messo nelle condizioni di fare pizze in modo autonomo. E’ li che, un paio di anni dopo, l’ha scoperto il patron del Pomod’Oro, Rino Mini, che ne ha chiesto a Gustavo l’immediato “rilascio”. Da allora Mimmo ha affinato il proprio talento e oggi è in grado di attirare i clienti come un incantatore di serpenti, grazie ai profumi irresistibile delle sue pizze gastronomiche, con farciture sempre più importanti, assimilabili a quelle dei suoi colleghi cuochi.

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GOURMETFOOD di Maria Chiara Zucchi foto di Andrea Amadori

STAGIONALITÀ E RICERCA NELLA PIZZA AL TAGLIO

DA NEO A GAMBETTOLA

Gambettola è una piccola città romagnola famosa in tutto il mondo per gli amanti del fitness, perché città natale delle attrezzature sportive più famose al mondo (Technogym). Ed è proprio seguendo la stessa filosofia del benessere che il giovane Marco Farabegoli, 6 anni fa, ha

aperto nella cittadina la pizzeria Da Neo. Marco è cresciuto nella pizzeria di famiglia a Cesena (oggi gestita dal fratello) della quale ha mantenuto il nome “Da Neo” in onore del padre, suo maestro. Ma non si è limitato a proseguire la tradizione. Marco è un pizzaiolo in formazione continua, sempre pronto a confrontarsi e ad apprendere da chi ne sa più di lui: con chef per carpire i segreti di ingredienti e abbinamenti ideali, ma anche

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PIZZADANEO con pizzaioli di altre regioni italiane, con i quali scambia ricette e segreti per ottenere la lievitazione migliore. Presso lo stesso Molino che gli fornisce la farina partecipa a corsi di aggiornamento che gli hanno permesso di valutare e individuare la miscela di farina più adatta alla sua idea di prodotto eccellente, peraltro a base integrale. Una farina macinata a pietra, l’80 percento di acqua, lievito, olio EVO, sale iodato di Cervia e una lievitazione che va dalle 48 alle 72 ore, garantiscono un prodotto altamente digeribile. Non a caso sui muri del locale sono affisse lavagne che spiegano in maniera chiara questo procedimento e riportano il motto di Marco: “Non esistono segreti, esistono lo studio e l’impegno”. Ogni teglia che esce dal forno contiene un unico gusto, proprio perchè ogni ingrediente scelto e studiato ha una cottura da rispettare e un’influenza differente sull’impasto sottostante. Questo non limita la proposta sul bancone: di norma escono 16/18 gusti differenti e ricercati. Chi sceglie la pizzeria da Neo sa bene di poter contare su abbinamenti e gusti originali e una co-

PIZZA DA NEO Via Del Lavoro, 1/B - 47035 Gambettola (FC) - Tel. 0547.653833

stante qualità degli ingredienti, prevalentemente di stagione. Alcuni esempi: Ciauscolo marchigiano, burrata pugliese e finocchietto; crema di ceci, spinaci freschi e grana; pancetta arrotolata, cavolo nero e fossa di Talamello; patata lessa con lardo di Castellucchio e castagne; verza rossa con porri e crema di taleggio.

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GOURMETFOOD di Sandro Romano

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VECCHIO GAZEBO

DI MOLFETTA, PIZZA CON PRODOTTI PUGLIESI Non bastano le grandi materie prime per fare un’ottima pizza. Fare la pizza è un lavoro da professionisti, perché saper governare gli impasti, i rinfreschi e le lievitazioni è un mestiere che s’impara con il tempo, con lo studio, con l‘esperienza, con la dedizione e con la voglia di offrire al cliente un prodotto di qualità, gustoso e digeribile. Infatti la pizza deve essere un piacere vero e, proprio su questo concetto, l’A.P.P. Associazione Pizzaioli Professionisti, diretta da Luigi Stamerra, sta svolgendo in Puglia un importante lavoro di ricerca sugli impasti alternativi e sull’utilizzo del lievito madre, che ha consentito ai propri associati di sviluppare prodotti altamente digeribili e gustosi. Sono nate, così, pizze nelle quali si utilizzano impasti ottenuti con farine alternative a basso tenore glicemico, come canapa sativa, grano saraceno, Senatore Cappelli, amaranto, quinoa, multicereali, khorasan, farro e orzo. Il procedimento utilizzato, inoltre, si differenzia da quello della pizza napoletana anche nei tempi di cottura più lunghi a temperatura più bassa (intorno ai 330° contro i 485° della napoletana) e nelle lievitazioni che vanno da un minimo di 12 ore fino a un massimo

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V E C C H I O G A Z E B O

di 48 ore, a seconda delle farine utilizzate. La pizzeria Il Vecchio Gazebo, aperta nel 1992 a Molfetta e ristrutturata nel 2013 con utilizzo di legni chiari e pareti bianche che donano freschezza e modernità all’ambiente, è sicuramente un avamposto importante dell’A.P.P.; qui i titolari, Pino Petruzzella e Mimmo Piccininni, professionisti di grande esperienza e competenza, propongono alla loro clientela una grande scelta di pizze, tra le quali anche le “100% pugliesi”, fatte esclusivamente con prodotti locali, sia per quanto riguarda le farine sia per i condimenti. Impasti al grano arso, alla semola di grano duro Senatore Cappelli, alla farina di ceci neri della Murgia, oppure arricchiti con zucca o vincotto, accolgono condimenti di alta qualità come salsa di pomodoro salentino raccolto a mano, lampascioni, carciofi, friggitelli, capocollo di Martina

Franca, burrata, mandorle, funghi cardoncelli, tartufo murgiano, pomodori Regina di Torre Canne, gamberi di Gallipoli, sponsali (cipolle porraie), cipolle di Acquaviva delle Fonti, ricotta forte. Richiestissimo è il “Cicce ‘nderre” (letteralmente “ciccio in terra”), un semplice disco d’impasto cotto senza alcun condimento sul pavimento del forno a legna e poi servito insieme ai salumi, oppure completato con il pric o prac, conserva tipica molfettese a base di peperoni e aceto. Sono molto apprezzate anche le interpretazioni gourmet, come la pizza con crema di ricotta, mozzarella, fichi secchi in inverno e fichi freschi d’estate, capocollo di Martina Franca e mandorle di Toritto in un rimbalzo di consistenze e contrasti agrodolci, oppure quella con i lampascioni fritti, la mortadella tagliata “alla barese” e il vincotto di fichi, che contrappone piacevolmente il gusto amaro dei lampascioni al dolce del vincotto. O ancora, semplice ma ricchissima di gusto, la pizza

“MURGIA PETROSA” L’impasto è formato con un 20% di farina di ceci neri e un 80% di farina di grano tenero 2, insieme ad olio extravergine d’oliva e lievito secco o di birra, che viene messo a lievitare per due ore e poi a maturare in frigorifero a temperatura controllata per altre 12 ore. Formato il disco di pasta viene condito con pomodori ciliegini precedentemente cotti nel forno con capperi, basilico e aglio, e completato con mozzarella di bufala affumicata di San Giovanni Rotondo, peperoni friggitelli e guanciale di Martina Franca.

