La Madia Travelfood n°346 - Ottobre/Novembre/Dicembre 2020

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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ANNO XXXVI Ottobre/Novembre/Dicembre 2020 - N. 346 - €E 4,00 Direttore ELSA MAZZOLINI

IL FUTURO DEL VINO È ROSÉ

Il fenomeno Smart Wine

Wicky Pryian e la sua cucina Giapponese

SCICLI Aria nuova sul Barocco

LA MADIA EDITORE



Sommario - La Madia Travelfood n. 346 - Ottobre/Novembre/Dicembre 2020

Editoriale Un’occasione mancata di Elsa Mazzolini......................................................................................5

BuoneNuove Bakery Innovation, l’alta qualità per la ristorazione............... 39 GourmetFood Wicky Pryian di Giulia Gavagnin.............................................................................. 40

laculturadelbenessere Come difendersi dal coronavirus con il cibo! di Primo Vercilli.........................................................................................6

GourmetFood Fabio Tammaro di Giulia Gavagnin...............................................................................46

lasceltavegana Siamo noi l’origine dei mali della terra di Silvia Bianco.........................................................................................8

TravelFood Scicli di Teresa Cremona................................................................................ 61

ilmenuengineering Ristoratori, non “controllori” e nemmeno “vigili” di Lorenzo Ferrari..................................................................................10

TravelFood I-Banchi di Teresa Cremona...............................................................................66

Evol'olioextravergine L’olio extravergine d’oliva iIn cucina di Antonietta Mazzeo.......................................................................... 12

GourmetFood Ristorante Zia di Teresa Cremona...............................................................................70

BuoneNuove Royale inarrestabile, finalmente l’ufficializzazione: nasce Spiegelau Italia.......................................................................... 14

Vinaria Smart Wine di Gianluca Ricci....................................................................................74

MondoChef Danilo Angelini, una vita tra i Maestri di Maria Chiara Zucchi.......................................................................18

Vinaria 2001 – Odissea nello spazio: il vino del futuro … di Alessandro Rossi...............................................................................77

GolaVagando Sui Colli bolognesi Ristorante Ajò, il cuore della Barbagia di Maria Vittoria Caporale............................................................... 22

Vinaria Il futuro del vino è Rosé di Gianluca Ricci................................................................................... 78

GolaVagando A Roma il Fil Restaurant ...................................................................30

Vinaria Dalla Puglia alla terra del Lambrusco di Antonietta Mazzeo.......................................................................... 81

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Editoriale di

Elsa Mazzolini

UN’OCCASIONE MANCATA Cerchiamo, almeno in questo drammatico momento, di evitare l’ipocrisia: non è vero che la categoria di cuochi e ristoratori è coesa. Potrebbe sembrarlo per quelle tre o quattro manifestazioni di piazza dove molti di loro si sono radunati per esprimere il comune dissenso di fronte alle chiusure dei locali imposte dal governo. Potrebbe sembrarlo per gli eventi pubblici durante i quali si presentano collettivamente in rappresentanza di associazioni varie. Potrebbe sembrarlo anche dalle dichiarazioni ufficiali dove si sprecano attestazioni di stima, solidarietà e pacche sulle spalle, perloppiù disattese nei commenti e nei giudizi non proprio benevoli una volta girate, quelle spalle: ve lo dice una che di quei commenti ne sente a bizzeffe. Certo, esistono le amicizie vere, quelle di vecchia data nate proprio e soprattutto nelle cucine, magari in gioventù, quando si stava tutti in brigata a faticare e a imparare il mestiere. Ma nella realtà quotidiana, vuoi per il poco tempo a disposizione per coltivare i rapporti interpersonali, vuoi per il progressivo rarefarsi di un vero e proprio spirito di corpo, quella solidarietà, quella volontà di condivisione da libro Cuore sono piuttosto rare a vedersi. Prova ne è stata anche la decisione, secondo me divisiva, di consentire l’apertura dei ristoranti solo all’interno degli alberghi, come servizio a disposizione di coloro che ne occupano le stanze. E qui, a fronte di pochissime realtà che hanno deciso di rimanere chiuse per motivi economici ma anche per evitare concorrenze sleali, c’è stata una corsa a chi invece ha trovato gli espedienti più tipicamente italiani, a partire dalla finta occupazione della camera inclusa nel prezzo della cena, fino all’accordo del ristorante con l’albergo più vicino, o alla trasformazione di tanti B&B in mini ristoranti. Insomma la categoria ha dimostrato che più che la solidarietà vige la regola del mors tua vita mea. Che dire? Avrei preferito vedere che la ristorazione si battesse, unita, per dimostrare che i locali rispettosi delle normative vigenti, dotati di tutti i costosi presidi anti Covid-19, sono luoghi molto più sicuri di tutti quei negozi rimasti aperti, supermercati inclusi; o che si battesse per proporre aperture a rotazione a beneficio della categoria e dei clienti, invece che accettare di barcamenarsi in improbabili e oscuri delivery. In pratica, a mio avviso, un comparto che tra bar e ristoranti vantava nel 2019 un fatturato di 85 miliardi di euro, poteva ben far sentire più costruttivamente la propria voce, magari forte di un proprio comitato tecnico scientifico. Si è persa davvero un’occasione per dimostrarsi uniti. Buon Natale?

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laculturadelbenessere

a cura di

Primo Vercilli Medico Dietologo

COME DIFENDERSI DAL CORONAVIRUS CON IL CIBO! In questo periodo di grande preoccupazione per il diffondersi del Coronavirus, oltre a mettere in pratica tutti le importanti misure di contenimento proposte dalle Autorità, dobbiamo comunque chiederci se e cosa possiamo fare in più nella nostra quotidianità. Ebbene sì: possiamo fare tanto per rendere la vita difficile a questo NEMICO DELLA SALUTE! Certamente, cari amici, quello che dovremmo fare ho paura che sia l’esatto opposto di quello che invece facciamo (in questo periodo, infatti cerchiamo maggiormente “confort-foods”) e questo, purtroppo, pone il nostro organismo in condizioni di maggiore vulnerabilità. Con una alimentazione adeguata possiamo creare i presupposti per un sistema immunitario efficiente, che faccia del suo meglio per opporsi al Coronavirus. Vediamo più nel dettaglio.

L’uso di alcolici, inoltre, interferisce con la produzione di citochine (sostanze fondamentali che vengono liberate in caso di infiammazioni), causandone una produzione in eccesso o in difetto. L’eccesso di citochine può danneggiare i tessuti, mentre la loro carenza apre la porta allo sviluppo di infezioni. 3. Sostituire il caffè con il tè. L’ideale è alternare tè nero (più efficace per rinforzare il sistema immunitario) e tè verde, molto attivo contro i radicali liberi, grazie alle catechine in esso contenute. Nel caso soffriate di ipertensione, riducete la quantità di tazze di tè a non più di 3 oppure prendete del tè deteinato. 4. Bere un ginseng al giorno. Si tratta di una radice capace di rafforzare il sistema immunitario, migliorando le performance fisiche e mentali.

Cominciamo con il bere. Prime 4 regole: 1. Idratarsi in modo corretto. Bere non meno di un litro e mezzo di acqua al giorno (meglio se sono due). Una delle principali funzioni dell’acqua sta proprio nel ruolo di sostegno al sistema immunitario. Dovete pensare che l’acqua è un importante veicolo per le cellule, poiché le sostanze nutritive e ossigeno vengono assorbite in quanto veicolate con acqua. Senza questo nutriente e livelli di ossigeno adeguati, il nostro sistema immunitario potrebbe andare incontro ad una minor efficienza. Inoltre, la linfa è una parte importante del nostro sistema immunitario e non può essere prodotta senza acqua. Quindi, bere molto e costantemente aiuta a mantenere i linfonodi sani. 2. Bere sporadicamente bevande alcoliche, ma sarebbe meglio astenersi completamente. L’alcol riduce le capacità dei globuli bianchi di circondare e distruggere batteri pericolosi.

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Arrivati a questo punto, bisogna ridurre al minimo le possibilità infiammatorie. Come? Dobbiamo ridurre al minimo l’uso di zucchero – prodotti industriali – dolcificanti – grassi trans – carboidrati raffinati. Capisco che alla fine torniamo sempre allo stesso punto. Purtroppo (dico purtroppo perché ci sono tante persone che adorano questi tipi di cibi) le tipologie di alimenti che vi ho elencato stimolano enormemente i processi infiammatori secondo diversi meccanismi: 1) lo stimolo di eccessive risposte insulinemiche e di conseguenza l’aumento, proprio tramite l’eccesso di insulina, della predisposizione ai fenomeni infiammatori; 2) l’alterazione della flora intestinale batterica, che è la più importante barriera che abbiamo nei confronti degli agenti estranei. Ci sono ormai infinite evidenze che ci dicono che questi tanto bistrattati batteri intestinali hanno l’importantissima funzione di modulare la risposta immunitaria. Maltrattare questi batteri si-


laculturadelbenessere

gnifica inevitabilmente predisporre l’organismo ad essere maggiormente sensibile a fenomeni infettivi e infiammatori. Ridurre quindi l’ingestione di quelle tipologie di cibo che vi ho elencato permette di ridurre al minimo i picchi glicemici e insulinemici e di evitare di avvelenare la nostra flora intestinale batterica. Vi prego di non sottovalutare l’utilizzo di dolcificanti: crediamo che la strategia migliore per difenderci dallo zucchero sia quello di utilizzare i dolcificanti, ma è un errore grossissimo. A questo punto non ci rimane che utilizzare quotidianamente almeno alcuni alimenti elencati di seguito, in quanto aumentano l’efficienza del nostro sistema immunitario. Quali sono? • Mirtilli: i ricercatori hanno scoperto che le persone che mangiavano cibi ricchi di flavonoidi, come i mirtilli, avevano meno probabilità di contrarre un’infezione del tratto respiratorio superiore o un raffreddore comune rispetto a quelli che non lo facevano. Due tazze di mirtilli a settimana possono rappresentare un valido aiuto al nostro organismo. • Arance e kiwi: Sebbene appartengano a famiglie differenti, questi due frutti hanno in comune l’ottimo contenuto di Vitamina C, che è la vitamina a cui molte persone si rivolgono quando sentono il raffreddore svilupparsi. • Papaia: La papaia è un altro frutto carico di vitamina C. Si può avere il 224% della quantità giornaliera raccomandata di vitamina C in una singola papaia. • Curcuma: La sua efficacia nei confronti del sistema immunitario è data dalla presenza della curcumina, che secondo alcuni studi ha effetti antiossidanti e antiinfiammatori. Un cucchiaino al giorno di curcuma, aggiunto alle pietanze può essere di ottimo aiuto. • Zenzero: Lo zenzero è un’altra spezia molto in voga. Tanti ormai usano lo zenzero in una varietà di piatti e dessert, oltre che nei tè. Secondo diversi, lo zenzero ha proprietà anti-infiammatorie e antiossidanti ed è probabile che offra benefici per la salute. Tuttavia, sono necessarie ulteriori ricerche per confermare se è in grado di prevenire efficacemente la malattia. Anche lo zenzero può essere utilizzato quotidianamente. • Aglio: Studi britannici hanno evidenziato che l’allicina, in esso contenuta, mostra spiccati effetti antibiotici, antimicrobici e antifungini: i soggetti che lo assumono con regolarità, hanno sofferto del 46% in meno di raffreddori stagionali e hanno recuperato più velocemente dalle influenze. Si consiglia di cucinare ogni giorno con due spicchi d’aglio fresco. • Pesce azzurro: salmone, tonno, sardine e altri pesci grassi sono una ricca fonte di acidi grassi omega-3. Il pesce azzurro nella nostra tavola dovrebbe comparire 2-3 volte a settimana. • Broccoli: rappresentano un’importante fonte di vitamina C e contengono anche potenti antiossidanti, come il sulforafano. Per questi motivi, rappresentano un’ottima scelta di verdura da

mangiare regolarmente per sostenere la salute del sistema immunitario. • Funghi: I funghi vengono presi in considerazione molto raramente per le loro proprietà benefiche ma forse pochi sanno che sono ricchi di selenio – che aiuta i globuli bianchi a produrre le citochine (fondamentali nella risposta infiammatoria) – e di beta-glucano, un immunostimolante che attiva i globuli bianchi, come i macrofagi, i granulociti e i monociti, responsabili della difesa contro le infezioni. Inoltre il beta-glucano potenzia il processo rigenerativo dei tessuti danneggiati. Consumare 1-2 volte a settimana un’insalata di funghi crudi può rappresentare un’ottima arma in più. • Spinaci: Contengono molti nutrienti essenziali e antiossidanti, tra cui flavonoidi, carotenoidi, vitamina C, vitamina E. • Kefir: È una bevanda fermentata che contiene colture vive di batteri benefici per la salute. Diversi studi suggeriscono che bere kefir può rafforzare il sistema immunitario. • Semi di girasole: Possono essere una gustosa aggiunta a insalate o ciotole per la colazione. Sono una ricca fonte di vitamina E, quindi hanno un forte impatto antiossidante. • Mandorle: Sono un’altra ottima fonte di vitamina E. Contengono anche manganese, magnesio e fibre. Una piccola manciata al giorno può rappresentare uno spuntino salutare che può giovare al sistema immunitario. Ricordate: combattere il Coronavirus è una guerra che comincia al mattino indossando la mascherina, continua durante il giorno con il distanziamento e con l’igiene delle mani e termina a tavola con una sana alimentazione!

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lasceltavegana

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

SIAMO NOI L’ORIGINE DEI MALI DELLA TERRA IL MONDO NON RAGGIUNGERÀ GLI OBIETTIVI SULLA BIODIVERSITÀ PREFISSATI PER IL 2020 Secondo il Global Biodiversity Outlook 5 (https://www.cbd.int/ gbo5) delle Nazioni unite per il secondo decennio consecutivo i governi non mantengono quanto promesso in sede negoziale sullo stato di conservazione del capitale naturale. Siamo ben lontani dal raggiungere gli obiettivi prefissati, inclusi quelli in scadenza nel 2020. La comunità internazionale non è riuscita a realizzare quasi nessuno dei Target di Aichi, ovvero gli obiettivi sul ripristino della biodiversità concordati tra le nazioni in Giappone nel 2010. Su sessanta Target per la biodiversità di Aichi, solo sette sono stati raggiunti, in particolare quelli sull’ampliamento delle aree protette. Sebbene ci sia sato qualche piccolo progresso in alcuni campi, gli habitat naturali proseguono nel loro declino e un milione di specie su otto milioni conosciute è oggi sotto minaccia di estinzione, un numero davvero troppo elevato.

LIVING PLANET REPORT: IN 50 ANNI PERSI I DUE TERZI DELLA FAUNA SELVATICA MONDIALE Il patrimonio naturale della terra ha un valore inestimabile, ma rischia di sparire per sempre per mano dell’uomo che da anni sfrutta in maniera intensiva le risorse della terra. Il nuovo rapporto del Wwf pubblicato il 10 settembre 2020 conferma il quadro allarmante sulla perdita di biodiversità. Il Sud America è la zona più colpita e l’Europa importa troppi prodotti rischiosi per gli ecosistemi naturali. Secondo il “Living planet report 2020” del WWF ( https://f.hubspotusercontent20.net/hubfs/4783129/LPR/ PDFs/ENGLISH-FULL.pdf ) circa i due terzi della popolazione globale di mammiferi, uccelli, anfibi, rettili e pesci ha subito enormi perdite nel corso degli ultimi 50 anni. Una diminuzione che interessa il 68% della fauna selvatica del pianeta, minacciata dalla distruzione

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ambientale per mano dell’incessante attività umana sugli ecosistemi. Secondo lo studio, si tratta della stessa matrice responsabile della comparsa di nuove zoonosi, come il virus Sars-Cov 2 capace di generare nell’uomo la malattia Covid-19 e che il Wwf legge come un vero e proprio “segnale che la natura sta mandando alla società umana, e che mette in luce la necessità di vivere in uno spazio operativo sicuro”. Sebbene ci siano stati progressi in alcune regioni nel mondo, la percentuale di sovrasfruttamento marino è aumentata nell’ultimo decennio, e di pari passo si ha un forte incremento di rifiuti di plastica che danneggia il funzionamento dell’ecosistema marino. Si parla di circa 260mila tonnellate di microplastiche accumulate nei nostri oceani, più del 60% delle barriere coralline del mondo sono minacciate, soprattutto a causa della pesca eccessiva e del cambiamento climatico, per non parlare del grave inquinamento dei rifiuti elettronici, in costante crescita in tutto il mondo a causa di un consumo che si intensifica.

“PIÙ L’UMANITÀ SFRUTTA LA NATURA IN MODI INSOSTENIBILI PIÙ MINIAMO IL NOSTRO STESSO BENESSERE, LA NOSTRA SICUREZZA E LA PROSPERITÀ FUTURA” (Elizabeth Maruma Mrema, Nazioni Unite). Ogni giorno viviamo cambiamenti climatici che sconvolgono il meteo, incendi che devastano zone come l’Amazzonia, l’Australia e la California, il virus Sars Cov-19 come l’ultima delle malattie originate dal degrado ambientale. Tutto ciò ha un forte impatto negativo diretto sul nostro Pianeta, sulla biodiversità globale, sul benessere degli animali, sugli esseri viventi che lo abitano e quindi sulla salute dei cittadini. Dove arriva l’uomo, diminuisce la biodiversità e ridurre la biodiversità, oltre che essere un’azione ingiusta nei confronti di tutte le forme viventi, sulla cui vita non abbiamo alcun diritto decisionale, non è conveniente a noi stessi


lasceltavegana

come esseri umani, perché perdiamo i servizi fondamentali che gli ecosistemi ci danno, servizi che ci permettono di vivere.

