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GourmetFood
A MILANO WICKY PRYIAN È MAESTRO DI CUCINA GIAPPONESE CON RIFLESSI MEDITERRANEI
di Giulia GaVaGnin foto di: Fabrice Gallina (ritratti e location) - Manuela Vanni, Italian Gourmet (per i piatti)
La vita è buffa; la storia, se non fosse strana, sarebbe insignificanza. Il più grande interprete della cucina giapponese in Italia è un non giapponese, uno che non nasce nemmeno cuoco ma criminologo, che abbandona i libri e le ostiche profilazioni psicologiche del reo per consacrarsi alla severissima disciplina di un grande maestro, il venerato Kan, che mai prima di allora aveva ammesso alla sua scuola di tatami, coltelli e sangue uno straniero in terra straniera. Un’eccezione dell’eccezione. Wicky Priyan è singalese, la famiglia è da secoli (!) di medici ayurvedici, il mestiere che sarebbe toccato in sorte ereditaria anche a lui, se non avesse coltivato la parte ancestrale materna, che riuniva attorno alla tavola domestica anche i cinque fratelli. Poi quella famiglia dallo Sri-Lanka si trasferisce in Giappone per il lavoro di papà e la cultura del Sol Levante si trasmette per osmosi; Wicky torna a Colombo per studiare ma alla fine del suo percorso chiede udienza a Kan: il maestro intuisce che il ragazzo possiede la ferrea disciplina richiesta e lo ammette tra i suoi allievi. Oggi sorride Wicky -occhiali d’oro appoggiati sul naso, grembiule intarsiato da ideogrammi nipponici e aria da professore di filosofia più che da Maestro di sushi- se ripensa a quegli anni: “Il maestro richiedeva quindici-sedici ore di lavoro al giorno e dedizione assoluta, non era pensabile avere tempo libero”. Tanto per capire, Kan è uscito per la prima volta dal Giappone lo scorso anno a settantasette anni, è volato tre giorni a Milano in Corso Italia per due serate con l’allievo che a questo punto riteniamo essere il prediletto, è rientrato a Tokyo di fretta, “perché maestro non abbandona mai ristorante”. Una concessione allo svago che un vero maestro di sushi si concede una volta nella vita.
Se Wicky non fosse stato investito dal suo maestro del titolo di Maestro, Kan non avrebbe mai attraversato gli Oceani per omaggiarlo della sua presenza. Il percorso per diventare Maestro è ferreo, quasi incomprensibile alle nostre latitudini. Durante i primi due anni gli allievi osservano il Maestro (Shokunin), sono poi ammessi alla cottura del riso e, infine, dopo quattro anni, all’arte del taglio del pesce e alla preparazione del piatto. Le donne fino a qualche tempo fa non erano ammesse, si riteneva che avessero una temperatura corporea incompatibile con il taglio del pesce. Oggi le cose stanno lentamente cambiando anche nella terra dello shogunato, qualche giovane ragazza si sta cimentando con riso e coltelli, il mondo va avanti anche lì. La storia di Wicky è variegata come la cromìa dei suoi piatti: a Milano è diventato famoso per il roll “arc-en-ciel” (arcobaleno), ha infuso nella mistica shintoista giapponese il colore delle balinesi dei giorni di festa, dopo aver conquistato la padronanza da Maestro è volato in giro per il mondo a esplorare la creatività. Da Bali all’Australia, dall’Inghilterra alla seconda patria, Milano, dove ha iniziato da Zero (non è solo un gioco di parole, ma all’epoca il ristorante giappo-fusion più “trendy” della città) poi in via San Calocero e infine
nella sede di Corso Italia, dove la moglie Nozomi accoglie gli ospiti in un ambiente sobrio e ricercato, la luna dipinta e la cascata all’ingresso del ristorante infondono meditazioni monacali e una serenità che fa a pugni con i ritmi frenetici e le mille luci della città. “Cerchiamo di resistere ai provvedimenti imposti dal Governo, apriamo anche alla domenica fino a che sarà possibile”, dice Wicky, mentre Nozomi spruzza del disinfettante persino sotto alle suole delle scarpe. “Durante il primo lock-down ho rafforzato l’asporto, aumentato l’offerta dei bento-box (l’organizzata schiscetta del giapponese fuori casa, ndr), studiato alcuni piatti più semplici per venire incontro alla