IL VECCHIO GAZEBO Via Guglielmo Marconi, 18 - 70056 Molfetta (BA) - Tel. 080 334 4877

“Murgia petrosa”, con mozzarella di bufala affumicata, pomodori infornati, peperoni friggitelli e guanciale, perfetto connubio tra i gustosi ingredienti su un inconsueto impasto fatto con farina di ceci neri. Tra le proposte del Vecchio Gazebo anche la pizza condita con il ragù e la sua “brasciola” di cavallo, tipico piatto domenicale barese con cui solitamente si condiscono le orecchiette, ma che, in questo caso, diventa una gustosa rivisitazione della tradizione. Al Vecchio Gazebo è comunque difficile resistere ad una dolce chiusura con le pizze dessert. Deliziosa quella con crema di ricotta bianca e ricotta al cacao, pere e croccante di mandorle, una vera leccornia che, di solito, viene servita al centro del tavolo in modo da permettere a tutti di gustarne una fetta. Completa l’ottima offerta un buon assortimento di birre artigianali di microbirrifici pugliesi e nazionali e, inoltre, il Vecchio Gazebo è attrezzato per le pizze senza glutine, preparate seguendo, come previsto, una linea di lavorazione dedicata e cotte in un forno a parte.

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GOURMETFOOD

UNA PIZZA PER L’ESTATE A NAPOLI SI VOTERÀ LA PIZZA MIGLIORE foto di Stefano Renna

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Otto proposte, otto tentazioni. Per la bella stagione 2015 le ricette di “Una pizza per l’estate” faranno entusiasmare gli appassionati di questa pietanza. Sarà per i prodotti di elevata qualità, per la maestria dei pizzaioli, per l’incantevole location di questa edizione, Palazzo Petrucci, nel cuore di Napoli, ma scegliere la preferita è stato davvero arduo e non sempre possibile. Difficile, ma gratificante, sarà anche il compito di quanti vorranno assaggiare e votare le pizze proposte, per decretare la più amata del 2015. Gli otto pizzaiuoli che hanno preso parte alla kermesse, a partire da oggi, aggiungeranno nei loro


UNAPIZZAPERL’ESTATE menù la pizza proposta, così sarà possibile per tutti degustarle ed esprimere una preferenza sulla pagina fb “Una Pizza per l’Estate”. Tra tutti i votanti, a fine stagione, sarà estratto un fortunato vincitore. Entusiasmo, passione e desiderio di confrontarsi sono state le cifre della serata. Momenti come questi servono agli addetti ai lavori per alzare l’asticella della pizza napoletana sempre più in alto. Offrendo poi ai turisti e consumatori tout court un prodotto straordinario. Per questa edizione, Michele Leo, il pizzaiolo di casa, la Pizzeria Palazzo Petrucci ha proposta una freschissima “Scapece al limone”, con acciughe, provola affumicata, cipollotto fresco, zucchine, alici sott’olio, menta e limoni. “Estate Riccia 2015” è stata l’interpretazione di Pasqualino Rossi, della Pizzeria Elite di Alvignano, con una farcitura di bufala affumicata, olive nere Caiazzane, alici di Cetara e scarola riccia a crudo. Molto originale la versione “Fresella” elaborata dal giovane Ciro Oliva, della Pizzeria Oliva Concettina ai tre Santi, a Napoli. Un omaggio alla tradizione pugliese, farcita con pomodorino datterino bio, tonno di Cetara, mozzarella di bufala e rucola. Da Palermo, Ron Garofalo della Pizzeria Mistral, ha portato la sua “Pizza Sicilia”: con un topping di dadolata di datterino di Scili e di scalone di Cinisara stagionato. “La Primizia” è stata la proposta dei fratelli Susta della Pizzeria Shekkinah di Volla. Pomodorini gialli e friggitelli su fior di latte di Agerola.

Friggitelli e pomodorini, in questo caso di Pachino, anche “Regno delle Due Sicilie” di Enzo Cacialli, della Pizzeria Don Ernesto di Napoli, ma con un’impronta completamente diversa, a dimostrazione di quanto sia importante il tocco personale del pizzaiuolo nella creazione delle pizze. Una “Margherita al Sanmarzano” con pomodoro San Marzano DOP San Nicola dei Miri, Fiordilatte di Agerola, Pecorino romano DOP e Parmigiano Reggiano DOP 24 è stata l’interpretazione per l’estate 2015 di Luca e Gianni Castellano della Pizzeria Pizzazzà di Napoli. Dalla Pizzeria “Al Valico di Chiunzi” è arrivata la proposta della costiera amalfitana. Il pizzaiuolo Vittorio Giordano ha farcito la sua “Tramonti d’Estate” con provola di Tramonti e tartufo estivo “Scorzone” dei Monti Lattari. Infine, Sal De Riso ha presentato BabàmiSU’, una sofficissima pasta babà al lievito naturale inzuppato al caffè espresso napoletano e crema al mascarpone. “Con questa terza edizione abbiamo raggiunto un equilibrio delle proposte dei nostri pizzaiuoli - ha dichiarato Antimo Caputo Ad di Molino Caputo - un’armonia nei sapori e nei profumi che si aggiunge alla alta qualità degli impasti ottenuti con la nostra farina, impasti sempre leggeri, gustosi, equilibrati e ben idratati. Inoltre, la partecipazione di chef stellati del calibro di Gennarino Esposito, della Torre del Saracino, e di Lino Scarallo, di Palazzo Petrucci, ha instaurato un proficuo rapporto di osmosi con i maestri pizzaiuoli”

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PRODOTTI ECCELLENTI foto di Claudio Mollo

VINCENZO

GUARINO INTERPRETA

La cucina di Vincenzo Guarino è come lui: solare, generosa e comunicativa, ricca di quei colori e quei sapori che solo il grande Sud può regalare. Nelle sue creazioni si riscontra una passione che le capacità tecniche hanno avuto il merito di incanalare verso espressioni nitide e fresche, sempre attuali e riconoscibili. La vista mozzafiato sul mare e sul Vesuvio, che si gode dalla terrazza dell’Accanto, rende l’incontro con questa cucina un’esperienza ogni volta unica e straordinaria.