SMETTERE DI MANGIARE CARNE CI AIUTERÀ? Secondo la FAO – The Food and Agriculture Organization, il 15% circa delle emissioni di gas serra mondiali è riconducibile agli allevamenti intensivi e alle attività ad essi correlate. Greenpeace conferma il trend eurpeo nel report di settembre 2020 (https:// storage.googleapis.com / planet4 -italy-stateless / 2020 / 09 / a56ef207-foraggiare_la_crisi_briefing_09_2020.pdf) Secondo questo studio, le emissioni di gas serra degli allevamenti intensivi rappresentano il 17% delle emissioni totali dell’UE, a livello globale “…il settore zootecnico è responsabile del 70% di tutte le emissioni dirette, senza contare le emissioni legate alle coltivazioni destinate ad uso mangimistico (ad es. l’uso di fertilizzanti di sintesi). Le emissioni globali derivanti dall’allevamento sono paragonabili a quelle dell’intero settore dei trasporti (14,5% delle emissioni complessive di gas serra). Se non si inverte la rotta, il contributo dell’agricoltura aumenterà fino al 52% delle emissioni globali nei prossimi decenni, con circa il 70% dovuto alla produzione di carne e latticini..” Se ne deduce che gli allevamenti intensivi sono tra le maggiori cause di diffusione nell’atmosfera di gas come il monossido di carbonio, il metano e il protossido di azoto. Questi pericolosissimi gas si diffondono nell’atmosfera, ma a causa del riversamento di ingenti quantità dei liquami dagli allevamenti nell’ambiente circostante, gli stessi contaminano la nostra falda acquifera, dopo essersi decomposti. Gli incendi che devastano le foreste del nostro pianeta sono direttamente correlati agli allevamenti intensivi. L’Amazzonia continua a bruciare, anche in questo momento. Ma perché brucia? Il Brasile è il primo produttore di soia al mondo e la esporta in tutto il pianeta: solamente il 6% è destinato al consumo umano, il 3% al combustibile biodiesel, il restante 91% è destinato a mangimi e farine per il consumo animale. Il perché degli incendi è presto detto: vengono appiccati dall’uomo per ottenere nuovi terreni per la coltivazione della soia desti-

nata proprio agli allevamenti. Il Brasile è il primo esportatore di carne bovina al mondo, pertanto gli incendi servono anche per aprire nuovi pascoli utili per allevare bovini destinati all’industria della carne. Questo genere di deforestazione è in atto da 30 anni in Brasile e negli ultimi tempi, complici le scelte del Governo, ha subito un’accelerazione. Gli incendi che hanno pesantemente sconvolto l’Australia da settembre 2019 hanno un’origine diversa da quelli della foresta amazzonica. Si tratta per lo più di incendi spontanei causati da alte temperature e dai forti venti che normalmente spirano durante la stagione primaverile australiana (ottobre – novembre). Lo scorso anno purtroppo iniziarono già a settembre, diffondendosi in tutto il Paese, persino nel Queensland, notoriamente area più umida e pertanto meno toccata dagli incendi. Le cause di questi fenomeni sono da attribuire ai cambiamenti climatici, come l’innalzamento delle temperature con conseguente aumento del rischio incendi in zone già altamente colpite da questi fenomeni. C’è anche da dire che la polizia australiana ha reso noto l’arresto di sospettati per aver appiccato incendi nel Nuovo Galles del sud e quindi un’ennesima volta, per mano dell’uomo, vengono appiccati incendi che poi si diffondono a causa della siccità.

CAMBIARE SI PUÒ È evidente che il cambiamento climatico mondiale è strettamente legato alla produzione globale di alimenti di origine animale. Il sistema intensivo degli allevamenti sprigiona agenti inquinanti che danneggiano le persone, gli animali, le piante e l’acqua, ne consegue un cambiamento climatico sostanziale con impatto catastrofico su ogni forma di vita del pianeta terra. Un futuro migliore è possibile grazie alle nostre scelte. Un’alimentazione a base vegetale al 100%, attenta e consapevole, ci rende protagonisti nel costruire un futuro migliore per gli animali, per il pianeta e per tutti noi. Ricordiamoci che noi, come esseri umani dipendiamo direttamente dall’ambiente, ma la biosfera potrebbe fare benissimo a meno di noi!

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ilmenuengineering

a cura di Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

RISTORATORI, NON “CONTROLLORI” E NEMMENO “VIGILI” Durante un nostro evento denominato “Food Marketing Mastery” abbiamo organizzato un sondaggio tra 200 operatori del settore, dal quale sono emersi alcuni aspetti parecchio interessanti. L’indagine verteva sul sondare l’umore degli esercenti del settore ristorativo rispetto all’aumento dei contagi che sta investendo il Paese. È emerso che il 96% dei ristoratori si trova almeno una volta al giorno a intervenire per far mantenere il distanziamento ai clienti, oppure per far indossare loro la mascherina quando si alzano dal tavolo, e il 98% trova ingiusto che da un punto di vista legale le responsabilità del mancato rispetto delle misure di sicurezza ricada anche su di loro. Inoltre, sempre dal sondaggio, è emerso come quattro clienti su dieci al ristorante, al bar o in pizzeria non rispettino le norme di sicurezza basilari, costringendo spesso i ristoratori, altrettanto passibili di multa per l’inosservanza altrui delle regole, a richiamarli. E non è giusto che sia così: il mestiere dei ristoratori è appunto quello di fare i ristoratori, non i controllori, né i vigili. E il perché crediamo sia scontato: non ne hanno le competenze, pertanto non dovrebbero ricadere su di loro le responsabilità. L’aumento dei contagi o lo spettro di un nuovo lockdown si combattono con norme semplici e di buon senso, rispetta-

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te da tutti, esercenti e clienti – norme che diano modo ai ristoratori di fare i ristoratori, invece che i controllori, e che vengano fatte rispettare anche attraverso un’intensificazione dei controlli, se necessaria. Inoltre, sempre secondo il parere di chi scrive, chiudere anticipatamente le attività – come deciso nei recenti DPCM - danneggia una categoria già fortemente colpita nei mesi scorsi. Un settore che ha fatto tutto il possibile, con risultati per lo più stupefacenti, per risollevarsi dal lockdown e per garantire nei mesi seguenti un elevato livello di sicurezza ai clienti. Il “problema” della movida, con una stretta sull’orario di somministrazione, non verrà risolto ma si limiterà a spostarsi altrove, con il solo risultato di mettere in ginocchio le attività, in particolare bar e pub. Discorso diverso per l’obbligo di mascherina anche all’aperto, dato che tanti clienti “indisciplinati” entrano nei locali con le vie respiratorie non protette. Se la protezione è indossata prima dell’ingresso, si riduce drasticamente la necessità di richiamare all’ordine le persone. Semplicemente, la vera battaglia è collettiva ed è di senso civico. Speriamo che lo scoprino anche “ai piani alti”.



Evol'OlioExtraVergine

a cura di Antonietta Mazzeo Tecnico ed Esperto degli Oli d’Oliva Vergini ed Extravergini

L’OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA IN CUCINA PERCHÉ L’OLIO EXTRAVERGINE D’OLIVA È IL MIGLIORE ANCHE PER CUCINARE?

Tutti coloro che si cimentano tra padelle e fornelli sanno ormai che per cucinare in padella o addirittura per friggere non c’è nulla di meglio dell’olio extravergine di oliva, e non solo perché è più buono, ma perché il contenuto di sostanze antiossidanti non diminuisce troppo scaldandolo, inoltre il punto di fumo è molto più altro rispetto agli oli di semi. È quindi un fritto meno dannoso per la nostra salute. L’olio extravergine d’oliva è uno dei protagonisti dell’italica cultura alimentare. Approvato dai nutrizionisti, perfetto dagli chef, è alleato di chi sceglie uno stile di vita sano, ma anche di chi segue una filosofia vegana, in sostituzione del burro e di altri grassi animali. Pomodoro fresco, qualche foglia di basilico, uno spicchio d’aglio e un giro di extravergine di qualità: e ecco pronto il condimento per un piatto di pasta squisito e appetitoso. Qualche goccia di olio extravergine a crudo per esaltare il carattere di insalate e verdure bollite, o per mettere in risalto il gusto di carni o pesci grigliatiProtagonista di marinate, di salse come la classica maionese, per insaporire crostoni e bruschette, per condire e valorizzare in cottura qualsiasi specialità gastronomica, sughi, intingoli, fritti leggeri e profumati e persino per preparare dolci fragranti e golosi: l’olio extravergine d’oliva è un prodotto indispensabile in cucina.

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Come avviene per il vino, così per l’olio occorre stabilire un rapporto tra un determinato prodotto e i differenti cibi. Gli oli extravergine di oliva si classificano, dal punto di vista organolettico, in Fruttati Intensi, Medi e Leggeri. Si tratta di differenze che incidono sul risultato finale di un cibo, sia che si utilizzi l’olio a crudo che in cottura. Volendo dare delle indicazioni di massima indichiamo quali sono gli abbinamenti ideali con il cibo considerando le varie intensità del fruttato del l’olio extravergine d‘oliva. Si tratta di indicazioni di massima perché quello dell‘abbinamento è un gioco a cui è divertente partecipare in compagnia e da diversi punti di vista e di gusto: è anzi una delle caratteristiche piacevoli dell’olio extra vergine di oliva a tavola. Unico avvertimento: mentre per il vino esistono gli abbinamenti per armonia o per contrasto, in genere per l’olio di oliva si segue soltanto la strada dell’armonia. Presupposto indispensabile per decidere quale possa essere l’olio capace di rendere appagante il piatto è quindi la corretta conoscenza delle sue qualità. Questa caratterizzazione è spesso difficile con i blend (ottenuto dall’unione di oli diversi, di differenti varietà di olive - cultivar), mentre è più facile e costante con i monovarietali (ottenuti da un’unica varietà di oliva coltivata - cultivar).


Evol'OlioExtraVergine

Fruttato leggero: oli leggeri, dal sottile e delicato profumo, sono ideali per pesci bolliti e fritti, insalate dal gusto delicato, maionese, verdure all’agro. Fruttato medio: oli fragranti e freschi danno il meglio di sé su minestre di verdura, pesci grigliati al forno, carni al pomodoro, frittura e soffritti di carni bianche, creme di legumi, verdure lesse (spinaci e zucchine), melanzane alla griglia, finocchi crudi, ceci bolliti, insalate di campo, fagiolini ed asparagi all’agro. Fruttato intenso: oli con aromi pronunciati, e forti note amare e piccanti. L’intenso è indicato per piatti dal gusto deciso, ideale per zuppe di cereali, carni rosse alla griglia, minestre di legumi (per creare armonia in una pietanza dalla tendenza dolce).

OLIO A CRUDO Il condimento a crudo è sicuramente il modo migliore per apprezzare al massimo le caratteristiche dell’extravergine d’oliva e per trarre beneficio dalle sue proprietà nutritive. Non ci sono consigli specifici, ma solo possibili abbinamenti. Il primo suggerimento è quello di rispettare la territorialità del prodotto: il pesto alla trapanese, per esempio, sarebbe perfetto

con un extravergine siciliano, un piatto di legumi toscani con un extravergine dal gusto deciso, un pesto alla genovese con un delicato extravergine ligure. Gli esempi potrebbero essere infiniti, ma la regola è sempre la stessa: il territorio e la regionalità sono i migliori compagni per un buon piatto. Assaggiare l’olio prima dell’abbinamento può essere utile per comprendere la corretta concordanza con il cibo.

OLIO IN COTTURA In cottura l’olio extravergine perde alcune fragranze aromatiche tipiche dell’extravergine fresco, ma non le sue proprietà antiossidanti, Infatti protegge gli altri componenti della pietanza dalla degradazione operata da ossigeno e radicali liberi, preservandone le proprietà nutrizionali. L’olio extravergine d’oliva favorisce anche altre reazioni chimiche che possono dare valore aggiunto alla nostra pietanza, ad esempio solubilizza ed estrae alcuni aromi presenti negli altri ingredienti. La caratteristica principale dell’olio in cottura è quella di trasferire il calore al cibo per gradi. Per questo una cottura lenta a fuoco basso è il modo migliore per sfruttare questa caratteristica: l’olio d’oliva, infatti, a differenza degli altri oli vegetali, è molto resistente al calore e

solo dopo un prolungato tempo di esposizione al calore intenso (circa 20 minuti) può subire l’effetto di aria e calore che ne modificano la struttura portando alla formazione di scorie ossidate.

OLIO IN FRITTURA Nella frittura bisogna fare attenzione a non arrivare al punto in cui l’olio inizia a fumare: l’olio sottoposto ad alte temperature comincia a degenerare e libera sostanze dannose per il nostro organismo. Il punto di fumo dell’olio d’oliva è comunque sensibilmente più alto di altri oli e si attesta intorno ai 190 ° Per questo è importante utilizzare l’olio d’oliva nella frittura degli alimenti. Per fare qualche esempio concreto, basta dire che il punto di fumo dell’olio di semi di girasole è inferiore a 130 °C, quello di mais a 160 °C, arachide a 180 °C. La resistenza dell’olio d’oliva al calore assume un valore ancora più importante se si considera che in media le verdure friggono tra i 130 °C e i 145 °C, mentre gli alimenti panati o in pastella tra i 175 °C e i 190 °C. Ciò significa che gli oli di semi sopportano meno il calore, mentre l’extravergine d’oliva può garantire una frittura più leggera e soprattutto più sana.

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BuoneNuove

ROYALE INARRESTABILE, FINALMENTE L’UFFICIALIZZAZIONE: NASCE SPIEGELAU ITALIA

La distribuzione di calici, bicchieri e complementi in cristallo dell’azienda tedesca Spiegelau segna un nuovo traguardo per ROYALE: vetro e porcellana ora insieme per una tavola a 5 stelle. Altro tassello importante per la famiglia Fanfarillo: dopo l’accordo del 2016 con Bonnà “Premium Porcelain” - ormai protagonista indiscussa nella produzione di porcellana professionale dallo stile “casual-dining” - ora tocca a Spiegelau,

senza dubbio una delle realtà più conosciute a livello mondiale nel comparto “vetro per tavola”. L’azienda di Como, nata nell’ormai lontano 1986 con la produzione “Handmade in Italy” di porcellane da buffet e cottura, nel 2015 ha assunto un ruolo da protagonista sullo scenario internazionale, con il lancio sul mercato delle sue originali ed uniche linee, realizzate artigianalmente in Italia nella fabbrica di Lomazzo e destinate al mondo del lusso, SuMisura.


BuoneNuove

Ora, per la prima volta nella sua storia, un marchio internazionale per la cristalleria: si tratta dell’azienda tedesca SPIEGELAU. Il “Crystal Glass”, realizzato esclusivamente in Germania, riporta le prime testimonianze della sua produzione al 1521. Affermatasi durante il XVI secolo con la realizzazione di specchi, perline e bottiglie decorative di grande pregio collocate presso le corti europee, la produzione viene rinnovata all’inizio del ‘900 con una ricerca tecnologica continua ed incessante che porta fino ai nostri giorni. Spiegelau mostra un aspetto comune con Royale, quello di non dimenticarsi mai delle proprie origini: le importanti tecnologie messe a punto non sono infatti impiegate a discapito dell’artigianalità e della passione che accompagna la creazione di ogni oggetto d’arte. Tale competenza antica sta alla base della selezione delle materie prime, vero punto di forza di entrambe le aziende. Elementi come il potassio aumentano la rifrazione della luce, garantendo trasparenza e brillantezza, lo zinco fortifica la resistenza agli agenti chimici e la sabbia grazie a un altissimo grado di purezza evita che si formino aloni verdastri o colorati durante la produzione. Nell’utilizzo quotidiano la purezza delle materie prime si traduce in un prodotto finito con assenza di graffi, macchie, perdita di brillantezza, aloni e deposito di residui o di sostanze chimiche. Vero fiore all’occhiello è proprio il brevetto “Platinum Glass Process”, attraverso il quale vengono eliminate tutte le impurità e le imperfezioni che possono verificarsi: il rivestimento in platino delle linee produttive impedisce infatti la separazione dei componenti solubili in acqua. La moderna tecnologia, le macchine ottimizzate e la produzione 100% “Made in Germany” assicurano massima resistenza alle rotture. Ultimo, ma non perché meno importante, una considerazione sul design delle forme, studiato in collaborazione con i migliori sommelier ed opinion-leader del settore, per esaltare l’aroma ed il gusto delle bevande. Non ci scordiamo che il marchio Spiegelau è parte integrante della famiglia RIEDEL!!! Tutti gli aspetti del singolo articolo – forma, altezza, diametro sono stati creati per valorizzare al massimo il carattere e il “bouquet” di sentori tipici del vino, “Proprio come le nostre porcellane SuMisura - realizzate a mano in Italia – commenta Angelo Fanfarillo direttore generale di Royale – Spiegelau propone articoli dalle grandi caratteristiche tecniche, ma anche dal design raffinato. Questa sinergia garantisce di poter creare una mis en place sempre elegante ed originale, di altissimo livello, sia per le porcellane, sia per il vetro”.

