La Madia Travelfood n°345 Luglio/Agosto/Settembre (versione sfoglio online)

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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ANNO XXXVI Luglio/Agosto/Settembre 2020 - N. 345 - €E 4,00 Direttore ELSA MAZZOLINI

CHEF in OSPEDALE

Ecco come i grandi chef possono

invertire la rotta attuale

BERGAMO RIPARTE CON BOLLE

CLIMATE CHANGE

Come il clima sta cambiando il vino

LA MADIA EDITORE


Sommario - La Madia Travelfood n. 345 - Luglio/Agosto/Settembre 2020

GOURMETFOOD

di

Alessandra Meldolesi

pag. 26

GOURMETFOOD

di

Alessandra Meldolesi

pag. 34

UNO CHEF IN CORSIA

BERGAMO RIPARTE CON BOLLE

Ecco come i grandi chef posssono invertire la rotta attuale

Nell’era new normal

GOURMETFOOD

FASHIONFOOD

pag. 42

A POSITANO HVF VILLA FRANCA Un sogno sospeso tra mare e ecielo

di

Teresa Cremona

pag. 48

A SALERNO Giardini del Fuenti


Editoriale

Golavagando

Non e’ tutta colpa del covid...............................................pag. 5

Un viaggio nell’arte con la cena Dalì

La cultura del benessere

di Cristina Vannuzzi........................................................... pag.14

Dieta sana? Non è poi così difficile...

Camillo Benso ...................................................................pag.18

di Primo Vercilli............................................................... pag. 6

Gourmet food

La scelta vegana

A Milano riapre Langosteria Cafè....................................pag.56

Cucinare vegan una forma di attivismo a 360°

Shang Palace a Hong Kong

di Silvia Bianco................................................................. pag. 8

di Flavia Tomaello ............................................... ............ pag. 66

Il menu engineering

Vinaria

E’ giusto far pagare il coperto?

Il colore della crisi

di Lorenzo Ferrari............................................................ pag. 10

di Angelo Gaja.................................................................pag. 72

EVO - L’olio extravergine di oliva

Il vino al tempo del Covid

L’extra vergine dell’Emilia

di Alessandro Rossi.........................................................pag. 73

di Antonietta Mazzeo...................................................... pag. 12

VINARIA

di

Alessandro Rossi

pag. 72 IL PROSECCO SECONDO FOLLADOR

VINARIA

pag. 78 CLIMATE CHANGE

di

Gianluca Ricci



Editoriale di

Elsa Mazzolini

NON E’ TUTTA COLPA DEL COVID Taverna Colleoni, Ezio Gritti, Relais San Lorenzo, Porta Osio, Opera Sorisole, solo per citare i nomi più noti: Bergamo ha pagato il prezzo della pandemia anche sul piano della chiusura di numerose attività di accoglienza e ristorazione. Se Bergamo piange, Milano certo non ride: mentre Carlo Cracco sembra confermare la chiusura definitiva di Carlo e Camilla in Duomo, Filippo la Mantia, Heinz Beck e Alessandro Borghese annunciano la cessazione delle loro rispettive attività entro dicembre, Confesercenti stima che un locale su quattro in Italia non riaprirà più. Impossibilità a ristrutturarsi gestionalmente a causa del blocco dei licenziamenti, fatturati dimezzati, aumenti dei costi, pressione fiscale, non sono purtroppo gli unici problemi di un settore che nella maggioranza dei casi ha sempre vissuto alla giornata, sostenendosi solo con gli incassi quotidiani. Venendo a mancare questi, la debacle risulta inevitabile anche a fronte di uno Stato e di un sistema fiscale rapaci, con funzioni unicamente esattoriali. Ho la sensazione e il timore che, accantonati i timidi segnali positivi registrati nei mesi estivi, questo autunno potrebbe evidenziare problemi macroscopici. Inutile girarci intorno: senza misure eccezionali atte a cercare di mantenere in vita le piccole e medie aziende, e quindi l’occupazione, il futuro si preannuncia nerissimo. Occorrono aiuti concreti e immediati, piani di sviluppo, riconversione e digitalizzazione delle attività, smantellamento dell’eccesso di burocrazia: solo una società coesa e solidale che lavori insieme su obiettivi certi, potrà superare questa pandemia e le criticità che verranno. Purtroppo non aiutano una certa politica cialtrona e ladra, una società che massacra e marginalizza la cultura, i social aggressivi e ignoranti, l’endemico istinto di sopraffazione di molta gente, l’incuria dell’ambiente che abbruttisce le periferie, consuma voracemente il suolo, svilisce le bellezze naturali e architettoniche, inibisce la possibilità di sognare un futuro sostenibile. Ce la faremo? Non so: risulta chiuso anche l’ufficio pronostici...

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laculturadelbenessere a cura di Primo Vercilli - Medico Dietologo

DIETA SANA? NON E’ POI COSI’ DIFFICILE…

Facile? Difficile? È veramente così tanto impegnativo riuscire ad avere un’alimentazione sana? Senza entrare in particolari dibattiti su quale sia la dieta migliore, alla fin fine, qualsiasi dieta si scelga di fare, vi assicuro che ci sono pochi e inequivocabili punti che, se seguiti, ci permettono di avere un’alimentazione assolutamente salutare. Non ci credete? Prima di continuare a leggere questo articolo, fate un piccolo esercizio: scrivete qual è, secondo voi, il primo, fondamentale punto da applicare per avere una sana alimentazione.

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Una volta che lo avrete fatto, confrontate la vostra risposta con quanto è riportato tra le successive righe di questo articolo. Io penso che il 100% avrà dato risposte differenti rispetto alla mia! Qual è quindi il cardine principale di una sana alimentazione? Possiamo girarci in tondo quanto vogliamo, ma il primo punto non può essere che uno: evitare i cibi trasformati! Lo avevate pensato? Ebbene voglio elencarvi brevemente i motivi per cui non ci potrà mai essere una sana alimentazione se utilizziamo

frequentemente tali cibi. Innanzitutto, in molti cibi trasformati troviamo dosi eccessive di zuccheri aggiunti o, peggio ancora, di sciroppo di mais. Questo porta ad accumulare una infinità di calorie vuote, che non hanno minimamente valore nutritivo, ma solo “valore ingrassante”. Dobbiamo pensare che i cibi trasformati sono stati creati dall’industria alimentare per essere enormemente gratificanti per il nostro palato e il nostro cervello: l’industria alimentare, cioè, ha portato avanti il più grosso processo di mistificazione in campo nutrizionale. Ci ha fatto credere che ciò che è buono al palato è necessariamente buono per noi! Si è quindi concentrata (parlo sempre dell’industria alimentare) solo ed esclusivamente sulla palatabilità dei prodotti, senza minimamente preoccuparsi della salubrità. In tutto questo processo ha poi messo in atto altre mistificazioni, facendoci passare per buoni per noi i prodotti light e quelli senza olio di palma, manovre meschine per accreditarsi ai nostri occhi come un’entità (il soggetto è sempre l’industria alimentare) che tiene alla nostra salute! Eppure non sarebbe particolarmente d i f f i c i l e a cco rge r s i d i q u e s to : basterebbe guardare gli ingredienti contenuti in tutti i prodotti trasformati.


Gli alimenti trasformati contengono sempre conser vanti, coloranti, sostanze chimiche per accentuare il sapore, sostanze chimiche che conferiscono una texture particolare; in un solo prodotto possiamo trovare decine di sostanze chimiche! Non ci credete? Leggete le etichette della vostra barretta energetica che magari utilizzate come sostitutivo del pasto o come spuntino! Già la dicitura “aromi artificiali” vi deve mettere in guardia. Questa dicitura è una miscela proprietaria, cioè i produttori non sono tenuti a specificare quali e quante sostanze chimiche hanno utilizzato. Per ultimo, molti cibi trasformati, pur non contenendo zuccheri o aromi artificiali, molto spesso hanno eccessive quantità di sodio, che li rendono assolutamente dannosi per la nostra salute. In secondo luogo, molti cibi trasfo r m ati co nte ngo n o sp es so carboidrati raffinati: questo, anche senza aggiunta di zuccheri, porta a

maggiore carico glicemico, ma porta anche a nutrire in modo sbagliato la nostra flora intestinale batterica. Ma attenti: non lasciatevi ingannare neanche dalle diciture “cereali integrali”, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi si tratta sempre di prodotti che contengono farine miste. Non è tutto: la trasformazione industriale del cibo porta sempre ad un impoverimento nutrizionale. Spesso al prodotto vengono aggiunte vitamine sintetiche proprio per cercare di compensare la perdita di nutrienti av venuta durante la lavorazione. Più mangiamo cibi trasformati e più corriamo il rischio di andare in carenza di vitamine, minerali e oligoelementi. C’è dell’altro: i cibi trasformati sono più facilmente digeribili e, per questo, ci permettono di bruciare meno energia durante la digestione. Dovete sapere che noi, per digerire, bruciamo calorie (si chiama azione ter-

modinamica degli alimenti la caratteristica che ci permette di bruciare calorie a seconda delle caratteristiche del cibo che mangiamo); ebbene, le persone che consumano cibi trasformati bruciano la metà delle calorie (in fase digestiva) rispetto a coloro che non li consumano! Per finire: i cibi trasformati molto spesso contengono grassi TRANS, cioè grassi a basso costo e molto stabili, estremamente utili proprio per la preparazione di molti cibi trasformati. E qui l’olio di palma (che comunque non è un buon olio) non c’entra niente: anche l’olio di soia, se idrogenato, può causare gravi danni alla salute. E allora: facile o difficile fare a meno dei prodotti trasformati? Siete disposti a eliminare buste, scatole, scatolette, cibi light, barrette, ecc.? a voi la difficile risposta. Non abbiate comunque dubbi sul fatto che il primo, importante passo verso la salute è quello di evitare il più possibile questo tipo di prodotti!

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lasceltavegana a cura di Silvia Bianco - testimonial di cucina vegana

CUCINARE VEGAN: UNA FORMA DI ATTIVISMO A 360° LA CUCINA VEGETALE È UNA NECESSITÀ

Cucinare vegan non è la moda del momento, ma l’impellente necessità di perseguire un momento etico che mai come in questi momenti è essenziale. Un cambio che include non solo la sfera etica, ma anche salutistica del benessere, che coinvolge l’essere umano in primis come detentore delle sorti del Pianeta Terra e di tutti i suoi abitanti.

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È vero, la forza della natura, soprattutto nelle sue espressioni più violente, non è facilmente governabile dall’uomo, anzi sovente è l’uomo a subirla, ma spesso tutti gli eventi più catastrofici come uragani, incendi, a causa delle bombe d’acqua, terremoti, etc… avvengono a causa dell’attività dell’uomo che li conduce a forme sempre più aggressive.

DIMINUIRE CARNE E DERIVATI TREND IN CRESCITA SU SCALA MONDIALE Secondo un recente sondaggio della FMCG Gurus, un terzo della popolazione mondiale sta seguendo una dieta basata sulla moderazione o eliminazione di carne e derivati, prediligendo il consumo di prodotti vegetali


lasceltavegana

come frutta, verdura, legumi e le più o meno recenti proposte vegetali sul mercato, al fine di vivere in maniera più sostenibile e salutare. I pasti o snack vegetali devono contribuire alla riduzione degli sprechi ed al contempo essere genuini e semplici, ma senza rinunciare al gusto. La cucina vegetale è quindi di grande interesse a livello globale, tale da diventare il mezzo per il cambiamento, per riscrivere le tradizioni culinarie e proporsi come nuovo modello più consapevole. Cucinare vegan quindi non è solo unire sapientemente gli ingredienti, equilibrando i sapori e creando piatti gustosi, ma una forma di attivismo profondo, che trova nelle sue radici la ricerca di una convivenza pacifica tra tutti gli abitanti della Terra (umani e non).

ATTIVISMO CULINARIO “Siamo ciò che mangiamo” affermò il filosofo Ludwig Feuerbach. Ne consegue che siamo ciò che non mangiamo: scegliere di non consumare carne, pesce, uova, latte e derivati apre i nostri orizzonti per un futuro di vita ad un livello superiore, il rispetto di ogni essere vivente è un cambiamento che eleva la nostra natura, praticare la non violenza, sarà la chiave per l’avvenire dei nostri figli. Cucinare vegetale e quindi abbandonare sfruttamento e violenza, è quindi un’espressione di attivismo etico, che ci obbliga ad essere soggetti attivi nel fare acquisti e in ciò che mangiamo, ad interrogarci su quali fonti di cibo sano migliori per noi, sulla loro provenienza e quale impronta ecologica può avere un prodotto, quale la più salubre e sostenibile, scegliendo di privilegiare le filiere corte e più etiche. Essere proattivi dal carrello nel supermercato e ai fornelli, a come prepariamo i piatti per le nostre tavole è fondamentale. I professionisti della

cucina vegetale e cruelty free assumono un ruolo essenziale in questo momento, perché anche grazie a loro è in atto la rivoluzione in cucina. Grazie al loro studio sugli ingredienti, sui metodi di lavorazione e cottura stanno riscrivendo i fondamenti per una cucina di INCLUSIONE, che non dimentica la tradizione e che stringe la mano ad innovazione e gusto, includendo genuinità e salubrità, abbandonando la violenza e lo sfruttamento.

LA CUCINA VEGETALE PER L’ARMONIA TRA I POPOLI, PER LA SALUTE E L’AMBIENTE Hitoshi Sugiura, executive chef giapponese di Onodera Group sostiene che la cucina vegan deve nutrire con gusto ed essere alla portata di tutti: una cucina sociale. L’azienda per cui lavora fornisce pasti in oltre 2.300 strutture da Hokkaido a Okinawa, come mense per dipendenti in uffici e fabbriche, dormitori, scuole, impianti sportivi, case di cura, ospedali, asili nido e strutture per persone con disabilità. Il progetto “1000 Vegan Project” è un’iniziativa portata avanti da Hitoshi Sugiura per fornire cucina vegana ad almeno 1000 di queste mense.

Al momento sono già impegnati nel fornire cucina vegetale a ben 276 case di cura per anziani e disabili e gradualmente diffonderanno questo progetto 100% veg a tutte le mense delle altre aziende, di cui una nota casa automobilistica giapponese, ad esempio, che ha già organizzato eventi privati in cui la cucina vegetale di è stata molto apprezzata. Hitoshi Sugiura ha lavorato negli Stati Uniti per Joachim Spritchar, fondatore del Patina Restaurant Group: durante un evento nel 2009, rimase impressionato dalla diversità di cibo vegetariano, vegano, halal presente contemporaneamente sulla stessa tavola, con commensali provenienti da paesi diversi che rispettavano reciprocamente le culture di ciascuno. Rientrato poi in Giappone nel 2013, decise di fondare una scuola di cucina vegana, per diffondere maggiormente questa realtà in Giappone. Nel 2017 è stato selezionato come uno dei migliori 8 chef del concorso mondiale di cucina vegetariana “The Vegetarian Chance” in Italia e nel 2019 ha ricevuto il primo “Chef Award” al “Vegetarian Award” in Giappone.

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ilmenuengineering a cura di Lorenzo Ferrari - Direttore Marketing di RistoratoreTop

È GIUSTO FAR PAGARE IL COPERTO?

