Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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Attenzione!
Parla la cucina del
CONTRASTE
DA VITTORIO
Una favola tutta italiana
VISSANI
cambia pelle
LAERA
Un progetto tra nord e sud
LA MADIA EDITORE
ANNO XXXI - Marzo 2016 - N. 305 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI
SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 305
GOURMETFOOD
di
Alessandra Meldolesi
GOURMETFOOD
di
pag. 38
pag. 46
MATIAS PERDOMO
CASA VISSANI
Attenzione! Parla la cucina del Contraste.
Cambia la pelle del suo ristorante.
GOURMETFOOD
di
Alessandra Meldolesi
Maria Chiara Zucchi
INTERVISTA A...
pag. 54
di
Alessandra Meldolesi
pag. 62
DA VITTORIO
PASQUALE LAERA
La favola di una grande cucina italiana.
Lo chef che ha detto no a Cannavacciuolo per lavorare con lui in un progetto sospeso tra nord e sud.
La cultura del benessere Tra i super alimenti spunta il... bambù di Primo Vercilli................................................................ pag. 8 La scelta vegana W il gelato vegano! di Silvia Bianco................................................................. pag. 10 Assaggi di Galateo Il servizio a buffet di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 12 Progettare l’impresa La “paralisi da opzioni” di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 14 Golavagando Da Ponti 1881.................................................................. pag. 16 Ristorante Mocajo di Claudio Mollo............................................................... pag. 18 Esco Bistrot Mediterraneo............................................... pag. 19 GolavagandOraviaggiando Ristorante Al Primo Piano di Sandro Romano........................................................... pag. 20 Golavagando Ristorante La Norma di Claudio Mollo............................................................... pag. 22 Nudo e Crudo di Gianni Di Lorenzo......................................................... pag. 23 Le Vrai.............................................................................. pag. 24 Golavagando “Mon Trésor” La Piccola Lanterna di Daniele Briani............................................................... pag. 26
Ristorante Al Calmiere di Daniele Briani............................................................... pag. 28 Ambrosiano Bistrot Cocktail and More di Daniele Briani............................................................... pag. 30 Cocktail... and more Oil Polpo con patate mantecate alla cannella ed erba cipollina di Daniele Briani............................................................... pag. 32 MondoChef - Cuocomercato a cura di Alessandra Meldolesi........................................ pag. 34 Chef di Spirito Pasquale Torrente di Sonia Leo..................................................................... pag. 68 GourmetFood Casa Gangotena di Flavia Tomaello............................................................ pag. 74 Cristina Bowerman.......................................................... pag. 80 Meet in Cucina di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 84 Sciare con Gusto in Alta Badia di Maria Chiara Zucchi..................................................... pag. 90 Vinaria Il focus di Alessandro Magnum di Alessandro Rossi......................................................... pag. 94 Enovità............................................................................ pag. 95 Allarme tappi microagglomerati di Gianluca Ricci............................................................... pag. 96
Ouverture... ph Lido Vannucchi
TERRY GIACOMELLO Ristorante L’Inkiostro Parma
RICCIOLO DI TRIGLIA su centrifugato di cetriolo con la sua buccia e gin
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EDITORIALE di
Elsa Mazzolini