ANGELO FANFARILLO - Direttore Generale Royale

FRANCESCO ALABRESE - Direttore Commerciale Royale

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BuoneNuove Performance, funzionalità ed eleganza sono le parole con cui potremmo dunque riassumere l’intesa nata tra le due aziende in nome di una ricercatezza sempre più ambita dalla ristorazione contemporanea. “Sono molti i punti comuni alle nostre aziende, la storicità della lavorazione, l’attenzione al design. Con questa partnership – continua Angelo – vogliamo offrire un servizio a 360 gradi al cliente, che può così completare la tavola con un’accurata selezione di calici e bicchieri di qualità eccelsa. Come già con la porcellana Bonna - continua Fanfarillo - cercheremo di prestare attenzione anche al rapporto qualità-prezzo, perchè dobbiamo permettere a tutti di accedere al “portafoglio” Spiegelau, sia che si tratti di un hotel 5 stelle lusso o di un ristorante stellato, sia per la piccola trattoria attenta alla qualità”. Entrambe le realtà dimostrano infine grande attenzione all’ambiente e alla sostenibilità: SPIEGELAU a tal proposito garantisce una lunga durata dei prodotti anche per molti anni e più del 50% del vetro è riciclato all’interno della fabbrica ed è sempre riciclabile al 100%. L’azienda gode di tutte le certificazioni ambientali, le materie prime ottenute in loco assicurano trasporti brevi, vengono effettuati continuativamente progetti per il risparmio energetico e i materiali pericolosi per la salute sono stati sostituiti con opzioni più ecologiche. “Sono molto felice di questa unione, questo ci permetterà di avere una distribuzione sempre più capillare sul territorio; si tratta di

un grande marchio già conosciuto ed apprezzato non solo in Italia, dove è presente da più di 20 anni, ma in tutto il mondo; questo ci consentirà di raggiungere significativi risultati sul mercato, ma anche di fare un altro grande passo nella nostra ricerca di soluzioni sempre più complete, nuove ed affascinanti. - continua Fanfarillo - “Annunciamo da subito che saremo molto severi nella scelta dei partner per la commercializzazione del brand: ci affideremo ad agenzie specializzate e forniture alberghiere solo di “prima fascia”. La direzione commerciale sarà affidata ad un’altra figura di “spessore” del panorama HoReCa, Francesco Alabrese, da più di 13 anni nel settore vetro e che si occuperà del mercato con cura ed attenzione, a disposizione e supporto della clientela in ogni momento. Abbiamo da poco concluso l’ampliamento della già imponente logistica attuale con altri 550 posti pallet dedicati solo ed esclusivamente al progetto “Spiegelau Italia”. Ricordiamo, per “dovere di cronaca”, che Royale può contare su una delle più importanti aziende di distribuzione italiana, sempre parte del gruppo, CIFA – CENTRO ITALIANO FORNITURE ALBERGHIERE, per un complessivo di 17 milioni di euro di fatturato, una media di 180 spedizioni giornaliere, 5 stablimenti in provincia di Como ed oltre 80 collaboratori. Che altro aggiungere … se ne vedranno delle belle !!! ROYALE www.royale.it



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DANILO ANGELINI, UNA VITA TRA I MAESTRI UNA VALIGIA SEMPRE PRONTA, ESPERIENZE NEI PIÙ PRESTIGIOSI RISTORANTI IN ITALIA E NEL MONDO PER IMPARARE DAI GRANDI MAESTRI. QUESTO IL BAGAGLIO PROFESSIONALE DI UNO CHEF CHE HA FATTO DEL LAVORO LO SCOPO DELLA PROPRIA VITA foto e testi di

Maria Chiara Zucchi

È’ lunga la gavetta di un cuoco, in special modo se si vogliono affrontare esperienze formative diverse, in Italia e all’estero. Danilo Angelini, riminese, da pizzaiolo ha inteso perseguire la carriera di cuoco iniziando tardivamente, a 21 anni (oggi ne ha 47), la Scuola Alberghiera locale e poi, subito, uno stage al ristorante Righi di San Marino (attualmente 1 stella Michelin) sotto la guida di Luigi Sartini. Come hai affrontato questa esperienza e come l’hai vissuta?

Ho avuto la fortuna di essere catapultato immediatamente dalla scuola a un ristorante prestigioso, ma il vero vantaggio è stato quello di aver avuto un Maestro rigoroso, attento, partecipativo. Mi spiego meglio: oggi è molto difficile trovare chi spende il proprio tempo per insegnare fin dalle basi, ma la passione per la cucina te la può instillare solo chi ce l’ha e ha la generosità di trasmetterla. Sartini sempre burbero, taciturno, riservato, possiede quella rara qualità che si chiama empatia: pur non facendo sconti a nessuno, ma prima di tutto neanche a se stesso, lavora a testa bassa facendo squadra senza risparmiarsi. Lui è il cuoco che io volevo essere, per questo sono tornato ben tre volte alle sue dipendenze, principalmente per stima e ammirazione, ma anche per perfezionarmi in maniera organica. Ed è stato lui a farmi in seguito gravitare “nell’universo Angelini”, ossia nel cosmo del mio omonimo (e non parente) Gino Angelini, che in America è tra le star dei fornelli, e che in Italia ha lasciato una pletora di amici e allievi di gran livello, che gli devono la loro professionalità di oggi. Quindi un altro mentore d’eccezione: cosa hai imparato da Gino Angelini a Los Angeles?

Una maggiore leggerezza nell’approccio dovuta al carattere più giocoso di Gino rispetto a Luigi Sartini, ma in realtà la stessa

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forte attenzione al lavoro di squadra e al ritmo di cucina. Inoltre in lui,in Sartini e poco dopo in Vincenzo Cammerucci quando era stella Michelin al Lido Lido di Cesenatico, ho trovato quelle caratteristiche di concretezza nelle proposte, di centralità della materia prima e di percepibile identità del piatto che non ho trovato nelle altre cucine che ho frequentato. E se Sartini è stato per me il “ fratello” che ho ancora oggi, Gino è tuttora il “babbo” che segue il mio percorso, mi indirizza, mi

consiglia e mi guida. Con lui ho vissuto il sogno: un esaltante anno al mitico ristorante “Vincenti” (quello in cui Julia Roberts in Pretty Woman mangiava le escargot), un anno a “La Terza” con mansioni di chef executive, e ancora all’Osteria Angelini dove realizzavamo la grande cucina italiana,con quel tocco del Maestro che conferiva personale eleganza ad ogni proposta. In seguito sono approdato nelle cucine di un altro chef dell’ “universo Angelini”, ossia il grande Vincenzo Cammerucci, in questo

COZZE, SPINACI, MAIONESE DI POMODORI GIALLI E PANE CROCCANTE ALLA PAPRIKA INGREDIENTI kg. 2 di cozze

g. 200 di pomodorini gialli g. 300 di spinaci

g. 150 di pane a cubetti paprika

olio extra PROCEDIMENTO

Lavare le cozze e togliere la barba, aprirle

in una casseruola con un pò d’olio e acqua, sgusciarle e filtrare l’acqua che servirà per

la maionese. Lavare i pendolini, tagliarli a metà e metterli in un frullatore a immersio-

ne; aggiungere l’acqua delle cozze e olio extra e frullare.

Una volta ottenuta la maionese, passare in

un passino fine e togliere le impurità, prendere gli spinaci, togliere i gambi e lavarli bene; scolare e asciugare.

In una padella antiaderente versare un pò d’olio e cubi di pane; farli dorare e cospar-

gerli di paprika. Impiattamento: condire le foglie di spinaci con un pò d’olio e sale

fino, formare nel piatto un letto con gli spinaci, spargere le cozze e il pane croccante, e alla fine, la maionese di pomodorini.

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caso lo “zio” che da sempre ammiro per la sua straordinaria e raffinata creatività. Con lui ritmi serratissimi: è instancabile, geniale,travolgente; se riesci a stargli dietro, non avrai più problemi nella tua professione. Stress alle stelle, orari infiniti, ma la soddisfazione di essere, ancora una volta, nel posto migliore per chi fa questo lavoro. Tornerei a lavorare con ciascuno di loro anche subito, ma direi che l’imprinting ricevuto mi ha offerto gli strumenti che mi servivano per affrontare ulteriori prove, come quelle fatte in Francia. Dall’America alla Francia: dove hai lavorato?

Nel ristorante “Au Comte De Guascogne”, a Boulogne Billancourt, una stella Michelin, e a “Chez Laurent” a Parigi, due stelle Michelin, per approfondire le mie nozioni sulla cucina classica francese: si è trattato di un vero e proprio bagno nei trattati di Escoffier! Di lì, al “Gualtiero Marchesi” presso l’hotel Lotti di Parigi, con responsabile lo chef Vittorio Beltramelli, il passo è stato breve: anche in questo caso sono stato impegnato a riprodurre i piatti identitari, e quindi quelli che ormai sono riconosciuti come i classici della cucina marchesiana. La Francia è stata per me una tappa fondamentale, un tassello importante nel quadro complessivo della mia preparazione. Non ti sei fatto mancare stage e periodi di lavoro fisso da Leeman, Bistarelli, presso il bistellato Casa Cialares in Val Badia, al Povero Diavolo di Torriana, al Piastrino di Pennabilli con il vissaniano Riccardo Agostini, e in altre “case” importanti. Era necessario un percorso formativo così variegato, anche se a palese detrimento della propria vita personale?

Per me sì, è un percorso di vita e di lavoro fondamentale, e credo che dovrebbe esserlo, in toto o in parte, per chiunque intenda intraprendere questo lavoro in modo serio. Sono convinto che a molti giovani oggi manchino lo spirito di sacrificio necessario, ma anche la curiosità, la necessità del confronto, la voglia di imparare dai maestri il rispetto dei tempi che servono per costruire il proprio bagaglio professionale: la fretta di arrivare senza approfondire le regole base della cucina, non porta lontano. Troppe “basse temperature” a caso, troppa imitazione senza studio,troppa inutile complessità esteriore. Oggi, in ogni caso, la cucina dovrebbe fare un passo indietro, semplificarsi ed essere accessibile, con cuochi di più dietro i fornelli e di meno su social e tv, per offrire alla gente contenuti reali nei piatti, minore mistificazione, maggiore concretezza. Non sono più i tempi dell’apparenza, ma della sostanza: la pandemia ci ha messo davanti a responsabilità che ben poco hanno a che fare con l’eccessivo artificio di questi ultimi anni troppo mediatici. Non tutti vogliono pagare lussi estetici ai cuochi star: la cucina deve tornare a essere maggiormente democratica, più etica, più vicina alla gente.


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LASAGNETTA DI SEDANO RAPA E CANOCCHIE INGREDIENTI

1 sedano rapa medio-grande g. 400 di canocchie ½ l. di latte

4 rametti di timo 1 scalogno

g. 50 di burro

g. 50 di farina sale fino qb olio extra

PROCEDIMENTO

Cuocere le canocchie, separare la polpa dalla buccia, far tostare con

un filo d’olio in una casseruola per qualche minuto la buccia, scalo-

CREMA DI ZUCCA, VONGOLE E I SUOI SEMI TOSTATI INGREDIENTI per 4 persone g. 700 di zucca 2 scalogni

kg. 2 di vongole

1 foglia di alloro

gno, timo e aggiungere acqua fredda facendo bollire per 45 minuti.

Filtrare il brodo ottenuto e unire ½ litro di latte a ½ litro di brodo, portare a ebollizione e fare la besciamella con il roux con g. 50 di

farina e g. 50 di burro, aggiustare di sale. Pulire il sedano rapa dalla

buccia esterna e ottenere delle fettine sottili di circa 10 millimetri, sbollentarle in acqua salata e raffreddarle. Imburrare l’interno di una

teglia, comporre la lasagna con le fettine di sedano e fare gli strati aggiungendo la besciamella. Infornare a 180 °C per circa 30 minuti. Una

volta cotta, impiattarla in un vassoio di portata, aggiungendo la salsa

di canocchie realizzata con una riduzione di brodo e alla fine la polpa di canocchie (attenzione che non diventi troppo salata).

olio evo

sale e pepe qb PROCEDIMENTO

Pulire la zucca, pelare la buccia esterna e tagliare la polpa a cubetti. Lavare e asciugare i semi della zucca e tostarli in forno a 160 °C

per 7/8 minuti circa. Prendere una casseruola e fare un fondo di scalogno tritato e olio evo qb. Una volta appassito, aggiungere la

zucca e la foglia di alloro, cuocere a fuoco lento, aggiungendo un po’ d’acqua e coprire. Una volta cotta la zucca, frullarla e passarla

con un passino fino. Aprire le vongole già precedentemente lavate e lasciate a spurgare, sgusciarle e filtrare l’acqua con un passino per togliere la sabbia che potrebbe depositarsi. IMPIATTAMENTO

Prendere la crema di zucca, aggiungere un po’ d’acqua di von-

gole, le vongole e un po’ d’olio evo, una grattugiata di pepe e impiattare. Terminare, aggiungendo i semi di zucca.

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Golavagando GolaVagando © ph Niko Boi

SUI COLLI BOLOGNESI RISTORANTE AJÒ, IL CUORE DELLA BARBAGIA di

Maria Vittoria Caporale

Basta percorrere pochi chilometri dalle mura di Bologna per ritrovarsi nel cuore della Barbagia, regione montuosa della Sardegna centrale. Sui primi colli bolognesi, a Formica di Monteveglio, è il ristorante Ajò a farsi promotore di un’identità gastronomica unica, ancora poco conosciuta e rappresentata nel bolognese: quella della cucina tipica sarda.

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L’anima in cucina è quella di Attilio Curreli, 43 anni, originario di Aritzo, piccolo paese in provincia di Nuoro. Cresciuto nel ristorante pizzeria di famiglia e trasferitosi in Emilia Romagna a diciannove anni per lavorare nel mondo della ristorazione, nel 2007 è diventato il titolare di questo ristorante. Insieme a lui c’è la moglie Gabriella, anche lei sarda e dedita all’accoglienza, al servizio di sala e alla comunicazione.


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MALLOREDDUS ALLA CAMPIDANESE INGREDIENTI Per la pasta

g. 400 di semola fine

ml. 200 d’acqua tiepida (potrebbe essere necessario aumentare o diminuire la quantità)

g. 2 di sale fino

Per il sugo alla campidanese cipolla per soffritto

g. 250 di salsiccia fresca

g. 500 di passata di pomodoro zafferano

vernaccia olio q.b. sale

PREPARAZIONE Per i Malloreddus

In una spianatoia o in una ciotola versate la semola fine e il sale. Fate un buco e inserite metà dell’acqua tiepida.

Iniziate a impastare e aggiungete piano piano l’acqua (potrebbe essere necessario incorporare più dei 200 ml previsti come anche meno, dipende dalla semola).

Lavorate sino a ottenere un impasto liscio. Formate una palla e coprite con un canovaccio inumidito affinché non si secchi mentre preparate i malloreddus. Preparate un vassoio coperto con un canovaccio e spolveratelo con abbondante semola fine e poca farina. Per il sugo

Soffriggete la cipolla in una pentola dai bordi alti.

Sgranate la salsiccia e unitela al soffritto; rosolate tutto per 10 minuti e sfumate con la vernaccia. Aggiungete la passata di pomodoro, sale e zafferano e ultimate la cottura.

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CULURGIONES INGREDIENTI Per la pasta

g. 250 di farina + g. 250 di semola ml. 200 d’acqua sale

2/3 cucchiai di olio evo

Per il ripieno

g. 500 di patate

g. 200 di provola (casizzolu) g. 150 di pecorino fresco 2 spicchi d’aglio

10 foglie di menta

PREPARAZIONE

precedentemente l’aglio) e la

re utile l’aiuto di un bicchie-

in una pentola con acqua salata

Per la sfoglia, amalgamate la fa-

sfoglia un cucchiaio d’impa-

Pelate le patate e fatele cuocere

bollente, per poi schiacciarle bene in modo da ottenere una purea; farla raffreddare. Soffriggete 2 spicchi d’aglio ai quali

precedentemente è stata tolta l’anima. Mischiate in un conteni-

tore capiente la purea di patate con i formaggi grattugiati, l’olio

soffritto (alla quale è stato tolto

menta tritata in piccoli pezzi.

rina e la semola con un pizzico di sale, 200 ml di acqua tiepida e 2-3 cucchiai d’olio. Lavora-

te l’impasto fino a raggiungere

una buona elasticità, per poi passarlo nella sfogliatrice per ottenere una sfoglia sottile.

Ritagliate dei dischetti di pasta di

circa 6 cm di diametro (può esse-

re). Inserite nei dischetti di sto e ripiegateli su se stessi

unendo i lembi, pizzicandoli alternativamente fino a for-

mare una sottile cordonatura simile ad una spiga.

Proseguite fino ad esauri-

mento del ripieno disponendoli su un panno infarinato.

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Ajò è a tutti gli effetti un ristorante a conduzione familiare, dove la semplicità e la genuinità della tradizione si esprimono negli arredi del locale prima e nelle proposte in menu poi. Gli oggetti di artigianato in ferro battuto, le maschere del carnevale sardo, tra cui i Mamuthones, e la collezione di coltelli artigianali sono solo alcuni degli elementi del folklore che anticipano un’esperienza gastronomica autentica, attraverso i piatti della tradizione isolana preparati da Attilio secondo le ricette di famiglia e utilizzando le materie prime della sua terra. Anche la carta dei vini vuole essere un omaggio alla Sardegna: dal più celebre Cannonau al Muristellu, nome tradizionale per definire l’autoctono Bovale, vitigno a bacca nera di importazione spagnola.

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La tradizione pastorale e contadina ha lasciato in eredità alle tavole della Sardegna un’abbondanza di ottimi formaggi, prevalentemente di pecora, sia freschi che stagionati, consumati in purezza, come ripieno della pasta fresca o farcitura dei dolci. Sono proprio loro i protagonisti degli antipasti di Ajò. Il pecorino e il casitzolu, formaggio di latte vaccino a pasta filata, accompagnano il pane carasau che, condito con olio extravergine di oliva, rosmarino e infornato per qualche minuto, prende il nome di pane guttiau. Le melanzane alla sulcitana, piatto tipico del Sulcis, prevedono invece l’utilizzo di provola e pecorino per condire gli strati di pane carasau, melanzane fritte e salsa di pomodoro.