RISTORANTE L’ACCANTO GRAND HOTEL ANGIOLIERI Via Santa Maria Vecchia, 2 Seiano di Vico Equense (NA) Tel 081.8029161 - Fax 081.8028558 www.laccanto.com info@laccanto.it

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BAULETTI RIPIENI ALL’ASTICE

tenerone di maiale, crema di carciofi e la sua bisque INGREDIENTI per 4 persone 20 Bauletti ripieni all’Astice DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 600 di astice 2 carciofi 4 fette di guancia di maiale 2 pomodori ramati ˷ ˷g. 200 di finocchio g. 200 di carote g. 200 di sedano g. 200 di cipolla g. 50 scalogno pepe in grani ˷ g. 50 di concentrato di pomodoro cl. 50 di vino bianco ciuffi di finocchietto selvatico ˷ PREPARAZIONE Preparare il brodo con acqua, vino bianco, finocchio, pepe in grani e finocchietto.

A bollore raggiunto, immergervi gli astici per 4-5 minuti. Raffreddarli immediatamente in acqua e ghiaccio, aprirli e recuperare la polpa e le chele senza rompere i carapaci che serviranno per la preparazione della bisque. Tagliare a julienne 100 grammi di carote, 100 grammi di cipolle, 100 grammi di finocchio, 100 grammi di sedano. Far rosolare il tutto con un filo d’olio. Quando le verdure saranno dorate, aggiungere i carapaci di astice (devono rosolare fino ad attaccarsi al fondo della pentola). Aggiungere i pomodori e coprire il tutto con ghiaccio. Far bollire per 50 minuti, filtrare e ridurre la bisque. Raggiungere la densità desiderata legando con un po’ di amido di mais. Pulire i carciofi e tagliarli a julienne. Rosolare lo scalogno, aggiungere i carciofi e coprire con il brodo. Far sobbollire per 30 minuti.

www.surgital.it Frullare il tutto e passare al setaccio. Tagliare i carciofi longitudinalmente, pulirli e metterli sottovuoto con un filo d’olio. Immergere la busta in acqua bollente a 70°C per 18 minuti. Raffreddare immediatamente. Tagliare le restanti verdure e farle rosolare. A parte rosolare a fuoco vivo le guance. Mettere tutto insieme e aggiungere il concentrato di pomodoro. Coprire tutto con il ghiaccio e far cuocere per 3-4 ore a fuoco lento. Tagliare la polpa di astice a cubi di 1 centimetro. Tagliare la guancia in pezzi da 1 centimetro. Tagliare i carciofi cotti sottovuoto in quattro listarelle. Cuocere i Bauletti ripieni all’Astice, scolarli e saltarli con un filo d’olio. Adagiare il tutto nel piatto a isola, giocando con la crema di carciofi e la bisque di astice. Decorare con ciuffi di finocchietto selvatico.

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PRODOTTI ECCELLENTI

TRIANGOLI AL PESCE SPADA

con “Genovese” di tonno rosso e verdure croccanti INGREDIENTI per 4 persone 16 Triangoli al Pesce Spada DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 200 di filetto di tonno rosso g. 30 di tonno katsuobushi ˷ g. 200 di carote g. 200 di sedano g. 200 di cipolla germogli misti sale q.b. cl. 50 di olio extravergine d’oliva

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PREPARAZIONE Per la crema alla “genovese” Tagliare cipolla, carote e sedano a julienne. In un pentola versare l’olio e le verdure da far cuocere per circa 30 minuti a fuoco lento.Passare il tutto in un frullatore affinché diventi una crema liscia e omogenea. Aggiungere il tonno katsuobushi.

Tagliare il filetto di tonno a rettangoli, rosolarli in padella sui quattro lati lasciando il cuore crudo. Cuocere i Triangoli al Pesce Spada in acqua bollente salata, scolarli, passarli in una padella con un po’ d’olio. Adagiare sul fondo del piatto la crema di “genovese” alternando i Triangoli al Pesce Spada con le fettine di tonno. Guarnire con germogli e verdure croccanti.

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PRODOTTI ECCELLENTI

PANCIOTTI CON MELANZANA E SCAMORZA

coulis di pomodorini gialli e datterini, stracciata di bufala e basilico INGREDIENTI per 4 persone 12 Panciotti con Melanzana e Scamorza DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 300 di pomodorini gialli ˷ g. 300 di pomodorini datterini ˷ g. 100 di stracciata di bufala ˷ scaglie di parmigiano reggiano ˷ g. 100 di melanzana ˷ g. 10 di basilico ˷ g. 5 di aglio ˷ sale q. b. ˷ cl. 50 di olio extravergine d’oliva

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PREPARAZIONE Soffriggere in una pentola uno spicchio d’aglio in camicia, aggiungere i pomodorini gialli e il sale e cuocere per 15-20 minuti. Fare lo stesso procedimento coni datterini. Frullare entrambi i coulis e passarli al chinois. Cuocere i Panciotti con Melanzana e Scamorza in acqua bollente salata. Scolarli e versare sul fondo del piatto il coulis di pomodoro giallo e gocce di coulis di datterino. Adagiarvi i Panciotti, guarnire con la stracciata di bufala e basilico, qualche cubo di melanzana fritta, scaglie di parmigiano reggiano e foglioline di basilico.


I CARBONARI

con gamberi rossi crudi, chips di guanciale, polvere di tarallo, riduzione al balsamico e spuma all’uovo INGREDIENTI per 4 persone 20 Carbonari DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 300 di di gamberi rossi ˷ g. 100 di guanciale affumicato ˷ g. 150 di taralli ˷ g. 800 di panna ˷ 3 uova ˷ 4 fogli gelatina ˷ g. 50 di parmigiano ˷ cl. 100 di aceto balsamico ˷ g. 50 di zucchero ˷ sale e pepe q.b. ˷ 2 cariche di azoto per sifone ˷ cl. 30 di olio ˷ g. 5 di germogli misti

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PREPARAZIONE In una casseruola inserire panna, uova, sale e pepe: portarli ad una temperatura di 64°C. In un contenitore con acqua fredda mettere a bagno i fogli di gelatina. Una volta ammorbiditi, inserirli nel composto di panna e uova, poi passare tutto allo chinoix. Inserire il composto all’interno del sifone e aggiungere delle cariche di azoto. Farlo riposare almeno 30 minuti. Per le chips di guanciale: stendere le fettine di guanciale tra due fogli di carta da forno. Infornare a temperatura di 75°C per 2 ore. Per la riduzione al balsamico: in una casseruola, mettere aceto e zucchero e portarlo a riduzione (il composto dovrà risultare denso). Per polvere di tarallo: sbriciolare i taralli in maniera grossolana in modo tale da dare al piatto quella nota di croccantezza. PRESENTAZIONE Cuocere I Carbonari in acqua bollente salata. Scolarli e inserirli in padella con un filo d’olio e parmigiano. In un piatto fondo adagiare la spuma tiepida, disporvi i Carbonari alternandoli con i gamberi rossi, polvere di tarallo e chips di guanciale e finire con dei germogli.

