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BuoneNuove

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SUI COLLI BOLOGNESI RISTORANTE AJÒ, IL CUORE DELLA BARBAGIA

di Maria Vittoria CaporalE

Basta percorrere pochi chilometri dalle mura di Bologna per ritrovarsi nel cuore della Barbagia, regione montuosa della Sardegna centrale. Sui primi colli bolognesi, a Formica di Monteveglio, è il ristorante Ajò a farsi promotore di un’identità gastronomica unica, ancora poco conosciuta e rappresentata nel bolognese: quella della cucina tipica sarda. L’anima in cucina è quella di Attilio Curreli, 43 anni, originario di Aritzo, piccolo paese in provincia di Nuoro. Cresciuto nel ristorante pizzeria di famiglia e trasferitosi in Emilia Romagna a diciannove anni per lavorare nel mondo della ristorazione, nel 2007 è diventato il titolare di questo ristorante. Insieme a lui c’è la moglie Gabriella, anche lei sarda e dedita all’accoglienza, al servizio di sala e alla comunicazione.

MALLOREDDUS ALLA CAMPIDANESE

INGREDIENTI Per la pasta

g. 400 di semola fine ml. 200 d’acqua tiepida (potrebbe essere necessario aumentare o diminuire la quantità) g. 2 di sale fino

Per il sugo alla campidanese

cipolla per soffritto g. 250 di salsiccia fresca g. 500 di passata di pomodoro zafferano vernaccia olio q.b. sale

PREPARAZIONE

Per i Malloreddus

In una spianatoia o in una ciotola versate la semola fine e il sale. Fate un buco e inserite metà dell’acqua tiepida. Iniziate a impastare e aggiungete piano piano l’acqua (potrebbe essere necessario incorporare più dei 200 ml previsti come anche meno, dipende dalla semola). Lavorate sino a ottenere un impasto liscio. Formate una palla e coprite con un canovaccio inumidito affinché non si secchi mentre preparate i malloreddus. Preparate un vassoio coperto con un canovaccio e spolveratelo con abbondante semola fine e poca farina.

Per il sugo

Soffriggete la cipolla in una pentola dai bordi alti. Sgranate la salsiccia e unitela al soffritto; rosolate tutto per 10 minuti e sfumate con la vernaccia. Aggiungete la passata di pomodoro, sale e zafferano e ultimate la cottura.

CULURGIONES

INGREDIENTI Per la pasta

g. 250 di farina + g. 250 di semola ml. 200 d’acqua sale 2/3 cucchiai di olio evo

Per il ripieno

g. 500 di patate g. 200 di provola (casizzolu) g. 150 di pecorino fresco 2 spicchi d’aglio 10 foglie di menta

PREPARAZIONE

Pelate le patate e fatele cuocere in una pentola con acqua salata bollente, per poi schiacciarle bene in modo da ottenere una purea; farla raffreddare. Soffriggete 2 spicchi d’aglio ai quali precedentemente è stata tolta l’anima. Mischiate in un contenitore capiente la purea di patate con i formaggi grattugiati, l’olio soffritto (alla quale è stato tolto precedentemente l’aglio) e la menta tritata in piccoli pezzi. Per la sfoglia, amalgamate la farina e la semola con un pizzico di sale, 200 ml di acqua tiepida e 2-3 cucchiai d’olio. Lavorate l’impasto fino a raggiungere una buona elasticità, per poi passarlo nella sfogliatrice per ottenere una sfoglia sottile. Ritagliate dei dischetti di pasta di circa 6 cm di diametro (può essere utile l’aiuto di un bicchiere). Inserite nei dischetti di sfoglia un cucchiaio d’impasto e ripiegateli su se stessi unendo i lembi, pizzicandoli alternativamente fino a formare una sottile cordonatura simile ad una spiga. Proseguite fino ad esaurimento del ripieno disponendoli su un panno infarinato.

Ajò è a tutti gli effetti un ristorante a conduzione familiare, dove la semplicità e la genuinità della tradizione si esprimono negli arredi del locale prima e nelle proposte in menu poi. Gli oggetti di artigianato in ferro battuto, le maschere del carnevale sardo, tra cui i Mamuthones, e la collezione di coltelli artigianali sono solo alcuni degli elementi del folklore che anticipano un’esperienza gastronomica autentica, attraverso i piatti della tradizione isolana preparati da Attilio secondo le ricette di famiglia e utilizzando le materie prime della sua terra. Anche la carta dei vini vuole essere un omaggio alla Sardegna: dal più celebre Cannonau al Muristellu, nome tradizionale per definire l’autoctono Bovale, vitigno a bacca nera di importazione spagnola. La tradizione pastorale e contadina ha lasciato in eredità alle tavole della Sardegna un’abbondanza di ottimi formaggi, prevalentemente di pecora, sia freschi che stagionati, consumati in purezza, come ripieno della pasta fresca o farcitura dei dolci. Sono proprio loro i protagonisti degli antipasti di Ajò. Il pecorino e il casitzolu, formaggio di latte vaccino a pasta filata, accompagnano il pane carasau che, condito con olio extravergine di oliva, rosmarino e infornato per qualche minuto, prende il nome di pane guttiau. Le melanzane alla sulcitana, piatto tipico del Sulcis, prevedono invece l’utilizzo di provola e pecorino per condire gli strati di pane carasau, melanzane fritte e salsa di pomodoro.