La premessa è che in questa sede non ci interessa indagare le ragioni storiche della voce “coperto”, né ci interessa giustificarlo o meno sulla base del fatto che sia ormai una consuetudine ben radicata, ma ci interessa stabilire se sia “giusto” o “sbagliato” dal punto di vista percettivo del cliente finale. La domanda che ci poniamo è quindi: “com’è percepito il coperto da chi lo paga?” Il coperto è percepito come una tassa. Così come è percepita come una tassa il “service charge” all’estero, ben diverso dalle sacrosante “tips”, le mance, che riteniamo giuste perché a totale discrezione di chi le dà. Perché è percepito come una tassa? Si perdoni la facile ironia, ma le analogie sono tante: lo paghiamo perché dobbiamo, non perché vogliamo, non capiamo bene cosa otteniamo in cambio, non è detto che staremmo meglio

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“senza” che “con” e l’unica certezza che abbiamo è che ci sarebbe piaciuto devolvere l’equivalente della spesa in altro. Tuttavia, è lecito porsi un’altra domanda: “C’è qualche cliente che sceglie un ristorante o un altro in funzione del fatto che uno applichi il coperto e l’altro no?” La risposta è no. E se la risposta è sì, ci sono altri problemi che nulla hanno a che fare con il coperto, ma spesso con la percezione del ristorante stesso, che è talmente bassa che sono i pochi euro della voce coperto a influire sulla scelta da parte del cliente. E ancora: “C’è qualche cliente che non sceglie un ristorante la seconda, la terza e la quarta volta perché ha pagato il coperto?” Ancora, no. E se sì, ci sono anche in questo caso altri problemi ben più gravi del coperto. In sintesi, non esiste nessuna buona ragione per imporre il coperto, per

il semplice fatto che non esiste quel cliente che lo percepisce come un reale vantaggio. Tuttavia, se lo si continuerà ad imporre, praticamente nulla cambierà sul vostro bilancio e i vostri clienti saranno comunque ben felici di scegliervi, perché il coperto NON è una variabile fondamentale sulla base della quale i clienti scelgono un ristorante o un altro. È realmente un elemento così insignificante per l’esperienza del cliente che non ha praticamente effetto sulla stessa. E il fatto che esistano ristoranti “di successo” che applicano o meno il coperto lo dimostra. Certo, se lo si impone, magari su base percentuale si troverà qualcuno che si indignerà e punterà il dito, ma se si è disposti a correre un rischio del genere… ...Va bene così.


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olioextraverginedioliva a cura di Antonietta Mazzeo - Tecnico ed Esperto degli Oli d’Oliva Vergini ed Extravergini

L’olio che non ti aspetti

L’EXTRAVERGINE DELL’EMILIA L’Emilia-Romagna dispone di un patrimonio olivicolo importante dal punto di vista economico, storico, sociale e paesaggistico. La disponibilità di una ricca piattaforma varietale, le particolari condizioni microclimatiche che caratterizzano alcuni areali della regione e la sinergia tra ricerca e filiera produttiva, hanno contribuito alla valorizzazione e al miglioramento delle produzioni di olio extravergine di oliva.

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L’olivicoltura è maggiormente diffusa in quella parte di regione nota come Romagna, più precisamente in alcuni territori delle province di Rimini, Forlì-Cesena e Ravenna, ma è interessante sottolineare come nell’ultimo decennio la coltivazione dell’olivo ha trovato microambienti favorevoli anche nel versante occidentale della regione interessando così anche le province emiliane, di Bologna. Modena,

Reggio Emilia, Parma e Piacenza. L’olivo è presente prevalentemente nella fascia collinare tra i 150 e i 600 s.l.m., zone in cui il microclima consente la coltivazione dell’olivo, spesso in esemplari isolati, ma anche in gruppo a distanza regolare, a dimostrazione di una loro razionale coltivazione nel passato. La documentata presenza storica, di un’antica olivicoltura sul territorio emiliano, pur se sporadica,


olioextraverginedioliva

indica quindi la possibilità di un rilancio per la produzione di olio con caratteristiche qualitative di pregio. La rinnovata diffusione dell’olivicoltura da olio nelle province emiliane costituirebbe, quindi, il recupero di una produzione della passata tradizione agricola, e offrirebbe la possibilità di ampliare il paniere dei prodotti agroalimentari del territorio. Oggi stiamo assistendo alla nascita di nuovi impianti e sono sempre più numerosi gli agricoltori interessati a questa coltura, soprattutto in aree marginali dove altre colture arboree o arbustive sarebbero poco convenienti. Dallo studio dei siti di ritrovamento degli antichi olivi, i ricercatori dell’Università hanno potuto stabilire, per il territorio interessato, la vocazione ad ospitare l’olivo. Alla fine di una complessa serie di elaborazioni hanno prodotto delle carte tematiche su cui è possibile leggere, per ogni provincia dell’Emilia occidentale, la potenzialità di piccole aree atte ad ospitare la coltivazione della specie, offrendo

la possibilità di riportare in produzione selezionate tipologie di ulivi produttivi soprattutto per olio, come la Colombina, il Correggiolo e altre cultivar, da cui si ottengono oli molto differenti per intensità e caratteristiche se lavorati in blend (tipologie diverse di olive) o singole monocultivar (una sola tipologia di olive).

Farneto cultivar della provincia di Bologna Da cui si ottiene un olio extravergine fruttato medio/intenso. Sia all’olfatto che al gusto si percepiscono profumi di oliva, note chiare di mandorle, pomodoro, mela e carciofo. Sentori di amaro e piccante in equilibrio. Gli ultimi dati ufficiali fotografano una situazione che vede l’olivo presente in Emilia-Romagna in numero complessivo di piante pari a oltre 1.300.000 unità che occupano una superficie approssimativa di circa 4.000 ettari, (considerando una densità media di circa 320 piante\ettaro). Di questi, le circa 135.000 piante e i circa 400 ettari, attestano la costante crescita dell’Emilia, dato che lascia ben sperare per il futuro. Negativi, invece, i dati relativi alla produzione di olio di oliva della campagna olearia 2019, che è stata caratterizzata da una considerevole diminuzione, derivante dalle variazioni climatiche, che hanno portato, in alcuni areali, anche al mancato raccolto delle olive. Il quadro complessivo che emerge dall’analisi dei dati strutturali è quello di una coltura che, sebbene concentrata in una ristretta area di coltivazione, rappresenta una peculiare risorsa ambientale, in grado di fornire un alto pregio paesaggistico e una sostanziale valenza economica. La rilevanza economica è dovuta soprattutto alla elevata qualità dell’olio prodotto, sia in termini chimici che organolettici.

LE PRINCIPALI CULTIVAR DELL’EMILIA-ROMAGNA • Bianello • Capolga di Romagna • Carbunciòn di Carpineta • Colombina • Correggiolo di Villa Verucchio • Correggiolo Pennita • Cortigiana • Farneto • Fiorano • Frantoio di Villa Verucchio • Ghiacciolo • Ghiacciolo Casalinetto • Grappuda • Leccino • Montelocco • Montericco • Moraiolo • Nostrana di Brisighella • Orfana • Pendolino • Quarantoleto • Rossina • Selvatico

Le nuove generazioni di olivicoltori e frantoiani emiliani guardano indietro, alla tradizione, e affrontano il quotidiano con lo sguardo rivolto al futuro, senza improvvisazioni di genere, ed ecco … l’olio che non ti aspetti, l’extravergine dell’Emilia. Ma ciò che ancora purtroppo grava, in alcuni casi, sulla qualità finale del prodotto è l’approssimativa conoscenza e attuazione dei moderni processi di lavorazione, su cui incide in modo significativo la carenza di frantoiani preparati, capaci di utilizzare la tecnologia a beneficio della qualità. L’ulivo può rappresentare, per l’Emilia, non solo una risorsa ambientale e culturale, ma un elemento, se destinato alla produzione di un olio di qualità, di primaria rilevanza economica. Extravergine si nasce… non si diventa!

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Golavagando di Cristina Vannuzzi Foto di Franco Raineri

A REGGIO CALABRIA

UN VIAGGIO NELL’ARTE CON LA CENA DALI’ RACCONTARE LE OPERE D’ARTE ATTRAVERSO I PIATTI: UNA NUOVA SFIDA DELLO CHEF FILIPPO COGLIANDRO CHE, CON UNA CENA DEDICATA AI DIPINTI DI SALVADOR DALÌ, HA LANCIATO UN’INIZIATIVA VOLTA A CONTRIBUIRE AL RESTAURO DI OPERE D’ARTE A REGGIO CALABRIA.

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Pasta Franco-Italiana Ricetta per 6 persone

INGREDIENTI

3 cucchiai di burro 1 cespo di indivia succo di un limone g. 300 di spaghetti 2 rametti di timo 1 foglia di alloro 1 cucchiaio di salsa di pomodoro 6 cucchiai di panna g. 100 di caciocavallo di Ciminà 2 tuorli olio extravergine d’oliva Ottobratico q.b.

“L’A Cena Dalì”, un mondo onirico per un incontro fra cibo e surrealismo: è l’ispirazione che Filippo Cogliandro ha avuto durante la stasi del lockdown, un’occasione per reinventarsi e dare il via ad un sogno, quello di dare la parola alle opere d’arte attraverso i piatti della sua cucina. Le sontuose cene imbandite da Salvador Dalì e sua moglie Gala, leggendari momenti a tavola, sono stati scoperti in un libro di ricette che Dalí pubblicò nel 1973, “Les dîners de Gala”, nel quale svelava alcuni dei segreti sensuali, fantasiosi ed esotici che animavano le loro magnifiche feste. La ristampa del volume originale comprende tutte le 136 ricette illustrate appositamente da Dalí, suddivise in 12 capitoli e organizzate secondo l’ordine delle portate, senza dimenticare gli afrodisiaci, appropriatamente riuniti sotto il titolo di “Je mange Gala”: cibo e surrealismo illustrati come amanti appassionati impegnati fra sesso e aragoste, collage e cannibalismo, l’incontro tra un cigno e uno spazzolino da denti su una base per pasticcino. Oggi l’editore Taschen rende nuovamente disponibile al grande pubblico questa rarità, presentando un’opera

sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE Lavare e mondare l’indivia prima di tagliarla a lamelle finissime. Disporla a mano a mano in una teglia con il succo di limone. Salare, pepare, mescolare bene e coprire con carta d’alluminio. Infornare a 120° per 1 ora. Sciogliete il burro in una padella con 1 cucchiaio di pomodoro. Lasciare cuocere il pomodoro, rimestando, quindi aggiungere la panna. In un tegame versare i tuorli. Quando gli spaghetti sono pronti, scolarli e versarli nel tegame. Amalgamare con la panna e rimestare con due forchettoni. Unire poi le indivie e, poco per volta, il Caciocavallo di Ciminà. Servire subito

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Golavagando

Timballo ‘’Eliseo’’

Originale con gelato vaniglia (Variante gelato vanigliato al Bergamotto di Reggio Calabria) E’ costituito da una coppetta di pasta croccante guarnita con una sfera di gelato alla vaniglia che viene ricoperta di frutta di stagione: fragole, lamponi, mirtilli, more ecc. Si decora il bordo interno della coppetta con un giro di panna montata, il tutto ricoperto da una gabbia di fili di zucchero.

PER LA PASTA FROLLA: INGREDIENTI

g. 250 di farina 00 g. 50 di fecola di patate g. 100 di zucchero a velo g. 140 di burro morbido 2 tuorli d’uovo 1 cucchiaino di estratto di vaniglia o vanillina

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PREPARAZIONE In un recipiente abbastanza capiente o in planetaria, mescolare la farina, lo zucchero a velo e la fecola di patate. Aggiungere il burro a pezzi e iniziare ad impastare fino ad ottenere un composto sabbioso. Aggiungere i tuorli d’uovo e la vaniglia o vanillina. Impastare il tutto fino ad ottenere un panetto omogeneo di pasta frolla, avvolgerlo nella carta pelli-

cola e lasciarlo riposare in frigo per un’ora. Una volta riposato, stendere la frolla su un piano da lavoro infarinato e, con un tagliapasta del diametro di 10 cm. ricavare dei dischi. Appoggiare i dischi su uno stampo sollevato posto al contrario e infornare a 180° per circa 15 minuti. Una volta sfornati e raffreddati, staccare delicatamente i cestini ottenuti dallo stampo e lasciarli raffreddare completamente.


GELATO VANIGLIATO AL BERGAMOTTO DI REGGIO CALABRIA Per 700 grammi INGREDIENTI

g. 450 di latte intero 1 bacca di vaniglia g. 120 di panna semi-grassa g. 90 di saccarosio g. 35 di destrosio g. 4 di farina di semi di carrube (1cc) 1 buccia di bergamotto di Reggio Calabria g. 35 di polpa di bergamotto di Reggio Calabria

PREPARAZIONE Mettere le bucce di bergamotto in infusione a freddo per 24 h nel saccarosio mescolato al destrosio per tirare fuori gli oli essenziali. Porre in infusione la bacca di vaniglia nel latte. Scaldare il latte con il mix di saccarosio e destrosio aromatizzato al bergamotto. Aggiungere la panna e la farina di carrube quando il latte sarà tiepido. Portare a 85° per alcuni minuti senza smettere di mescolare. Far freddare il composto e mantecare in gelatiera per il tempo che servirà.

d’arte, un pratico ricettario e un’avventura multisensoriale dai ritmi lenti e languidi, una scoppiettante follia condita da fantasia e intelligenza. E lo chef Filippo Cogliandro si ispira all’artista catalano per raccontare la sua Calabria, esplorando le declinazioni del bergamotto di Reggio Calabria, della patata aspromontana e delle erbe aromatiche mescolate a mare e a terra e trasformate in pennellate di gusto, creando così il primo grande evento di cucina e pittura, “L’A Cena Dalì”, seguito dal direttore artistico Elisabetta Marcianò. Una sala del Ristorante L’A Gourmet L’Accademia è diventata una sala espositiva di opere originali del Maestro Salvador Dalí, opere che fanno parte della collezione dell’editore Maurizio Gagliano, che detiene in esclusiva mondiale circa 70 immagini del maestro surrealista. La mostra è stata arricchita dalla proiezione di video del mondo Dalì, ma nel rispetto delle norme covid-19 è stata visitata solo dagli ospiti della cena. Il progetto, “L’A Cena Dalì” rientra pienamente nella mission di Filippo Cogliandro, quella di creare un corridoio sinergico fra istituzioni, mondo dell’associazionismo e realtà della ristorazione per promuovere la rinascita della città, in una economia circolare che possa permettere alle aziende e alla città di ripartire anche dal punto di vista economico. Come afferma lo chef: “La cultura del bello riscatta e fa muovere anche l’economia”. L’A GOURMET L’ACCADEMIA - Via Largo Cristoforo Colombo, 6, 89125 Reggio Calabria (RC) - www.laccademia.it

GABBIA DI FILI DI ZUCCHERO g. 200 di zucchero e 40 di glucosio per 6 gabbie. Scaldare lo zucchero a 145/150 °C, facendolo poi filare in fili il più sottili possibile sulla parte convessa di un mestolo della dimensione desiderata.

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Golavagando

A MILANO

Camillo Benso

celebra il matrimonio tra Sud e Nord Italia Piazza Cavour 2, Milano, a due passi dal quadrilatero della moda. Si trova qui, nello storico Palazzo dell’Informazione, il Ristorante Camillo Benso che, attraverso la sua proposta culinaria, fa incontrare due realtà gastronomiche molto diverse del Bel Paese: quella settentrionale e quella meridionale. Un menu, infatti, quello di Camillo Benso, che ripercorre i sapori della cucina mediterranea, passando per il capoluogo campano, proponendo quindi la pizza cotta e preparata secondo la tradizione napoletana, ma facendo anche tappa nella cucina tradizionale lombarda con la proposta di alcuni dei piatti tipici, come l’ossobuco, che hanno fatto la storia della città meneghina.

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“Abbiamo voluto sottolineare l’unione di due realtà italiane”, spiega il titolare Antonio Fantini, “anche attraverso la scelta del nome del ristorante, che rende omaggio a uno degli artefici del grande sogno italiano, appunto, Camillo Benso Conte di Cavour”, conclude. Una connessione piacevolmente sottolineata anche dall’architettura e dagli interni eleganti dal sapore retrò.

CAMILLO BENSO Palazzo dell’Informazione, Piazza Cavour, 2 Milano - Tel. 02 4537 7630 www.camillobenso.it


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GourmetFood di Alessandra Meldolesi

uno chef

in corsia “Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo”, scriveva Ippocrate, fondatore della medicina scientifica, nel IV secolo a.C. Eppure da sempre, nel luogo della salute per antonomasia, l’ospedale, l’alimentazione ha assunto connotazioni basiche, quando non apertamente punitive. È il cosiddetto cibo “ospedaliero”, per l’appunto, evocativo di un’ingiustificata mortificazione dei sensi. L’alta cucina, d’altro canto, è attenta ai temi del benessere almeno dai tempi della nouvelle cuisine e di Michel Guérard. Ed è stato proprio il grande chef d’oltralpe a firmare il primo progetto di collaborazione con una struttura ospedaliera, il CHU di Tolosa, nel 2010, do-

“La cena tipo negli ospedali è una follia nutrizionale. Occorre mangiare bene per sconfiggere il male”. Maria Rosa di Fazio - Oncologa

Ecco come i grandi chef possono invertire la rotta attuale.