EMERGENZA IN SALA Siamo stati i primi e gli unici ad anticipare il problema anni fa attraverso una serie di inchieste denominate “ il servizio di sala è morto”; oggi sempre di più i ristoratori e i clienti confermano che trovare maître, sommelier e camerieri in grado di saper fare il proprio mestiere è un’impresa ardua. Se, infatti, la professione dello chef è diventata cool al punto di aver fatto lievitare in maniera abnorme il numero degli iscritti nelle scuole alberghiere, altrettanto non si può dire per quella categoria di professionisti troppo spesso ingiustamente etichettati come portapiatti. Maître e camerieri sono infatti molto di più: sono i veri consiglieri per i clienti, il tramite più efficace per “vendere” le proposte della cucina, i testimonial e l’immagine stessa di ogni ristorante. Purtroppo le scarse retribuzioni per un servizio in realtà impegnativo e difficoltoso, i rari insegnamenti da parte dei ristoratori stessi, l’inesistente consapevolezza da parte di molti camerieri che si improvvisano, sottovalutando le responsabilità di questo lavoro, hanno via via screditato la professione. Senza pertanto ritornare alle inchieste già fatte, mi piace qui stilare una sommaria classifica personale di tutto ciò che ho annotato in tanti anni e che non qualifica il cameriere di qualità: 1) è intollerabile che un cameriere ti chieda il permesso di passare per effettuare il servizio, per togliere vassoi o portare vivande nel caso di buffet con accesso su tutti i lati: il cameriere deve aspettare il suo momento o chiedere di passare solo se il cliente non si sta servendo. E’ il cliente a dover essere comodo, non l’addetto al buffet. 2) Non è ammissibile che il cameriere contraddica il cliente sulla temperatura di servizio dei vini: per prima cosa, molta teoria accademica è stata ampiamente superata dalla pratica, poi un cameriere non sa chi si trova di fronte: spesso un cliente “addetto ai lavori” è più competente di lui. Inoltre non è il caso di discutere sulle preferenze espresse dall’ospite che, se giudica caldo un vino (troppo spesso i rossi) ha il diritto di ottenerlo rinfrescato. 3) Parallelamente non sono accettabili ironie sui gusti del cliente. 4) Né i camerieri, né i proprietari di un ristorante si possono permettere di girare tra i tavoli con i capelli al vento: i capelli lunghi vanno opportunamente costretti in code di cavallo, quelli corti vanno mantenuti in perfetto ordine. Da evitare anche le ricrescite del colore fuori controllo che denotano scarsa attenzione a sé e agli altri. 5) Se un proprietario aiuta nel servizio, deve avere un abbigliamento adeguato: impresentabili jeans e magliette in un locale dove i camerieri hanno una divisa formale. Tutto il resto che riguarda eccesso di profumo o, per contro, odori derivanti da scarsa pulizia personale o da fumo, prossemica inadeguata, troppa confidenza con il cliente, alito pesante, mani piene di anelli, dita nel piatto servito e altre amenità del genere, non è neanche il caso di prenderlo in considerazione perché ascrivibile ad una categoria macchiettistica di cameriere. Nome,
ME
questo, peraltro etimologicamente oggi fuori luogo visto che deriva da “camera”. Come potremmo chiamarlo?
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LACULTURADELBENESSERE
a cura di
Primo Vercilli Medico Dietologo
TRA I SUPER ALIMENTI SPUNTA...
IL BAMBÙ!
Mi soffermo oggi a parlare brevemente di quello che, in questi ultimi due anni, è maggiormente emerso come “super-alimento”, attraverso un moltiplicarsi di articoli scientifici. Normalmente vengono definiti “super-alimenti” tutti quei cibi che, per caratteristiche nutrizionali, offrono una completezza di apporto in micro e macro nutrienti, tale per cui molte delle esigenze dell’organismo vengono soddisfatte anche solo con l’esclusiva assunzione di quei dati alimenti. Per intenderci, la quinoa è considerata un super-alimento; anche la spirulina è considerata un super-alimento; e ne potrei citare molti altri. Invece mi voglio soffermare