Il formato più rappresentativo di pasta fresca è senza dubbio quello dei culurzones ogliastrini, opera di Attilio, che li chiude uno ad uno con grande maestria. Sono ravioli di semola ripieni di patate aromatizzate alla menta e pecorino sardo, conditi con sugo di pomodoro, basilico e pecorino grattugiato che si contraddistinguono per la tipica “forma a spiga” conferita dalla chiusura della pasta, quasi ornamentale e rigorosamente fatta a mano. Attilio si affida invece al pastificio Araj di Isili per l’acquisto dei malloreddus, gnocchetti sardi di grano duro. Qui vengono prodotti con semole ottenute dalla macinazione a freddo di grano locale nelle mole in pietra. La lavorazione è artigianale, con trafile al bronzo e un’essiccazione lenta a bassa temperatura. La ricetta alla Campidanese li vuole, per tradizione, conditi con un sugo saporito e aromatico: porputza, la salsiccia fresca sgranata, pomodoro, pecorino e pistilli di zafferano di San Gavino. La gastronomia sarda svela una serie di ricette fondate, anche, sulle preparazioni dei pescatori. Ecco perché non può mancare la bottarga di muggine di Cabras, raffinata specialità nota anche come “caviale sardo”. Quella dei Fratelli Manca è il condimento degli spaghetti trafilati al bronzo. Ma la massima espressione dell’esperienza e della passione di Attilio risiede nella preparazione e nella cottura del Porceddu, che prende il nome di “Su porceddu” nel campidano e “Su porcheddu”, “Su proheddu” o “Su porcheddeddu” nel nuorese, riconosciuto Prodotto Tradizionale della Sardegna,

grazie al metodo di lavorazione consolidato nel tempo. Per essere definito tale, il suinetto sardo da latte deve avere fra i 30 e i 60 giorni di età e un peso che non supera i 9 chili. La lenta cottura nel forno a legna rende la carne tenera e saporita grazie alla sua cotenna croccante.

Il viaggio in terra sarda non può che terminare con alcuni dei dolci tipici, preparati con cura da Attilio e Gabriella. Il segreto delle Sa Sebadas, dolci di sfoglia fritti, risiede nella farcitura di formaggio di pecora, fresco e inacidito, aromatizzato con la scorza di limone. Dopo la frittura, quando la consistenza del formaggio è cremosa e filante, vengono serviti con miele di corbezzolo, dal gusto amaro, o con il più dolce Millefiori. Il sorbetto in menù presenta invece come ingrediente principale il mirto, liquore prodotto dalle bacche dell’omonima pianta, nonché uno dei prodotti sardi più noti. Ma è il semifreddo che permette di gustare il tipico torrone di noci di Aritzo, patria isolana della produzione artigianale di questo dolce, il quale affonda le sue radici nella tradizione del popolo spagnolo.

L’attuale situazione di emergenza, che ha coinvolto il settore ristorativo più di altri, non ha spento l’energia e l’ottimismo di Attilio e Gabriella che hanno prontamente riorganizzato il servizio del pranzo, includendo anche il sabato. Questo permette ai loro clienti affezionati, provenienti soprattutto da Bologna e dalla zona di Modena e Reggio Emilia, di concedersi un pranzo da Ajò durante il fine settimana, ora che l’orario di chiusura imposto alle 18 impedisce il servizio della cena. Se per il delivery la zona di Monteveglio non risulta congeniale, il servizio di asporto si è invece rivelato un’opportunità. Ogni venerdì, sabato e domenica, infatti, è possibile ordinare e ritirare direttamente al locale, sia per pranzo che per cena, i piatti del menu dedicato che Attilio varia ogni settimana e che Gabriella comunica puntualmente sui canali Social del ristorante.

RISTORANTE AJÒ Viale M. di Canossa, 12, Monteveglio BO www.ristoranteajo.it

SEBADA

INGREDIENTI Per la pasta

g. 500 di farina di semola di grano duro sardo (rimacinato) g. 50 di strutto acqua tiepida quanto basta un pizzico di sale

Per il sugo alla campidanese

g. 500 di formaggio di pecora fresco inacidito 1 scorza di limone se necessario un pochino di farina di semola di grano duro olio per friggere miele sardo da aggiungere alla fine

PREPARAZIONE

Mettete il sale nell’acqua, poi aggiungete pian piano l’acqua alla farina disposta a vulcano. Impastate bene il tutto e aggiungete lo strutto impastando finchè il composto sarà liscio e compatto (circa 10 minuti). Lasciate riposare in frigo e nel frattempo, in una padella antiaderente a fuoco basso, fate sciogliere il formaggio tagliato a pezzettini, mescolando per renderlo uniforme (se è troppo liquido potete aggiungere un po’ di semola). Appena tolto dal fuoco, aggiungete la scorza, poi prendete un cucchiaio alla volta il formaggio e mettetelo su carta forno creando dei dischi. Fate raffreddare. Stendete la pasta e create dei dischi un po’ più grandi di quelli di formaggio. Mettete il formaggio su un disco, poi chiudete con un altro disco schiacciando bene i bordi e ritagliateli con una rotellina per pasta. Friggete in abbondante olio e, appena tolte dal fuoco, aggiungete il miele.

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