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GourmetFood

po aver lanciato nel 2008 il concetto di “école de cuisine de santé”, dove possono formarsi anche i cuochi delle strutture ospedaliere. Mentre in Germania ci ha pensato Patrick Wodni, che ha addirittura lasciato il ristorante stellato Nobelhart & Schmutzig per prendere in mano la cucina dell’Havelhöhe di Berlino: grazie alle economie di scala, riesce a servire un pasto di ortaggi bio e carni al pascolo (ma solo 3 volte a settimana) al costo medio di 4,74 euro. In genere gli ospedali dispongono di una cucina centralizzata oppure appaltano a privati, poi ci sono casi in cui la proprietà della struttura coincide con quella dell’azienda che la serve (è il caso di Giomi/Gioservice). Nelle gare d’appalto una giornata alimentare, comprensiva di tutti i pasti, di solito si assesta attorno ai 10-15 euro. Ed è una compatibilità stringente, come pure la formazione del personale, che un manipolo di chef di fama ha tentato di aggirare attraverso il knowhow dell’alta ristorazione. Vediamo come.

IN - intelligenza nutrizionale

Il progetto “Reale” di Niko Romito Si chiama “IN-Intelligenza Nutrizionale” il progetto concepito da Niko Romito in partnership con il Dipartimento di Scienza dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana della Sapienza e il gruppo Giomi/Gioservice presso il Cristo Re e Villa Betania a Roma. Forse l’esperimento più approfondito e organico in materia, nonché il più longevo, messo a punto nel 201516 e operativo dal 2017. Prevede l’applicazione alla ristorazione collettiva di concetti e tecniche sviluppati al Reale, al fine di ottimizzare gusto e valori nutrizionali, senza perdere di vista le compatibilità di budget. “Lo definirei un progetto rivoluzionario, socialmente utile, reale perché sarà immediatamente

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applicato”, rivendica orgoglioso il grande chef abruzzese. “Le caratteristiche organolettiche e nutrizionali dei nuovi menu sviluppati, la standardizzazione e replicabilità delle ricette sono fondamentali, ma ciò che mi rende particolarmente felice è il pensiero che il paziente potrà affrontare l’esperienza ospedaliera in maniera diversa e che Intelligenza Nutrizionale diventerà parte integrante del suo percorso di cura, oltre che un prezioso strumento di educazione alimentare. Si tratta di un protocollo che include tecnologie, professionalità, gastronomia e formazione, contribuendo a definire una nuova figura del cuoco di mensa. Tutto è nato da Lorenzo Miraglia (a lato nella foto con lo chef), proprietario del gruppo Giomi, che da cliente del Reale ha intravisto nel piatto un’insolita attenzione per il benessere e nel metodo di ricerca praticato da Romito, applicabile

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anche alla cucina industriale, nuove potenzialità per la ristorazione collettiva. Ma fin dal principio non si è trattato di semplici menu: nel mirino è finita la trasformazione anche gestionale dell’intera catena ristorativa. Sono tornati utili all’uopo la metodologia sviluppata per la produzione di semilavorati e la standardizzazione delle ricette, che sono state proposte con costi e materie prime invariati. Sfida questa non da poco. Fondamentale anche la valutazione ex post, affidata ad Analysis Group. La prima fase è consistita nello studio dei menu precedenti, con particolare attenzione per la ripetizione di ingredienti anche in diverse funzioni. Quindi la reingegnerizzazione per composizione (quali parametri piacevolezza, varietà e consistenze), realizzazione (attraverso ricette protocollate e semilavorati prodotti in loco), fruizione (in termini di ottimizzazione del servizio, tenuta

delle cotture e fruibilità da allettati), sostenibilità grazie alla riduzione degli scarti e del calo peso in cottura. La terza fase ha comportato la misurazione del potenziale antiossidante e antiinfiammatorio, del contenuto di macro e micronutrienti nel cibo crudo e cotto. Ha portato all’elaborazione di un parametro specifico, che misurasse il contributo alla salute attraverso il rapporto fra valore antiossidante e valore proossidante, pari o superiore a 10. Quindi il test di somministrazione, l’elaborazione di un protocollo, la fase conclusiva di riprogettazione delle cucine e formazione del personale. In pratica sono stati attuati il contenimento dei grassi, l’eliminazione di semilavorati industriali, la valorizzazione della stagionalità e delle usanze condivise, come gli gnocchi il giovedì e il pesce il venerdì, con un’attenzione particolare per l’elaborazione di alimenti prepor-


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zionati da rigenerare brevemente al momento. I risultati sono stati eclatanti: grazie ai protocolli di IN la perdita di sostanze antiossidanti è stata in media inferiore al 7%, la produzione di proossidanti prossima allo 0, di contro al 30 e al 20 dei metodi convenzionali. Ed è un set di procedure standard replicabile in qualsiasi cucina ospedaliera. “Il dato più significativo è il giudizio dei pazienti. Lo score che danno alla qualità del servizio è migliorato”, commenta dal canto suo il professor Lorenzo Maria Donini. “I dati di biochimica dimostrano che il trattamento delle derrate alimentari ne ha migliorato il profilo nutrizionale, senza cambiare personale, costi e materie prime. Siamo riusciti a smentire che negli ospedali si mangi male e proseguiamo su questa strada. Il prossimo obiettivo è passare ad altre strutture dello stesso gruppo e non, anche scolastiche, tramite gare d’appalto”.

intervista

a Niko Romito

La tua esperienza è la più completa mai compiuta da uno chef in un ospedale. Perché il protocollo IN interessa tutte le fasi della filiera, dalla produzione al servizio, fino alla conservazione e alla gestione degli scarti. Si fonda su 7 tecniche principali: freddo, sottovuoto, salamoia, vapore, bassa temperatura, alta temperatura con pellicola di amido, gel di amido. A queste abbiamo aggiunto un’importante prassi di recupero degli scarti che, unita alla notevole riduzione del calo di peso degli alimenti in cottura ottenuta grazie alle tecniche utilizzate, ha consentito addirittura di recuperare qualche punto positivo sul food cost complessivo. Abbiamo previsto una diversa organizzazione delle cucine, funzionale alla nuova modalità di produzione basata su semilavorati, preparazione di basi e utilizzo di strumenti e metodi di cottura tipici dell’alta ristorazione e abbiamo adottato un nuovo carello Burlodge che consente di trasportare gli alimenti a temperatura controllata fino a destinazione (la distanza tra la cucina e i vari reparti può essere notevole nelle strutture ospedaliere di grandi dimensioni). Quali sono i prossimi obiettivi del progetto? Il valore scientifico di IN è stato riconosciuto a livello accademico nazionale (l’Università la Sapienza di Roma è stata partner sin dalla prima ora) e internazionale. Nelle raccomandazioni FAO per una dieta mediterranea sostenibile il nostro progetto viene citato come esempio di applicazione di una dieta mediterranea sostenibile nella ristorazione collettiva. Siamo partiti in due ospedali romani con 250 pazienti. Ma l’applicazione è possibile in tutte le filiere di ristorazione collettiva: scuole, carceri, mense aziendali, quale strumento per combattere malnutrizione, obesità, insufficienza nutrizionale, scarsa sicurezza alimentare. Immaginiamo se tutte le mense collettive offrissero pasti davvero nutrienti, buoni e in grado di educare a mangiare meglio: l’impatto sul sistema sanitario nazionale e sullo stato di benessere dei cittadini sarebbe enorme! Ecco il nostro obiettivo: portare Intelligenza nutrizionale ovunque e trasformare radicalmente la ristorazione collettiva così come l’abbiamo conosciuta finora. C’è stato un feedback sul Reale? Indubbiamente sì. In questo progetto per la prima volta sono state effettuate delle analisi comparative sugli alimenti prima e dopo la trasformazione: parlo di analisi di laboratorio complesse, non proprio usuali per un ristorante. Questo ha dato ulteriore fondamento al nostro lavoro e ha creato una consapevolezza ancora più profonda della qualità di ciò che stavamo facendo. Intelligenza Nutrizionale si compone di una serie di protocolli e basi per preparare piatti buoni, economici, sostenibili e nutrienti su larga scala: per arrivare a questo risultato abbiamo ottimizzato al massimo i processi di lavorazione, riducendo al minimo le variabili che potessero influire negativamente sul rispetto degli standard nutrizionali e delle linee guida del Ministero per la Salute. Questo lavoro ha portato benefici anche all’interno del Reale, la cui forza sperimentale è stata il motore dell’intero progetto. Inoltre, da questa ricerca è nato il marchio “Metodo Niko Romito”, divisione specializzata nell’applicazione di nuove tecnologie alla cucina industriale (con la produzione di semilavorati di altissima qualità) e nell’elaborazione di protocolli innovativi per lo sviluppo di menù dedicati alla ristorazione collettiva.

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Diamo gusto

alla salute

Luca Marchini docet

È iniziata nel 2017 la collaborazione di Luca Marchini con il Carlo Poma di Mantova, che si è formalmente conclusa nello scorso mese di giugno. “Ma le linee guida stabilite con la responsabile sanitaria Consuelo Basile continuano a essere operative. All’inizio faticavo a capire la

ristorazione collettiva. Mi chiedevo quale potesse essere il mio ruolo, dove venivano serviti mille pasti al giorno. Nelle loro intenzioni, si trattava semplicemente di migliorare la qualità del pasto, rendendolo un po’ più appetibile: dare da mangiare non bene, ma piacevolmente, in modo leggero e nutrizionalmente corretto. Per questo era necessario che passasse un concetto di cucina espressa, insieme all’ottimizzazione delle capacità degli operatori grazie alla riorganizzazione. Abbiamo iniziato dai prodotti, eliminando i fiocchi di patata per il purè e i dadi per il brodo, che ingombravano i magazzini, dimezzando i surgelati, diminuendo l’impiego di burro e abbreviando i tempi di preparazione del soffritto o di cottura

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degli ortaggi. Il capitolato obbliga a stare dentro certi prezzi, così abbiamo cominciato a preparare tutto in casa. Non c’erano più il cordon bleu o la polpetta pronta. E parlo di 120 chili di macinato. Il minestrone si faceva con le verdure aggiunte al momento giusto. Insieme alla nutrizionista Chiara Bassi abbiamo approfondito le combinazioni fra alimenti, quindi niente patate con i carboidrati, piselli con la carne o fagioli con le proteine. Il lavoro più grande è stato riorganizzare la cucina, cominciando dalle basi, i brodi di carne e di verdure. Poi c’era la mensa per 350 dipendenti. Lungo le corsie il personale ai carrelli doveva essere in grado di distribuire le quantità corrette e rispettare le catene del caldo e del freddo, senza aspettative eccessive. Ho cominciato a riorganizzare i momenti di uscita, per esempio la pasta non veniva più interamente cotta alla mezza e stipata negli armadi caldi, effetto minestrone, ma scolata ogni mezz’ora. Ci ho messo quasi 5 mesi per tirare fuori le prime ricette, tutte molto semplici. Passavo un paio di volte a settimana semplicemente per dialogare e farmi accettare, poi ho coinvolti tutti i cuochi e gli addetti nella ridefinizione del menu. Negli ultimi tempi ci siamo perfino ritrovati con la cucina chiusa per fare corsi di formazione: i brodi, le salse madri eccetera. Ma non ho mai trattato le diete speciali, che sono un apparato a parte. È stata un’esperienza coinvolgente, che tuttavia non ha influenzato il mio lavoro: all’Erba del Re sono sempre stato molto attento alla digeribilità e ai valori nutrizionali, ai prodotti e alle loro combinazioni. Tenendo presente che la gente in una serata speciale nutre un altro genere di aspettative”.

Cucinare per il benessere

La missione di Heinz Beck

Heinz Beck è lo chef che in Italia ha maggiormente approfondito le problematiche nutrizionali, della salute e del benessere nell’alta cucina, gomito a gomito con medici e ricercatori dal 2000 a oggi. Il suo non è stato un interessamento estemporaneo e mediatico, ma piuttosto una missione, talvolta anche una pista di ricerca e un metodo creativo, con ricadute sulla cucina della Pergola, sempre più attenta alla digeribilità e al benessere nelle tecniche e nella gestione dei prodotti. Al punto che nel marzo 2018 gli è stata conferita la laurea in Bioenergie naturali da parte dell’Università popolare di Arezzo. Il 2019 è stato un anno particolarmente intenso sotto questo profilo. Nel mese di gennaio è uscito il calendario Le Ricette della Salute, promosso da Sanofi in collaborazione con Federfarma e distribuito ai farmacisti aderenti sul territorio nazionale, contenente 12 ricette salutari che possono essere facilmente eseguite in casa. Con la collaborazione scientifica dei professori Antonio Ceriello e Gabriele Riccardi, Beck ha quindi pubblicato il libro Diabete & Alimentazione, strumento di coscienza e conoscenza della malattia diabetica. Elenca menu che rispettano le regole nutrizionali suggerite dal nutrizionista nell’alimentazione quotidiana del paziente diabetico. Il libro è stato presentato alla Pergola e a

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Milano, durante un convegno organizzato da Salute Direzione Nord, spin-off della manifestazione Italia Salute Nord. A novembre infine la Beck&Maltese Consulting ha inaugurato il Campus Principe di Napoli, in collaborazione con UniPegaso, di cui, oltre che docente, Heinz Beck è Direttore Scientifico. Si tratta della prima Università Gastronomica e Centro di Alta formazione e specializzazione universitaria, con focus sulla gastronomia e sul turismo. Sono diversi i corsi incentrati sul tema “salute”, fra cui Alta Cucina Italiana, Alimentazione Personalizzata (direttore scientifico il professor Mauro Minelli) e Cucinare per il benessere. Per quanto riguarda le collaborazioni ospedaliere e non accademiche, c’è stato nel 2014 il progetto Gemelli@Fornelli, per l’assistenza post ospedalizzazione in tandem con il policlinico Gemelli di Roma. Con il professor Giacinto Abele Miggiano, in particolare, sono stati approfonditi diversi temi, dal rapporto fra alimentazione e salute del cuore alla dieta nelle diverse fasi della vita femminile; con il professor Adolfo Panfili l’oscillazione insulinica post pranzo, sempre nel tentativo di conciliare guarigione ed emozione. Il sito gemellifornelli.it fornisce tuttora un’assistenza interattiva sulle problematiche nutrizionali, con la possibilità di inviare domande specifiche al team di medici e cuochi. Nel giugno 2019, infine, Beck ha preso parte al progetto “Special Cook”, serie di laboratori di cucina per pazienti di oncologia pediatrica tenuti al Gemelli di Roma, dedicati alla memoria dello chef Alessandro Narducci.

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Ricciola

marinata agli agrumi, guacamole con macaron di soya Chef: Heinz Beck

INGREDIENTI per 4 persone

Per la marinata di agrumi: g. 100 di lemon grass, g. 50 di zenzero, ponzu mirin, sake, aceto di riso, salsa di soya, succo di yuzu, acqua, zucchero, peperoncino di Espelette. Per la ricciola: g. 200 di ricciola, marinata di agrumi. Per la guacamole: 3 avocado, succo di 1/2 lime, 10 gocce di Tabasco, g. 15 di cipolla rossa tritata, concassè di 6 pomodori, olio extravergine d’oliva, sale, pepe fresco. Per la meringa di soya: g. 20 di albumina in polvere, g. 20 di zucchero, g. 90 di albume d’uovo, g. 40 d’acqua, g. 30 di salsa di soya, sesamo tostato al gusto di wasabi. Per i ravanelli e lamponi in carpione: 4 ravanelli, 20 lamponi, g. 225 di acqua, g. 225 di vino bianco, g. 225 di aceto balsamico bianco, g. 105 di

zucchero, g. 25 di sale, 1 foglia di alloro, g. 30 di pepe in grani, 1 rametto di dragoncello, 1 spicchio d’aglio in camicia. Per la guarnizione: insalata riccia, germogli di piselli, shiso rosso, fiori eduli, fleur de sel. PREPARAZIONE Per la marinata di agrumi: tritare il lemon grass, lo zenzero e mettere in infusione con il succo di yuzu per 6 ore. Trascorso questo tempo, filtrare il liquido e aggiungere il ponzu, il sakè, il mirin, l’aceto di riso e la salsa di soya. Correggere il gusto con acqua, zucchero e peperoncino di Espelette. Per la ricciola: sfilettare la riccciola, tagliarla a mo’ di sashimi (spessore 1 cm) e ricavare dei rombi. Nappare il pesce con la marinata di yuzu e lemongrass.