domanda del pubblico. Ha funzionato, quest’offerta rimarrà ancora a lungo, ma non è sufficiente a coprire le spese”. Che dire? La sua situazione è simile a quella di migliaia di chef-patron in giro per l’Italia, ma in centro a Milano, quando languono i turisti, i viaggi e le cene d’affari, la situazione è particolarmente complicata. Tuttavia, mi racconta, la prima pausa è stata fonte di grande riflessione. La vita di un cuoco moderno è come un interruttore acceso ventiquattr’ore su ventiquattro, non c’è mai un attimo di quiete, sono quattordici ore ininterrotte in cui un pensiero, un’idea, si materializzano tra un servizio e l’altro. Il silenzio della Milano deserta di marzo e di aprile ha suggerito a Wicky di approfondire il legame con la cucina italiana, di pescare a piene mani nel patrimonio dello Stivale per incrementare l’idea di cucina “fusion” che, altrimenti, è un calderone talmente ampio da essere tutto e niente al tempo
MERLUZZO CON TACCOLE, PISELLI E FAVE
INGREDIENTI Per il merluzzo
4 filetti di merluzzo con pelle da g.170 g. 60 di burro chiarificato 1 cucchiaino di capperi in polvere 1 rametto di timo fresco (solo foglie) 1 cucchiaino di polvere tostata di semi di finocchio ml.15 di olio evo
Finitura e impiattamento
ml. 10 di salsa di soia ml. 5 di mirin ml. 5 di sakè g. 50 di piselli freschi già sgranati g. 100 di fave fresche già sgranate g. 100 di taccole bollite fiori eduli
PREPARAZIONE
Per il merluzzo: in una padella versare olio e burro; quando il burro sarà sciolto disporre il filetto dalla parte della pelle e cuocere per 5 minuti. Aggiungere la polvere di semi di finocchio, il timo, i capperi e il sale. Togliere il merluzzo e tenere in caldo.
Finitura e impiattamento: nella stessa padella in cui è stato cotto il merluzzo aggiungere le taccole, i piselli e le fave. Cuocere per 3 minuti, aggiungere il merluzzo, quindi passare in salamandra per 7 minuti. Aggiungere la salsa di soia, il mirin e il sakè e lasciare sotto la salamandra per un minuto ancora; disporre nei piatti i filetti e le verdure, ed eventualmente guarnire con fiori eduli.
Il libro di Wicky Pryian, “Crudo Cotto e mangiato” è edito da Italian Gourmet (shop.italiangourmet.it) al prezzo di 57 euro.
TATAKI DI PALAMITA
INGREDIENTI Per la palamita
4 filetti di palamita da g. 70 l’uno 2 cucchiai di olio di soia sale pepe
Per la salsa
1 cucchiaio di wasabi fresco grattugiato 4 cucchiai di succo di yuzu 2 cucchiai di salsa di soia shiro (bianca) 6 cucchiai di sambai su g. 50 di mitsuba o cerfoglio tritato 8 kinome (foglie di pepe sansho) sale Maldon pepe Punjab
Per la Finitura e impiattamento
4 cipollotti baby sale Maldon pepe Punjab
PREPARAZIONE
Per la palamita: taglio sanmai oroshi. Salare e pepare i filetti di palamita con la pelle, massaggiandoli bene; in una padella scaldare l’olio e cuocere i filetti con la pelle rivolta verso il basso. Quando la pelle sarà bruciata, girare i filetti e cuocerli dalla parte della polpa per 15 secondi. Tuffarli subito in acqua e ghiaccio, raffreddarli, scolarli e lasciarli riposare ben asciutti in frigorifero per 2 ore. Per la salsa: mescolare wasabi, yuzu, soia e sambai su in un pentolino a fuoco medio, poi togliere dal fuoco e aggiungere mitsuba tritato e kinome, mescolando bene.
Per la finitura e impiattamen-
to: tritare i cipollotti. Alla base dei piatti disporre la salsa, poi i filetti di palamita tagliati in 8 fettine; disporre quindi 1 cucchiaio di cipollotti tritati, altra salsa; salare, pepare e servire.
stesso. Nel recente passato aveva stupito con anguil-
la giapponese, melanzana perlina, baccalà e straccia-
tella di Martinafranca, un volo Tokyo-Salento che non è più uscito dal percorso degustazione, ma che pur era un riuscito collage culturale. Oggi mi ha stupita ancora di più con Udon al ragù di
pesce Sanpietro scottato
nel sakè e uova di Carapo, il pesce coltello che emette scariche elettriche per muoversi anche nei momenti più oscuri. Un piatto di grande gola, perfetto, che nella sua semplicità mette a sedere molti maestri di cucina marinara del nostro Paese.