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Il formato più rappresentativo di pasta fresca è senza dubbio quello dei culurzones ogliastrini, opera di Attilio, che li chiude uno ad uno con grande maestria. Sono ravioli di semola ripieni di patate aromatizzate alla menta e pecorino sardo, conditi con sugo di pomodoro, basilico e pecorino grattugiato che si contraddistinguono per la tipica “forma a spiga” conferita dalla chiusura della pasta, quasi ornamentale e rigorosamente fatta a mano. Attilio si affida invece al pastificio Araj di Isili per l’acquisto dei malloreddus, gnocchetti sardi di grano duro. Qui vengono prodotti con semole ottenute dalla macinazione a freddo di grano locale nelle mole in pietra. La lavorazione è artigianale, con trafile al bronzo e un’essiccazione lenta a bassa temperatura.

La ricetta alla Campidanese li vuole, per tradizione, conditi con un sugo saporito e aromatico: porputza, la salsiccia fresca sgranata, pomodoro, pecorino e pistilli di zafferano di San Gavino. La gastronomia sarda svela una serie di ricette fondate, anche, sulle preparazioni dei pescatori. Ecco perché non può mancare la bottarga di muggine di Cabras, raffinata specialità nota anche come “caviale sardo”. Quella dei Fratelli Manca è il condimento degli spaghetti trafilati al bronzo. Ma la massima espressione dell’esperienza e della passione di Attilio risiede nella preparazione e nella cottura del Porceddu, che prende il nome di “Su porceddu” nel campidano e “Su porcheddu”, “Su proheddu” o “Su porcheddeddu” nel nuorese, riconosciuto Prodotto Tradizionale della Sardegna,

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grazie al metodo di lavorazione consolidato nel tempo. Per essere definito tale, il suinetto sardo da latte deve avere fra i 30 e i 60 giorni di età e un peso che non supera i 9 chili. La lenta cottura nel forno a legna rende la carne tenera e saporita grazie alla sua cotenna croccante. Il viaggio in terra sarda non può che terminare con alcuni dei dolci tipici, preparati con cura da Attilio e Gabriella. Il segreto delle Sa Sebadas, dolci di sfoglia fritti, risiede nella farcitura di formaggio di pecora, fresco e inacidito, aromatizzato con la scorza di limone. Dopo la frittura, quando la consistenza del formaggio è cremosa e filante, vengono serviti con miele di corbezzolo, dal gusto amaro, o con il più dolce Millefiori. Il sorbetto in menù presenta invece come ingrediente principale il mirto, liquore prodotto dalle bacche dell’omonima pianta, nonché uno dei prodotti sardi più noti. Ma è il semifreddo che permette di gustare il tipico torrone di noci di Aritzo, patria isolana della produzione artigianale di questo dolce, il quale affonda le sue radici nella tradizione del popolo spagnolo. L’attuale situazione di emergenza, che ha coinvolto il settore ristorativo più di altri, non ha spento l’energia e l’ottimismo di Attilio e Gabriella che hanno prontamente riorganizzato il servizio del pranzo, includendo anche il sabato. Questo permette ai loro clienti affezionati, provenienti soprattutto da Bologna e dalla zona di Modena e Reggio Emilia, di concedersi un pranzo da Ajò durante il fine settimana, ora che l’orario di chiusura imposto alle 18 impedisce il servizio della cena. Se per il delivery la zona di Monteveglio non risulta congeniale, il servizio di asporto si è invece rivelato un’opportunità. Ogni venerdì, sabato e domenica, infatti, è possibile ordinare e ritirare direttamente al locale, sia per pranzo che per cena, i piatti del menu dedicato che Attilio varia ogni settimana e che Gabriella comunica puntualmente sui canali Social del ristorante.

RISTORANTE AJÒ

Viale M. di Canossa, 12, Monteveglio BO www.ristoranteajo.it

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SEBADA INGREDIENTI

Per il sugo alla campidanese

g. 500 di farina di semola di grano duro

1 scorza di limone

Per la pasta

sardo (rimacinato) g. 50 di strutto

acqua tiepida quanto basta un pizzico di sale

GolaVagando Golavagando

g. 500 di formaggio di pecora fresco inacidito se necessario un pochino di farina di semola di grano duro

olio per friggere

miele sardo da aggiungere alla fine

PREPARAZIONE

Mettete il sale nell’acqua, poi aggiungete pian piano l’acqua alla farina disposta a vulcano. Impastate bene il tutto e aggiungete lo strutto impastando finchè il composto sarà liscio e compatto (circa 10 minuti).

Lasciate riposare in frigo e nel frattempo, in una padella antiaderente a fuoco basso, fate sciogliere il

formaggio tagliato a pezzettini, mescolando per renderlo uniforme (se è troppo liquido potete aggiungere un po’ di semola). Appena tolto dal fuoco, aggiungete la scorza, poi prendete un cucchiaio alla volta il formaggio e mettetelo su carta forno creando dei dischi. Fate raffreddare.

Stendete la pasta e create dei dischi un po’ più grandi di quelli di formaggio.

Mettete il formaggio su un disco, poi chiudete con un altro disco schiacciando bene i bordi e ritagliateli con una rotellina per pasta.

Friggete in abbondante olio e, appena tolte dal fuoco, aggiungete il miele.

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A ROMA IL FIL RESTAURANT DI FILIPPO PAOLONI UN GLOBETROTTER IN GIRO PER IL MONDO CON IL BARICENTO NELLA TRADIZIONE ITALIANA foto di

Niko Boi

Sono tanti gli chef che propongono le ricette della tradizione italiana, che le realizzano con materie prime di grande qualità, che amano le cose semplici e ben fatte. Ma sono pochi quelli che mentre fanno questo girano il mondo in lungo e in largo senza cedere alla tentazione delle contaminazioni. “Ho fatto lo chef perché volevo girare il mondo.” Filippo Paoloni risponde così quando gli chiedi cosa lo ha avvicinato ai fornelli. “Volevo viaggiare, scoprire nuovi luoghi, conoscere nuove culture. Cercavo di immaginare un lavoro che potesse realizzare il mio sogno. Da giovane ammiravo molto mio nonno: era un uomo semplice ma sempre elegante e dalla personalità eclettica. Quando salivo a casa sua, lo trovavo spesso ai fornelli perchè preferiva prepararsi da solo piatti sani e naturali.” Dopo aver completato gli studi, Filippo viene chiamato a fare lo chef di partita nello Sheraton di Roma appena inaugurato. Vuole crescere in fretta, imparare, scoprire, ha coraggio e voglia di fare. Dopo soli 3 anni lo trasferiscono ad Abu Dhabi per dirigere il nuovo ristorante italiano. Arriva in fretta il successo e, insieme a quello, l’incarico di seguire l’apertura anche del nuovo ristorante italiano dello Sheraton a Dubai. Nel 1988 Filippo decide di lasciare il Medio Oriente e la catena Sheraton e parte per gli Stati Uniti

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dove accetta di guidare, uno dopo l’altro, diversi ristoranti di Manhattan. La sua fama cresce e seduce palati anche famosi come quelli di Dustin Hoffman, Sylvester Stallone ed Eva Herzigova, suoi clienti abituali. Si guadagna presto l’attenzione e le stelle del New York Times e del New York Observer. La tentazione di continuare a viaggiare lo porta diversi anni dopo ad accettare due consulenze in Malesia. Ma il suo cuore è rimasto a Manhattan dove viene richiamato per trasformare un negozio di antiquariato in un ristorante fuori dal comune: tra mobili di valore, quadri e lampade vengono serviti sfizi italiani preparati con materie prime eccezionali che arrivano ogni giorno fresche dall’Umbria. Nasce così “Il Buco” e la fila si snoda sul marciapiede per due isolati. Dopo una breve sosta a Roma, Fil vola a Mosca e per sei anni è lo chef di un ristorante molto importante.

POLPO IN BARATTOLO INGREDIENTI Polpo verace Avocado Patate

Pomodorini

Olive taggiasche Olio evo Sale

Pepe

Succo di limone Basilico

PRESENTAZIONE

Cuocere il polpo in abbondante acqua per circa

40 minuti. Tagliare l’avocado e le patate bollite a cubetti, affettare i pomodorini. Unire tutti gli in-

gredienti al polpo insieme alle olive e al basilico; condire con il succo di limone, un pò di sale e il pepe. Mescolare bene il tutto.

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GNOCCHETTI, SCAMPI E ASPARAGI INGREDIENTI Patate

Farina 00 Sale

Ingredienti per salsa: Scampetti

Pomodorini Asparagi Olio evo Aglio

Pomodori pelati Panna Sale

Pepe PRESENTAZIONE

Cuocere le patate intere con la buccia, poi pelarle e schiacciarle ancora calde. Aggiungere farina 00 e un pizzico di sale. Impastare

il tutto e formare delle strisce dello spessore a voi gradito e tagliare gli gnocchetti.

In una padella capiente aggiungere olio evo e lo spicchio di aglio.

Far rosolare, aggiungere gli scampetti tagliati a metà per la lunghezza, aggiungere un pò di pomodori pelati e lasciare cuocere per qualche minuto. Aggiungere sale e pepe e un pò di panna per rendere la salsa rosata.

Gli affetti lo riportano a Roma nel 2012 dove apre finalmente il suo locale FIL RESTAURANT. Visto che ama le cose semplici ma di grande sostanza, sceglie la periferia, lontano dai riflettori e dai luoghi famosi della movida romana. Oggi se lo cerchi lo trovi lì, nel suo locale accogliente e familiare che propone un’esperienza di gusto tutta fatta a mano. “Amo fare il pane, la pasta, i dolci utilizzando solo materie prime di qualità e l’esperienza delle mie mani. Solo così tutto rimane fermo nel tempo, tutto ha il sapore delle cose genuine italiane.” Il pesce è protagonista, freschissimo, proposto in ricette tradizionali rivisitate con qualche abbinamento inusuale come la parmigiana di ricciola o l’amatriciana di polpo. Non mancano nel menù i primi della tradizione romana o qualche buon piatto di carne. Per non parlare dei dolci... “Ho girato il mondo, ma le ricette tradizionali italiane sono state le mie compagne di viaggio, il mio bagaglio più importante, il mio baricentro. Non ho mai modificato una ricetta perché in quel posto piaceva così. Sono uno chef italiano porto l’Italia sulla tavola del mondo.” Ma non è solo il gusto a far tornare i clienti al Fil Restaurant. C’è il sorriso dolce e l’aria simpatica e tranquilla di Filippo che ti mettono subito a tuo agio e, se sei curioso ti racconta la sua storia con gli occhi che gli brillano.

Cuocere gli gnocchetti insieme agli asparagi in abbondante acqua

salata. Quando gli gnocchi vengono a galla, scolare il tutto. Unire alla salsa e servire caldo.

FIL RESTAURANT

Via Raffaele Costi, 11, Roma www.filrestaurant.it

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RISOTTO, MAZZANCOLLE, MELONE E PROSECCO INGREDIENTI Riso Carnaroli Mazzancolle Prosecco

FILETTO AI FUNGHI PORCINI

Scalogno

Fumetto di crostacei (acqua, cipolla, carota, sedano) Melone

Olio evo Sale

INGREDIENTI

PRESENTAZIONE

Funghi porcini freschi

in acqua fredda insieme a cipolla, sedano e carota.Far bollire per

Filetto di manzo Aglio

Rosmarino Olio evo Sale

Pepe Pepe PRESENTAZIONE

Grigliare il filetto secondo il grado di cottura che si preferi-

sce. In una padella aggiungere olio evo e far scaldare bene,

tagliare i funghi in pezzi non troppo sottili e versarli nell’olio

Preparare il fumetto di crostacei mettendo i carapaci di crostacei pochi minuti e filtrare il brodo ottenuto.

In un pentolino capiente mettere un fondo di olio evo e lo scalo-

gno finemente tritato. Far imbiondire, versare il riso e farlo tostare. Poi sfumare con il prosecco e iniziare a bagnare con il fumetto di crostacei.

Tagliare a cubetti le mazzancolle e il melone, aggiungere la metà di questi ingredienti al riso quando è a metà cottura. A cottura

ultimata mantecare con olio evo e aggiustare di sale. Versare in un piatto e decorare con il melone e le mazzancolle rimaste. Servire ben caldo.

ben caldo per non fargli perdere i liquidi. Aggiungere l’aglio, il rosmarino e il sale.

Raggiunta la cottura del filetto, adagiarlo su un piatto e cospargerlo di funghi porcini ben dorati.

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BuoneNuove


BuoneNuove

BAKERY INNOVATION, LA QUALITÀ PER LA RISTORAZIONE CON QUESTA LINEA, CHE COMPRENDE LE REFERENZE PÂTE À BOMBE, MERINGA EVOLUTION, LA MERINGA FRANCESE E SPONGE CAKE & BISQUIT, GRUPPO EUROVO PROPONE AI RISTORATORI PRODOTTI VERSATILI E E CON UN ELEVATO VALORE AGGIUNTO

Bakery Innovation è la linea di semilavorati a base di uova 100% italiane di categoria A da allevamento a terra. È una linea completa dedicata ai professionisti della ristorazione che valorizza tutte le preparazioni, grazie a una serie di peculiarità distintive. Innanzitutto, i prodotti chiusi hanno una lunga shelf life a temperatura ambiente (tranne la referenza Sponge Cake & Bisquit). Altra peculiarità è data dalla stabilità dei prodotti in fase di utilizzo. Le ricette possono essere standardizzate e replicate con estrema precisione ottenendo sempre un risultato costante. Altri vantaggi di Bakery Innovation riguardano anche la possibilità di realizzare una linea settimanale di diversi dessert, al piatto, al bicchiere o monoporzione con un food cost inferiore.

Il dettaglio dei quattro prodotti Bakery Innovation: • M eringa Evolution è un composto montato e spumoso che sostituisce la meringa italiana come elemento decorativo o per alleggerire creme, mousse e semifreddi; • La Meringa Francese è una massa montata destinata alla cottura in forno a base di albumi d’uovo pastorizzati con una miscela di zuccheri ed è ideale per produrre meringhe, macarons e dacquoise; • Pâte à Bombe nasce dalla lavorazione dei tuorli d’uovo pastorizzati con una miscela di zuccheri ed è una massa montata soffice e leggera, ideale per alleggerire dolci e produrre parfait e gelati; • Sponge Cake & Bisquit, a base di misto d’uovo e tuorli d’uovo pastorizzati con zucchero, è una massa montata destinata alla cottura in forno per la produzione di pan di Spagna e Bisquit. WWW.EUROVOSERVICE.COM

INQUADRA E SCOPRI

LE VIDEORICETTE!

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GourmetFood

A MILANO

WICKY PRYIAN È MAESTRO DI CUCINA GIAPPONESE CON RIFLESSI MEDITERRANEI

di

Giulia Gavagnin

foto di: Fabrice Gallina (ritratti e location) - Manuela Vanni, Italian Gourmet (per i piatti)

La vita è buffa; la storia, se non fosse strana, sarebbe insignificanza. Il più grande interprete della cucina giapponese in Italia è un non giapponese, uno che non nasce nemmeno cuoco ma criminologo, che abbandona i libri e le ostiche profilazioni psicologiche del reo per consacrarsi alla severissima disciplina di un grande maestro, il venerato Kan, che mai prima di allora aveva ammesso alla sua scuola di tatami, coltelli e sangue uno straniero in terra straniera. Un’eccezione dell’eccezione. Wicky Priyan è singalese, la famiglia è da secoli (!) di medici ayurvedici, il mestiere che sarebbe toccato in sorte ereditaria anche a lui, se non avesse coltivato la parte ancestrale materna, che riuniva attorno alla tavola domestica anche i cinque fratelli. Poi quella famiglia dallo Sri-Lanka si trasferisce in Giappone per il lavoro di papà e la cultura del Sol Levante si trasmette per osmosi; Wicky torna a Colombo per studiare ma alla fine del suo percorso chiede udienza a Kan: il maestro intuisce che il ragazzo possiede la ferrea disciplina richiesta e lo ammette tra i suoi allievi. Oggi sorride Wicky -occhiali d’oro appoggiati sul naso, grembiule intarsiato da ideogrammi nipponici e aria da professore di filosofia più che da Maestro di sushi- se ripensa a quegli anni: “Il maestro richiedeva quindici-sedici ore di lavoro al giorno e dedizione assoluta, non era pensabile avere tempo libero”. Tanto per capire, Kan è uscito per la prima volta dal Giappone lo scorso anno a settantasette anni, è volato tre giorni a Milano in Corso Italia per due serate con l’allievo che a questo punto riteniamo essere il prediletto, è rientrato a Tokyo di fretta, “perché maestro non abbandona mai ristorante”. Una concessione allo svago che un vero maestro di sushi si concede una volta nella vita.