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La Pietro Leemann

Vegetarian Consulting

Per la guacamole: togliere la pelle e i noccioli agli avocado e tritarli al coltello. Mondare la cipolla, tritarla finemente ed aggiungerla all’avocado. Lavare e spellare i pomodori, togliere loro i semi interni, tagliarli a piccoli dadi e unirli al composto. Condire con il succo di lime, il tabasco, olio extravergine d’oliva, sale e pepe macinato al momento. Per la meringa di soya: unire tutti gli ingredienti ad eccezione del sesamo ed emulsionare con il frullatore ad immersione. Montare a neve in planetaria. Riempire un sac a poche con il composto (bocchetta Ø 1 cm) e distanziare i macarons su una placca rivestita con silpat in silicone e cosparsa di burro spray. Guarnire con il sesamo aromatizzato al wasabi e seccare le meringhe in forno statico a 70°C per 3 ore. Per i ravanelli e lamponi in carpione: caramellare acqua e zucchero ed aggiungere il vino bianco insieme all’aceto balsamico bianco e al sale. Portare ad ebollizione e mettere in infusione i grani di pepe, l’alloro, il dragoncello e lo spicchio di aglio in camicia. Lasciare in infusione per 20 minuti e filtrare il tutto attraverso un panno pulito posto sopra un colino fine. Fare ribollire il liquido ottenuto, rimuovere dal fuoco, aggiungere i ravanelli tagliati a triangoli, i lamponi e lasciare raffreddare. Conservare in frigorifero.

La soluzione golosa e verde

“Nel 2017 ho avuto una bella collaborazione con l’ospedale Malpighi di Bologna. Il mio pensiero generale è che da una parte l’alimentazione curativa prevenga, ma che dall’altro possa anche contribuire alla guarigione. Spesso negli ospedali questo aspetto non viene abbastanza considerato, né il piacere del piatto buono, né lo studio sulla patologia del paziente. Nel 2018 poi ho fondato una società, la Pietro Leemann Vegetarian Consulting, che si occupa di consulenze nell’ambito della ristorazione collettiva, compresi gli ospedali, e d’albergo in questa chiave; al Joia ho una scuola, la Joia Academy, dove c’è la possibilità di formare in tal senso i cuochi, perché la costruzione di un menu vegetariano ha caratteristiche peculiari. © ph Lucio Elio

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© ph Lucio Elio

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L’esperienza al Malpighi si è conclusa, ma Ferdinando Giannone sta proseguendo il progetto. Il suo obiettivo era misurare la qualità dei menu per diminuire la degenza e accelerare la guarigione. Cosa che si è effettivamente verificata. Un giorno ho preparato un menu vegetariano per tutti, degenti e personale medico, e i cuochi hanno iniziato a trasformare il loro modo di cucinare. Mi sono confrontato con lo staff e l’ho aiutato a svilup-

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pare nuove idee. Un intervento perlopiù concettuale. Un pasto equilibrato, per esempio, dovrebbe essere composto di carboidrati mescolati a proteine vegetali e accompagnati da verdure bio, quindi occorre diminuire o togliere la carne e lo zucchero, perché sono dannosi. Ma ogni paziente ha bisogno di una dieta ad hoc. Alla fine queste collaborazioni sono sempre complicate, perché si tratta di enti strutturati con proprie rigidità e le compatibilità economiche restringono ulteriormente gli spazi: il sistema salute costa tantissimo, ma al cibo lascia solo le briciole. Mentre proprio il cibo, abbreviando le degenze, potrebbe generare risparmi. Ero stato scelto perché la mia cucina è sempre stata molto attenta alla salute e alla sostenibilità. Una linea che il confronto serrato con Ferdinando, che è anche docente della Joia Academy, ha ulteriormente rafforzato. Ma il cibo sano dovrebbe essere anche goloso, associarlo a qualcosa di punitivo è sempre un errore”.


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Mauro Uliassi

e l’aiuto della cucina professionale

“Diverse volte sono stato interpellato da Rossana Berardi, primaria di oncologia di Ancona. Ha organizzato convegni cui mi ha invitato a parlare di quanto sia importante l’alimentazione per prevenire le malattie. Il mio è stato un contributo informativo, perché presto molta attenzione alla salubrità del cibo, negli anni ho calibrato la mia alimentazione e continuo a fare le mie letture. Veronesi per esempio sostiene che l’80% delle malattie dipendano da una cattiva alimentazione, che non significa solo junk food, ma anche cose magari buonissime, introdotte in quantità scorret-

te. Tutto deve essere selezionato nel quotidiano, per poi concedersi qualche piacere in libertà. La cucina professionale in questo senso è molto attenta e presenta indubbi vantaggi. Abbiamo cucinato a casa di un ragazzo affetto da distrofia di Duchenne: prima che mangiasse, tanti dati andavano misurati per evitare lo stress. La madre, che cucina con chissà quanto amore, faceva alzare i battiti cardiaci da 90 a 120, noi a 100. Perché l’alimentazione fatta da un professionista ha una diversa digeribilità. Nella ristorazione professionale si mangia tendenzialmente in modo più corretto, grazie alla selezione dei prodotti e al controllo delle temperature”.

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BERGAMO RIPARTE CON

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BOLLE

NELL’ERA NEW NORMAL

di

Alessandra Meldolesi - Foto

di

Benedetta Bassanelli

Non è cambiata un granché la pentola dentro cui bolle il talento di Filippo Cammarata, nel post Covid. Ed è una pentola Agnelli, visto che si tratta del ristorante inaugurato poco più di un anno fa da Angelo, amministratore dello storico brand di pentole, negli spazi sovrastanti lo showroom aziendale recentemente acquisito a Bergamo, città martire della pandemia. “Facciamo un ristorante?”, aveva proposto all’a-

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Cheviche caliente Per 4 persone INGREDIENTI

1 filetto di spatola g. 400 di latte evaporato g. 400 di brodo di spatola ml. 100 di aceto di vino rosso g. 30 di amaranto 2 lime 2 cipolla rossa 1 camote (patata americana) olio per friggere 1 cucchiaio di zucchero polvere di foglie di fico essiccate PREPARAZIONE Preparare la ceviche caliente facendo ridurre di 3 volte il latte evaporato (da non confondere con quello condensato) e il brodo di spatola. Aggiungere il succo di lime, salare e tenere da parte. Bollire il camote e frullarlo con un pizzico di sale. Mettere la crema ottenuta in una sac-a-poche. Tagliare la cipolla a falde, fare bollire l’aceto con una parte di acqua e lo zucchero, aggiungere le cipolle; raggiunto il bollire spegnere e lasciare raffreddare. Friggere l’amaranto, salare e tenere da parte. Tagliare la spatola in 4 filetti di circa cm. 12 di lunghezza. Salare e condire il pesce. Lasciare intiepidire sotto una salamandra a metà potenza per 1 minuto. Nappare il pesce con la crema di ceviche. Alternare la cipolla al camote, all’amaranto e alla polvere di fico. Intiepidire nuovamente sotto la salamandra. Servire.

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mico cuoco - già collaboratore del centro di ricerca e formazione sui materiali di cottura nella fabbrica di Lallio - ritrovandosi un intero piano inutilizzato, con una metratura così generosa, da non porre problemi di distanziamento fra i tavoli: è bastato qualche accorgimento solo in cucina e nel servizio per adeguarsi generosamente ai protocolli. “Non potrò mai dimenticarlo: sembrava di vivere in un film apocalittico, con le sirene delle ambulanze che squarciavano il silenzio a tutte le ore”, racconta oggi il giovane chef. “Appena abbiamo potuto, tuttavia, abbiamo aperto quantomeno per l’asporto e la consegna a domicilio,

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lavorando su menu che cambiavano settimanalmente, più per mantenere accesa una fiamma, che per guadagnarci qualcosa. Ed è stata una proposta di cucina semplificata, con piatti pronti o kit da finire a casa. Per il business lunch abbiamo introdotto dei bento (le schiscette giapponesi) a base di carne, pesce oppure vegetariani, tutti equilibrati sotto il profilo nutrizionale. Mentre la sera c’era una selezione di piatti del ristorante, come il couscous di gambero rosso con il suo estratto. Entrambe le formule hanno funzionato, ma solo la prima è rimasta per l’asporto. Si tratta di vaschette in materiale biodegradabile, ovviamente logati


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Chawanmuschi di gambero rosso Per 4 persone INGREDIENTI:

g. 100 di estratto di teste di gambero rosso (il succo ottenuto dalla spremitura meccanica delle teste di gambero) 1 uovo 4 gamberi rossi g. 50 di brodo di crostacei g. 50 di sakè sale q.b. PER IL CHAWANMUSCHI: Aggiungere all’estratto di di gambero l’uovo, g. 20 di sakè e aggiustare di sale. Filtrare e mettere in 4 ciotoline di ceramica. Cuocere a vapore per 15 minuti. Pulire i gamberi rossi e tenerne da parte il carapace. Friggere le appendici toraciche e le appendici natatorie del carapace e tenere sotto una lampanda fino a servizio. Aggiungere al brodo di crostacei il restante sakè e aggiustare di sale. Servire il chawanmuschi caldo, con il gambero rosso crudo pulito precedentemente, le appendici fritte e versare il brodo di crostacei direttamente durante il servizio in tavola.

‘Bolle’, da cui si può intravvedere l’interno, del costo di circa 15 euro. Per fare qualche esempio, abbiamo proposto l’omelette giapponese con trevigiano all’aceto, pomodoro, misticanza di stagione e riso al sedano; il riso nero alle arachidi con salmone marinato, avocado, spinacino e salsa teriyaki; i 5 cereali saltati con bistecca di manzo marinata allo scalogno e scalogno agro”. L’esperienza del lockdown, tuttavia, è scesa nel profondo. “Ho speso mesi cucinando in casa, cosa che prima non avevo mai fatto, perché preferivo uscire. Invece ci ho preso gusto, soprattutto a fare i piatti di casa e le ricette di mia mamma. Per esempio le sarde a beccafico, gli spaghetti alla Nerano, la pasta e

fagioli, gli spaghetti spezzati in brodo di pesce, gli ziti alla genovese…” Qualcosa di sorprendente, considerato che la cifra di Cammarata, che si definisce “un siciliano nato a Bergamo”, avvezzo ai gusti mediterranei di una famiglia di emigrati, è sempre stata la contaminazione dovuta all’amore per i viaggi che, nella sua mente di cuoco semi autodidatta, hanno preso il posto degli stage (ma due ne ha fatti, e anche di peso, al Reale di Niko Romito e all’Osteria Francescana di Massimo Bottura). Al rientro dalle ferie, che Cammarata ha speso sulla via Francigena, assaggiando le specialità di mezza Italia, non mancano le sorprese in tavola. “È un viaggio che mi ha consentito di riscoprire zone che avevo frequen-

tato fugacemente, partendo dalla Lunigiana, dove ho fatto scorpacciate di panigacci e testaroli, passando per Camaiore, dove ho assaggiato i tordelli camaioresi, con la pasta spessa come la nostra, il ripieno di mortadella e il ragù di manzo, fino alla Val d’Elsa, terra di sbriciolona, pecorino, fiorentine e ottimo vino. Sento che la mia cucina sta cambiando: sta diventando più italiana, nel senso della ricerca sui prodotti e sulle ricette iconiche che più ci rappresentano”. Nazionalismo dunque anche sul piano degli strumenti di cottura, visto che il Bolle funge parallelamente anche da laboratorio per testare i prodotti di casa Agnelli, senza porre vincoli alla creatività: “Quando esco-

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Mela caramellata

frolla speziata di grano saraceno, semifreddo alla vaniglia e brodo all’aceto di mele

Per 10 persone PER IL SEMIFREDDO:

g. 45 di latte mezza stecca di vaniglia g. 7 di zucchero g. 75 di cioccolato bianco g. 8 di gelatina in polvere g. 90 di panna semimontata

Stendere la frolla molto sottile. Colare a forma di ciambella del diametro di cm. 12 con il foro di cm. 3,5 di diametro. Cuocere ventilato a 160ºC per 12 minuti. Fare raffreddare.

g. 150 di caramello g. 50 di succo di limone PER RIFINIRE

aceto di mele bio q.b. curcuma in polvere q.b. zenzero in polvere q.b. polvere di menta q.b.

PER LA FROLLA DI GRANO SARACENO

g. 125 di farina di grano saraceno g. 60 di farina per celiaci g. 125 di burro g. 75 di zucchero g. 5 di cannella 1 tuorlo g. 10 di acqua g. 1 di baking PER LE MELE AL CARAMELLO

kg 1 di mele verdi sbucciate e tagliate a spicchi

PER IL SEMIFREDDO Portare latte, zucchero,vaniglia e gelatina a 80°C aggiungere il cioccolato bianco. Frullare. Aggiungere la panna semimontata e metterla in stampi di silicone cilindrico 3x3. Abbattere e tenere da parte. PER LA FROLLA Fare girare in planetaria tutti gli ingredienti secchi, incorporare il burro e infine uova e acqua. Fare riposare in frigorifero per 40 minuti.

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PER LE MELE. Portare a ebollizione le mele insieme al succo di limone e al caramello. Raggiunto il bollore, spegnere e raffreddare nel suo liquido. PER LA RIFINITURA Aggiungere l’aceto di mele al brodo di cottura delle mele. Impiattare il semifreddo al centro di un piatto fondo. Attorno disporre le mele tagliate a fettine. Sopra le mele, la frolla precedentemente cosparsa con le polveri di spezie. Finire in sala versando il brodo al centro del piatto.


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no una pentola nuova, un nuovo rivestimento, una forma originale, arrivano prima al ristorante per un test. La mia preferita resta sempre la padella in alluminio nudo, che ci lega all’italianità del suo utilizzo, da sempre. Nel nuovo menù stiamo comunque lavorando alla valorizzazione degli strumenti di cottura, usati anche nel servizio come ‘pentola di portata’, sia in oro che in altri materiali. Erano già in catalogo, ma la novità è che verranno preparati su misura per i nostri piatti”. Di sicuro resterà qualche signature, per esempio il dessert Achrome, dedicato a Piero Manzoni: un semifreddo al cioccolato bianco con finocchio fresco, mozzarella di bufala e meringa all’aceto. Emblematico della cucina di Cammarata, sferzata dalla duplice freschezza dell’acidità e del vegetale balsamico, squarciata da contrasti e collisioni. Ma è già partito il lavoro su un riso alla pilota, a partire dalla ricetta filologica di un’amica di famiglia, arricchita di crema di carciofi, liquirizia ed estratto di biete, fino a delineare un camouflage che omaggia esplicitamente Bottura. “In generale ai tavoli vediamo una clientela diversa, più giovane, quindi più curiosa, incline a ordinare il menu degustazione e divertirsi col vino, lasciandosi guidare negli abbinamenti, mentre quella tradizionale tende a scegliere personalmente piatti e bottiglie. Ma è ancora presto per dire se la tendenza attuale resterà”. Poi ci sono tante attenzioni in più: il servizio del pane, per esempio, è diventato individuale anziché condiviso, come quello degli appetizer e delle friandises. A livello di cucina, sono solo i camerieri guantati a maneggiare le bottiglie di acqua e vino, che non vengono lasciate sui tavoli. Il sommelier è cambiato: a prendere il posto dell’ottimo Andrea Zamblera è stato il suo vice, Michele Mazzola, che così descrive la professione nell’era new normal: “Uno degli aspetti principali del nostro lavoro è l’accoglienza: il sorriso è la prima cosa che conta e la mascherina non aiuta. Quello che stiamo cercando di fare è mettere a proprio agio l’ospite, sdrammatizzando senza risultare invasivi. Alcuni dettagli sono cambiati, perfino passare il gel continuamente è difficile. Ma nel complesso la gestualità del sommelier è invariata, a parte le manovre con la mascherina per sentire il tappo. Con riferimento alla carta dei vini, contiamo di

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Angelo Agnelli, al centro, con i suoi collaboratori e, sotto, l’ingresso allo showroom e al ristorante. lapentolad’oro

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mantenere le nostre 500 referenze. Come in cucina, punteremo di più sull’Italia, con tantissime etichette siciliane, soprattutto fra i bianchi, tra i migliori d’Italia. Abbiamo già qualcosa di naturale e in generale privilegeremo bottiglie con un favorevole rapporto qualità/ prezzo, che dopo il lockdown è ancora più dirimente. Amo in particolare gli chardonnay caldi del sud, ma incrementeremo anche le bollicine italiane, Franciacorta e Trentodoc, sebbene siano andate un po’ declinando con l’infuriare della pandemia. Di Champagne in particolare se ne stappa pochissimo, ma le Bolle restano il vino che ci identifica, fin dall’insegna”. E da Bolle si riparte, per augurarsi un futuro di nuove opportunità, sulle solide basi della nostra cultura e dei nostri valori.