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PRODOTTI ECCELLENTI

BALANZONI AL PARMIGIANO REGGIANO

con tartare di fassona, funghi chiodini, broccoli napoletani saltati e riduzione al balsamico INGREDIENTI per 4 persone 20 Balanzoni al Parmigiano Reggiano DIVINE CREAZIONI SURGITAL g. 200 di filetto di fassona ˷ g. 200 di latte ˷ g. 200 di panna ˷ g. 150 di funghi chiodini ˷ foglie esterne di 1 broccolo napoletano g. 200 di parmigiano reggiano ˷ cl. 200 di aceto balsamico (invecchiato) g. 50 di zucchero ˷ sale q.b. ˷ peperoncino q.b. ˷ cl. 40 di olio ˷ PREPARAZIONE Per la tartare di fassona: tagliare dal filetto alcune fettine molto sottili, dopodiché tritarle molto finemente come per un macinato. Per la fonduta di parmigiano: in una casseruola inserire latte e panna, portare a ebollizione, lasciar bollire per almeno 5 minuti.

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Togliere dal fuoco, unire il parmigiano grattugiato e passare il composto al chinoix. Per la riduzione al balsamico: in una casseruola mettere aceto e zucchero e portarlo a riduzione (il composto dovrà risultare denso). Per i broccoli napoletani: usare solo le foglie del broccolo, sbollentate in acqua salata per 7 minuti e raffreddate in acqua e ghiaccio per farle rimanere verdi con lo shock termico. Ripassarle in padella con olio, aglio e peperoncino. PRESENTAZIONE Cuocere i Balanzoni al Parmigiano Reggiano in acqua bollente salata, scolarli, saltarli in padella con olio e acqua di cottura. Disporli sul piatto alternando la tartare ai Balanzoni e guarnire con funghi chiodini e broccoli, salsa al parmigiano e gocce di balsamico. Per completare, decorare con germogli misti.


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ALESSANDRO

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Esperto di vino, ma soprattutto bon vivant, Alessandro Rossi è il fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

FORSE NON TUTTI Esistono veramente molte regole, più o meno importanti, per destreggiarsi nel complesso mondo del vino, ma tre di queste sono fondamentali anche per chi, in questo universo, naviga da diversi anni: a) Bevi sempre, quando puoi, con chi ne sa più di te. Non avere mai la presunzione di essere arrivato: sulla tua strada troverai spesso qualcuno più bravo, qualcuno da cui imparare. Ciò non significa che dobbiamo stare a sentire più di tanto quei degustatori saccenti che sanno scoprire 30 aromi diversi in un vino. Vuol dire piuttosto che un assaggiatore più esperto di noi sarà in grado di farci cogliere qualche sfumatura positiva o negativa (una lieve mancanza di acidità o freschezza, un tannino un po’ rigido, un finale armonioso e lungo, un perfetto equilibrio in bocca, ecc.) che potrebbe esserci sfuggito e che diminuirebbe la nostra capacità di comprensione di un vino; b) Bevi sempre vini differenti. Non fossilizzarti su quelli che ti piacciono di più, probabilmente nel tuo percorso avrai la possibilità di scoprire tanti vini ancora migliori. E se ti capita di bere lo stesso vino della medesima cantina, se puoi assaggia un’annata differente: ogni vendemmia dà un vino diverso anche allo stesso produttore, quindi cerca sempre di indagare nella memoria storica di ogni azienda. Perché nella diversità ci sono grandi fonti di piacere; c) Bevi con attenzione. Infatti, per entrare nella personalità di un vino e coglierne le caratteristiche principali, possono bastare anche pochi istanti di tranquillità. Ma se si beve in modo svagato, in ambienti rumorosi o mentre si chiacchiera con altre persone, la nostra testa non sarà in grado di comprendere quasi nulla del vino che abbiamo nel bicchiere e men che meno potrà memorizzarne le peculiarità.

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Avremo bevuto un sorso di vino, speriamo buono, ma lo avremo inghiottito come se fosse un alimento neutro e privo di interesse. Niente di grave, ma quando vogliamo fare una degustazione occorre che troviamo un attimo di concentrazione e di tranquillità, lasciando che i nostri sensi possano lavorare in pace. Un altro fattore fondamentale per una perfetta degustazione è la giusta temperatura di servizio. Infatti, una temperatura sbagliata può non far apprezzare appieno le caratteristiche di un vino esaltandone più i difetti dei pregi. E teniamo intanto presente che oggigiorno siamo purtroppo abituati a bere vini rossi troppo caldi e vini bianchi (o bollicine) troppo freddi. Anche qui esistono varie correnti di pensiero, ma probabilmente la più esatta è quella francese, dove le temperature dei rossi tendono ad essere leggermente sotto la media italiana (considerando che è statisticamente provato che un calice di vino tende nell’arco di 15 minuti ad innalzarsi di 1-1,5° C), mentre sui vini bianchi più importanti si sta qualche grado sopra la media, con qualche variazione sulle bollicine in relazione al millesimo, alla maison e alla tipologia. In base a tutto ciò le indicazioni di massima sono le seguenti: • spumanti, bollicine e champagne: 8-9° C • bianchi d’annata: circa 12° C • rossi d’annata: circa 14° C • rosati e frizzanti: 10-11° C • bianchi importanti o da invecchiamento: 13-14° C • rossi di medio corpo: 15-16° C • rossi da invecchiamento con strutture importanti: 17-19° C • passiti e muffati: 9-10° C. Esistono poi eccezioni che si comprendono nel corso dell’esperienza, vedi per esempio il Pinot Nero, dove la temperatura di servizio iniziale non dovrebbe superare i 15-16° C. Un consiglio: se