La sosta è stata propizia anche per la pubblicazione del suo primo libro, “Crudo, cotto e marinato” (vedi box), che spiega con dovizia di particolari la preparazione delle salse per i suoi ormai famosissimi sashimi e carpacci: la ponzu
con sake e mirin, la tosazu con sambai e alga kombu,
la unagi per l’anguilla, con tutte le debite quantità. In questo numero de “La Madia Travelfood” Wicky condivide ben tre ricette dal suo libro, tra cui la sua personale versione del risotto allo zafferano che è l’omaggio alla città che l’ha adottato. In ogni caso, è un’opera da scoprire per comprendere l’anima fusion dello chef singalese: dalla marinatura per il merluzzo nero, alla tempura per il baccalà, ai segreti per una perfetta anguilla kabayashi
RISOTTO ESPRESSO
INGREDIENTI Per la borragine
g. 200 di borragine ml. 50 di olio evo 50 g. 5 di sale 5
Per le cozze e le vongole
g. 300 di cozze g. 30 di vongole 1 spicchio di aglio in camicia ml. 15 di olio d’oliva
Per gli scampi
g. 200 di scampi freschi 4 teste di aragosta g. 100 di daikon pelato g. 20 di zenzero
Per il riso
g. 200 di riso Carnaroli invecchiato 7 anni g. 200 di polpa di aragosta ml. 50 di sakè ml. 50 di vino bianco g. 70 di burro g. 70 di pecorino invecchiato grattugiato g. 2 di curcuma g. di zafferano sale
Finitura e impiattamento
pepe giapponese
o unagi, ai tocchi extranipponici di jalapeno e cipolla rossa nelle alici marinate, alle variazioni di tataki della palamita o del bonito che ci traghettano nelle isole più lontane del Pacifico. Per chi ancora non conosce Wicky, tuttavia, resta imperdibile la selezione di nigiri dedicati al Maestro Kan: un set di otto pezzi (tonno, salmone, angus, gambero siciliano, ricciola, branzino, baccalà, scampo) serviti ognuno con un diverso topping di pesto di capperi, cipollotti, tartufo nero, jalapeno e caviale di salmone. Un vero e proprio sushi da maestro che costituisce solo una piccola parte della Wicky’s Experience, che anche all’estero ci invidiano. Non a torto.
PREPARAZIONE
Per la borragine: versare l’olio in una pentola e lasciarlo scaldare a fuoco medio, quindi aggiungere il sale e poi la borragine precedentemente lavata. Coprire con un coperchio e cuocere per 6 minuti; al termine frullare fino a ottenere una crema. Per le cozze e le vongole: in un tegame scaldare l’olio e l’aglio a fuoco medio, portare l’aglio a doratura da entrambi i lati ed eliminarlo. Aggiungere le cozze e le vongole pulite e chiudere con un coperchio. Cuocere per 5 minuti, quindi separare la polpa dal guscio e filtrare il liquido di cottura. Per gli scampi: Pulire bene gli scampi tenendo da parte i carapaci, tagliare ogni testa di aragosta in 4 piccoli pezzi; in una pentola unire il tutto, coprire con 3 litri di acqua, lo zenzero, il daikon e far ridurre a fuoco medio fino a ottenere 2 litri. Filtrare e unire il liquido di cottura delle cozze e delle vongole. Per il riso: Scaldare una pentola per un minuto, quindi aggiungere il riso e mescolare a fuoco medio per 30 secondi con una spatola; aggiungere il sakè e il vino bianco e mescolare bene. Aggiungere l’olio, mescolare e versare 500 ml di brodo precedentemente ottenuto. Aggiungere altro brodo, se necessario, e dopo 7 minuti unire la polpa degli scampi e delle aragoste precedentemente pulita e spezzettata. A parte stemperare curcuma e zafferano in pochissimo brodo e aggiungerli al risotto insieme alla polpa di cozze e vongole, al burro e ad altro sale, se necessario. Spegnere il fuoco e mantecare con il pecorino per un minuto. Finitura e impiattamento: disponorre la crema di borraggine sul fondo dei piatti, versare sopra il risotto dando al piatto dei colpi dal basso affinché la superficie si livelli. Guarnire con pepe giapponese.
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