BOLLE RESTAURANT Via Provinciale, 30, 24040 Lallio BG - Tel.: 035 090 0208 www.bollerestaurant.com

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Gnocchi cremosi di carciofi bottarga e riduzione di Cynar

Per 4 persone INGREDIENTI

g. 600 di purea di carciofi g. 70 di kuzu g. 60 di bottarga di tonno ml. 300 di Cynar olio di vinaccioli q.b. bottarga di muggine q.b. PER LE SFOGLIE DI CARCIOFI: Fare essiccare in forno a 60°C g. 100 di purea stesa su una teglia antiaderente. Una volta secca, spezzarla con le mani e tenere in un contenitore ermetico. PER GLI GNOCCHI: Frullare la restante crema di carciofi con il kuzu, trasferire tutto in una casseruola e portare a bollore continuando a mescolare con una frusta. Trasferire il composto in una sacca da pasticceria e, una volta tiepido, formare gli gnocchi (devono avere la dimensione di una noce). PER L’EMULSIONE DI BOTTARGA In un blender aggiungere la bottarga, 2 cucchiai di acqua e l’olio di vinaccioli a filo fino ad ottenere una consistenza setosa. PER LA RIDUZIONE DI CYNAR Mettere il Cynar in un rotavapor ad una temperatura di 50°C fino a ridurlo di 4 volte. PREPARAZIONE Mettere gli gnocchi in acqua salata fredda, portarla a 70°C. Tenere la temperatura per 10 minuti. Scolare e servire nappando con la crema di bottarga , qualche goccia di riduzione di Cynar, le sfoglie di carciofi e qualche fetta di bottarga di muggine.

lapentolad’oro

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GourmetFood

A POSITANO

HVF VILLA FRANCA UN SOGNO SOSPESO TRA MARE E CIELO Metti un angolo di paradiso, dove la bellezza di panorami mozzafiato, scogliere scoscese e acque scintillanti si uniscono al fascino di un borgo pittoresco unico nel suo genere. Siamo a Positano, tra le “perle� della Costiera Amalfitana che tutto il mondo ci invidia.

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VillaFranca

Qui, sulla collina che domina la baia, sorge l’HVF Villa Franca Positano, un tempo residenza privata ora boutique hotel a 5 stelle lusso, esclusivo e raffinato. Al Villa Franca sanno che per conquistare il cliente bisogna saperlo prendere anche per la gola. Da qui l’attenzione particolare data ai loro tre format di ristorazione: per un pranzo informale, a bordo piscina, sulla terrazza panoramica posta sul punto più alto dell’hotel che domina sia il mare che la città, c’è il Galli Grill con la sua cucina a vista equipaggiata con la gamma 700XP di Electrolux Professional. Per l’aperitivo al tramonto l’attenzione si sposta sul Gold Champagne Bar presso lo Sky Terrace, il luogo ideale dove potersi rilassare tra una selezione di oltre un centinaio di rare etichette di champagne vintage accompagnate da caviale, degustazione di ostriche e dalle creazioni dell’Executive Chef Savio Perna. Infine, per una romantica e indimenticabile cena gourmet, c’è il Li Galli Restaurant: solo pochissimi coperti per un servizio ed un menù di altissima qualità. È proprio dell’anno scorso il rifacimento della cucina del Li Galli, appositamente ultima di una serie di lavori di ristrutturazione vista la complessità dell’opera. Il tutto è iniziato da due porte, poste nella parete centrale della cucina, di cui nessuno ne ha mai capito il motivo, essendo queste ancora legate alla vecchia struttura. Un segreto custodito gelosamente da Massimo Napoli e da sua moglie

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Le realizzazioni Molteni hanno una bellezza che dura nel tempo. Il segreto è la smaltatura dei suoi pannelli, una caratteristica che la rende ancora più unica nel mondo della ristorazione. La tavolozza di colori è quasi illimitata, così da soddisfare ogni richiesta: normalmente la finitura è lucida ma, su richiesta, è disponibile anche la finitura opaca. www.molteni.com

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Rosa Taddeo, proprietari del HVF: “Io e mio marito sapevamo benissimo perché quelle porte dovevano essere lì ed ecco che oggi la nostra Molteni è riuscita ad entrare, non senza difficoltà, realizzando un progetto estremamente fantastico, il nostro sogno!”. Sono ben 5 i metri quadrati occupati solo dall’isola di cottura Molteni, voluta nella versione più moderna Caractère con top in acciaio, pannelli laterali smaltati di colore nero opaco e con finiture cromate. Attorno a lei ruota tutta la brigata, in perfetta sintonia con il resto della cucina disegnata in maniera funzionale per ottimizzare al massimo il flusso di lavoro, dalla preparazione fino all’impiattamento. Le apparecchiature installate sono tutte Electrolux Professional: 2 bilici di attrezzature passate

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GourmetFood

meticolosamente per quelle due famose porte. Un’operazione molto impegnativa, in cui il lavoro di squadra ha avuto un’importanza strategica ed è stato essenziale per la realizzazione di questo sogno. Ed è proprio questa la forza di Electrolux Professional, una squadra sempre presente di professionisti, ognuno specializzato nella propria materia, che collabora coesa per raggiungere un risultato comune: la soddisfazione del cliente. Una qualità riconosciuta e apprezzata anche dall’Executive Chef Perna che afferma: “Avere vicino un’azienda come Electrolux Professional è garanzia di affidabilità, significa poter contare sempre sulla piena collaborazione sia in fase di progettazione, installazione, formazione che assistenza”.

VILLA FRANCA HOTEL • Viale Pasitea, 318, 84017 Positano (SA) www.villafrancahotel.it

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Tir CUCIN A Italcuochi-CEA

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La cucina mobile DOVE VUOI, QUANDO VUOI!

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Fashionfood

A SALERNO

GIARDINI DEL FUENTI UNA NUOVA REALTÀ TRA IL CIELO E IL MARE Di Teresa Cremona

Metti una sera a cena, tra Vietri e Cetara, a fine estate, su una terrazza-giardino panoramica affacciata sul mare del Golfo di Salerno, la luna che sale dietro i monti, le luci che disegnano la costa, l’aria tiepida e ferma... una malia!. 48


GiardinidelFuenti

Quella sera la cena era ai Giardini del Fuenti, nuova realtà nel paesaggio della Costiera, nuova realtà che si distende su un intero promontorio fino alla spiaggia, fino al mare. Un progetto bello e ambizioso, con vigne, orti, giardini pensili, limoneti e alberi da frutta, terrazze panoramiche, camminamenti sotto pergolati, parcheggi nascosti nel cuore della montagna, e spazi di elegante, ampia accoglienza. I Giardini del Fuenti si articolano in molteplici funzioni: il ristorante gourmet Volta del Fuenti, la Terrazza delle Rose, location

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FashionFood

ideale per matrimoni ed eventi; il Limoneto,- luogo perfetto per una cena intima en plein air; - l’Arena del Fuenti, spazio per spettacoli, eventi, sfilate; il lounge bar Sileno del Fuenti per finire il beach club Riva del Fuenti, che è anche punto di approdo per chi arriva in barca e che offre tutti i servizi di spiaggia, con ed il ristorante pied dans l’eau dotato di a vista e di un curato menu mediterraneo.

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La conduzione dei ristoranti del complesso è affidata allo chef Michele De Blasio. La sua carriera ha avuto inizio con Riccardo Camanini ed Alfonso Iaccarino, poi si specializza con i fratelli Pourcel, con Alain Ducasse, con Pierre Gagnaire, con Arzak, con Rasmus Kofoed. Quindi, al fianco dello chef Raffaele Vitale, è stato alla guida del ristorante Villa Raiano. La sua è una cucina dei gusto antico, supportato dalla sperimentazione e dal giusto equilibrio negli accostamenti. Una cucina di carattere, elegante e ricca dei profumi di questa terra. GIARDINI DEL FUENTI S.S. 163 Amalfitana km 47+300 Vietri sul Mare – 84019 Salerno - Italia info@giardinidelfuenti.com

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FashionFood

Zeppola di S. Giuseppe, granchio reale, caviale e maionese di alici INGREDIENTI

g. 250 di acqua g. 130 di farina “00” g. 100 di burro 4 uova g. 240 di granchio reale g. 30 di sedano g. 30 di carote g. 60 di cipolla g. 80 di lattuga 1 tuorlo d’uovo g. 100 di olio di semi g. 10 di mostarda di Dijon 1/2 limone g. 20 di alici sotto sale g. 20 di yogurt g. 20 di caviale sale e pepe q.b. olio evo q.b.

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PREPARAZIONE

Confezionare la pasta choux portando acqua, burro e un pizzico di sale ad ebollizione; aggiungere la farina e rimestare finchè non si stacchi da tutti i lati. Cuocere a fiamma dolce per circa 5 minuti ancora. Aggiungere le uova una ad una e metterle in un sac a poche con una punta riccia piccola. Formare delle piccole ciambelle su pezzi di carta da forno e friggerle in olio di semi a 140° C fino a quando non risultino ben gonfie e dorate. A parte confezionare un court bouillon con sedano, carote e cipolla e cuocere il granchio reale per circa 15 minuti, dopodiché pulire avendo cura di non lasciare parti di guscio. Preparare una maionese con un tuorlo, succo di limone, mostarda di Dijon e alici ridotte in pasta e montare con olio di semi; aggiungere infine lo yogurt con l’aiuto di una marisa. Tagliare a julienne la lattuga e condirla con la maionese di alici. Farcire le zeppole con la lattuga e l’insalata di granchio. Guarnire con caviale.


GiardinidelFuenti

Paccheri alla Nerano INGREDIENTI

g. 280 di paccheri g. 80 di burro g. 160 di zucchine 8 pezzi di fiori di zucca g. 20 di basilico g. 10 di menta g. 80 di pesce spada g. 30 di parmigiano olio evo q.b. l 1 di olio di semi sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE

Friggere le zucchine tagliate a rondelle sottilissime a 140°C fino a quando non diventano dorate; metterle in padella con burro, basilico, menta, sale e pepe. Cuocere i paccheri al dente e mantecare con la salsa ottenuta. Fuori dal fuoco aggiungere parmigiano fino a consistenza cremosa, fiori di zucca e regolare di sale e pepe. Servire con il carpaccio crudo di pesce spada condito con olio evo e sale. Passare qualche secondo in salamandra e servire guarnendo con qualche petalo di fiore di zucca crudo.

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FashionFood

Focaccia

con burrata, zucchine e gamberi rossi INGREDIENTI:

Per la focaccia

g. 295 di farina “00” g. 157 di farina “1” g. 50 di semola g. 160 di patate lesse g. 5 di lievito di birra g. 300 di acqua g. 12 di sale Per la salamoia

g. 115 di olio evo g. 35 di acqua di pomodoro g. 2 di sale Per il condimento

g. 160 di gamberi rossi g. 90 di burrata g. 60 di zucchine mentuccia q.b. aceto q.b. sale e pepe q.b. 4 pezzi di fiori di zucca

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PREPARAZIONE

Mettere insieme nell’impastatrice le farine, la semola, le patate e metà dell’acqua. Aggiungere l’altra metà dell’acqua poco alla volta avendo cura di incordare l’impasto, ottenendo cosi un impasto ben asciutto. Alla fine aggiungere il lievito e il sale. Mettere a lievitare a circa 12°C per 12 ore dopodiché pillare in pezzi da 250 grammi e far lievitare. Preparare la salamoia, schiacciare la focaccia e condirla con la salamoia; cuocere a 220° per 10 minuti. A parte friggere le zucchine tagliate a rondelle sottilissime a 140°C fino a quando che non diventino dorate. Condire la focaccia adagiando sopra la burrata fresca, le zucchine fritte condite con aceto sale, pepe e mentuccia, il crudo di gamberi rossi sgusciati e la julienne di fiori di zucca freschi.


GiardinidelFuenti

Bavarese

al cioccolato bianco e frutti rossi con gelato al pistacchio INGREDIENTI:

Crema inglese: g. 250 di panna g. 250 di latte g. 50 di tuorli g. 50 di zucchero Per la bavarese al cioccolato bianco:

g. 500 di crema inglese g. 350 di cioccolato bianco g. 15 di gelatina animale g. 600 di panna semimontata Per il coulis di frutti rossi:

g. 1000 di frutti rossi (polpa) g. 160 di destrosio g. 22 di gelatina animale Strussel di nocciole e fior di sale:

PREPARAZIONE

per la crema inglese:

Portare latte e panna a bollore, a parte stemperare i tuorli con lo zucchero, unire al composto precedente e portare a 82 °C. bavarese al cioccolato bianco:

versare la crema inglese a 70 °C sulla copertura al cioccolato e avviare un’emulsione. Aggiungere la gelatina precedentemente reidratata in acqua a 40°C, unire la panna semimontata. strussel di nocciole e fior di sale:

mixare tutti gli ingredienti in un cutter tranne il burro, dopodiché unire burro al composto. Stendere la sfoglia fino a 5 millimetri e cuocere in forno preriscaldato a 175°C per 20 minuti circa. Cuocere lo strussel; aggiungere la bavarese al cioccolato bianco e abbattere. Colare a specchio la gelè ai frutti rossi e tagliare a lingotti. Servire con gelato al pistacchio.

g. 65 di zucchero di canna g. 65 di farina debole g. 65 di farina di nocciole g. 65 di burro g. 2 di fior di sale Gelato al pistacchio:

g. 910 di latte g. 227 di panna g. 260 di zucchero g. 80 di latte in polvere g. 90 di pasta di pistacchio (portare il composto a 85°C, raffreddare e mantecare).

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GourmetFood

A MILANO RIAPRE

LANGOSTERIA CAFÈ Langosteria Café riapre in Ottobre le sue porte al pubblico con alcune interessanti novità. Durante il periodo di chiusura si è colta l’occasione per attuare alcuni cambiamenti architettonici all’interno del locale. Il progetto di restyling ha visto come principale variazione l’ampliamento dei due dehors affacciati su Galleria del Corso, dove sono stati creati due salotti che possono eventualmente essere trasformati in Private Dining rooms, per poter vivere l’esperienza Langosteria in maniera più intima e riservata. Langosteria Café nasce a marzo 2016 nella centralissima Galleria del Corso, e contribuisce alla riqualificazione dell’area, un progetto voluto e sviluppato da Enrico Buonocore, Ceo e Founder del Gruppo Langosteria. Oggi ritorna con spazi più ampi e la stessa energia di sempre, aperto sia a pranzo che a cena. L’offerta gastronomica segue le linee ben definite del Gruppo, con una proposta interamente di pesce e una rigorosa scelta di materie prime, tra cui l’iconico king crab, che hanno reso fedeli i clienti e che aiuta a conquistarne sempre di nuovi per varietà, stagionalità e qualità che da sempre contraddistinguono il locale. Il team è gestito dal restaurant Manager Domenico Bagnato, in cucina l’Executive Chef Jacopo Dedori. La carta dei vini, studiata dalla Wine Manager del Gruppo Valentina Bertini, offre una vasta scelta tra vini italiani e stranieri e un’ampia lista di etichette di champagne.

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LANGOSTERIA CAFÈ Galleria del Corso 4, Milano www.langosteria.com


40 anni di collaborazione con chef e ristoratori 40 anni dedicati alla valorizzazione della pasta fresca 40 anni di successi del grande Made in Italy brand dedicati a diversi target e ad alto contenuto di servizio

Qui le ricette di Vincenzo Cammerucci - Valeria Deutsch - Andrea Incerti Vezzani Riccardo Agostini - Errico Recanati - Nicola Fossaceca De Pra, Buffa - De Carli, Zanelli, Cozza 57


Quadrelli di cacao con scorza d'arancia

su crema di squacquerone al profumo di chiodi di garofano ­­e cannella, con foglia d’oro INGREDIENTI per 4 persone

4 Quadrelli di cacao con scorza d’arancia g.100 di latte g.100 di panna fresca g. 70 di zucchero g. 280 di scquacquerone 4 fogli d’oro 8 chiodi di garofano cannella in polvere q.b. pagliuzze d’oro q.b.