V I N A R I A

SANNO CHE... durante la degustazione trovate un vino troppo freddo, aspettate e non abbiate fretta, è necessario portarlo alla temperatura ideale per poterlo degustare perfettamente; se dovesse essere troppo caldo (come spesso avviene), cercate di raffreddarlo: la temperatura di servizio è centrale per apprezzare al meglio un vino. Spesso i vini serviti al tavolo di un ristorante sono o troppo freddi oppure troppo caldi, ma ricordiamoci che, insieme alla scelta dei bicchieri, la giusta temperatura fa parte del servizio (quello che spesso comporta ancora quell’antipatica voce al fondo della ricevuta che si chiama coperto). Una lunga conservazione in un ambiente troppo freddo (soprattutto per i vini bianchi) è deleteria, perché a lungo andare il freddo tende a cristallizzare le particelle in sospensione e a creare sedimenti, oltre a incidere pesantemente sulla parte aromatica rendendo con il tempo la percezione dei profumi minore e diminuendone la piacevolezza al palato. Logicamente, anche il troppo caldo può essere dannoso per un vino, accelerando la sua evoluzione organolettica e aumentando, soprattutto nei vini rossi, la percezione alcolica. Quando non è disponibile una frigovetrina climatizzata, esistono metodi alternativi per il raffreddamento del vino: 1) Il cestello del ghiaccio e la glacette: il vetro di un bicchiere da vino tendenzialmente raggiunge la temperatura ambiente, cioè diventa caldo, quindi il vino deve arrivare sulle nostre tavole a una temperatura più fresca per far sì che, anche con il passare del tempo, la temperatura di servizio sia la più corretta possibile. Per raffreddare velocemente una bottiglia di vino il cestello del ghiaccio è lo strumento più utilizzato. Bisogna riempire il cestello con acqua, ghiaccio e sale grosso (il sale aiuta a portare l’acqua raffredda-

ta dal ghiaccio molto velocemente a una temperatura ancora più bassa e a mantenerla nel tempo). Il secchiello deve essere alto e l’acqua e il ghiaccio devono essere in quantità tali da ricoprire l’intera bottiglia fino al collo, ma non la capsula e il tappo. Nell’arco di qualche minuto la bottiglia sarà pronta e sufficientemente fredda per essere servita. È importante ricordarsi che con il tempo la bottiglia continuerà a raffreddarsi, quindi una volta raggiunta la temperatura desiderata è opportuno spostare la stessa in un secondo contenitore chiamato glacette, cioè un secchiello termico che all’interno ha un’intercapedine vuota che limita la dispersione termica. Il cestello può anche essere utilizzato quando la temperatura di un vino è troppo fredda: in quel caso basta riempirlo con acqua più o meno calda (mai bollente) per abbassarne la temperatura. 2) Sacchetto raffreddante: ha la stessa funzione del cestello del ghiaccio, ma il materiale con cui è prodotto è plastico ed è molto aderente alla bottiglia, quindi limita la quantità di acqua e ghiaccio. È più utilizzato per mantenere la temperatura di servizio piuttosto che per raffreddare. 3) Abbattitore di temperatura: è una macchina che utilizza un liquido raffreddante che circola all’interno di una vasca dove si posizionano le bottiglie. Può raggiungere in pochi minuti temperature molto basse (anche – 35° C) ed è utilizzato da alcuni ristoratori per raffreddare in poco tempo le bottiglie di vino. È possibile decidere la temperatura anche in base alla tipologia di vino che si vuole raffreddare. Si consiglia di impostare la macchina in modo che possa raffreddare lentamente e quindi in un tempo maggiore, per non creare uno shock termico che potrebbe rovinare il vino a causa di un abbassamenti di temperatura troppo veloce.

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4) Fascia o fodero refrigerante: questa fascia a strappo, che permette grazie alla sua chiusura regolabile di essere utilizzata su qualsiasi tipo di bottiglia, è molto utile per raffreddare o rinfrescare le bottiglie di vino e per mantenerle alla giusta temperatura durante la degustazione. Sono fasce termiche da conservare in freezer e da applicare alla bottiglia per portare il vino alla giusta temperatura di servizio in pochi minuti. Per chi non avesse a disposizione una cantina o un locale adeguatamente climatizzato, ci sono ormai altri metodi di conservazione: uno di questi è rappresentato dalle frigovetrine climatizzate, fondamentali nella ristorazione ma altrettanto utili anche per uso privato. È importante, quando si scelgono questi metodi di conservazione alternativa, porre attenzione alle temperature e alla scelta di frigovetrine che consentano un buon controllo dell’umidità. Infatti la lunga conservazione all’interno delle frigovetrine necessita di temperature un po’ più alte rispetto alle brevi conservazioni, quando la rotazione dei vini è ben più rapida. Ciò in quanto lunghe permanenze a basse temperature comporterebbero infatti un deterioramento del tappo in sughero, che può seccarsi, mentre il vino stesso tenderebbe a non essere più così espressivo, impoverendosi delle sue principali caratteristiche organolettiche e formando sgradevoli precipitazioni tartariche. Si consiglia inoltre l’acquisto di frigovetrine climatizzate a doppia (o multipla) temperatura, visto che la conservazione delle bollicine, dei bianchi e dei rossi prevede livelli differenti di fresco. Non dobbiamo mai dimenticarci che prima di un grande vino c’è sempre una bottiglia perfetta e che, per far sì che sia nella miglior forma possibile, la conservazione è fondamentale. L’ottima conservazione è frutto di due fattori principali: il controllo della temperatura e il tasso di umidità. Questo non dovrebbe mai essere inferiore al 70-75% per evitare di far seccare i sugheri delle bottiglie, processo che porterebbe all’evaporazione del vino e all’ossidazione. La temperatura è

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fondamentale che sia il più costante possibile e compresa tra i 12 e i 16° C. Molto importante è anche l’assenza o quasi di luce (sia artificiale che solare): dato che le bottiglie sono trasparenti (il che comporta un deterioramento del vino decisamente veloce in presenza di molta luce), è sufficiente illuminare la cantina con una lampadina a bassa potenza. Da non trascurare l’aerazione, infatti il costante ricambio d’aria è rilevante per evitare muffe o odori stagnanti che possono penetrare all’interno delle porosità dei tappi deteriorando il vino. Bisogna inoltre porre attenzione a evitare vibrazioni troppo intense, per cui è sconsigliabile usare una cantina adiacente a una fermata della metropolitana. La collocazione è un altro elemento fondamentale perché le bottiglie possano sfidare indenni il tempo. La posizione ideale è quella coricata o leggermente inclinata con il collo della bottiglia verso l’alto (il che è valido per i bianchi, i rossi e le bollicine), in modo tale che il vino sia costantemente a contatto con il sughero del tappo, evitando di farlo seccare e mantenendolo sufficientemente elastico, a maggior ragione se la bottiglia è conservata all’interno di un ambiente con una temperatura o un’umidità non perfetta. È necessario collocare i vini bianchi e gli spumanti nei punti più freschi della cantina, quindi, procedendo dal basso verso l’alto posizioneremo gli spumanti (vicino al pavimento), poi i bianchi, quindi i rossi leggeri e più in alto i rossi importanti. Le scaffalature possono essere realizzate in tanti materiali: legno, metallo, cemento, terracotta o plastica, anche se il legno rimane sicuramente il più indicato, oltre che bello da vedere. I portabottiglie non devono essere posizionati troppo vicini al muro, per favorire una corretta circolazione dell’aria. È importante, infine, collocare le bottiglie con l’etichetta rivolta verso l’alto, in modo che questa sia in bella vista, e avvolgerle in pellicole trasparenti quando si registra un’umidità particolarmente alta (attorno al 90%), per evitare che si deteriorino e diventino illeggibili.