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GourmetFood

Se Wicky non fosse stato investito dal suo maestro del titolo di Maestro, Kan non avrebbe mai attraversato gli Oceani per omaggiarlo della sua presenza. Il percorso per diventare Maestro è ferreo, quasi incomprensibile alle nostre latitudini. Durante i primi due anni gli allievi osservano il Maestro (Shokunin), sono poi ammessi alla cottura del riso e, infine, dopo quattro anni, all’arte del taglio del pesce e alla preparazione del piatto. Le donne fino a qualche tempo fa non erano ammesse, si riteneva che avessero una temperatura corporea incompatibile con il taglio del pesce. Oggi le cose stanno lentamente cambiando anche nella terra

dello shogunato, qualche giovane ragazza si sta cimentando con riso e coltelli, il mondo va avanti anche lì. La storia di Wicky è variegata come la cromìa dei suoi piatti: a Milano è diventato famoso per il roll “arc-en-ciel” (arcobaleno), ha infuso nella mistica shintoista giapponese il colore delle balinesi dei giorni di festa, dopo aver conquistato la padronanza da Maestro è volato in giro per il mondo a esplorare la creatività. Da Bali all’Australia, dall’Inghilterra alla seconda patria, Milano, dove ha iniziato da Zero (non è solo un gioco di parole, ma all’epoca il ristorante giappo-fusion più “trendy” della città) poi in via San Calocero e infine

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GourmetFood

nella sede di Corso Italia, dove la moglie Nozomi accoglie gli ospiti in un ambiente sobrio e ricercato, la luna dipinta e la cascata all’ingresso del ristorante infondono meditazioni monacali e una serenità che fa a pugni con i ritmi frenetici e le mille luci della città. “Cerchiamo di resistere ai provvedimenti imposti dal Governo, apriamo anche alla domenica fino a che sarà possibile”, dice Wicky, mentre Nozomi spruzza del disinfettante persino sotto alle suole delle scarpe. “Durante il primo lock-down ho rafforzato l’asporto, aumentato l’offerta dei bento-box (l’organizzata schiscetta del giapponese fuori casa, ndr), studiato alcuni piatti più semplici per venire incontro alla domanda del pubblico. Ha funzionato, quest’offerta rimarrà ancora a lungo, ma non è sufficiente a coprire le spese”.

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Che dire? La sua situazione è simile a quella di migliaia di chef-patron in giro per l’Italia, ma in centro a Milano, quando languono i turisti, i viaggi e le cene d’affari, la situazione è particolarmente complicata. Tuttavia, mi racconta, la prima pausa è stata fonte di grande riflessione. La vita di un cuoco moderno è come un interruttore acceso ventiquattr’ore su ventiquattro, non c’è mai un attimo di quiete, sono quattordici ore ininterrotte in cui un pensiero, un’idea, si materializzano tra un servizio e l’altro. Il silenzio della Milano deserta di marzo e di aprile ha suggerito a Wicky di approfondire il legame con la cucina italiana, di pescare a piene mani nel patrimonio dello Stivale per incrementare l’idea di cucina “fusion” che, altrimenti, è un calderone talmente ampio da essere tutto e niente al tempo


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MERLUZZO CON TACCOLE, PISELLI E FAVE INGREDIENTI

PREPARAZIONE

4 filetti di merluzzo

olio e burro; quando il burro sarà sciolto

Per il merluzzo

con pelle da g.170

g. 60 di burro chiarificato

1 cucchiaino di capperi in polvere

1 rametto di timo fresco (solo foglie) 1 cucchiaino di polvere tostata di semi di finocchio ml.15 di olio evo

Finitura e impiattamento ml. 10 di salsa di soia ml. 5 di mirin ml. 5 di sakè

g. 50 di piselli freschi già sgranati

g. 100 di fave fresche già sgranate g. 100 di taccole bollite fiori eduli

Per il merluzzo: in una padella versare

disporre il filetto dalla parte della pelle e cuocere per 5 minuti. Aggiungere la polvere di semi di finocchio, il timo, i capperi e il sale. Togliere il merluzzo e tenere in caldo.

Finitura e impiattamento: nella stessa padella in cui è stato cotto il merluzzo ag-

giungere le taccole, i piselli e le fave. Cuo-

cere per 3 minuti, aggiungere il merluzzo, quindi passare in salamandra per 7 minuti. Aggiungere la salsa di soia, il mirin e il

sakè e lasciare sotto la salamandra per un minuto ancora; disporre nei piatti i filetti e

le verdure, ed eventualmente guarnire con fiori eduli.

Il libro di Wicky Pryian, “Crudo Cotto e mangiato” è edito da Italian Gourmet (shop.italiangourmet.it) al prezzo di 57 euro.

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TATAKI DI PALAMITA INGREDIENTI

Per la Finitura

Per la salsa: mescolare wasa-

4 filetti di palamita

4 cipollotti baby

pentolino a fuoco medio, poi

Per la palamita da g. 70 l’uno

2 cucchiai di olio di soia sale

pepe Per la salsa

1 cucchiaio di wasabi fresco grattugiato

4 cucchiai di succo di yuzu

2 cucchiai di salsa di soia shiro (bianca)

6 cucchiai di sambai su g. 50 di mitsuba

o cerfoglio tritato

8 kinome (foglie di pepe sansho) sale Maldon

pepe Punjab

e impiattamento sale Maldon

pepe Punjab PREPARAZIONE

togliere dal fuoco e aggiungere

mitsuba tritato e kinome, mescolando bene.

Per la palamita: taglio sanmai

Per la finitura e impiattamen-

di palamita con la pelle, mas-

dei piatti disporre la salsa, poi i

della scaldare l’olio e cuocere

tine; disporre quindi 1 cucchiaio

il basso. Quando la pelle sarà

lare, pepare e servire.

oroshi. Salare e pepare i filetti

to: tritare i cipollotti. Alla base

saggiandoli bene; in una pa-

filetti di palamita tagliati in 8 fet-

i filetti con la pelle rivolta verso

di cipollotti tritati, altra salsa; sa-

bruciata, girare i filetti e cuocerli dalla parte della polpa per 15

secondi. Tuffarli subito in acqua e ghiaccio, raffreddarli, scolarli e lasciarli riposare ben asciutti in frigorifero per 2 ore.

stesso. Nel recente passato aveva stupito con anguilla giapponese, melanzana perlina, baccalà e stracciatella di Martinafranca, un volo Tokyo-Salento che non è più uscito dal percorso degustazione, ma che pur era un riuscito collage culturale. Oggi mi ha stupita ancora di più con Udon al ragù di pesce Sanpietro scottato nel sakè e uova di Carapo, il pesce coltello che emette scariche elettriche per muoversi anche nei momenti più oscuri. Un piatto di grande gola, perfetto, che nella sua semplicità mette a sedere molti maestri di cucina marinara del nostro Paese. La sosta è stata propizia anche per la pubblicazione del suo primo

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bi, yuzu, soia e sambai su in un

libro, “Crudo, cotto e marinato” (vedi box), che spiega con dovizia di particolari la preparazione delle salse per i suoi ormai famosissimi sashimi e carpacci: la ponzu con sake e mirin, la tosazu con sambai e alga kombu, la unagi per l’anguilla, con tutte le debite quantità. In questo numero de “La Madia Travelfood” Wicky condivide ben tre ricette dal suo libro, tra cui la sua personale versione del risotto allo zafferano che è l’omaggio alla città che l’ha adottato. In ogni caso, è un’opera da scoprire per comprendere l’anima fusion dello chef singalese: dalla marinatura per il merluzzo nero, alla tempura per il baccalà, ai segreti per una perfetta anguilla kabayashi


GourmetFood

RISOTTO ESPRESSO INGREDIENTI

Per il riso

g. 200 di borragine

invecchiato 7 anni

Per la borragine

ml. 50 di olio evo 50 g. 5 di sale 5

Per le cozze e le vongole g. 300 di cozze

g. 30 di vongole

1 spicchio di aglio in camicia ml. 15 di olio d’oliva Per gli scampi

g. 200 di scampi freschi 4 teste di aragosta

g. 100 di daikon pelato

g. 200 di riso Carnaroli g. 200 di polpa di aragosta ml. 50 di sakè

ml. 50 di vino bianco g. 70 di burro

g. 70 di pecorino invecchiato grattugiato

g. 2 di curcuma g. di zafferano sale

Finitura e impiattamento pepe giapponese

g. 20 di zenzero

PREPARAZIONE

Per la borragine: versare l’olio in una pentola e lasciarlo scaldare a

fuoco medio, quindi aggiungere il sale e poi la borragine precedentemente lavata. Coprire con un coperchio e cuocere per 6 minuti; al termine frullare fino a ottenere una crema.

Per le cozze e le vongole: in un tegame scaldare l’olio e l’aglio a fuoco medio, portare l’aglio a doratura da entrambi i lati ed eliminarlo.

Aggiungere le cozze e le vongole pulite e chiudere con un coperchio. Cuocere per 5 minuti, quindi separare la polpa dal guscio e filtrare il liquido di cottura.

Per gli scampi: Pulire bene gli scampi tenendo da parte i carapaci, tagliare ogni testa di aragosta in 4 piccoli pezzi; in una pentola unire il tutto, coprire

con 3 litri di acqua, lo zenzero, il daikon e far ridurre a fuoco medio fino a ottenere 2 litri. Filtrare e unire il liquido di cottura delle cozze e delle vongole.

Per il riso: Scaldare una pentola per un minuto, quindi aggiungere il riso e mescolare a fuoco medio per 30 secondi con una spatola; aggiungere il sakè e il vino bianco e mescolare bene. Aggiungere l’olio, mesco-

lare e versare 500 ml di brodo precedentemente ottenuto. Aggiungere altro brodo, se necessario, e dopo 7 minuti unire la polpa degli scampi

e delle aragoste precedentemente pulita e spezzettata. A parte stemperare curcuma e zafferano in pochissimo brodo e aggiungerli al risotto insieme alla polpa di cozze e vongole, al burro e ad altro sale, se necessario. Spegnere il fuoco e mantecare con il pecorino per un minuto.

o unagi, ai tocchi extranipponici di jalapeno e cipolla rossa nelle alici marinate, alle variazioni di tataki della palamita o del bonito che ci traghettano nelle isole più lontane del Pacifico. Per chi ancora non conosce Wicky, tuttavia, resta imperdibile la selezione di nigiri dedicati al Maestro Kan: un set di otto pezzi (tonno, salmone, angus, gambero siciliano, ricciola, branzino, baccalà, scampo) serviti ognuno con un diverso topping di pesto di capperi, cipollotti, tartufo nero, jalapeno e caviale di salmone. Un vero e proprio sushi da maestro che costituisce solo una piccola parte della Wicky’s Experience, che anche all’estero ci invidiano. Non a torto.

Finitura e impiattamento: disponorre la crema di borraggine sul fondo dei piatti, versare sopra il risotto dando al piatto dei colpi dal basso affinché la superficie si livelli. Guarnire con pepe giapponese.

WICKY’S INNOVATIVE JAPANESE CUISINE

Corso Italia, 6 - Milano www.wicuisine.it

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GourmetFood

A VERONA

FABIO TAMMARO RICORDA IL SUO MARE CAMPANO CON INCROCI NORD-SUD di

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Giulia Gavagnin


GourmetFood

Un ristorante, un uomo al comando: Fabio Tammaro. Solitario come il marinante che sfida la burrasca, di burrasca e di bonaccia è il suo patrimonio culturale, il primo nitido ricordo a pesca con papà Tonino tra i flutti della Costiera, dove dentici, pettini e leccie erano il verbo quotidiano, e lui mica avrebbe pensato che da grande quelle affascinanti creature marine sarebbero state il suo pane quotidiano. In realtà l’ha desiderato intensamente, si è diplomato alla scuola alberghiera di Castellammare, poi è andato in giro per il mondo, in Inghilterra, in Olanda, in Australia, fino a raccontare il mare in una terra che di mare non è, Verona centro, che al più è appena familiare con i pesci lacustri. Cosa che, però, gli ha permesso di narrare storie di tutti i mari, non solo il suo amato tirreno campano, ma anche i frutti delle profondità sarde che si animano di splendide aragoste, i gamberi rossi di Mazara e il pesce dell’”altro mare”, quell’Adriatico che profondo non è ma quanto a dolcezza dei sapori non è secondo a nessuno. È cresciuto esponenzialmente nel tempo Fabio Tammaro, sguardo vivace da scugnizzo, abitatori vari del mare impressi sulla pelle, una conoscenza enciclopedica della materia ittica che lo rende cuoco moderno che non lascia nulla al caso, perché l’emozione deve essere guidata dalla conoscenza, il caso riserva sempre sgradite sorprese.

Officina dei Sapori è nell’”altra Verona”, quella Oltradige che dal Ponte Pietra del 100 a.C. si inerpica verso il Santuario della Madonna di Lourdes, una Verona diversa che guarda dall’alto il suo fiume, la Casa di Giulietta, l’Arena e tutte quelle cose belle che l’hanno resa famosa nel mondo. Officina dei Sapori è un nome oggi un poco fanè ma rende l’idea, ed è uno dei ristoranti ittici più moderni della regione, in una città al centro della pianura padana, dove il mare non c’è. Ha snellito gli arredi, diminuito le sedute, eliminato le tovaglie, senza concessioni allo stile minimale che ci ha fatto sentire all’avanguardia ma più poveri di decoro; i tavoli sono lignei con antichi affreschi marinari al centro, piacevoli da toccare, in un ambiente che è oggi snello ma più luminoso rispetto al passato, più amicale e meno barocco. I quattro menu attuali ispirati ai venti cari ai navigatori raccontano la storia di Fabio, dalla precisione dei crudi che lo hanno accompagnato all’inizio tra queste mura, alla più moderna declinazione del cuoco, nell’elevata qualità della ricerca dei sapori iodati, che si sono fatti più intensi rispetto al passato. Se “Maestrale” (tre corse, 55 euro) è l’entry level adatto a un business-lunch, con capesante gratinate e morbido di patate, spaghetto olio aglio nero e bottarga di Skrei e il “fritto di Sfritto” (Sfritto è il laboratorio di street food di matrice campana aperto durante i giorni della clausura da Covid), con

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GourmetFood

“Libeccio” (anche qui tre corse a 55 euro, perfette con una bottiglia ghiacciata di Franciacorta) entriamo nel regno dei crudi, tartare e sashimi, crostacei e ostriche, la versione moderna del plateau royale. Tuttavia, è con i più ampi “Scirocco” e “Grecale”, rispettivamente cinque e sette corse a 75 euro e 95 euro che Tammaro rivela la crescita creativa, con alcuni acuti da incroci nord-sud (le ormai onnipresenti fermentazioni) che donano tinte differenti ai sapori più neutri perseguiti in precedenza, con l’intento di esplorare i sapori del Mediterraneo. Se qualche reminiscenza asiatica “diretta” del recente passato si trova nel sashimi e scichimi togarashi (miscela giapponese di sette spezie), nello sgombro con aglio nero tabasco e vodka si affaccia una piacevolezza nordica. Non mancano gli omaggi alla terra ospitante, sebbene di riuscita “alla francese” per la prevalenza della salsa sul pesce: rana pescatrice con salsa pearà e cren e la sua guancetta all’Amarone. In questo delicato momento storico, Fabio Tammaro sta proponendo menu per il pranzo e per l’asporto più snelli e centrati sulla materia prima. Sta utilizzando questo tempo a disposizione per ripensare il servizio, dice che sarebbe teoricamente meglio procedere a una chiusura perché l’essenza del suo locale è stata “azzoppata” dagli eventi; la materia prima che tratta è molto delicata, soggetta a smercio quotidiano e di alta deperibilità, però l’imperativo del periodo è “resistere”. Non è ottimista sul futuro, nel senso che le perdite subite difficilmente saranno recuperate, per tutto il comparto. Tuttavia, a lui e ai suoi colleghi, non resta molta altra scelta se non cercare di adattarsi e sperare che la pandemia sia sconfitta il prima possibile. OFFICINA DEI SAPORI Ristorante di pesce del Mediterraneo Via Giambattista Moschini, 26 - Verona Telefono / Whatsapp: +39 045913877 www.officinasapori.com ___________________________________ OFFICINA DEL CRUDO Delivery e Take Away di pesci, crostacei e conchiglie del Mediterraneo ___________________________________ SFRITTO • TERRON STREET FOOD Delivery e Take Away di fritto di pesce street food napoletano

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GourmetFood

ELICHE, FEGATO DI PESCATRICE, WAKAME FRESCA E MANDORLE DI MARE GHIACCIATE INGREDIENTI per 4 persone

Ripetere la stessa operazione con l’alga wakame per due volte.

g. 300 di fegato fresco di rana pescatrice

schissimo, sottovuotarlo con una foglia di alloro, una macinata

g. 400 di Eliche Giganti di Gragnano

g. 50 di wakame fresca o in salamoia kg. 1 di mandorle di mare 1 foglia di alloro sale marino pepe nero

cl. 10 di brodo di pesce pescatrice (o altro pesce bianco) olio extravergine di oliva

asciugare bene il fegato di pescatrice che dovrà essere fredi pepe nero e cuocerlo 15 minuti a 88 °C. Raffreddare in acqua

e ghiaccio eliminare l’alloro ed emulsionare con il brodo di pesce a filo, avendo l’accortezza di tenerne da parte un paio di cucchiai

densi. Cuocere la pasta in abbondante acqua salata per 9 minuti circa e trasferirla in una pentola di alluminio. Aggiungere

il composto di fegato emulsionato (quello più liquido) e l’alga

wakame tagliata grossolanamente. Saltare la pasta a fuoco dol-

cissimo per 70/90 secondi e mantecare lontano dalla fiamma

PREPARAZIONE

per 20 secondi, aggiungendo olio extravergine. Impiattare, ag-

salata (36°% circa) per 30 minuti. Ripetere l’operazione almeno

(quella soda) e le mandorle di mare ghiacciate a -24 °C, legger-

Lasciar spurgare le mandorle di mare in 1 litro di acqua fredda

giungendo qualche che nelle di mousse di fegato di pescatrice

tre volte. Aprire le mandorle, sgusciarle e abbatterle a -24 °C.

mente sminuzzate.