su quello che, inaspettatamente, è balzato agli onori della cronaca scientifica proprio perché si sono susseguite, in questi ultimi due anni, diverse pubblicazioni che ne hanno sancito l’assoluta importanza: mi riferisco al bambù. Chi di noi pensava che il bambù potesse servire solo per costruire mobili deve fondamentalmente ricredersi: la principale caratteristica del bambù sta nei suoi germogli! Scientificamente parlando, ci sono numerose specie di bambù, che sono impiegate nella coltivazione dei germogli. Il bambù appartiene alla famiglia delle Poaceae, che sono delle Graminacee (esattamente come il frumento, ma senza glutine e con caratteristiche nutrizionali completamente differenti). Infatti 100 grammi di germogli di bambù apportano dalle 15 alle 28 calorie (dipende dal tipo di bambù e da come poi viene prepara-
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LACULTURADELBENESSERE
to in cucina), ma offre poi una gamma importantissima di micro e macro nutrienti. Alcuni avranno sicuramente consumato questo particolare alimento in determinati ristoranti di tipo “etnico”, in quanto è un ingrediente molto utilizzato nella cucina asiatica; vale però la pena conoscere meglio questo alimento poiché, anche se poco utilizzato in occidente, offre caratteristiche veramente interessanti. Uno degli studi più completi sulle proprietà nutrizionali di questo alimento è stato pubblicato su “Comprehensive Reviews in Food Science and Food Safety” con il titolo “Nutritional Properties of Bamboo Shoots: Potential and Prospects for Utilization as a Health Food”. Da questo articolo, e da molti altri ad esso correlati, emerge come il germoglio di bambù sia ricco di proteine, minerali, fibre, tiamina, niacina, vitamine A, B6, E, potassio, calcio, manganese, zinco, rame, ferro e cromo e abbia anche un buon contenuto di carboidrati, ma non di zuccheri semplici. Questa caratteristica, oltre al fatto che i germogli sono poverissimi di grassi, rende questo alimento ideale per diabetici e persone affette da malattie cardio vascolari. Da non sottovalutare lo spettro molto ampio di aminoacidi: questo rende i germogli di bambù molto adatti per alimentazioni vegane, ma anche per tutte le persone che hanno la necessità di un apporto considerevole in aminoacidi (sportivi, adolescenti, anziani).
Indagando ancora sulle proprietà, si scopre che i germogli di bambù hanno un interessante contenuto in fitosteroli e fibre, che permette una forte azione sia contro il colesterolo sia di modulazione della flora intestinale batterica. Ma non è tutto: il germoglio di bambù ha anche un ottimo contenuto di fenoli, che sono micronutrienti con una spiccata azione antiossidante e anti-infiammatoria. Tutte queste caratteristiche sono racchiuse in un solo alimento: ecco perché vale la pena considerarlo “super”. Chi mi legge con regolarità sa che non amo parlare spesso delle proprietà degli alimenti nello specifico, perché mi interessa sempre insistere di più su una posizione corretta di fronte all’alimentazione piuttosto che una conoscenza specifica su un qualche alimento. Anche questa volta comunque, sebbene abbia voluto parlarvi di un alimento specifico, la morale che ne deriva è sempre la stessa: quella di capire che in natura, l’uomo ha tutto quello di cui ha bisogno. Non utilizziamo pillole e integratori; usiamo bene gli alimenti che la natura ci offre. Questo è l’invito che continuo a rinnovare: l’ho fatto con la frutta e la verdura, l’ho fatto chiedendomi se la pasta o il vino fanno bene, l’ho fatto parlando della carne. Oggi l’ho fatto con il bambù. Provatelo e ancora una volta assaporerete la consapevolezza che, se l’uomo lo vuole, può veramente nutrirsi in modo giusto, gustoso, equilibrato con tutto ciò che la natura gli offre.
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LA SCELTA VEGANA
a cura di
Silvia Bianco testimonial di cucina vegana
W IL GELATO VEGANO!