V I N A R I A di Gianluca Ricci

ARCHEOVINI DA VINACCIOLI DI 1500 ANNI FA I VINI PIÙ ESCLUSIVI DEL MONDO

Vinaccioli carbonizzati risalenti a 1500 anni fa sono stati recentemente portati alla luce nel corso di uno scavo archeologico a Halutza, in pieno deserto del Negev, ad un’ora di auto da Tel Aviv, non a caso una delle aree oggi più rinomate - nonostante il clima arido che la contraddistingue - per la produzione di vino in Israele. È stato lì, giusto per comprendere la portata dell’evento, che Zvi Remak, completato il cursus honorum vitivinicolo negli Stati Uniti (Napa Valley, niente meno), ha creato nel 1999

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ARCHEOVINI

la sua cantina, la Sde Boker Winery, irrigando il deserto con l’acqua salata dei pozzi e quella dolce delle autobotti, in un mix che ha reso leggendari i suoi Cabernet e i suoi Chardonnay. Ma i vinaccioli recuperati dagli studiosi ci confermano che i Bizantini producevano proprio là i loro preziosi vini e per questo costosissimi: durante scavi in aree vicine, gli storici hanno individuato i terrazzamenti dove si coltivavano le viti, le cantine dove si produceva il vino e le anfore con cui si conservava e si spediva il prodotto finito. La speranza di archeologi e vignaioli è che, analizzando il dna dei semi recuperati, si possa individuare la varietà originaria e si possa ricreare - seppure in laboratorio, per il mo-

mento - quel vino tanto pregiato per il quale i potenti di tutta Europa - lo raccontano gli storici - erano disposti a fare follie. Oggi i vini prodotti in quella terra nascono esclusivamente da varietà europee, ma ricostruire la mappa storica dell’enologia del Negev può diventare una scommessa in grado di dare nuovo vigore ad una produzione che già negli ultimi anni si sta proponendo all’attenzione degli appassionati per la straordinaria qualità dei vini realizzati. Basti pensare alle prelibatezze che Yatir spedisce sugli scaffali dei punti vendita più raffinati ed esclusivi del globo, vini che nulla hanno da invidiare a quelli più conosciuti e apprezzati. Riuscire a recuperare il filo diretto che collega la vitivi-

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nicoltura israeliana al suo passato non è solo un passatempo per eruditi e maniaci: si tratta di un percorso biologico, prima ancora che culturale, che potrebbe restituire a quella regione tasselli preziosi per ricompattare un settore in improvvisa espansione. Prima di definire il vino israeliano un prodotto del nuovo mondo, si dovranno attendere gli esiti degli esami: se si trattasse di varietà autoctone e se si fosse in grado di ricostruire una mappatura completa delle loro specificità biologiche, potrebbero svilupparsi nuove, intriganti opportunità.

I VINI NURAGICI DELLA SARDEGNA È sostanzialmente lo stesso motivo per cui altrettanto entusiasmo è stato espresso alla notizia del ritrovamento, durante uno scavo archeologico nei pressi di Cabras, in Sardegna, di semi di vite di epoca nuragica: dal sito di Sa Osa sono spuntate testimonianze viticole di 3mila anni fa. La scoperta è importante non soltanto a livello storico, ma anche e soprattutto a livello enologico: quei semi rischiano infatti di far riscrivere i libri di storia della Sardegna soprattutto al capitolo “vino”, visto che la loro data-

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zione li rende antecedenti all’arrivo sull’isola dei Fenici e avvalora l’ipotesi di un’origine autoctona della coltivazione della vite. Sull’identità del vitigno a cui farebbero riferimento i semi recuperati non vi sono ancora certezze, anche se gli archeologi si sono sbilanciati, parlando di una evidente parentela con la vite selvatica che ancora oggi nasce in Sardegna. Un vitigno autoctono, dunque, a bacca bianca, molto simile alle varietà di vernaccia e malvasia coltivate nella parte centro-occidentale. Se le prime indiscrezioni venissero confermate dalle accurate analisi a cui gli studiosi hanno sottoposto i preziosi reperti, si tratterebbe di una scoperta sensazionale dal punto di vista enoico, perché certificherebbe come la coltivazione della vite e la produzione del vino fossero attività connaturate alle popolazioni che già vivevano sull’isola settecento anni prima che giungessero da oriente coloro ai quali è sempre stata attribuita la paternità del fenomeno. Vernaccia e malvasia di Sardegna acquisterebbero all’improvviso un pedigree storicamente e culturalmente preziosissimo, in grado probabilmente di dare anche in questa occasione - nuovo impulso ad una produzione che peraltro già in piena autonomia si sta sviluppando secondo direttrici più che soddisfacenti. Il connubio fra enologia e archeologia si sta dunque rivelando fecondo di frutti, soprattutto a livello di immagine, ma non solo, come sarà possibile verificare una volta che le indiscrezioni degli storici saranno confermate. Non si spiegherebbe altrimenti d’altronde il mecenatismo dimostrato da Casale del Giglio nel recupero e nella valorizzazione della Via Sacra dell’antica Satricum, parte della quale corre oggi sui terreni della nota azienda vinicola di Le Ferriere, alle porte di Latina: sono serviti dieci anni agli archeologi per riportare alla luce l’importante manufatto di epoca romana e l’azienda laziale si è resa protagonista dell’intervento organizzando intorno all’evento convegni e iniziative di significativo spessore, a testimonianza di quanto sia diventato importante - e, soprattutto, percepito come tale - il rapporto fra i vigneti e la loro terra, non solo a livello agricolo e biologico, ma anche e soprattutto culturale. Alla faccia di chi solo qualche anno fa sosteneva che con la cultura non si mangia.