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SGOMBRO, AGLIO NERO, TABASCO E VODKA INGREDIENTI per 4 persone

pomodoro con qualche foglia di sedano bianco ed aggiungervi

g. 500 di pomodori pelati artigianali

rire su un telo e lasciar sgocciolare l’acqua, raccogliendola. Ag-

2 sgombri da g. 600/700 l’uno circa pane

2 foglie di sedano bianco

erbette aromatiche (maggiorana, origano, timo, aneto) 4 spicchi d’aglio nero fermentato vodka secca tabasco

pepe nero

sale dolce di Cervia

g. 2 di agar agar per litro. Abbattere a – 20 °C. per 1 ora, trasfe-

giungervi 1/3 di vodka secca, qualche goccia di tabasco e una macinata di pepe fresco. Lasciar rigenerare i filetti di sgombro

a +3 °C almeno 12 ore prima dell’utilizzo, appoggiando i filetti

su una griglia. Tagliare in tre parti il filetto di sgombro. A parte,

tostare il pane con un filio d’olio extravergine e qualche erbetta aromatica, a fiamma dolcissima. A tostatura raggiunta, passare tutto al mortaio.

Impanare solo dalla parte della carne i filetti. Scottare i filetti in una padella caldissima di ferro, leggermente unta e a fiamma dolce,

PREPARAZIONE

dalla parte della panatura facendo attenzione a non bruciare il

cola sulla pelle Salare abbondantemente dal lato della carne e la-

pelle. L’intero processo durerà circa 20 secondi; la pelle dovrà

a –20 °C stoccando alla stessa temperatura per almeno 48 ore.

Trasferire i filetti su un vassioietto. Impiattare. Posizionare alla base

senza aggiungere nulla, stenderla su carta da forno e lasciarla

il concentrato di pomodoro ed adagiarvi sopra i filetti di sgombro

concentrato, lavorandolo con una spatola. Intiepidire l’acqua di

al tavolo aggiungendo delle scaglie di sale dolce.

Sfilettare gli sgombri, spinarli accuratamente ed eliminare la pelli-

pane. Contemporaneamente, fiammare con un cannello il lato della

sciar riposare 30 minuti a +3 °C. Sciacquare, asciugare e abbattere

essere arrostita, ricca di acidi grassi disciolti.

Scolare i pomodori raccogliendone l’acqua. Frullare la polpa

del piatto l’aglio nero fermentato passato al mortaio, aggiungere

seccare in un essicatoio a 88 °C per 18 ore circa. Raccogliere il

con la pelle croccante rivolta verso l’alto. Versare il “Bloody Mary”

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40 ANNI di collaborazione con chef e ristoratori 40 ANNI dedicati alla valorizzazione della pasta fresca 40 ANNI di successi del grande Made in Italy brand dedicati a diversi target e ad alto contenuto di servizio

Qui le ricette di Vincenzo Camerucci, Maria Cicorella, Dario Picchiotti, Stefano Rufo, Sabrina Tuzi, Christian De Simone, Fabrizio e Andrea Girasoli, Filippo Saporito


Panciotti®

con cappesante e gamberi dei Mari del Nord con verza e brodo chiarificato di crostacei INGREDIENTI per 4 persone 8 Panciotti® con cappesante e gamberi dei Mari del Nord Divine Creazioni Surgital kg. 1 di carapaci di gamberi e astici g. 100 di cipolla g. 30 di carote g. 30 di sedano 1 spicchio d’aglio 1 foglia di alloro 1 rametto di timo 2 pomodori rossi maturi 3 o 4 gambi di prezzemolo cl. 10 di brandy stravecchio g. 200 di polpa bianca di pesce tritata g. 30 di bianco d’uovo g. 100 di verza sbollentata in acqua dl. 2 di olio extravergine d’oliva sale e pepe q.b.

PREPARAZIONE far tostare i carapaci nell’olio; unire tutte le verdure e gli aromi; bagnare con il brandy; aggiugere i pomodori tagliati; coprire con acqua; far bollire e ridurre poi della metà circa. Filtrare e lasciare raffreddare. Unire la polpa di pesce amalgamata con il bianco d’uovo e il prezzemolo; salare e pepare. Far bollire il tutto a fuoco basso per circa 40 minuti e filtrare ulteriormente. Cuocere i Panciotti; adagiarli su piatti fondi con la verza e il brodo bollente di pesce.

VINCENZO CAMERUCCI

Ristorante Camì Via Argine Destro Savio, 84 Ravenna RA

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2010


Scrigni con burrata di Puglia

su carpaccio di scampi e crema di piselli

PREPARAZIONE INGREDIENTI per 4 persone 16 Scrigni con Burrata di Puglia Divine Creazioni Surgital ˷ 20 scampi ˷ g. 500 di piselli sgusciati ˷ 1 patata ˷ limone ˷ 1 scalogno ˷ 1 rametto di cerfoglio ˷ 1 rametto di finocchio selvatico ˷

Prendere gli scampi, estrarne la polpa, condirla con limone, sale, pepe e olio, quindi metterla in una busta di plastica e batterla fino ad ottenere uno spessore di circa 3 millimetri, cercando di darle una forma quadrata; far raffreddare in frigorifero. Preparare una crema di piselli facendo appassire uno scalogno tritato con un filo d’olio, aggiungendo una patata tagliata a tocchetti e i piselli sgranati. Unire il brodo ottenuto coi carapaci

degli scampi utilizzati e cuocere per circa 20 minuti, fino a che la crema non si sarà addensata. Regolare di sale e pepe e passare al setaccio. Disporre al centro del piatto il carpaccio di scampi e disporvi sopra gli Scrigni con Burrata di Puglia precedentemente cotti in acqua bollente salata. Creare una cornice attorno al carpaccio di scampi con la crema di piselli e guarnire al centro con foglie di cerfoglio e finocchio selvatico.

2010 MARIA CICORELLA Pashà Ristorante via Morgantini, 2 Conversano BA

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2017


ALESSANDRO GAVAGNA

Strichetti all'uovo

conditi dall’orto, dadolata d’oca

La Subida Via Subida, 52 Cormons (GO)

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2017

INGREDIENTI per 4 persone g. 320 di Strichetti all’Uovo Divine Creazioni Surgital ˷ g. 120 di petto d’oca ˷ timo fresco ˷ maggiorana fresca ˷ g. 150 di zucchine ˷ g. 120 di pomodori ˷ brodo ˷ g. 70 di burro ˷ sale e pepe˷˷

PREPARAZIONE Rosolare nel burro la carne d’oca tagliata a piccoli quadrati e già aromatizzata con timo e maggiorana. Aggiungere le zucchine tagliate a listarelle, quindi i pomodori privati dei semi e ridotti a dadini. Regolare di sale e pepe, allungare con un mestolino di brodo e portare a cottura la salsa: questa dovrà risultare piuttosto liquida. Cuocere gli Strichetti all’Uovo in acqua bollente salata; scolarli e saltarli nel condimento già preparato. Disporre sul piatto di portata e servire.


STEFANO RUFO

Locanda Belvedere Rocchetta a Volturno (IS) Fraz. Castelnuovo al Volturno

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2019

Mammoli di patata viola

su fondo di caciocavallo, roveglia e spinaci INGREDIENTI per 4 persone g. 800 di Mammoli di patata viola Divine Creazioni Surgital g. 120 di roveglia g. 80 di spinaci 1 carota 1 costa di sedano 1 cipolla (per il brodo) 1 spicchio d’aglio rosso di Sulmona 1 limone olio evo sale q.b.

P ER LA FONDUTA DI CACIOCAVALLO g. 200 di caciocavallo podolico semistagionato g. 280 di panna fresca g. 30 di burro g. 5 di farina pepe bianco q.b.

PREPARAZIONE Per la fonduta: preparare un roux con burro e farina in un tegamino, poi aggiungiamo la panna, il pepe e il caciocavallo, girando continuamente con una frusta fino allo scioglimento. Tenere il composto ottenuto a bagnomaria per non farlo solidificare e utilizzarlo successivamente per l’assemblaggio finale della ricetta. Mondare gli spinaci tenendo da parte le foglioline tenere centrali e scottare quelle esterne, che poi salteremo in olio evo con uno spicchio d’aglio in camicia e sale. Cucinare la roveglia in acqua con sedano, carota e cipolla per un’ora e mezza. In acqua bollente salata, lessare i Mammoli di patata viola che andremo ad adagiare sul letto di fonduta e chiudere con la roveglia, le foglie di spinaci e la buccia del limone grattugiata.

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Raviolotti al baccala'À SABRINA TUZI

Ristorante La Biglietteria Bistrot Via Cristoforo Colombo, 4 San Benedetto del Tronto

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2019

erbe spontanee, cazole di pesce all’anice e polline INGREDIENTI per 4 persone 12 Raviolotti al baccalà Divine Creazioni Surgital g. 500 di erbe (crespigna, borragine, cicorietta, bietolina rossa etc..) g. 100 di cazole (sacche di uova di pesce misto) g. 200 di sale fino g. 200 di zucchero g. 20 di anice verde g. 20 di polline˷

PREPARAZIONE Sbianchire le cazole in acqua e aceto. Scolarle, asciugarle e marinarle per circa 12 ore nel composto di sale, zucchero e semi di anice pestati. Passato il tempo, sciacquarle sotto acqua fredda. Pulire e lavare le erbe e passarle nell’estrattore. Prendere il succo ricavato e cuocerlo a bagnomaria per 20 minuti. Cuocere i Raviolotti in acqua bollente salata; scolarli, saltarli nel succo di erbe e adagiarli in un piatto. Grattugiare le uova sopra ai Raviolotti e aggiungere il polline e qualche fogliolina di erbe.


Intrighi®

su carpaccio di scampi e crema di piselli

INGREDIENTI per 4 persone g. 700 di Intrighi® Tagliatelle a sfoglia ruvida Divine Creazioni Surgital kg. 4 di cozze g. 50 di bottarga 1/2 bicchiere di Armagnac g. 700 di zucchine aglio prezzemolo sale peperoncino olio evo

2010 CHRISTIAN DE SIMONE Freelance

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2019

PREPARAZIONE Lavare accuratamente le cozze eliminando il bisso e spazzolarle bene; in una padella mettere olio extravergine d’oliva, aglio intero (che poi toglieremo). Aggiungere le cozze, il peperoncino e il prezzemolo, lasciar cuocere; non appena aperte, toglierle dal guscio e lasciarle nel loro intingolo.

Pulire bene le zucchine e prendere solo la parte verde; scottarle in acqua bollente e porle in acqua e ghiaccio; asciugarle bene, porle in un contenitore e unire qualche lamella d’aglio, sale, pepe, olio extravergine d’oliva. Con un minipimer mixare il tutto per ottenere una consistenza cremosa.

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Raviolotti

al pecorino di Pienza e pinoli INGREDIENTI per 4 persone 20 Raviolotti al Pecorino di Pienza e Pinoli Divine Creazioni Surgital 20 castagne bollite e sbucciate ˷ 1 arancia ˷ g. 30 di rosmarino ˷ g. 150 di burro ˷ pepe ˷

PREPARAZIONE Ricavare dalla scorza di arancia una julienne e passarla velocemente in acqua bollente per toglire l’amaro, freddare in acqua e ghiaccio. Nettàre il rosmarino e sfogliarlo, spezzare i marroni lessati e pelati grossolanamente, sciogliere poi il burro in padella con poca acqua di cottura senza far soffriggere, unire l’arancia, il rosmarino e le castagne, saltarvi i Raviolotti lessati precedentemente e terminare con pepe appena macinato.

FABRIZIO E ANDREA GIRASOLI Ristorante Butterfly, Via Statale 12, 192 - Marlia LU

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2017


Quadrelli con agnello e timo e caponata di verdure

FILIPPO SAPORITO

La Leggenda dei Frati Costa S. Giorgio, 6/a - Firenze

GRANDI INTERPRETI

Divine Creazioni PER

2017

INGREDIENTI per 4 persone 12 Quadrelli con agnello e timo Divine Creazioni Surgital 2 zucchine di tipo “fiorentino” 1 cipolla rossa di Certaldo 1 peperone giallo 1 peperone rosso 1 melanzana viola uvetta sale e zucchero q.b.

PREPARAZIONE Sbollentare in acqua bollente salata le zucchine; raffreddarle in acqua e ghiaccio. Pelare i peperoni e tagliarli a pezzetti. Tagliare la cipolla a julienne e cuocerla in padella con sale, zucchero e un goccio d’aceto, a fuoco dolcissimo. A fine cottura aggiungere l’uvetta.

In un’altra padella saltare i peperoni con un filo d’olio extravergine d’oliva. Tagliare la melanzana e la zucchina, saltarle velocemente in padella con un filo d’olio extravergine d’oliva. Cuocere in abbondante acqua salata i Quadrelli con agnello e timo, scolarli e disporli nel piatto con tutte le verdure.

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SCICLI ARIA NUOVA SU UN SONTUOSO BAROCCO (GRAZIE ANCHE A MONTALBANO) di

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Teresa Cremona


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Il Centro Storico di Scicli, che dal 2002 è nella World Heritage List dell’Unesco, intatto e monumentale si distende in un continuum coeso di chiese, conventi, palazzi nobili e semplici abitazioni. La città fu ricostruita dopo il terremoto del 1693 in stile tardo barocco, pietra bionda che sembra sorgere spontanea dalla roccia e che restituisce allo sguardo un panorama sontuoso e vario che dalla piana si inerpica sulle coste delle colline fino alla chiesa di San Matteo, al convento del Rosario e a quello della Croce, definiti da Elio Vittorini, acropoli barocche. Un’architettura in gran parte anche spontanea, armoniosa, tessuta di scale scoscese e strade in salita con i quartieri distribuiti in una geografia articolata di canaloni scavati dalle fiumare e valline che si aprono su un’ampia piana, fino alle ripide pareti di Chiafura dove le grotte carsiche, un tempo sepolcri, trasformate in abitazioni, rimasero abitate fino alla metà del secolo scorso e che oggi si visitano, accompagnati dai bravi ragazzi, Volontari delle Vie dei Tesori. Molti scorci della città sono diventati familiari per la fiction televisiva del Commissario Montalbano (foto a pagina 64 in basso), tratta dai romanzi e racconti di Andrea Camilleri. In particolare il palazzo del ‘Commissariato di Vigata’, è in realtà il municipio di Scicli, e la stanza del questore Luca Bonetti Alderighi, è l’ufficio del sindaco.

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Andando verso la Chiesa di San Bartolomeo, si incontra Cannolia, piccolo locale dove i cannoli alla siciliana si mangiano caldi e croccanti, la cialda è fritta al momento, farcita e servita…una vera delizia. Sette i diversi tipi di creme della farcitura, senza additivi né conservanti: quello classico con ricotta di pecora, quello con ricotta di capra biologica, poi crema bianca al limone, al cioccolato fondente, al pistacchio, e anche ricotta di capra e arachidi salate, tostate all’interno di una cialda al carrubo. L’idea è di Davide Roccasalva, 30 anni, il suo format è nuovo, ma trae ispirazione da un ricettario della nonna. La migliore granita, a mio parere, è in Piazza Busacca, sotto Palazzo Scimone, granita di caffè, di mandorle o di limone, o anche di gelsi, ma solo in stagione. Sulla terrazza d’angolo nella stessa piazza, la Pizzeria Pura Follia, è quella delle riprese della fiction del Giovane Montalbano. Quasi in fondo alla bella via Francesco Mormina Penna, a ‘O Spicu, gli arancini al ragù e altre sfiziosità siciliane. Il locale è piccolo, ma con ampio e simpatico dehors, e il servizio è veramente gentile.

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Nella suggestione di una sera d’autunno, con la luna che illumina la facciata di Santa Maria La Nova, nella parete aspra e rocciosa si aprono gli ambienti scavati nella montagna del Ristorante La Grotta, sale e salette suggestive e caratteristiche. Lo Chef Angelo Tommasi prepara piatti tradizionali con ingredienti locali, pescato del giorno, cous cous e ottimi ‘tenerumi’, ossia le foglie tenere e allungate delle zucchine. Il Ristorante Ummara, è in via Aleardi. Qui l’ambiente è di tendenza, ci sono anche tavoli esterni e il menu propone un connubio tra tradizione e innovazione. C’è un’ampia cantina con eccellenze locali e un bravo sommelier. La Gelateria Nivera, in via Francesco Mormina Penna, 14, è tra le 100 migliori gelaterie artigianali d’Italia, numerose le proposte e i gusti, alcuni assolutamente insoliti. Artigianato: Ceramica Sciclitana, è la bottega di Dario Magro. Alcune sue creazioni le ho viste in abitazioni d’amici o esposte in alberghi, mi sono sembrate originali e belle. Sono passata più volte al suo negozio, trovandolo purtroppo sempre chiuso. Per chi ha più tempo, credo valga la pena insistere.


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DORMIRE A SCICLI Borgo Hedone è un’accomodation esclusiva in una dimora storica di fascino, dove un restauro accurato ha dato valore e prestigio ad immobili antichi. B&B Sanbartolomeo Casa e Putia (foto in questa pagina), ideato da Mirgja Cartia e Tanja Svetina, con la bottega (putia) al piano terra che vende oggetti di piccolo antiquariato e di artigianato locale. Solo 4 camere, con soggiorno e cucina–stanza per colazioni, e poi balconi e terrazzette con affaccio strepitoso sulla facciata barocca della Chiesa di San Bartolomeo. Un arredo sapiente, fascinosa unione di ‘come era una volta’ e di confort moderno.