LE NUOVE FRONTIERE NELLA PRODUZIONE DEL “GELATO DEI SOGNI” Con l’arrivo della primavera, i nostri sensi si risvegliano e fioriscono come gli alberi. Il nostro corpo ci invia segnali inconfondibili volti a spogliarci degli umori invernali e pronti per accogliere profumi frizzantini e nuovi colori. Ho sempre collegato il mese di marzo ad uno dei prodotti che piace veramente a tutti, il gelato! Le novità in campo vegan sono a dir poco strabilianti e grazie a giovani ed intraprendenti studiosi, possiamo dire che un’alternativa al gelato convenzionale che è ricco di grassi animali e di ingredienti chimici sia oramai una realtà tangibile, pronta per soddisfare il palato di tutti. Attualmente uno dei progetti più innovativi riguardanti il campo alimentare, e non solo, è l’idea di due giovani californiani, fondatori della start up Gelzen (www.gelzen.com) con sede a San Francisco, Alexander Lorestani e da Nikolay Ouzounov. Alexander Lorestani ha studiato medicina e patogenesi batterica; durante i suoi studi si è concentrato sul reale e sempre più crescente rischio di malattie infettive causate da batteri resistenti agli antibiotici (proprio a causa della resistenza batterica che sviluppano per la continua somministrazione ed utilizzo negli allevamenti) , mentre Nikolay Ouzounov ha ottenuto un dottorato in biologia molecolare, e si è specializzato nello studio per approfondire come i batteri regolano la loro forma e misura. Come per tantissimi altri prodotti, non necessariamente alimentari, le versioni tradizionali di leccornie come gelato, marshmallow, caramel-
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le gommose non sono così innocue e salutari, poichè contengono gelatina, un ingrediente derivante da pelle, tendini, legamenti e/o ossa di mucche e maiali. Fortunatamente per gli animali ed altrettanto per i consumatori, la Gelzen sta lavorando per sviluppare una gelatina totalmente vegan. Ciò che questi due biologi si sono proposti di creare è una “gelatina da zero” ottenuta mediante la programmazione di microbi che la costruiscano in un processo simile a quello utilizzato per produrre la birra. In termini pratici il loro brevetto prevede una piattaforma di produzione di proteine che utilizza batteri e lievito per produrre gelatina, ciò permette un controllo pieno dei parametri della gelatina: che si andrà a realizzare, con la tipologia di collagene e alcuni enzimi che sono alla base per la corretta formazione della sua struttura. In base alle modifche apportate, il collagene assume consistenze e rigidità diverse.
GELATINA CRUELTY FREE Si tratta quindi di una gelatina cruelty free e sostenibile perché priva di elementi animali e riduce l’utilizzo dei terreni sprecando meno acqua (la gelatina animale è un surrogato da allevamenti che implicano utilizzo nei terreni di tonnellate di acqua). Inoltre è sicura per il consumo umano, in quanto , non avendo elementi
animali, azzera il rischio di agenti patogeni che possono essere trasmessi all’uomo. La gelatina si trova in innumerevoli prodotti alimentari, cosmestici e in medicinali ed è per questo che c’è una grande richiesta: e questo nuovo metodi di produzione, con queste premesse, ha un potenziale enorme. Al giorno d’oggi esistono già dei sostituti vegetali come l’agar e la carragenina, farina di semi di carruba, farina di semi di guar, pectina, carbossimetilcellulosa, gomma xantano, ma in talune situazioni non sono efficaci tanto quanto quelle animali, o comunque non sostituiscono per intero tutte le funzioni della gelatina, mentre questo nuovo prodotto parrebbe essere unico nel suo genere in quanto molto versatile e stabile al contempo, tale da permettere di ottenere consistenze differenti in base agli usi che se ne vogliono fare. Molto competitivo a livello di prezzi, è ecosostenibile e ben differente dalla gelatina convenzionale, che è un sottoprodotto di materiali di scarto proveniente dagli allevamenti. Quanto ad innovazioni in campo alimentare, anche in Italia non possiamo lamentarci affatto. Nel corso dell’ultimo InnovactionLab2015, uno dei più importanti premi per startup create dai giovani in Europa, 4 giovanissimi si sono classificati in seconda posizione tra tutte le idee in gara per il loro progetto innovativo Icedreams, ovvero il gelato dei sogni. Da un’idea di Zeno Tosoni, Simone Giacomelli, Marco Argentieri, Carlo Sabatucci in collaborazione con
LASCELTAVEGANA
il mastro gelataio Luigi Grazioli , Icedreams “sogna il gelato perfetto”. Grazie alle nuove tecnologie in campo alimentare, Icedreams è riuscita ad individuare nuovi processi di lavorazione degli alimenti e nuovi ingredienti con cui realizzare un gelato totalmente vegetale, istantaneo, povero di grassi, adatto a tutti e con basso contenuto calorico.
