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Vinaria
IL FUTURO DEL VINO È ROSÉ
di Gianluca Ricci
RILANCIO ROSATO
Per il vino rosato prodotto in Italia pare giunto il momento del rilancio, nonostante le conseguenze dell’epidemia rischino di attenuare quello che i produttori prevedono possa essere un vero e proprio boom: a trascinare quel vino troppo spesso e ingiustamente bistrattato verso la meritata riscossa sarà la corazzata Prosecco. Dopo l’approvazione delle necessarie modifiche al disciplinare pubblicata alla fine di luglio sulla Gazzetta Ufficiale, infatti, in queste settimane è iniziato l’imbottigliamento del Prosecco Rosé Dop: venti milioni di bottiglie, tanto per iniziare, che si prevede di aumentare a cinquanta già a partire dal prossimo anno, la maggior parte delle quali destinate al mercato americano che sta attendendo da anni questa straordinaria novità. È per questo che il consorzio ha fatto le cose in grande, stabilendo di ritagliare una quota del 10% dell’intera produzione da destinare esclusivamente alle bollicine rosate.
IL TRAINO DEL PROSECCO
«Il Prosecco Rosé – ha spiegato Luca Giavi, direttore del Consorzio tutela del Prosecco DOC – è una opportunità molto attesa e addirittura stimolata dagli importatori americani ed europei e per questo ci attendiamo un grande riscontro dai mercati. Può essere questo il momento del rilancio dei rosé italiani, ai quali, nonostante la grande tradizione, sono sempre state preferite le bollicine francesi».
Se il riscontro sarà positivo, è probabile che venga ulteriormente sondato il mercato interno, che, nonostante i consumi ancora poco significativi rispetto a quelli fatti registrare in Europa (da noi il rosato incide per il 6% sui consumi generali mentre in Francia è assestato stabilmente sopra il 30%), potrebbe riservare piacevoli sorprese: «La commercializzazione del Prosecco Rosé – ha aggiunto Andrea Battistella, vice direttore del consorzio – potrebbe trasformarsi nell’occasione di approcciare meglio quei mercati come quello cinese e giapponese, dove si consumano più rossi che bianchi, e magari anche quello italiano, dove potrebbe registrarsi un ritorno alla grande del rosé».
LA FLESSIONE DEL BARDOLINO
È la speranza anche di “Rosautoctono”, l’istituto che riunisce i sei consorzi di denominazioni in cui si producono vini rosa da uve autoctone: Valtènesi, Chiaretto di Bardolino, Cerasuolo d’Abruzzo, Castel del Monte, Salice Salentino e Cirò. «In Italia - ha osservato Franco Cristoforetti, presidente dell’Istituto e del Consorzio del Chiaretto di Bardolino - c’è una flessione dei consumi: eravamo al 6% e siamo scesi al 5,5%. Dobbiamo ripartire da questi territori di produzione. Ora diventa necessario parlare di vini rosa attraverso promozione, formazione e ricerca. Per farlo servono mezzi e risorse che i consorzi non hanno, dunque servono strategie alternative». È indubbio che la nascita del Prosecco Rosé potrà dare una spinta di cui non potranno che beneficiare tutti i produttori italiani di rosato, soprattutto coloro che sul rosa hanno costruito una narrazione enologica già molto apprezzata, anche se di nicchia. Se da un lato è vero che un unico stile rosato made in Italy non può esistere, così come non esiste per i vini rossi e bianchi, dall’altro è altrettanto vero che nel rispetto delle singole identità è possibile individuare punti di convergenza sui quali lavorare per alzare l’attenzione dei mercati e dei consumatori. La nascita dell’istituto “Rosautoctono” è stata un passaggio sostanziale in tal senso, così come la creazione della cosiddetta “rosé revolution” in quel di Bardolino, dove i produttori hanno cercato di lavorare in sinergia per convergere su un’interpretazione condivisa del vino anche e soprattutto in
termini di aroma e colore, nel tentativo di creare una specificità immediatamente riconoscibile. Incoraggianti sono stati gli esiti anche dell’esperimento realizzato da Valtenesi, che fra il 2013 e il 2017 ha affidato al Centre du Rosé di Vidauban in Francia una ricerca che consentisse di individuare gli elementi caratterizzanti a cui i produttori della zona potessero tendere per realizzare un vino dalle specificità organolettiche particolari. Puntare su una marcata identità sembra essere l’idea vincente, anche perché solo così è possibile far fronte alla sostanziale indifferenza degli appassionati che al rosa prediligono ancora marcatamente il bianco e il rosso. D’altronde che le prospettive del rosato potessero essere immaginate in espansione lo testimonia il fatto che già due anni fa il Merano Wine Festival aveva dedicato a questa specifica tipologia enologica uno spazio specificamente dedicato. Un’intuizione significativa, tanto più che all’epoca si studiò un vero e proprio patto per arrivare ad una promozione unitaria del vino in rosa.
NATURALMENTE ROSÉ
Nonostante lo stallo dei numeri, c’era già chi immaginava un futuro radioso. E molti produttori hanno deciso di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Si spiega così lo sforzo fatto dal Consorzio Tutela Vini d’Acqui, che quasi in contemporanea presentò ufficialmente il nuovo spumante secco da uve Brachetto, l’Acqui Docg Rosé: «Si tratta di uno spumante – aveva detto all’epoca il Presidente del Consorzio Paolo Ricagno – che si presenta come il primo naturalmente rosé e a denominazione d’origine controllata e garantita, elementi distintivi che danno un valore aggiunto fortissimo». La ricerca dell’autonomia e dell’identificazione immediata è dunque l’obiettivo di quanti stanno raddoppiando gli sforzi per poter aprire un nuovo segmento di mercato che, soprattutto all’estero, risulta già ben sviluppato, anche se in esso i vini italiani faticano a trovare riscontri sufficientemente adeguati. Ecco perché la notizia della nascita del Prosecco Rosé è stata salutata con entusiasmo anche dai potenziali concorrenti: tutti sanno che prosecco è ormai diventato un brand, una vera e propria antonomasia, ovvero la sostituzione di un nome con un appellativo che lo identifichi inequivocabilmente. Se la qualità dei vini e l’intelligenza delle strategie promozionali sapranno fare breccia nella sensibilità soprattutto dei consumatori più giovani, l’espansione dell’aggettivo rosa sui vini made in Italy potrebbe diventare irrefrenabile, con conseguenze inimmaginabili solo qualche anno fa per l’intero settore.