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SCICLI ALBERGO DIFFUSO È la maggiore offerta alberghiera di Scicli con più di 40 Camere diffuse nel Centro Storico, in abitazioni d’epoca, ristrutturate e dotate di tutti i confort. Alcune arredate in stile moderno, altre conservano antichi mobili di famiglia, e poi patii, cortili e terrazzi e giardini ad accrescere l’unicità dell’offerta. C’è un piccolo appartamento in stile minimalista che fa parte di Palazzo Patanè Bonelli con affaccio su un aranceto e vista da cartolina sul quartiere di San Matteo, fino alla sistemazione in hotel a 4 stelle a Palazzo Patanè, con scala monumentale, soffitti affrescati, pavimenti con intarsi di pietra modicana e tutte le camere con mobili in stile. Tutto gestito con grande professionalità. La Reception è di fronte al Comune di Scicli, presso il Caffè Millennium (foto in basso). Ancora una volta, l’albergo diffuso valorizza l’esistente, non aggiunge cemento, ma riporta a vivere quel ‘piccolo è bello’ che è il grande patrimonio dei borghi del nostro Paese. Qui a Scicli un nucleo di giovani ha realizzato il progetto, ne è Manager Ezio Occhipinti.

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IL BORGHETTO DI SCICLI Piccole, tipiche case antiche, arroccate sulla collina a formare un unico nucleo, sono nel quartiere di San Matteo, restaurate con gusto e attenzione, arredate con garbo e funzionalità, terrazze e giardino e affaccio spettacolare sulla città antica. I tre appartamenti, Elio, Tano e Tonino, hanno rispettivamente 6+2 - 4 - 2 posti letto, una sistemazione ideale per un gruppo di amici che voglia trascorrere vacanze insieme, conservando ciascuno la propria indipendenza.

INFORMAZIONI: Cannolia Per il trasporto il prodotto è consegnato in un kit con all’interno le cialde appena fritte e un sac à poche con la crema scelta. Su richiesta i cannoli vengono spediti in tutta Italia in 48/72 ore. Via S. Bartolomeo, 10 Tel. 351 762 3343 www.cannolia.it info@cannolia.it Ristorante La Grotta Via Dolomiti, 62, Tel. 0932 931363 www.lagrottascicli.it

Sanbartolomeo Casa e Putia Via Matarazzo, 9 Tel. 39386 2094 www.sanbartolomeocasaeputia.it info@sanbartolomeocasaeputia.it

Gelateria Nivera Via Francesco Mormino Penna, 14 Tel. 3938383833 www.nivera-gelateria.com nivera.gelateria@gmail.com

Borgo Hedone Via Loreto, 51 Tel. 3207529131 www.borgohedone.com M. info@borgohedone.com Istagram@simaja.italy

Ristorante Ummara Via Aleardi, 9, Tel. 0932 84 132 93 www.ummara.it

Ceramica Sciclitana, Via San Bartolomeo, 21-22, Tel. 3664965451

O Spicu Via F. Mormina Penna 48 Tel. 3299214982 Il Borghetto di Scicli Via San Matteo 20, Via Tiziano 29 e 33 Tel. 3482728101, 3475068980 leonie.roland16@gmail.com Reception Scicli Albergo Diffuso Via Francesco Mormina Penna, 15 Cell. 3928207857 - Tel. 0932 1855555 www.sciclialbergodiffuso.it info@sciclialbergodiffuso.it

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A RAGUSA IBLA

I-BANCHI È L’ULTIMO NATO IN CASA SULTANO di Teresa Cremona foto di Benedetto Tarantino

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In quelle che furono la rimessa delle carrozze e le cantine del settecentesco Palazzo Diquattro, si è accolti in 450mq di caratteristici ambienti con pareti e volte in pietra a vista, arredati con quadri e opere di artisti contemporanei, con colorati richiami alle feste popolari siciliane, e con oggetti di design (in vendita) legati al mondo della gastronomia. I tavoli son ben distanziati, l’arredamento è lineare e gradevole, la funzionalità si integra alla struttura del luogo. I-Banchi sono la realizzazione di un’idea di Ciccio Sultano (a sinistra nella foto con il resident chef Giuseppe (Peppe) Cannistrà); il nome si rifà al modello d’origine primigenia del mercato, per realizzarsi nell’articolazione più variegata e moderna del locale multitasking. “A I Banchi, dove realizziamo una cucina educata, radicata, che piace a un pubblico molto diversificato — ci confida lo chef Ciccio Sultano — ci siamo concentrati su tre proposte per ogni servizio: primo, secondo, dessert, aperitivo, forno. E abbiamo rinnovato la tradizione siciliana di portare in tavole tutte le pietanze. Siamo un gruppo, siamo una famiglia. Insieme abbiamo affrontato la crisi, l’abbiamo governata e insieme la supereremo, proponendo il meglio. Sempre”.

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Riaperti dal 4 dicembre con un servizio in regola con le normative attualmente vigenti per il Covid-19, I-Banchi sono Panificio, Ristorante, Pasticceria, Osteria, Bottega, Cantina, Salumeria, Formaggeria, E-shop, Take away… Qui si può fare colazione, merenda, pranzare, cenare, banchettare, mangiare una pizza, gustare una granita o un gelato, sorseggiare un thè o incontrarsi per un aperitivo, assaggiare street food, comprare formaggi o salumi o conserve speciali… Il cuore del locale comunque è il Pane, nell’offerta di pani integrali, panificati con metodi vecchi di molti anni, con farine biologiche, autoctone, con lievitazioni lunghe e riposate, pani da grani antichi, come quello ragusano o quello di Castelvetrano, e molti altri. La cucina è affidata a Giuseppe (Peppe) Cannistrà, socio e collaboratore di Ciccio Sultano, la sua cucina ha energia e carattere, i piatti esprimono il luogo, c’è tecnica e un garbo estetico espressione di una lunga esperienza di cucina gourmet. Gentile il servizio, ottimo il rapporto qualità prezzo. I diversi menu hanno un costo medio intorno ai 45 € (senza vini) e si può bere bene, ci sono oltre 100 referenze in cantina.

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La direzione del locale è affidata alla giovane Gabriella Cicero, brava nel risolvere con sorridente gentilezze anche l’inatteso e l’imprevisto; noi siamo arrivati in un giorno che miinacciava pioggia, senza alcun preavviso, senza prenotazione, inattesi, sconosciuti, sprovveduti turisti, e nell’ora in cui il personale consuma la cena. Siamo stati accolti, accuditi, coccolati. I BANCHI Via Orfanotrofio, 39 Ragusa Ibla Tel: 0932.655000 www.ibanchiragusa.it Orari di apertura (orario continuato): 08:00 – 00:00 Giorno di chiusura: martedi



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A ROMA

RISTORANTE ZIA È IL VOLTO GIOVANE E APPASSIONATO DI TRASTEVERE di Teresa Cremona foto di Gabriele Stabile

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Antonio Ziantoni, chef patron del Ristorante Zia e Ida Proietti, sua socia e compagna, sono giovani, appassionati, professionali. Essere giovani non è un merito, ma essere giovani e dedicarsi al proprio lavoro con passione, significa sacrificio, dedizione, rinunce, e Antonio e Ida possono andare fieri dei risultati raggiunti. Zia (aperto a Maggio 2018) è il loro locale, linee funzionali (architetto Anton Cristell), tinte neutre dal grigio al verde oliva, bei tavoli senza tovaglia molto distanziati (anche prima del Covid) e grandi finestre su una strada del quartiere Trastevere, ma qui Trastevere è diverso, silenzioso, minimale, sono assenti il folklore e la ‘caciara’ romana.

La Brigata è composta da: Antonio Ziantoni, chef patron; Ida Proietti, compagna dello chef, addetta all’accoglienza; Marco Pagliaroli, responsabile; Valentina Bivona, sommelier; Christian Marasca, chef pasticcere; Andrea Mele, souf chef; Stefan Balgos, demi-chef de rang.

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RISOTTO, BUFALA, LIMONE E CAPPERI INGREDIENTI per 4 persone g. 240 di riso carnaroli mezza cipolla

g. 10 di vino bianco g. 50 di burro

g. 100 di parmigiano Limone al sale 6 limoni

g. 200 di sale l. 3 d’acqua

1 mozzarella di bufala

g. 100 di siero di mozzarella

FARAONA D’AUTUNNO

liquore di genziana

INGREDIENTI per 4 persone

pepe qb.

1 faraona

sale, timo, aglio e olio Salsa radici

g. 500 di scorzonera g. 100 di nocciole

g. 100 di funghi trombette della morte g. 30 di aceto

Foglie di vite in salamoia g. 300 di foglie di vite g. 33 di sale l. 1 d’acqua

Fondo di faraona sale

pepe PREPARAZIONE

Per la salsa di radici, passare tutto all’estrattore e legare con della

Xantana. Per le foglie di vite, sbianchirle e metterle in salamoia per 15 giorni. Per la faraona, cuocerla per 30 minuti in olio, aglio e

timo, salando e pepando con parsimonia. Smontare i petti, coprirli con una foglia di vite, adagiarli su un piatto con la salsa di radici e il fondo di cottura della faraona.

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sale qb.

PREPARAZIONE

Per il limone al sale, preparare la salamoia, sbianchire 6 volte i limoni

e raffreddarli. Tenerli in salamoia per un mese. Una volta trascorso il

mese, essiccare i limoni e poi frullarli: ricavarne una polvere. Per il risotto, tritare una cipolla, farla appassire con del burro, sfumarla con il siero della mozzarella. Cuocervi il risotto sfumando con vino bianco e aggiungendo brodo di verdure, se necessario. Una volta cotto il

risotto, mantecarlo con mozzarella, parmigiano e burro. Adagiarlo su un piatto, spolverarlo con il limone e gocce di genziana.


GourmetFood

Lo chef, nato nel 1986 a Vicovaro, piccolo centro laziale, ha un curriculum professionale importante, con esperienze internazionali tra Cina, Australia, Inghilterra (nel tre stelle di Gordon Ramsey) e Francia (a Vonnas, nell’Auvergne Rhône-Alpes e da Georges Blanc altro tristellato). Poi quattro anni a Roma al Pagliacco di Anthony Genovese. Infine nel 2018 l’apertura del suo ristorante Zia.

bene le luci soffuse intime e avvolgenti, ma non tutti hanno occhi acuti).

Eccellenza di prodotti, tecnica consolidata che non ha bisogno di virtuosismi da spettacolo, essenzialità di sapori netti e decisi, salse e civet che sono memoria della sua esperienza francese. Ma nei suoi piatti poi prevale il racconto delle sue origini.

Da poco all’attività del Ristorante si è aggiunta anche la ‘Pasticceria Door to Door’. Nome che sta per la porta accanto: il nuovo locale è contiguo al ristorante, ma ora, date le limitazioni di legge, è fondamentale il servizio di consegna a domicilio. Il Pasticcere è Christian Maresca, e le sue preparazioni vanno dalle monoporzioni alle torte, dalle proposte per la prima colazione al gelato, dalla biscotteria ai pralinati fino alle ‘boxes’ componibili a scelta. Il mio ricordo va al suo babà, una nuvola, rorida e profumata accompagnata da crema chantilly.

Tutto gradevole in questo locale, cominciando dall’accoglienza sorridente di Ida, (aumenterei solo la luminosità dell’ambiente, o ingrandirei i caratteri del menu. Vanno

RISTORANTE ZIA www.ziarestaurant.com Via Goffredo Mameli, 45, 00153 Roma RM

MILLEFOGLIE, CREMA PASTICCERA E LAMPONI INGREDIENTI

Per la crema pasticcera: cuocere una classica crema pasticcera,

• g. 3000 di farina • g. 1000 di burro pomata

Far riposare 12 ore in frigorifero.

Pastella

• g. 1050 d’acqua • g. 50 di sale Crema Pasticcera

• l. 640 di latte • l. 160 di panna • g. 130 di tuorlo d’uovo • g. 170 di zucchero • g. 42 di amido di mais • g. 42 di amido di riso • 1 Bacca di Vaniglia • g. 150 di burro Gel di Lamponi

una volta cotta aggiungere il burro quando la crema sarà a 35 °C.

Per il gel di lamponi: mescolare zucchero ed agar agar, portare a bollore tutti gli ingredienti per circa 1 minuto, raffreddare. Una volta stabilizzato, mixare fino ad ottenere un gel liscio. IMPIATTAMENTO

Creare una millefoglie alternando la pasta sfoglia, la crema pasticcera ed il gel di lamponi.

• g. 500 di purea di lamponi • g. 25 di zucchero • g. 5 di agar agar. PREPARAZIONE

Per la pastella: impastare insieme tutti gli ingredienti e formare

un rettangolo steso su una teglia, far riposare 24 ore in frigorifero.

Incassare all’interno g. 1000 di burro, dando successivamente 5 pieghe da cm. 3 alternando ad ogni piega un riposo di 30 minuti.

Una volta pronta la sfoglia, affettarla allo spessore di 1mm e cuocere a 175 °C per 30 minuti. Una volta cotta, terminare con destrosio e cuocere 4 minuti a 240 °C.

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Vinaria

SMART WINE IL VINO FURBO

CON CONNESSIONE WIFI di

Gianluca Ricci

“Smart wine”, una definizione che farà storcere il naso ai puristi dell’enologia, ma alla quale, volenti o nolenti, si dovrà fare l’abitudine. La traduzione letterale, come spesso accade con i neologismi mutuati dalla lingua inglese, dà scarsa soddisfazione a chi vuole capire immediatamente di cosa si sta parlando: “vino furbo” o “vino intelligente” non rendono giustizia ad un fenomeno che invece si sta diffondendo in tutto il pianeta grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie, alcune delle quali assai adatte al lavoro in vigna e in cantina. Una traduzione immediata e di rapida comprensione non esiste: lo smart wine potrebbe essere infatti definito quel vino che viene prodotto adottando strumenti tecnologici in grado di ottimizzare tutti gli sforzi in vigna e in cantina, ma anche sullo scaffale a beneficio dei consumatori. Se oggi però c’è bisogno di un vocabolario per capire a cosa si sta facendo riferimento, nel giro di qualche stagione non servirà più, così come non servirà più nemmeno l’aggettivo smart: la diffusione di queste strategie produttive è tale per cui in breve tutti i vini o quasi saranno smart, e dunque vini e basta. Certo, il rischio che qualcuno voglia strafare e provi a spostare il limite sempre più in là c’è: per esempio Vijay Manwani, imprenditore di Boston, che con la sua startup Kuvée ha lanciato la prima bottiglia smart per il vino. Definirla bottiglia pare alquanto riduttivo, visto che si tratta di un dispenser munito di schermo tattile e connessione wifi, all’interno del quale vanno inserite cartucce di alluminio perfettamente isolate grazie ad una valvola appositamente studiata; una volta a contatto con il dispenser, un chip comunica tutte le informazioni relative al vino contenuto nella cartuccia, che possono essere visionate sullo schermo: quantità, scadenza, produttore, vitigni, provenienza, persino gli abbinamenti gastronomici più adatti. Addio poesia nel nome di una precisione per la quale, forse, non

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Vinaria

siamo ancora pronti. Sono pronti invece molti vignaioli ad apprendere nuove tecniche solo fino a qualche anno fa assolutamente impensabili. L’adozione delle nuove tecnologie digitali in vigna può consentire infatti di diminuire l’utilizzo di fertilizzanti e altre sostanze nocive, attraverso una più accurata razionalizzazione nella gestione di tempi e quantità. Così come l’utilizzo di strumenti informatici in cantina può ottimizzare ogni operazione limitando al minimo gli errori e individuando con la massima precisione la tempistica e le manovre più adatte ad ogni tipologia di vino presente nei tini. Insomma, un aiuto di non poco conto, che fino a qualche tempo fa potevano permetterselo solo i grandi gruppi, forti dei loro fatturati, ma che oggi invece ha raggiunto costi tali che anche gli artigiani dell’uva hanno la possibilità di accedere a strumenti informatizzati capaci di alleviare le loro fatiche. È in avanzata fase di sperimentazione, per esempio, il progetto Ixem elaborato dal prof. Daniele Trinchero, docente di “Internet delle cose” al Politecnico di Torino: si tratta di un sistema digitale assai raffinato che permette al viticoltore di conoscere in tempo reale le condizioni delle piante e delle uve senza dover effettuare quotidianamente controlli e sopralluoghi in campagna.