IL GELATO ETICO Produrre il gelato artigianale ha un procedimento assai complesso, strutturato in 3 diverse fasi (miscelazione, mantecazione e pastorizzazione). L’innovazione di questi 4 ragazzi sta proprio nell’estromissione di emulsionanti chimici ed addensanti, come i grassi di origine animale (latte, uova e burro, gli ingredienti classici aggiunti durante la fase di miscelazione), sostituendoli con sole fibre vegetali ed emulsionanti naturali. Le fibre vegetali insolubili non hanno valore nutritivo e non apportano calorie e nel gelato possono essere utilizzate per aumentarne la stabilità, assorbire l’acqua in eccesso, prevenire la formazione dei grossi cristalli gelati di acqua e facilitare così l’emulsionabilità del prodotto.
La formula del gelato Icredreams è completamente naturale e si presenta sottoforma di granuli lavorati a freddo e velocemente, in modo tale da evitare la fase di pastorizzazione che fa perdere gran parte dei nutrienti, mantenendo così un livello nutritivo elevato ed il gusto originale del prodotto. Ai granuli vengono aggiunti al momento vegetali freschi come frutta e verdura (mele, pesche, albicocche, pomodoro, zenzero, cioccolato, nocciole, cocco, etc) per creare gusti differenti, senza compromettere la freschezza degli ingredienti. Se i normali processi del gelato artigianale richiedono diverse ore di produzione, il gelato Icedreams è pronto per essere mangiato nel giro di 15 minuti, in questo modo le persone possono persino scegliere il loro gusto preferito anche se non è stato ancora prodotto. Questa grandiosa innovazione si rende totalmente esportabile in qualsiasi parte del mondo , adattandosi agli ingredienti più tipici di ogni cultura, gusto e di maggiore disponibilità in natura in quella data area del mondo. Essendo quindi un prodotto di velocissima produzione, si è persino prospettato lo sviluppo di un’App per smartphone per ordinare il gelato preferito e trovarlo pronto in un quarto
Silvia e gli esperti rispondono...
d’ora presso il punto vendita prescelto. Innovativo vero? L’altro aspetto importantissimo di questo progetto è la sostenibilità, perché questi ragazzi le hanno pensate proprio tutte: utilizzeranno cibo prossimo alla scadenza o con “imperfezioni estetiche” (frutta ammaccata o troppo matura per il mercato al dettaglio) , perché se un cibo è ancora buono, sarebbe uno spreco buttarlo quando lo si può invece trasformare in un invitantissimo e buonissimo gelato che è pure sano e leggero. Questo gelato si adatta non solo all’alimentazione di vegani, vegetariani, a chi deve seguire una dieta particolarmente povera in grassi e zuccheri e ai salutisti , ma è per tutti, qualsiasi sia il loro stile alimentare. Insomma il nome di questo gelato pare non essere proprio più un sogno, i 4 soci fondatori sono stati contattati dalle più grandi aziende americane per studiare il prodotto e creare delle partnerships e realizzare così questo sogno che prevede un franchising nel mondo, pensate , il primo corner è stato aperto a Milano nella bellissima piazza Gae Aulenti presso il Caffè Maryling. Pronti per delle scorpacciate di gelato vegan salutare e buonissimo? Io sì!!!
Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com
Andare a fare la spesa per un vegano è difficilissimo perché devo controllare tutti gli ingredienti che spesso sono identificati con codici e diventa impossibile ricordarli tutti a memoria e distinguere quelli vegan. Come fare? In realtà non è poi così complicato: togliendo tutti quei prodotti come frutta e verdura, pasta, riso, legumi, etc, per gli altri esistono una serie di applicazioni da smartphone che ci aiutano a riconoscere gli ingredienti. Ad esempio in Android abbiamo l’applicazione E-codes che, inserendo il codice di un addittivo, fornisce il nome, le origini, controindicazioni sull’utilizzo ed altri dettagli, oppure in campo cosmetico abbiamo Biotiful che ci permette di scannerizzare il codice a barre del prodotto prescelto, ci elenca per intero gli ingredienti e ci fornisce informazioni circa la loro composizione, eventuale tossicità e pericolosità per chi li utilizza e per l’ambiente.