ARCHEOVINI

ARCHEO-ENOLOGIA LE ANTICHE VITI DELLA SERENISSIMA RIVIVONO NEL BROLO DI CANNAREGIO In occasione di Expo, visite guidate gratuite nell’orto giardino della metà del Seicento dove sono state fatte rivivere le antiche viti della Serenissima grazie a un lavoro di individuazione, recupero e produzione del materiale genetico delle varietà presenti da centinaia di anni all’interno della laguna di Venezia. Per tutta la durata di Expo, il Consorzio Vini Venezia contribuirà a riaprire le porte dell’antico Brolo di Cannaregio, regalando ai turisti di tutto il mondo la possibilità di vedere uno dei più antichi giardini di Venezia. E’ proprio qui, nell’orto giardino del Convento dei Carmelitani Scalzi, risalente alla metà del Seicento, che il consorzio ha fatto rivivere le antiche viti della Serenissima, in un vigneto ottenuto dal materiale genetico prelevato e riprodotto dalle varietà presenti da centinaia di anni all’interno della laguna di Venezia. Dopo aver creato un vigneto nell’isola di Torcello, utilizzando il materiale genetico prelevato dalle vecchie viti di Venezia mappate e studiate all’interno di conventi, broli, giardini e altri luoghi, il Consorzio Vini Venezia ha contribuito a restaurare l’orto giardino del convento dei frati Carmelitani Scalzi, adiacente alla chiesa di Santa Maria di Nazareth, meglio conosciuta come chiesa degli Scalzi, uno dei più mirabili esempi dell’architettura barocca veneziana. Un progetto, firmato dall’arch. Giorgio Forti, che ha permesso la ristrutturazione e l’apertura al pubblico di uno dei più importanti luoghi di Venezia. Uno scrigno verde a salvaguardia della biodiversità della città lagunare dove sono state scelte e recuperate tutte le essenze floreali proprie dell’habitat veneziano. Sette aiuole raccoglieranno piante di tipo diverso, dal frutteto all’uliveto, dal bosco al prato. A ciascuna di esse si accompagnano, lungo il percorso, coltivazioni diverse, tra cui rampicanti (gelsomino, glicine, vite americana, edera, bignomia gialla, plumbago), alberi di noce, passiflora, iris, erbe aromatiche, alberi di alloro, alberi medicinali, melograno, kiwi, kaki, rose, frutti di bosco. La Camera di Commercio di Venezia ha finanziato la produ-

zione di materiale informativo e di una nuova guida alla chiesa e al brolo che saranno di supporto alle visite guidate. I due vigneti sperimentali, quello di Torcello e quello sorto all’interno dello storico convento, sono stati creati utilizzando le varietà mappate e riprodotte, a partire dal 2010, nell’ambito del progetto storico-scientifico diretto dal prof. Attilio Scienza, in collaborazione con un gruppo di tecnici dell’Università di Padova e Milano, il Centro di Ricerche per la Viticoltura di Conegliano e l’Università di Berlino. Un lavoro che ha interessato esemplari presenti non solo a Venezia ma anche nelle isole della Laguna. Per scoprire la provenienza, l’identità e l’entità del germoplasma viticolo della laguna diverso dai vitigni già conosciuti, è stata pianificata un’indagine a tappeto su tutto l’areale. Le piante da campionare, in tutto 68, sono state selezionate in base all’assenza di informazioni precise sulla loro identità da parte dei proprietari e al fatto che queste presentassero un aspetto morfologico che non riconducesse con chiarezza ai principali vitigni noti. I campionamenti sono stati effettuati in 11 località comprese tra la laguna nord (isola di Torcello, delle Vignole e di S. Erasmo), Venezia città e la laguna sud (Lido Alberoni, S. Lazzaro degli Armeni e Pellestrina). L’identificazione varietale della vite è stata affrontata con tecniche moderne di analisi del Dna che hanno consentito di ottenere l’impronta genetica della vite, ovvero il suo profilo molecolare, e di fare un confronto con la banca dati del Centro di Ricerca per la Viticoltura di Conegliano e con i dati di letteratura, portando all’identificazione di quasi tutte le viti campionate. Sono così stati ottenuti 25 profili molecolari, 22 dei quali corrispondono a varietà già identificate. In particolare, si tratta di 20 varietà di Vitis vinifera L., 14 uva da vino e 6 uva da tavola, e di 2 ibridi interspecifici molto noti, il Baconoir ed il Villardblanc. A raccogliere i risultati di questo studio è anche il volume Il vino nella storia di Venezia, tradotto anche in inglese.

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ASSAGGIO a cura di Giorgia Zucchi

DI LIBRI

La cucina dei numeri primi e le briciole di sapere diventano libro

Pavlova meringhe & co di Lene Knudsen - Bibliotheca Culinaria Editore - E 11,40 Creata in Australia negli anni venti in onore dell’omonima ballerina russa andata in visita, la Pavlova classica si presenta come una nuvola di meringa e panna montata guarnita con della frutta fresca. Sono ben trenta le varianti offerte in questo volume che parte dalla Pavlova tradizionale per arrivare alle declinazioni moderne e sorprendenti (al tè matcha, al tiramisù). Non mancano ricette per Pavlove “veloci”o mini meringhe variopinte, rivestite e combinate in trionfanti sculture di golosità.

di Giovanni Ballarini - Orme Tarka Editore - 152 pagine - E 17,50 E’ vero che la patata è demoniaca? O che i tartufi sono afrodisiaci? E perché latte e vino insieme fan veleno? O perché acqua di pozzo, erba cruda e donna nuda uccidono l’uomo? Saranno pure briciole di cultura, ma spesso sono quelle piccole curiosità che divertono in un convivio o alleggeriscono una conversazione. Il volumetto le raccoglie in un quadro d’insieme piacevole come una vivanda gustosa.

Il Montersino Grande manuale di cucina e pasticceria di Alberto Caprari e Luca Montersino - Mondadori Editore 384 pagine - E 34,00 Enciclopedica trattazione delle regole base per chi vuole avvicinarsi in modo sistematico alla cucina e alla pasticceria. Quattro capitoli affrontano analiticamente le tematiche, descrivendo prodotti, attrezzature, tecniche di lavoro, regole igieniche, conservazione dei cibi. Alcune ricette accompagnano poi nelle esecuzioni pratiche, per applicare in modo corretto ciò che è spiegato accuratamente nel volume, corredato da foto esplicative.

Atlante degli oli italiani di Luigi Caricato - Mondadori Editore - 264 pagine - E 39,90 Tra i più noti esperti di olio, Luigi Caricato in questo Atlante descrive l’offerta olivicola nazionale nella sua grande biodiversità, in quanto in ogni area geografica ha tradizioni produttive proprie che determinano le specifiche caratteristiche di ogni tipo di olio d’oliva. Storie, descrizioni analitiche per regione, istruzioni per l’assaggio e l’utilizzo migliore, belle foto, un glossario, corredano questo volume, per aiutare a uscire dagli schemi dei prodotti anonimi e omologati che purtroppo dominano il mercato italiano.

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La rivoluzione della forchetta Vegan Una dieta di cibi vegetali può salvarti la vita! di Gene Stone - Macro Edizioni - 240 pagine - E 14,50 Un manuale con le informazioni necessarie per adottare e seguire una dieta vegana, tra cui 125 ricette fornite da 25 esponenti di questa cucina. Dai muffin all’avena e ai mirtilli, dalla polenta all’aglio e al rosmarino, al croccante di pere e lamponi. Tutti piatti squisiti, sani e perfetti per ogni pasto. Con la prefazione di Caldwell Esselstyn e T. Colin Campbel, autore di The China Study.