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PREPARAZIONE Bollire il latte con la panna, lo zucchero, i chiodi di ga-rofano e la cannella. Raffreddare il composto e unirvi lo scquacquerone; frullare con il minipimer. Cuocere i Quadrelli di cacao con scorza d’arancia, stendere la salsa nel piatto e formare un quadrato; adagiarvi sopra ­­­la foglia d’oro, disporvi sopra la pasta e decorare con pagliuzze d’oro, quindi servire.

VALERIA DEUTSCH

Maestra Pasticciera

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2010


Strichetti all'uovo con carciofi

gruncj di legumi croccanti, germogli di bietola rossa INGREDIENTI per 4 persone

g. 300 di Strichetti all’uovo 3 carciofi g. 30 di cipolla 1 spicchio d’aglio in camicia 1 rametto di timo g. 50 di cruncj dl. 0,5 di vino bianco dl. 2 di olio extravergine d’oliva 4 ciuffi di germogli di bietola rossa sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE Pulire i carciofi, tagliarli a cubetti, stufarli in un tegame con cipolla e aglio, bagnando con vino bianco e poi togliere dal fuoco. Cuocere gli Strichetti in acqua salata bollente, saltarla quindi con i carciofi. Unire il cruncj croccante cotto con poco olio e i germogli di bietola rossa.

VINCENZO CAMMERUCCI CaMì Agriturismo Savio di Ravenna (RA)

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2010

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Raviolotti® con polenta e Montasio DOP

cavolfiore, funghi pioppini e baccalá INGREDIENTI per 4 persone

24 Raviolotti con Polenta e Montasio DOP ˷ g. 200 di cavolfiore ˷ g. 200 di funghi pioppini ˷ g. 220 di baccalá dissalato ˷ ml. 100 di latte intero ˷ erba cipollina ˷ olio extravergine d’oliva ˷ 1 foglia di alloro ˷ 1 spicchio d’aglio ˷ pepe ˷

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PREPARAZIONE Lavare le cimette del cavolfiore, tritarle fini come se fosse un cous-cous e condirle con erba cipollina, olio, sale e pepe. In una padella soffriggere l’aglio, deglassare con il latte; aggiungere il baccalà, una foglia di alloro e i funghi pioppini mondati e cuocere per 1 minuto. Cuocere i Raviolotti con Polenta e Montasio DOP in acqua bollente salata, scolarli, mantecarli con poco olio, disporli nel piatto. Guarnirli con i funghi, il baccalà e il cous-cous di cavolfiore.

ANDREA INCERTI VEZZANI

Locanda Cà Matilde Rubbianino di Quattro Castella (RE)

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2015


Scrigni con burrata di Puglia

acqua di pomodoro e acciuga INGREDIENTI per 4 persone

12 Scrigni con Burrata di Puglia ˷ g. 400 di pomodori camone maturi ˷ g. 200 di alici fresche ˷ g. 40 di olive taggiasche ˷ olio extravergine d’oliva q.b. ˷ sale e pepe q.b. ˷ g. 0,3 di Xantana PREPARAZIONE Cominciare la preparazione lavando e tagliando i pomodori in modo da prelevare i coralli interni che contengono semi e gelatina e metterli da parte; frullare la parte restante dei pomodori e porla in un colino a trama fine, siste-

mandovi un peso in modo da far fuoriuscire l’acqua di vegetazione. Trascorso il tempo necessario, prelevare 300 grammi a cui aggiungere la Xantana, frullando in modo da far agire l’alga addensante che darà spessore all’acqua di pomodoro. Deliscare le alici fresche e, dopo averle ben lavate, metterle sotto sale per 10 minuti, quindi sciacquarle, così da ottenere le tradizionali acciughe fatte in casa. Tagliare a pezzettini le olive taggiasche e disporle alla base del piatto; adagiarvi vicino i coralli di pomodoro, poi, dopo averli cotti, disporre anche gli Scrigni con burrata di Puglia. Completare con l’acqua di pomodoro tiepida (non deve bollire altrimenti perde gusto e profumi); aggiungere i filettini di acciughe con un poco d’olio extravergine d’oliva.

RICCARDO AGOSTINI

Ristorante il Piastrino Pennabilli (RN)

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2015


Panciotti® con cappesante e gamberi dei Mari del Nord con ragù di pollo in potacchio e fiori eduli INGREDIENTI per 4 persone

16 Panciotti con Cappesante e Gamberi dei Mari del Nord ˷ 1/2 pollo allevato a terra ˷ g. 150 di pomodoro datterino ˷ 1/2 bicchiere di vino bianco ˷ l. 1 di brodo vegetale ˷ olio q.b. ˷ sale e pepe q.b. ˷ aglio e rosmarino q.b. ˷

PREPARAZIONE Preparare un fondo di olio nel quale viene tostato il pollo. A tostatura effettuata, sfumare con il vino bianco, aggiungere il rosmarino e l’aglio; aggiustare di sale e pepe ed aggiungere il pomodoro.

ERRICO RECANATI

Ristorante Andreina Loreto (AN)

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2015

Lasciar cuocere il tutto per alcuni minuti ed unire, man mano, il brodo vegetale fino a completa cottura del pollo. Una volta cotto, disossare il pollo e tagliare a cubetti la polpa. In abbondante acqua salata cuocere i Panciotti con Cappesante e Gamberi dei Mari del Nord. Scolarli e dividere parte del fondo ottenuto per saltarci i Panciotti. Saltarli dunque nel fondo di cottura e aggiungere i pezzi tagliati a dado. Impiattare con l’aggiunta dei fiori eduli.

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Ravioloni® con crema di ricotta di bufala e foglioline di spinaci con brodetto di pesce INGREDIENTI per 4 persone

8 Ravioloni con Crema di Ricotta di Bufala e Foglioline di Spinaci ˷ g. 400 di pesce di scoglio a piacere g. 200 di pomodori ˷ 1 spicchio di aglio rosso di Sulmona ˷ olio extravergine d’oliva ˷ g. 300 di prezzemolo ˷

PREPARAZIONE Pulire ed eviscerare i pesci, sfilettarli e tenere da parte le lische. Preparare un brodetto facendo soffriggere olio e aglio, il prezzemolo e le lische dei pesci; aggiungere i pomodori e portare a cottura. Filtrare il brodetto. Cuocere i filetti di pesce nel brodetto per circa 2 minuti. Frullare il prezzemolo con del ghiaccio per ottenere una salsa verde. Cuocere i Ravioloni con Crema di Ricotta di Bufala e Foglioline di Spinaci in acqua bollente salata, scolarli e comporre il piatto con tutti gli ingredienti.

NICOLA FOSSACECA

Ristorante al Metrò San Salvo Marina (CH)

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2015

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Panciotti® con melanzana e scamorza

peperone piquillo, crema di basilico, gamberi rossi, fumo di castagno INGREDIENTI per 4 persone

4 Panciotti con Melanzana e Scamorza 3 carciofi g. 30 di cipolla 1 spicchio d’aglio in camicia 1 rametto di timo g. 50 di cruncj dl. 0,5 di vino bianco dl. 2 di olio extravergine d’oliva 4 ciuffi di germogli di bietola rossa sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE Bruciare i peperoni a fiamma viva, poi chiuderli ancora caldi in un contenitore e lasciarli raffreddare. Successivamente togliere tutta la buccia nera e la semiglia, con il brodo frullare la polpa e aggiungere 10 grammi di olio evo a filo. Sbollentare il basilico sfogliato per pochi secondi in acqua salata, raffreddarlo in acqua e ghiaccio, poi scolarlo e frullarlo al Pacojet con poco olio evo e acqua frizzante (in mancanza del Pacojet si può utilizzare anche un frullatore ad immersione, in questo caso mettere prima in congelatore il bicchiere). Pulire ed eviscerare i gamberi, tagliarli a pezzettoni e condirli con olio, buccia di lime e pepe. Cuocere i Panciotti in acqua bollente salata, scolarli, saltarli in padella con brodo e burro emulsionati; scaldare la crema di peperone e distribuirla uniformemente sul fondo del piatto, posizionare un Panciotto al centro, puntinarlo con la crema al basilico, sopra i gamberi rossi, ed infine affumicare il tutto con il legno di castagno.

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DAVIDE DE PRA ALESSANDRO BUFFA

Harry’s - Piccolo Resturant e Bistrò Trieste

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2019


Quadrelli con agnello e timo

quinto quarto vegetale, animelle d’agnello e ristretto di carne INGREDIENTI per 4 persone

16 Quadrelli con agnello e timo 4 animelle di agnello g. 150 di gambi di broccoli ml. 50 di olio di semi ml. 20 di olio di nocciole g. 30 di pane secco grattugiato g. 30 di uovo intero ml. 100 di ristretto di carne 12 foglie di acetosa 12 foglie di camomilla dei tintori 12 foglie secche di broccolo

PREPARAZIONE Cuocere i gambi dei broccoli a vapore per circa 3 ore, frullarli, setacciarli e condirli con sale, pepe e olio di nocciola; formare un rotolo e congelare. A parte impanare e friggere le animelle di vitello dopo averle sbollentate in acqua e aceto per circa 5 minuti. Cuocere i Quadrelli in abbondante acqua bollente salata. Nel frattempo ultimare la cottura del midollo vegetale e delle animelle fritte in forno. Una volta cotti, scolare i Quadrelli e porli sul piatto con le animelle, il midollo vegetale e il ristretto di vitello. Rifinire con le erbe spontanee.

ANDREA DE CARLI ELISA ZANELLI MARCO COZZA Ristorante alle Rose SALĂ’ (BS)

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2019


GourmetFood di Flavia Tomaello

SHANG PALACE HONG KONG LA RICCHEZZA DEL MERCATO CANTONESE Da undici anni lo Shang Palace difende le sue due stelle Michelin grazie a Daniel Cheung, suo chef executive: con lui la ricchezza dei sapori della cucina locale punta in alto. “Sono nato a Hong Kong, – racconta Daniel Cheung – quindi sono stato influenzato dalla cultura gastronomica cantonese che privilegia le zuppe, pertanto faccio sempre in modo che il mio menù includa una scelta di zuppe calde, specialmente quando riesco a trovare ingredienti come il cavolfiore cinese, dalla mia città natale Guangdong, in Tsang Shing”.

ESSERE LOCAL SENZA ESSERE FOLKLORISTICO “Ho imparato cose diverse in ogni ristorante in cui ho lavorato - racconta lo chef -. Per esempio, ho imparato a dirigere un team quando ero nel Jockey Club di Hong Kong; presso The Peninsula ho appreso l’etica dello chef, i codici di comportamento e i principi del bene e del male”. Per trasformare un ristorante in qualcosa di eccezionale, è determinante partire sempre dai piatti che vengono serviti. “Se desideri che i tuoi clienti ricordino il ristorante – spiega – deve esserci un ingrediente o un piatto che li tenti, un piatto d’autore che gli piaccia e che non possano trovare in nessun altro posto. Inoltre un

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Shang Palace

servizio impeccabile e un ambiente accogliente sono condizioni altrettanto importanti’. L’imprinting gastronimico della sua famiglia continua a regolare la sua quotidianieità attraverso l’uso di alcuni prodotti che non si è mai permesso di dimenticare. “Ricordo che non mi piaceva la cucina artificiale e quella che non era fresca”, così la sua routine include una camminata per il mercato di Tai Po per parlare con i commercianti e trovare nuove ispirazioni. “La soluzione migliore per comprare la batata (la patata dolce) è tagliarla. Bisogna che queste siano ben pesanti, perchè se sono leggere non contengono molto amido”. Si ferma a un chiosco di verdura che, ci dice, vende le migliori patate dolci: ne prende alcune grandi e gialle. Ne prende alcune grandi e gialle. Una volta in cucina le lava ben bene e le cuoce a vapore per circa 30 minuti, poi le pela e così

sono pronte per essere abbinate o utilizzate nei suoi piatti. “In confronto con altre varietà di patata dolce con la buccia arancione o viola, quelle gialle hanno una gusto dolce molto più complesso, dovuto al fatto che si coltivano nel suolo fertile mischiato con la cenere vulcanica dell’Indonesia”. Cheung, che porta sempre con sè un piccolo frigo portatile con le rotelline per mantenere freschi i prodotti che compra, ci dice: “Il mercato di Tai Po è abbastanza completo in confronto ad altri che sono ad Hong Kong. Il luogo è molto pulito e le corsie sono abbastanza larghe”. Si dirige in seguito al primo piano, dove ci sono piccoli pacchetti con le etichette in cinese che sono pieni di erbe e spezie come liquirizia, moringa, prezzemolo secco e cumino nero. Il commerciante spiega che il cumino nero si utilizza di solito nel pan nan, ma si deve usarlo con moderazione perchè è

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GourmetFood

Riso fritto

con carne sminuzzata Wagyu servito in un pomodoro intero INGREDIENTI

1 pomodoro g. 20 di carne di vitello Wagyu sminuzzata fagiolini verdi, 1 cavolfiore cinese g. 60 di riso bianco 1 cipollotto tritato 1 uovo 1 cucchiaino di olio sale q.b. 2 cucchiaiate di amido di mais (Maizena) g. 80 di salsa agrodolce g. 80 di brodo di pollo

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PREPARAZIONE

Bollire velocemente il pomodoro per poter pelarne la buccia. Togliere la parte interna e i semi, ma lasciare la polpa intatta per farne una sorta di tazza. Mettere un po’ di olio nel wok, aggiungere la carne sminuzzata di Wagyu e cuocere fino a quando non raggiunga un punto medio di cottura. Poi togliere dal wok e lasciar riposare. Aggiungere il riso e l’uovo nel wok e friggere fino al momento in cui l’uovo risulta ben cotto e poi aggiungere di nuovo la carne Wagyu e mescolare per bene. Condire con un pizzico di sale e di cipolla verde. Riempire con il riso la tazza ricavata dal pomodoro. Bollire i fagiolini verdi e il cavolfiore cinese in acqua salata. Inserire nella tazza di pomodoro. In una pentola a parte, mescolare la salsa agrodolce e il brodo di pollo, e portare ad ebollizione. Aggiungere mescolando dell’acqua alla Maizena (amido di mais) e versarla nel brodo. Mescolare il tutto dolcemente e versarlo sulla copertura del pomodoro e poi portare in tavola.


Shang Palace

Granchio gigante

saltato con pepe bianco e pasta di riso servito in un tegame di argilla INGREDIENTI

1 pezzo da g. 240 di granchio fiore rosso g. 120 di pasta di riso g. 60 di cipollotto sminuzzato g. 30 di aglio fritto g. 6 di coriandolo g. 2 di peperoncino rosso g. 1 di pepe in polvere aglio tritato, scalogno e un po’ di zenzero CONDIMENTI

g. 10 di salsa di pesce g. 5 di salsa di ostriche g. 2 di polvere di pollo g. 1 di zucchero g. 8 di amido di mais olio di sesamo q.b. vino cinese q.b. olio vegetale q.b.

PREPARAZIONE Togliere l’intestino del granchio. Rompere il guscio e lavarlo. Scaldare dell’acqua, aggiungere olio vegetale e salsa di soia scura. Aggiungere la pasta di riso, e lasciar riposare. Coprire il granchio con l’amido di mais. Scaldare l’olio in un wok a 180–200 ° C. Raffreddare poi il granchio fino a quando non diventa rosso, quindi lasciar riposare. Scaldare l’olio nel wok e soffriggere il cipollotto tritato. A parte, aggiungere il coriandolo, il peperoncino rosso e il pepe bianco. Aggiungere il vino cinese, la salsa di pesce, la salsa di ostriche, il pollo in polvere, lo zucchero, l’olio di sesamo e 250 ml di acqua. Aggiungere poi il granchio e l’aglio fritto. Cuocere per un minuto e servire caldo in un pentolino di argilla.