Si applica ai filari un sensore in grado di ricevere le informazioni primarie come temperatura, umidità, bagnatura fogliare e via dicendo: questo provvede a inviarle ogni dieci minuti via wifi allo smartphone del contadino che, in base ai dati in suo possesso, decide se intervenire o meno. Il valore aggiunto è rappresentato dalla modalità del tutto originale di invio dei dati: definirlo wifi sarebbe infatti riduttivo, visto che il sistema messo a punto dal Politecnico di Torino è ancora oggi detentore del record dello scambio di informazioni a più lunga gittata, ben 700 chilometri. Il macchinario è assai semplice e poco impattante, ma soprattutto consuma poco, visto che una carica permette l’invio dei dati per quattro anni: «Io ho accettato molto volentieri di sperimentare il sistema – ha raccontato Enrico Orlando (foto in alto), titolare della cantina “Ca’ Richeta” specializzata in vini da messa – e devo dire che questo monitoraggio continuo da un lato mi ha permesso di diminuire considerevolmente i miei spostamenti nei vigneti e dall’altro di ridurre anche oltre della metà i trattamenti sulle piante: grazie ai dati in mio possesso riesco infatti a sapere con precisione prima mai raggiunta quando è il momento di agire e quando invece si può attendere». Altra applicazione che si sta diffondendo a macchia… di vino è quella del blockchain, una sorta di registro dati che met-

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Vinaria

te in collegamento produttore e acquirenti di una bottiglia: inquadrando con lo smartphone un codice stampato sull’etichetta è possibile risalire ad una considerevole mole di informazioni riguardanti il vino oggetto di interesse. Dalle lavorazioni in vigna alle modalità di conservazione in cantina, dalle particolarità organolettiche alle curiosità, il sistema consente a chi acquista un vino di farselo raccontare fin nei minimi dettagli. A garantire la veridicità della narrazione è un ente certificatore a cui le cantine fanno riferimento: Dnv Gl, ad esempio, è stato coinvolto per la prima volta da tre cantine, una in Franciacorta (Ricci Curbastro), una in Toscana (Ruffino) e una in Puglia (Torrevento), VeChainTor è stata la blockchain utilizzata per l’esperimento. E non si tratta, banalmente, solo del possibile monitoraggio da parte del consumatore che il prodotto finale sia conforme a quanto comunicato, ma di una vera e propria strategia in grado di contribuire al miglioramento dell’efficienza e della trasparenza delle singole aziende. Inutile precisare che il mercato dei Millennial è l’obiettivo principale di questo nuovo modo di comunicare il vino ed è un modo che inizia ad essere sempre più apprezzato, segno che l’unione fra storytelling e qualità del prodotto si sta facendo sempre più stretta e dunque più appetibile. Non è un caso che la scorsa edizione del Premio Gavi La Buona Italia dello scorso anno sia stata dedicata proprio agli smart wine, a vini cioè dotati di un valore aggiunto dall’applicazione tecnologica. Un segno dei tempi, peraltro destinato a scomparire: da eccezione, infatti, diventerà nel giro di pochissime stagioni regola. E che i puristi se ne facciano pure una ragione.

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Vinaria

2001 – ODISSEA NELLO SPAZIO: IL VINO DEL FUTURO … di

“2001: Odissea nello spazio” è un film prodotto nel 1968, diretto da Stanley Kubrick. È un colossal di fantascienza ambientato in un vicino futuro: si parla del 1968 e quando fu girato il 2001 era ben lontano. Il film tocca temi come l’identità della natura umana, il suo destino, il ruolo della conoscenza e della tecnica: argomenti assolutamente attuali ai giorni nostri, anche quando si parla di vino. Il film è considerato un capolavoro della storia del cinema e ne costituisce una svolta epocale, anche al di fuori del genere fantascientifico. Ora ci troviamo in epoca Covid-19, in un mondo più alla “Mad Max”, altro capolavoro cinematografico ambientato in uno scenario postapocalittico, certamente più simile a quello che stiamo vivendo in questo periodo. La domanda è una sola: quale sarà il vino del futuro? Cosa ci riserverà questo momento di transizione così surreale? Come si modificherà – non geneticamente parlando – l’esigenza dei nuovi wine lovers, ovvero i millennials del futuro con il calice in mano? Quale trasformazione richiederanno ai produttori di vino? Cerchiamo di fare chiarezza. Il punto di lettura del bicchiere sta mutando molto velocemente, la degustazione è più esigente e attenta. Proviamo ad analizzare le richieste dei giovani appassionati. Rapporto qualità/prezzo: elemento fondamentale per avere accesso al prodotto considerando un portafoglio più limitato; gli anni ’80 sono finiti e, con loro, il grande potere di acquisto; non torneranno mai più le grandi profondità di annate - oramai esaurite - difficilmente replicabili anche a causa dei costi di gestione delle cantine.

Alessandro Rossi

Pulizia anche nei vini meno puliti: sempre di più la naturalità verte su pulizie assolute. Il consumatore pretende sempre di più che questo elemento - a me caro – sia indiscutibile. Un vino non pulito è un errore e gli errori non sono più ammessi, soprattutto quelli di concetto. Tracciabilità: le aziende devono esistere e devono essere visibili da Google-Maps. Investiamo ancora di più su un concetto di négoce alla francese, sviluppiamo vigne ma identifichiamole in un contenitore che ha un solo nome: Cantina. Storytelling: dobbiamo raccontare la storia delle aziende e dei vini prodotti, ma raccontiamole in chiave moderna attraverso video/audio e mezzi di comunicazione del futuro. Lo stemma di famiglia su un arazzo è fondamentale ma ha fatto il suo tempo, serve molto di più. Sostenibilità: preserviamo sempre di più le risorse naturali per le generazioni future e nuovi metodi per avere il minore impatto possibile sull’ambiante. Pensiamo ai figli che porteranno avanti le aziende dei padri, lavoriamo anche per loro. Sono il futuro. Punto di bevuta: ogni epoca ha il suo punto di bevuta. Il palato muta e con esso anche lo stile dei vini. Andiamo incontro alle esigenze del consumatore finale e non cerchiamo l’opposto. Studiamo la gastronomia del momento e adeguiamo i vini anche a quella: il vino si beve soprattutto a tavola. Don Chisciotte non esiste più e neanche i mulini a vento. Possibilità di approvvigionamento anche in minimi quantitativi: meno possibilità di acquisto? Più aziende in carta e pochi cartoni di ognuna di loro. La difficoltà di gestione di una cantina è facil-

mente intuibile, vuoi per il momento storico, vuoi per il numero di aziende – per fortuna – che ad oggi producono con una qualità molto buona. Più spazio per tutti e vinca il più bravo. La partita si gioca sul campo, non sulla carta. Carte dei vini più dinamiche: velocità, curiosità, dinamicità, voglia di assaggiare tanto, voglia di scoprire tutto. Queste le caratteristiche del nuovo consumatore. Come togliere la sete ad un assetato? Dandogli da bere, ma quando la sete è culturale, allora servono idee e velocità di esecuzione. Purezza dei vitigni: per capire come si comporta un vitigno - sia esso in gioventù o in invecchiamento - per scoprirne caratteristiche e riconoscibilità, spesso è necessaria la purezza. I giovani appassionati, i nuovi wine lovers vogliono “entrare” dentro i principali vitigni dell’ampelografia nazionale e non. Si richiede dunque purezza e tracciabilità. Nuova lettura in fase di degustazione: il dizionario è anziano, il nuovo verbo avanza inarrestabile e vuol esser divulgato in fretta. Il linguaggio del futuro, quello utile a raccontare il vino per avvicinare i nuovi consumatori sarà più semplice ed oggettivo. Il tempo stringe … Nuovi interpreti della comunicazione: Il tempo passa e le persone invecchiano; prima o poi tutti noi smetteremo di cercare di anticipare i tempi, in fondo è questo lo scopo dei comunicatori. Il nostro compito sarà quello di lasciare le basi alle nuove leve, alle nuove generazioni ed aiutarle a mutare la comunicazione in qualcosa di più consono al futuro che avanza. Perché senza le basi – diceva qualcuno – scordatevi le altezze.

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IL FUTURO DEL VINO È ROSÉ di

Gianluca Ricci

RILANCIO ROSATO Per il vino rosato prodotto in Italia pare giunto il momento del rilancio, nonostante le conseguenze dell’epidemia rischino di attenuare quello che i produttori prevedono possa essere un vero e proprio boom: a trascinare quel vino troppo spesso e ingiustamente bistrattato verso la meritata riscossa sarà la corazzata Prosecco. Dopo l’approvazione delle necessarie modifiche al disciplinare pubblicata alla fine di luglio sulla Gazzetta Ufficiale, infatti, in queste settimane è iniziato l’imbottigliamento del Prosecco Rosé Dop: venti milioni di bottiglie, tanto per iniziare, che si prevede di aumentare a cinquanta già a partire dal prossimo anno, la maggior parte delle quali destinate al mercato ameri-

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cano che sta attendendo da anni questa straordinaria novità. È per questo che il consorzio ha fatto le cose in grande, stabilendo di ritagliare una quota del 10% dell’intera produzione da destinare esclusivamente alle bollicine rosate.

IL TRAINO DEL PROSECCO «Il Prosecco Rosé – ha spiegato Luca Giavi, direttore del Consorzio tutela del Prosecco DOC – è una opportunità molto attesa e addirittura stimolata dagli importatori americani ed europei e per questo ci attendiamo un grande riscontro dai mercati. Può essere questo il momento del rilancio dei rosé italiani, ai quali, nonostante la grande tradizione, sono sempre state preferite le bollicine francesi».


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Se il riscontro sarà positivo, è probabile che venga ulteriormente sondato il mercato interno, che, nonostante i consumi ancora poco significativi rispetto a quelli fatti registrare in Europa (da noi il rosato incide per il 6% sui consumi generali mentre in Francia è assestato stabilmente sopra il 30%), potrebbe riservare piacevoli sorprese: «La commercializzazione del Prosecco Rosé – ha aggiunto Andrea Battistella, vice direttore del consorzio – potrebbe trasformarsi nell’occasione di approcciare meglio quei mercati come quello cinese e giapponese, dove si consumano più rossi che bianchi, e magari anche quello italiano, dove potrebbe registrarsi un ritorno alla grande del rosé».

LA FLESSIONE DEL BARDOLINO È la speranza anche di “Rosautoctono”, l’istituto che riunisce i sei consorzi di denominazioni in cui si producono vini rosa da uve autoctone: Valtènesi, Chiaretto di Bardolino, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte, Salice Salentino e Cirò. «In Italia - ha osservato Franco Cristoforetti, presidente dell’Istituto e del Consorzio del Chiaretto di Bardolino -

c’è una flessione dei consumi: eravamo al 6% e siamo scesi al 5,5%. Dobbiamo ripartire da questi territori di produzione. Ora diventa necessario parlare di vini rosa attraverso promozione, formazione e ricerca. Per farlo servono mezzi e risorse che i consorzi non hanno, dunque servono strategie alternative». È indubbio che la nascita del Prosecco Rosé potrà dare una spinta di cui non potranno che beneficiare tutti i produttori italiani di rosato, soprattutto coloro che sul rosa hanno costruito una narrazione enologica già molto apprezzata, anche se di nicchia. Se da un lato è vero che un unico stile rosato made in Italy non può esistere, così come non esiste per i vini rossi e bianchi, dall’altro è altrettanto vero che nel rispetto delle singole identità è possibile individuare punti di convergenza sui quali lavorare per alzare l’attenzione dei mercati e dei consumatori. La nascita dell’istituto “Rosautoctono” è stata un passaggio sostanziale in tal senso, così come la creazione della cosiddetta “rosé revolution” in quel di Bardolino, dove i produttori hanno cercato di lavorare in sinergia per convergere su un’interpretazione condivisa del vino anche e soprattutto in

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termini di aroma e colore, nel tentativo di creare una specificità immediatamente riconoscibile. Incoraggianti sono stati gli esiti anche dell’esperimento realizzato da Valtenesi, che fra il 2013 e il 2017 ha affidato al Centre du Rosé di Vidauban in Francia una ricerca che consentisse di individuare gli elementi caratterizzanti a cui i produttori della zona potessero tendere per realizzare un vino dalle specificità organolettiche particolari. Puntare su una marcata identità sembra essere l’idea vincente, anche perché solo così è possibile far fronte alla sostanziale indifferenza degli appassionati che al rosa prediligono ancora marcatamente il bianco e il rosso. D’altronde che le prospettive del rosato potessero essere immaginate in espansione lo testimonia il fatto che già due anni fa il Merano Wine Festival aveva dedicato a questa specifica tipologia enologica uno spazio specificamente dedicato. Un’intuizione significativa, tanto più che all’epoca si studiò un vero e proprio patto per arrivare ad una promozione unitaria del vino in rosa.

NATURALMENTE ROSÉ Nonostante lo stallo dei numeri, c’era già chi immaginava un futuro radioso. E molti produttori hanno deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Si spiega così lo sforzo fatto dal Consorzio Tutela Vini d’Acqui, che quasi in contemporanea presentò ufficialmente il nuovo spumante secco da uve Brachetto, l’Acqui Docg Rosé: «Si tratta di uno spumante – aveva detto all’epoca il Presidente del Consorzio Paolo Ricagno – che si presenta come il primo naturalmente rosé e a denominazione d’origine controllata e garantita, elementi distintivi che danno un valore aggiunto fortissimo». La ricerca dell’autonomia e dell’identificazione immediata è dunque l’obiettivo di quanti stanno raddoppiando gli sforzi per poter aprire un nuovo segmento di mercato che, soprattutto all’estero, risulta già ben sviluppato, anche se in esso i vini italiani faticano a trovare riscontri sufficientemente adeguati. Ecco perché la notizia della nascita del Prosecco Rosé è stata salutata con entusiasmo anche dai potenziali concorrenti: tutti sanno che prosecco è ormai diventato un brand, una vera e propria antonomasia, ovvero la sostituzione di un nome con un appellativo che lo identifichi inequivocabilmente. Se la qualità dei vini e l’intelligenza delle strategie promozionali sapranno fare breccia nella sensibilità soprattutto dei consumatori più giovani, l’espansione dell’aggettivo rosa sui vini made in Italy potrebbe diventare irrefrenabile, con conseguenze inimmaginabili solo qualche anno fa per l’intero settore.

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DALLA PUGLIA ALLA TERRA DEL LAMBRUSCO: I VINI DI CANTINA DELLA VOLTA di

Situato nel cuore dell’Emilia-Romagna, tra Modena e Bologna, Castelvetro unisce pregi ed attrattive paesaggistiche, culturali ed enogastronomiche, a un aspetto pittoresco caratterizzato dall’emergere di torri e campanili. Fondata in epoca etrusca, diventa presidio militare romano verso il 150 a.C. e in seguito, territorio sottoposto al Monastero di Nonantola. Il suo Castello medievale, nell’arco di tre secoli, cambia più padroni; fra questi, si ricordano Matilde di Canossa e i marchesi Rangoni. Nel Borgo, spiccano le sei torri che caratterizzano tuttora “il profilo del panorama”. Risale invece agli anni ’70 la particolare decorazione della piazza principale con un motivo a scacchiera in marmo e sasso. Castelvetro è Città del Vino, Comune Bandiera Arancione (Marchio di qualità turistico ambientale del Touring Club Italiano) e dal 2008 ha ottenuto la Registrazione EMAS. Racchiuso tra le mura di cinta del borgo di Castelvetro, un tempo gendarmeria del posto, dove ancora oggi, inspiegabilmente crescono, tenacemente aggrappati alle secolari pareti in sasso, i capperi, in un contesto affascinante e suggestivo Il Cappero alle Mura è un locale di grande atmosfera, dove storia, mura, capperi e ulivi, la fanno da padroni. Le sale conservano un’aura antica, arredate in stile con gusto ed eleganza; in cima alla torre, è stata ricavata la “saletta romantica”, per cene al lume di candela o degustazioni enogastronomiche a carattere intimo e riservato. Il locale si completa con un secondo ambiente, nel centro del borgo antico, annesso al complesso principale e utilizzato per ricevimenti ed eventi. Francesco Pedone e Angela Nunzia, entrambi pugliesi, legati da un rapporto e una complicità, sentimentale e professionale inscindibile, sono dal 2011, i “signori” del Cappero alle Mura. Francesco Pedone, quarant’anni all’anagrafe, da più di trenta si esprime in cucina. Dopo aver ma-

Antonietta Mazzeo

turato soddisfacenti esperienze formative in strutture della ristorazione posizionate prevalentemente nel nord Italia, arriva a Modena portando con sé un ricco bagaglio di conoscenza e le tradizioni gastronomiche della sua famiglia e della sua Puglia. Le preparazioni si esprimono attraverso un percorso di piatti tradizionali modenesi e con una serie di proposte stagionali: ricerca, studio e rispetto delle materie prime, sostanza e passione per il gusto, unite a tecnica e innovazione, ma sempre nel rispetto della tradizione culinaria, anche pugliesi. Castelvetro di Modena fa rima con Lambrusco, e quando si parla di Lambrusco, non si può non parlare della raffinatezza ed eleganza dei vini di Cantina della Volta, una delle realtà più interessanti e di riferimento nel panorama della produzione del lambrusco metodo classico … e non solo! L’anima effervescente dei vini di Cantina della Volta, espressa per l’occasione dall’amministratore delegato Angela Sini, ha accompagnato e sostenuto i piatti preparati da Francesco; prodotti enologici di qualità che esprimono l’autenticità del territorio e la tipologia delle uve da cui hanno origine, risultato di una atten-

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ta e costante ricerca nel campo della spumantizzazione e di un accurato lavoro di controllo qualitativo sull’intera filiera, a partire dalla coltivazione sostenibile delle vigne fino alla supervisione di ogni fase delle lavorazioni. Colori preziosi ed eleganti, bolle perfette, finissime, vivaci e un ventaglio di profumi che cambiano e si evolvono dal primo all’ultimo calice. I VINI DI CANTINA DELLA VOLTA IN DEGUSTAZIONE • Mattaglio Brut - VSQ Metodo Classico S.A.: • 80% Chardonnay - 20% Pinot Nero • Mattaglio Blanc de blanc 2015 (anteprima) - VSQ - Metodo Classico Brut: Chardonnay 100% • Mattaglio Rosé - Vino Spumante Brut: 70% Chardonnay - 30% Pinot Nero • Mattaglio Blanc de Noirs 2011 - VS Qualità Brut Metodo Classico: 100% Pinot Nero IL CAPPERO ALLE MURA Via E. Cialdini,36 - 41014 Castelvetro di Modena (MO) Tel. +39 059 790842 info@ilcapperoallemura.it - www.ilcapperoallemura.com

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EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com Direttore responsabile: Elsa Mazzolini

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