Vapore & Sapore Fumi, profumi e buone ricette di Giuseppe Capano - Tecniche Nuove Editore - E 21,90 Grazie al vapore è possibile circoscrivere nella giusta dose le calorie dei piatti, preservare al meglio la qualità dei grassi vegetali usati, esaltare i sapori di erbe aromatiche e spezie, limitare i tempi di preparazione, ritrovare i sapori reali di molti cibi, scoprire e assaporare consistenze e morbidezze nuove. A dimostrazione di tutto questo sono state studiate, provate e affinate numerose ricette di antipasti, primi piatti, secondi, pani e dessert.

Ricette di verdure squisite a cura di Silvia Strozzi - Macro Edizioni - 96 pagine - E 7,90 Attraverso ricette veloci, semplici e gustose, questo volume vi aprirà alla conoscenza dei principi e dei valori nutrizionali e salutistici di tutte le verdure. Consigli anche per curarsi in modo naturale ed assolutamente economico.


Tutto Bio 2015

Guida facile ai piaceri del vino

L’annuario del biologico Biobank - 352 pagine - E 16,00

di Franco Faggiani - Endemunde Editore - 128 pagine - E 11,90

Fiere di settore, negozi specializzati, mercatini, gruppi d’acquisto, aziende, agriturismi, ristoranti, ma anche profumerie... sono 10.900 gli indirizzi di realtà che producono e vendono prodotti biologici. L’annuario fornisce anche una card per ottenere sconti presso gli operatori convenzionati.

Flos Olei 2015 Guida al mondo dell’extravergine di Marco Oreggia - 864 pagine - E 35,00 È la guida più esaustiva per il panorama mondiale della produzione olivicola, con traduzione anche in inglese. Di ogni regione italiana, o di ogni nazione, sono descritte le peculiarità ambientali e produttive, con descrizione analitica delle etichette più prestigiose.

Mangiar sano e naturale con alimenti vegetali integrali Manuale di consapevolezza alimentare per tutti di Michele Riefoli - Macro Edizioni - 560 pagine - E 22,00 Consapevolezza alimentare ed evoluzione della coscienza: ecco i due pilastri su cui poggia questa guida, capace di rispondere alle domande più importanti su cibo, salute ed ecologia. Con un taglio educativo-scientifico e un linguaggio comprensibile da tutti, Michele Refoli traccia un percorso di consapevolezza alimentare in grado di migliorare il nostro stato di salute e benessere e al tempo stesso, di diminuire l’impatto ambientale del nostro stile di vita.

Locali storici d’Italia 2015 Caffè, ristoranti, hotel di Enrico Guagnini - Ass. Locali Storici d’Italia - 320 pagine Dedicata a chi ama il turismo culturale, la Guida presenta i quasi duecentoquaranta più antichi e prestigiosi alberghi, ristoranti, trattorie, pasticcerie, caffetterie protagonisti della storia d’Italia. Inoltre un percorso inedito attraverso 80 ristoranti, caffè letterari e alberghi per scoprire e rivivere in prima persona dove hanno sostato i grandi della storia.

Bignamino enologico, fornisce una serie di suggerimenti, trucchi, indicazioni per usare una corretta terminologia, districarsi con disinvoltura nelle occasioni conviviali, conoscere le regole fondamentali e, addirittura, far bella figura con aneddoti e citazioni da pseudo esperti.

La cucina del Parco del Delta Storia e ricette di Graziano Pozzetto - Orme Tarka Editore - 390 pagine - E 25,00 Un’opera antropologica ed enciclopedica sul Parco del Delta da Comacchio a Cervia; un bagno eno-gastronomico ricchissimo e peculiare: erbe, frutti, cacciagione, funghi, pesci, rane, lumache, riso, sale, ortaggi, pane buono, tartufi e pinoli di pineta, vini delle sabbie del bosco Eliceo Doc, mieli e melate, e altro ancora. Troviamo qui anche circa 200 ricette a tema di grandi chef.

Torte magiche 1 impasto, 1 cottura = flan + crema + pan di Spagna di Christelle Huet-Gomez - Bibliotheca Culinaria - 72 pagine - E 11,40 Non richiedono ingredienti particolari e non necessitano di attrezzature speciali, ma le torte di questo volume sono decisamente intriganti. Ognuna presenta ben tre strati dalle consistenze completamente diverse, create con un unico impasto: una base densa come un flan, un cuore cremoso e una finitura aerosa come un pan di Spagna.

Pane rustico Fatto in casa, senza macchina, nel forno tradizionale di Cathy Ytak - Bibliotheca Culinaria - 72 pagine - E 11,40 Una guida preziosa che elimina i timori verso gli impasti lievitati e permette anche ai neofiti di cimentarsi con il pane fatto in casa. Le ventotto ricette comprendono le dosi per diversi agenti lievitanti (lievito madre, lievito di birra, etc.) permettendo ad ognuno di scegliere la tipologia più adatta ai suoi gusti e alle sue necessità. Non mancano consigli per sperimentare con farine alternative (segale, castagne, mais, grano saraceno, kamut) per ottenere forme diverse e per preparare anche pani con aggiunta di frutta secca, formaggio, olive o semi vari.

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Mensile di economia e cultura del cibo, della ristorazione, dell’accoglienza

editore GOURMADIA s.r.l Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) - Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25791 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com Direttore responsabile: Elsa Mazzolini

CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

il piacere

della convivialità e della cultura

redazione Caporedattore: Maria Chiara Zucchi Impaginazione: Andrea Amadori Stampa: D’Auria Printing SPA - (AP) Webmaster: Giorgia Zucchi Redazione e centro di distribuzione in Gran Bretagna: ALIVINI Company Limited - London - Tel. +44 20 8880 2525

collaboratori Domenico Acconci, Nicoletta Acerbi, Paola Bernardi, Enza Bettelli, Daniele Briani, Teresa Cremona, Donato Creti, Giuseppe De Girolamo, Maurizio Di Dio, Luigi Filippi, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Eva Kottrova, Chef Kumalè, Giuseppe Lo Russo, Giovanni Mastropasqua, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Giancarlo Pastore, Alessia Pellegrini, Giacomo Pilati, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Salvatore Tuccillo, Primo Vercilli. Fotografi: Nikoboi, Pasquale Spinelli, StudioGraf, Lido Vannucchi Illustratori: Patrizia Zavatti

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Abb. Postale gr. III - Spedizione in A.P. 45%, art.2 comma 20/b legge 662/96, Fil. Forlì. Tassa Pagata. - Aut. del Trib. di Forlì n. 653 del 14/6/84, Registro Nazionale della Stampa n. 3822 del 3/7/1992 Iscrizione R.O.C. 29 agosto 2001 n° 10636




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