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GourmetFood

Pollo al vapore tradizionale con conserva di verdure INGREDIENTI

1 pezzo di pollo fresco 1 pezzo di anice stellato 1 pezzo di cannella 2 rametti di coriandolo 8 scalogni 10 spicchi di aglio gr 80 di zenzero gr 100 verdure in conserva

CONDIMENTO

2 cucchiai di sale 1 cucchiaio di polvere di pollo 1 cucchiaio di vino rosè 1 cucchiaino di zucchero 1 cucchiaino di polvere di 5 spezie

PREPARAZIONE

Scaldare il pollo intero in acqua bollente. Lasciare poi raffredddare tutto il pollo in acqua gelata. Asciugarlo con uno strofinaccio ben pulito. Mescolare insieme il coriandolo tagliato fino, lo scalogno sminuzzato, l’aglio, lo zenzero e l’anice stellato, la cannella e tutti i condimenti. Riempire il pollo con tutti gli ingredienti mescolati insieme. Usare un ago da cucina grande per ricucire l’intero pollo. Lasciarlo ad asciugare appeso per 40 ore. Aggiungere le verdure e cucinarle al vapore con il pollo ben asciutto per 40 minuti fino a quando non risulti ben cotto. Sminuzzare quindi l’intero pollo e mettere i pezzi in un piatto. A questo punto scaldare un wok e aggiungere l’acqua del pollo al vapore e cuocere con un po’ di condimento. Scolare e poi spruzzare sul pollo cotto la sua stessa acqua.

UN LOCALE PREMIATO Lo Shang Palace ha ottenuto vari riconoscimenti sia a livello locale che internazionale fin dalla sua inaugurazione nel 1981: 2 stelle Michelin nella Guida Michelin di Hong Kong e Macao già nel 2008; il premio “Two Glasses Award” nel 2015 da parte dell’Associazione dei Sommelier della China, vari premi locali per la lista dei vini ed è stato eletto tra i dieci grandi ristoranti d’hotel di tutto il mondo da parte della rivista ” Hotel” degli Stati Uniti.

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Shang Palace

abbastanza amaro. Nella sua camminata lo chef fornisce molte informazioni: “I funghi grandi e polposi sono cari perchè si devono raccogliere con cura e a mano per evitare di rovinarne il gambo”. Ci sorprende poi con alcuni prodotti mai visti, come dei germogli simili a quelli della soia, ma molto più grandi che, ci dice, sono germogli di arachidi: “Un soffritto rapido con olio speziato e con zenzero rende questi germogli di arachide come se fossero... germogli di soia, ma molto più grandi, più croccanti e con un retrogusto di arachidi”, racconta. Uno dei piatti di punta del menù abituale è il riso fritto con carne Waygu a fette servita all’interno di un pomodoro intero. Altri piatti importanti sono lo squisito e saporito brodo di maiale bollito con scorze di mandarino esiccato 30 anni; funghi di neve e pera e filetto di ippoglosso del Pacifico al vapore con una varietà di verdure e salsa di bianco d’uovo coperto con croccante prosciutto di Parma. “Credo che la vita sia piena di emozioni e colori, - spiega - come del resto succede in qualsiasi cucina. Mi piacciono le varietà e mi piace che la mia dispensa sia ben fornita di spezie, oli e tutti gli utensili da cucina”. Fedele alla regola “dalla fattoria alla tavola “ Cheung elabora sapori semplici: filetto di pesce con salsa di mais dolce; pollo croccante; empadana di carne di maiale tagliata a fette al vapore con verdure in conserva; petto di agnello alla brace con rapa e riso fritto con pollo spezzettato e pesce salato. Con l’elegante sobrietà di un due stelle Michelin, lo Shang Palace mantiene alla base della sua filosofia gastronomica un tipo di cucina simile a quella che si serve in tutte le case del luogo, dove la cucina stessa ne è ancora la regina: nidi di uccello, funghi di bambù e piatti di abalone, un’ampia scelta di frutti di mare e tutti quei piatti saporiti che si preparano nelle famiglie cantonesi ne sono un’esempio. In tutto 50 piatti e 6 menù degustazione. La varietà di tè premium tradizionali cinesi, serviti appositamente da una maestro del tè, offre la possibilità di avere una dettagliata visione della cerimonia e del connubio del tè con il cibo. All’interno del ristorante, la cantina ospita più di 1200 bottiglie di vino francese, italiano e americano. Un sommelier specializzato è a dsposizione per accompagnare i commensali alla scoperta della vastissima offerta, al fine di aiutarli nell’abbinamento migliore.

UN LOCALE MOLTO SOFISTICATO Decorato con motivi rossi e dorati che ricordano la dinastia Sung, lo Shang Palace ricrea un ambiente di raffinata eleganza cinese. Il servizio al tavolo è effettuato con porcellana creata appositamente e include un sottopiatto giallo, un piatto e un fermatovagliolo con finiture dorate, tutti pezzi ispirati a una pianta cinese, il lingzhi, che è simbolo della fortuna. La simbologia dei quattro lingzhi insieme significa favorire la sorte e ritrovare armonia. Il modello dell’intreccio delle finestre rappresenta la longevità ed è tipicamente cinese:unisce la longevità con la ricchezza, due simboli che si ripresentano anche nel servizio da tavola. Indubbiamente la preparazione della tavola aggiunge un tocco raffinato all’esperienza gastronomica. A seguito di un recente programma di ristrutturazione, il ristorante ha fatto un passo verso un ridimensionamento della cucina. Nel contempo, con un restauro accurato, le decorazioni hanno riacquistato vitalità e freschezza.La parola chiave è stata evoluzione, in contrapposizione con rivoluzione. “Avevamo ben chiaro il fatto che non si doveva cambiare la tradizione dello Shang Palace, ma al contrario bisognava svilupparne gli elementi caratteristici e classici”, ha detto Timothy Wright, ex responsabile generale. “Abbiamo conservato le stesse combinazioni di colore del vecchio Shang Palace: le tonalità come il rosso, il dorato, il bianco e il beige sono ampiamente usate in tutto il ristorante.”, ha concluco Charles Robertson, direttore amministrativo dello studio di progettazione.

SHANG PALACE - 10

Avenue d’Iéna, 75116 Paris, Francia Tel.: +33 1 53 67 19 92

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Vinaria

a cura di Angelo Gaja Wine Maker • Wine Philosopher

IL COLORE DELLA CRISI E SE FOSSE IL 2021 LA CONTINUAZIONE DELL ‘ ANNO ORRIBILE DEL VINO ITALIANO? LE PREMESSE NON MANCANO. di

Angelo Gaja

In Italia si suonano le trombe per la vendemmia 2020 che promette di essere la più ricca al mondo di uva. Non è un primato invidiabile in presenza di una crisi dei consumi senza precedenti che si abbatte su tutti i mercati e coinvolge TUTTE le cantine del mondo, gonfiandone le giacenze. Per fronteggiarla la quale il ministro Bellanova aveva stanziato misure di distruzione dell’ uva e del vino (distillazione) finanziabili con 150 milioni di euro di denaro pubblico, giunti però in ritardo ed utilizzati appena per un terzo. L’ errore, tuttavia, non è affatto della Bellanova, bensì dei suggeritori esterni che fanno capo ad associazioni varie e presenziano alle tavole di concertazione. Quelli che dapprima non volevano sentire parlare di distillazione, per poi concederla ai soli vini da tavola, mentre ad averne necessità sono i vini IGP e DOP. Quelli che preferivano misure in favore dello stoccaggio, incoraggiando ad accumulare scorte in cantina confidando nella rapida fine della crisi e pronta ripresa dei consumi, che invece non ci saranno, con prolungamento dell’ agonia. Quelli che avanzavano mille riserve, rallentando e rendendo intempestiva l’ entrata in vigore delle misure di intervento pubblico facendole perdere di efficacia. Il comparto del vino conoscerà una crisi più lunga, legato com è all Ho.Re.Ca e al turismo. Fino ad ora è stata una pioggia di numeri reali-stimati-probabili-farlocchi, anche da fonti autorevoli, a commentare il procedere della crisi. Solo a fine anno si conosceranno le giacenze totali di vino nelle cantine italiane e si attendono pessime notizie in merito. Sempre a fine anno, a fronte del preoccupante calo in volume, si registrerà il più drammatico e vistoso calo in valore dell export del vino italiano. A piangere saranno i fatturati. Quando nella primavera 2021 verranno resi pubblici i bilanci

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delle mega cantine italiane e verranno svelati i numeri veri, si evidenzierà che per molte di esse le perdite di fatturato rispetto al 2019 supereranno il 20%. A perdere di più, però, saranno i viticoltori venditori di uva e le cantine artigianali dalle dimensioni piccole e medio piccole, il settore più numeroso e fragile. E’ a questi che il ministro Bellanova deve pretendere di destinare maggiori risorse, durante il confronto che condurrà con i suggeritori esterni. In questo momento di grave emergenza occorrono misure straordinarie. La prima preoccupazione deve essere quella di cercare di riequilibrare il mercato dando la priorità ad un ampio-e-mai-visto-prima progetto di distillazione che includa anche i vini IGP e DOP, da avviare SUBITO per consentire il recupero già entro il 2020 dei quasi 100 milioni non spesi nella misura precedente, per poi concluderlo nel 2021. Prendendo ispirazione da quanto saggiamente aveva già fatto prima di noi la Francia. Sarebbe utile inoltre introdurre in Italia per i prossimi due-tre anni il divieto di impiego del Mosto Concentrato Rettificato, che costituisce per chi ne fa uso l’incentivo per eccellenza a produrre maggiori volumi di uva in vigneto. Bene la richiesta di maggiori finanziamenti per la promozione consentendone l’ accesso anche ai progetti di investimento contenuto. Non scordando che, nei prossimi due-tre anni, sarà baraonda sui mercati internazionali perché le cantine di tutto il mondo avranno il vino che uscirà loro dalle orecchie e saranno sui mercati per cercare di collocarlo. Occorrono idee nuove, pensare di utilizzare solamente gli strumenti del passato non sarà di grande giovamento prima del ritorno alla normalità.


Vinaria

IL VINO AL TEMPO DEL COVID COME L’AMORE AI TEMPI DEL COLERA UN FILM TRAGICO DAL FINALE SCONTATO di

Partiamo da un’attenta analisi del mercato-vino: nei primi cinque mesi di questo 2020 calano le vendite di vino italiano nel mondo. Pesa, ovviamente, – non è una novità - la pandemia e la crisi economica che ne è derivata. Basti pensare che in Cina il consumo di vino italiano fra gennaio e maggio 2020 è crollato in misura del 44%. Nel Regno Unito le vendite sono diminuite quasi del 12% (colpa anche delle tensioni legate alla Brexit), la Francia ha incamerato una flessione del 14%. In Germania e Stati Uniti - due dei principali mercati per le bottiglie di vino italiane - viene evidenziato un calo di poco più dell’1%. In Italia per il vino in bottiglia (da una ricerca di Federvini e Tradelab), si stima una chiusura d’anno con una perdita del 29% rispetto ai consumi del 2019, mentre il calo dei consumi del mercato fuori casa - complessivo del food&beverage dovrebbe essere del 33% circa. Per la ristorazione i risultati dovrebbero essere migliori, soprattutto per i locali di fascia medio alta. I ristoranti di fascia alta – anche grazie a pranzi/cene di nuovo a regime - stanno reagendo meglio; ovvio che lo smart working, specialmente nelle grandi città, penalizza notevolmente (anche se nella maggior parte dei casi i problemi sono più per i bar con piccola ristorazione che per i ristoranti puri). Il

Alessandro Rossi

punto dolente è rappresentato dalla riduzione del turismo proveniente dall’estero e quindi dalla piccola e media ristorazione che vive in parte di questo. Qui la flessione è più alta (circa il 63%) ed effettivamente è un grosso problema. Inoltre, i consumi di vino del segmento alberghiero sono quasi azzerati a causa del blocco del turismo. Questa è la lettura e quanto si mormora, ma le voci di corridoio e l’analisi dei numeri - ma non degli esseri umani e le loro reazioni agli eventi - spesso non coincidono. Ad aprile si è registrato un incredibile picco negativo nel mercato del vino in Italia con una inversione di tendenza a partire da giugno per stimare una chiusura a dicembre a -6%, se il mondo ovviamente procedesse spedito nei consumi anche in autunno come in questo periodo estivo (esportazioni a parte). La crisi Covid ha inciso anche sulle vendite di vino nei supermercati. Il secondo trimestre si chiude con un +10% per il vino fermo e +5.5% per gli spumanti, un grande risultato ma non così importante come ci si aspettava. Ma arriviamo alle vendite online, per tanti nuova fonte di salvezza dell’economia del vino italiano. Se parliamo di pre-Covid, l’approvvigionamento di vino attraverso ecommerce incideva per poco più dell’1% sul totale dell’economia italiana del vino; ora, possiamo an-

che andare al raddoppio a chiusura 2020 ma parliamo di numeri piccoli e non credo che ad oggi possa essere il canale di sfondamento per il futuro dell’economia del vino italiano. Ma come può un’Italia in questi mesi estivi sviluppare numeri cosi incoraggianti nel consumo fuori casa del vino nonostante la crisi non abbia permesso ai visitatori ed amanti del Belpaese di sbarcare per le vacanze? La risposta è semplicissima: quattro amici (italiani ovviamente …) ad un tavolo di un ristorante, rilassati durante le vacanze, nell’arco di quattro ore sono capaci di consumare 3 o 4 bottiglie di vino, nonostante tutto siamo italiani e la bella vita a noi è sempre piaciuta. Uno straniero (a parte gli abitanti di qualche paese europeo più simile a noi per costumi alimentari) è meno attento e meno legato al vino. Più consumatore di birra, meno tempo passato con i piedi sotto la tavola di un ristorante e ovviamente meno bottiglie di vino bevute durante un pranzo o una cena. La ricetta del successo è tutta qui. L’italiano è rimasto in Italia ed è stata la nostra vera salvezza e chissà che, oltre le prelibatezze enogastronomiche, magari non riscopra anche quelle paesaggistiche e artistico-culturali. La speranza è sempre l’ultima a morire.

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IL PROSECCO SECONDO GIANFRANCO FOLLADOR

STORIA DI UNA FAMIGLIA E DEL SUO VINO di

Di Glera si nasce e di Glera si muore, ancorchè passionale è la sorte di chi vive in queste terra, dove l’attaccamento ad ogni centimetro è quasi viscerale. La storia dei vecchi contadini che hanno popolato e popolano tutt’oggi queste aree agricole, soprattutto quelle atte a produrre vino hanno uno squisito sapore italiano, fatto di tradizioni e sacrifici. Il vitigno del Prosecco prende il nome dal Comune di Prosecco; frazione del Comune di Trieste. Verso la fine del 500 l’identificazione del castellum nobile vino Pucinum con il Castello di Prosecco, sito nei pressi dell’omonimo comune, portò alla denominazione definitiva

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Alessandro Rossi

del vino in Prosecco. La nascita storica del vino con questo nome, quindi, ci riconduce in un primo momento al Friuli-Venezia Giulia, ma la storia non si ferma qui. Non è in questa area che si consolida il mito che oggi rappresenta; è nelle terre di Conegliano – Valdobbiadene che il vitigno ha trovato il suo habitat naturale e la sua continuità. Si narra che I meriti per aver dato inizio alla storia moderna del Prosecco vanno al Conte Marco Giulio Balbi Valier che, negli anni successivi al 1850, aveva isolato e selezionato un clone di Prosecco migliore degli altri, individuato ancora oggi come “Prosecco Balbi”. Il Prosecco oggi è senza dubbio non solo un

italian style conosciuto ed esportato in tutto il mondo, bensì un caso di culto in alcune aree geografiche al di fuori dei nostri confini tanto che le esportazioni hanno raggiunto il record di 360 milioni di litri nel 2017, doppiando lo Champagne francese, secondo quanto emerge dal bilancio tracciato dalla Coldiretti. Ma torniamo alla nostra storia: nasce il 7 giugno 1962 il Consorzio di Tutela del vino Conegliano-Valdobbiadene Prosecco con sede a Villa Brandolini presso Solighetto di Pieve di Soligo. Da allora il Consorzio opera per difendere, valorizzare e promuovere l’immagine del Prosecco facendolo conoscere non solo in Italia ma anche all’estero.


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UNA STORIA DOC Altra data fondamentale per la storia di questa denominazione è il 1969, quando il Conegliano-Valdobbiadene conquista un altro prestigioso risultato ottenendo la DOC. Lo straordinario successo ottenuto da questa denominazione a partire dal secondo dopoguerra crea una serie di tentativi di imitazione: vini denominati “Prosecco” sono innumerevoli, diventa quindi urgente una regolamentazione legislativa che argini il fenomeno. Essendo vietato dalle norme internazionali proteggere il nome di un vitigno, si rende dunque necessario ricollegare la produzione veneta col nome della località originaria del Prosecco, e cioè la località omonima presso Trieste, nel contempo ripristinando gli antichi nomi – “Glera” e “Glera lunga” – dei vitigni. Allontaniamoci ancora di più dal presente e spostiamoci nella Venezia antica: intorno al sedicesimo secolo, nel cuore dell’epoca dei Dogi, i nobili e gli aristocratici

che abitavano i palazzi affacciati sul Canal Grande scoprirono il piacere delle vacanze in terraferma. La “villeggiatura”, ovvero il soggiorno all’interno della Villa, diventò uno status symbol. La Villa era considerato il luogo dove poteva esprimersi al meglio la “bella vita” così cara all’indole italiana. Fra i coltivatori più affermati dei tempi vi era tal Giovanni Follador, ebbe la lungimiranza di convertire a vigneto tutte le terre di cui disponeva. Per una fortunata coincidenza, nel 1769 il vino prodotto da Giovanni venne degustato dal Doge Alvise IV Mocenigo, che ne apprezzò la qualità al punto da riconoscerne e attestarne ufficialmente l’eccellenza, da qui ebbe inizio il tutto e ad oggi la Famiglia Follador è un tipico esempio di lungimiranza e storia all’interno del comprensorio del Prosecco. La storia recente racconta di un Gianfranco Follador che ha vissuto in prima persona tutti i passaggi più salienti e l’ascesa di questa denominazione; Follador è un’azienda che già alla fine degli anni ’60 era

all’avanguardia nell’applicazione della macerazione a freddo per le uve Glera. Gianfranco è stato l’artefice di una importante svolta nella tradizione di famiglia, dedicandosi con passione a perfezionare l’arte della spumantizzazione. Il comprensorio del Prosecco storico comprende 15 comuni, con le due capitali Valdobbiadene e Conegliano, che ne delimitano i confini. Proprio nel cuore di quest’area si colloca Col San Martino, sede dell’Azienda Follador. Col San Martino è noto per le favorevoli condizioni micro-climatiche, uno dei principali fattori per la coltivazione di questa vite, insieme alla perfetta composizione del suolo di argilla e roccia. I vigneti di produzione Follador sono posizionati proprio nel centro della zona del Prosecco. Oggi Follador garantisce un prodotto all’altezza delle esigenze degli estimatori più esigenti, anche e soprattutto per l’applicazione del Metodo Gianfranco Follador®, una specifica procedura depositata a tutela della sua esclusività.

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IL METODO FOLLADOR Ma cos’è il metodo Gianfranco Follador? Il Metodo prevede specifici passaggi nella fase iniziale della vinificazione. Follador è stata la prima azienda nel Valdobbiadene a sperimentare il sistema Krios, che prevede l’impiego di un’attrezzatura dove convogliare le uve appena fuoriuscite dalla pigiatrice. All’interno del macchinario si riduce la temperatura mediante l’abbattimento drastico dell’ossigeno. Il successivo passaggio della criomacerazione consente di estrapolare le molteplici proprietà delle bucce: il vino si presenta più strutturato e fresco, ricco di una sua specifica personalità. La “presa di spuma” avviene all’interno di autoclavi secondo il metodo Charmat. L’aggiunta di lieviti selezionati darà inizio al processo di spumantizzazione la cui durata è di un minimo di 20 giorni per i vini frizzanti fino a un massimo di 30 giorni per gli spumanti. È la fase di affinamento — ossia la permanenza prolungata in autoclave fino anche a 6 mesi (Charmat lungo) — che conferisce al prodotto un perlage molto più fine e persistente, un’eleganza

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superiore nel bouquet e nel gusto. Gianfranco Follador condivide la sua esperienza e la sua passione con tutta la famiglia, dalla moglie Italia Rossi ai quattro figli Michele, Mariacristina, Francesca ed Emanuela. Il primogenito Michele è responsabile della produzione esterna, della vinificazione, della produzione interna e del marketing di prodotto. È inoltre supervisore dei vigneti di proprietà. Mariacristina è Sales & Marketing Director dell’Azienda, grazie alla sua innata inclinazione per le pubbliche relazioni e per le competenze acquisite con specifici studi di marketing di settore. Francesca ha ereditato dal padre Gianfranco l’attitudine all’analisi e alla preparazione del taglio dei vini, mettendo a frutto la laurea conseguita presso la rinomata Scuola Enologica “G.B. Cerletti” di Conegliano. Emanuela segue l’amministrazione e la gestione degli acquisti. Paziente, ma con verve, si occupa anche delle relazioni esterne. Tutti si impegnano, giorno dopo giorno, per armonizzare i valori della tradizione con le tecniche di produzione più all’avanguardia, ognuno secondo le competenze e le attitudini individuali.

LE LINEE PRESTIGE E CLASSICA La famiglia Follador ha efficacemente affiancato le tecniche di coltivazione tradizionali con le più moderne tecnologie di produzione, per ottenere vini tenuti in alta considerazione anche dagli esperti del settore. La linea Follador Prestige comprende cinque D.O.C.G.: quattro millesimati nella versione Cru “Torri di Credazzo”, Extra-Dry, Brut, ExtraBrut e il Superiore di Cartizze. Le uve sono attentamente selezionate e sottoposte a una rigorosa crio-macerazione. I vini vengono fermentati in piccole autoclavi fino a circa 120 giorni. La produzione massima di raccolto annuale è di 135 ql per ettaro (120 ql/ha per il Cartizze). Le uve dei Superiori D.O.C.G. provengono da vigneti situati nell’area ristretta e regolamentata del Valdobbiadene-Conegliano, compresi i vigneti della località “Torri di Credazzo” di proprietà della famiglia, favorevolmente esposti a sud-ovest. Data la caratteristica dei terreni, particolarmente impervi, la vendemmia si effettua interamente a mano e viene per questo definita “eroica”.


Vinaria

Gli spumanti della Linea Classica Follador sono il diretto risultato di vigneti ad alta qualità produttiva, nel rispetto di tecniche tradizionali e retaggio di patrimonio familiare. La linea è composta dalla gamma storica dell’Azienda, nella versione Brut, Extra-Dry e Dry. Questa linea di vini, denominata D.O.C. Treviso, deve la sua qualità

alle uve provenienti dalle colline situate nel Conegliano Valdobbiadene, all’interno del Territorio del Prosecco. A completamento della linea Classica, Follador ha sviluppato un’ulteriore gamma di spumanti, fra i quali i Millesimati Joani e Kleofe e il Cuvée Rosé Brut. La produzione annua massima delle uve è di 180 quintali per ettaro.

Via Gravette, 42 31010 Farra di Soligo (TV)

VALDOBBIADENE SUPERIORE DI CARTIZZE D.O.C.G. DRY Giallo paglierino intenso con perlage fine, elegante e persistente. Si apre al naso con profumi fruttati di mela, pera Williams e albicocca, e con sentori floreali che ricordano i petali di rosa. Ha una bocca rotonda e fruttata; morbido, sapido e cremoso.

VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE D.O.C.G. MILLESIMATO BRUT Giallo paglierino luminoso e intenso; il perlage è sottile e persistente. Lo spettro olfattivo si presenta con note fruttate di mela verde, pesca e susina, oltre a note floreali di glicine ed erbe aromatiche. In bocca ritroviamo una grande freschezza e agilità; un Prosecco asciutto e di buon equilibrio fra componente sapida e acida.

Le uve vengono scrupolosamente selezionate e sottoposte a criomacerazione. La fermentazione in autoclave è della durata di circa 40-60 giorni: le tecniche tradizionali di viticoltura si fondono con le procedure di vinificazione più innovative, esprimendo pienamente l’eccellenza del Territorio.

VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE D.O.C.G. – MILLESIMATO EXTRA BRUT Giallo paglierino, dal perlage presente, fine e persistente. Al naso esprime belle note di mela, pesca, fiori d’acacia e di agrumi maturi. Al palato è secco, asciutto, strutturato e caratterizzato da una decisa sapidità e succosità. Chiude estremamente elegante, fruttato e minerale.

VALDOBBIADENE PROSECCO SUPERIORE D.O.C.G. CRU “TORRI DI CREDAZZO” MILLESIMATO EXTRA DRY Giallo paglierino intenso con riflessi verdognoli; perlage lungo, fine e persistente. Al naso si ritrovano sentori di limone e pompelmo su tutti, note di fiori d’acacia e cenni di mela. Il palato rivela una buona struttura, una piacevole sapidità e una gradevole armonia.

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CLIMATE CHANGE LE VIGNE SI SPOSTANO SEMPRE PIÙ A NORD E SAPORI E PROFUMI CAMBIANO NEL TEMPO di

Che gli sparkling wine, ovvero quelle che noi con una discutibile approssimazione definiamo “bollicine”, potessero trovare nelle campagne inglesi un perfetto terreno di coltura, non lo avrebbe mai immaginato nemmeno il più ardito e visionario dei vignaioli. Eppure è accaduto: sono più di dieci milioni ormai le bottiglie di spumante prodotte ogni anno da oltre cento aziende con uve Chardonnay e Pinot coltivate interamente sul suolo

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GianlucaRicci

britannico. Molti di questi vini, per di più, fanno la loro bella figura anche accanto a prodotti ben più blasonati e rinomati messi sul mercato da aziende dalla tradizione più che consolidata. Nessuna sorpresa, però, a meno che non si pensi che i cambiamenti climatici siano una fola raccontata da una cricca di cospiratori intenzionati a impadronirsi delle leve dell’economia mondiale dei prossimi anni. Il clima sta cambiando e a

segnalarcelo in tutta la sua tragica urgenza sono anche le uve: quelle che solo una manciata di anni fa nessuno avrebbe pensato di poter coltivare oltre il canale della Manica, oggi danno vita a spumanti anche prestigiosi. Certo, il lavoro in cantina è stato quello che ha permesso la metamorfosi, ma miracoli simili non possono avvenire se alla base non c’è un prodotto dalle caratteristiche organolettiche adatte.


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Addirittura una grande casa produttrice di Champagne ha acquisito terreni vitati nel sud dell’Inghilterra pronta ad approfittarne per sostituire quelli che negli anni saranno destinati a modificare le loro specificità, impedendo di fatto la continuazione di una tradizione che il climate change, come lo chiamano lassù, sta minando alle fondamenta. I VIGNETI SALGONO Il clima cambia e i produttori corrono ai ripari come possono, ora trasferendosi verso latitudini più settentrionali ora elevando ulteriormente la quota delle colline da trasformare in vigneti. In Trentino, territorio che più di altri consente di sperimentare questa soluzione, i vignaioli stanno già lavorando in tela direzione: Mario Pojer, apprezzato produttore di Faedo, poco sopra la Val d’Adige nei pressi di San Michele, racconta che le

prime vigne di Pinot Nero furono piantate 40 anni fa a 350 metri di altezza, ma vent’anni dopo vennero spostate a quota 450 metri, mentre ora si sta studiando il trasferimento a 650 metri, nella speranza che il clima d’altura possa replicare le medesime peculiarità di quello originale, ormai perduto. La vicina valle di Cembra, un tempo buona per l’estrazione del porfido, si è trasformata in un unico, rigoglioso vigneto, su e su fino a salire agli 872 metri di Vigna delle Forche, dove si produce uno dei Müller-Thurgau più alti d’Europa. Il global warming sta modificando in modo sensibile le modalità di produzione del vino: la buona notizia è che la vite ha dimostrato nel corso della sua storia millenaria di potersi adattare ad ogni tipo di cambiamento trovando il modo di esaltare sempre la migliore delle sue specificità. Vedere vigneti che iniziano a lambire quote un tempo considerate inaccessibili o sfondare latitudini

qualche secolo fa nemmeno immaginabili per questo tipo di coltivazione costituisce una prova tangibile che qualcosa, a livello climatico, sta davvero accadendo. Le previsioni sul futuro, come accade sempre in queste circostanze, ovviamente si sprecano: secondo il prestigioso istituto di ricerca francese Inra (Institut National de la Recherche Agronomique), più della metà delle regioni vitivinicole del mondo è destinata a perdere le sue peculiarità in caso di aumento di due gradi centigradi della temperatura media del pianeta entro il prossimo trentennio; se entro il 2100 la temperatura media si alzasse di altri due gradi, le regioni vitivinicole destinate a scomparire diventerebbero all’incirca pari all’85% delle attuali. Una vera ecatombe, alla quale si potrebbe però porre un freno senza dover per forza trasferire più in alto i vigneti: Benjamin Cook, ricercatore dell’Inra, è convinto che per

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frenare questo fenomeno sarà possibile aumentare la biodiversità fra le vigne e aumentare il numero di vitigni, concentrandosi in particolare su quelli autoctoni che meglio dimostrano di sopportare le modifiche ambientali. Una procedura che dovrà essere per forza di cose accompagnata da una massiccia campagna di sensibilizzazione dei consumatori: i loro palati dovranno abituarsi con gli anni a gusti diversi. SENTORI DI FRUTTA FRESCA O COTTA? Certo, i detrattori si sono spinti a ipotizzare vini in cui il sentore della frutta fresca sarà sostituito da quello della frutta cotta, ma l’affinamento delle procedure di cantina potrà sicuramente limitare al massimo i danni organolettici. Anche perché in gioco c’è la credibilità di un intero sistema, che per

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decenni ha insistito sulle specificità del terroir come valore aggiunto a qualsiasi vino: impossibile ora decantare le medesime lodi con vini prodotti a decine, se non centinaia di chilometri di distanza, anche se in terreni dalle medesime caratteristiche geologiche. Il territorio è diventato un punto di riferimento irrinunciabile per qualsiasi appassionato di vino: lo storytelling legato a ciascuna varietà si è formato nel corso di anni e anni di narrazioni. Impossibile ora buttare tutto a mare e ricominciare in altura facendo finta che non sia successo nulla. Così ecco chi prova a trasferire i propri vigneti sui pendii rivolti a nord, in modo da evitare alle uve il contatto diretto col sole, e chi tenta di far attecchire vitigni abituati a climi caldi, recuperati nelle solatie terre della Turchia, per sostituirli ai vecchi, non più in grado di sprigionare le stes-

se energie del passato. Il terroir e la sua narrazione vengono salvati a caro prezzo, quello del profumo e del sapore, destinati inevitabilmente a mutare nel corso dei prossimi anni. Alcuni si sono spinti a dire che gli ultimi trent’anni sono stati i più straordinari della storia dell’enologia e che nulla, d’ora in avanti, sarà più come prima. Certo, pensare di vedere seduto ad una tavola rotonda sulle nuove frontiere del vino un danese come Ton Christensen, fondatore della prima cantina vinicola danese, la Dyrehøj Vingaard, non lo avrebbe mai potuto immaginare nessuno. Ma gli scandinavi stanno scalpitando, pronti a ricevere il testimone dai loro colleghi italiani, francesi e spagnoli, destinati ad un lento, ma inesorabile declino. A meno che qualcuno non pensi di trasformare skilift e piste da sci in nuovi, affascinanti vigneti per l’enologia che verrà.


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EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com

CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

il piacere

della convivialità e della cultura

enogastronomica italiana

Direttore responsabile: Elsa Mazzolini

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COLLABORATORI Domenico Acconci, Giovanni Angelucci, Silvia Bianco, Daniele Briani, Teresa Cremona, Mario Federzoni, Giulia Gavagnin, Giuseppe De Girolamo, Giorgia Giuliano, Maurizio Di Dio, Gianni Di Lorenzo, Lorenzo Ferrari, Luigi Filippi, Lisa Foletti, Lucy Gordan, Verdiana Gordini, Giuseppe Lo Russo, Antonietta Mazzeo, Alessandra Meldolesi, Claudio Mollo, Alessandro Ricci, Gianluca Ricci, Alessandro Rossi, Simone Rosti, Flavia Tomaello, Marco Tonelli, Primo Vercilli. Fotografi: Claudio Mollo, Nikoboi, Pasquale Spinelli, Illustratori: Patrizia Zavatti - Valentino Menghi

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