Cappella di funghi e verza
Chef Chicco Coria One Restaurant - Dalmine (BG)
INGREDIENTI: 3 fette di pan carrè, 4 cappelle di funghi porcini, g. 200 di verza, g. 20 di olio extra vergine, salsa di soia q.b., g. 2 di capperi tritati, acqua q.b., sale q.b. Procedimento: tagliare la verza molto sottile. Versare in una padella di alluminio un goccio di olio e stufare la verza aggiungendo acqua poco alla volta. In una padella antiaderente versare un goccio di olio e cuocere le cappelle dei funghi a fiamma molto bassa; verso la fine unire la salsa di soia. Farcire con i capperi le fette di pan carrè. Con l’aiuto di un mattarello stendere il pan carrè molto sottile. Metterlo in forno con un poco di olio e tostarlo. Comporre il piatto a piacimento con le tre preparazioni.
Gala teo ASSAGGI DI
a cura di
Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico
IL SERVIZIO A BUFFET
REGOLE DI BASE E ACCORTEZZE DA NON DIMENTICARE NEL BANCHETTO IN PIEDI Il buffet è una tipologia di servizio molto usata in occasioni più o meno importanti e formali. Ha diversi vantaggi rispetto a un banchetto classico, che possono tornare utili soprattutto in eventi dove il numero degli invitati è elevato. Rimane una forma di servizio più veloce da organizzare ed una via più economica in quanto apporta un risparmio sulla quantità di personale da impiegare, anche se ciò dipende sempre dall’evento che ci prestiamo a progettare. Il servizio a buffet non prevede una mise en place individuale tipica dei banchetti placè, bensì sfrutta l’ausilio di uno o più tavoli (isole) su cui appoggiare le pietanze, suddivise per tipologia di portata, da cui l’ospite può servirsi da solo. In presenza di personale di sala, saranno i camerieri a coadiuvare il servizio con appositi vassoi di portata. È opportuno prevedere delle sedute per tutti gli invitati, considerando anche salottini e poltrone, oltre le classiche sedie. Questa tipologia di servizio nei banchetti di nozze è sempre molto utilizzato, soprattutto nella parte inziale del cocktail o addirittura per tutto l’evento, consigliato quando vi è una clientela prevalentemente giovane. È opportuno comunque far servire almeno le portate principali e la torta al tavolo per non creare degli scontenti. Il buffet non va considerato un servizio minore e poco formale; pensiamo ad esempio all’evento di nozze del principe William con Kate Middleton il cui pranzo è avvenuto a buffet per una
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questione di spazi, dato l’ingente numero di invitati: ben 650 persone. In quell’occasione, non proprio da tutti i giorni, il wedding breakfast è stato preparato da 21 chef, tra cui il bistellato Anton Mosimann, capitanati dal cuoco reale di corte Mark Flanagan; solo per i canapè sono state eseguite 10.000 preparazioni diverse, circa sedici a testa. In quell’occasione, per motivi di etichetta e per non creare sconvenienti file ai tavoli, le portate, principalmente finger food, sono state servite dai camerieri su vassoi d’argento nelle diciannove sale aperte del palazzo reale. In eventi formali si raccomanda di predisporre del personale che possa servire le persone meno abituate alla tipologia del banchetto in piedi. Per galateo, le portate per un buffet devono essere comode da mangiare con l’uso esclusivo della forchetta, dunque la scelta del menù dovrà focalizzarsi sulla semplicità oltre che sul gusto. I tavoli da buffet si devono presentare omogenei, coperti completamente da tovaglie bianche che possono creare dei motivi, all’occorrenza. Dovranno essere di dimensioni più grandi rispetto a dei tavoli normali, in modo da non far uscire dai bordi i vassoi di portata, oltre a piatti, posateria, bicchieri e tovaglioli. Inoltre sui tavoli saranno posizionati degli chafing dish per tenere in caldo i primi e i secondi in base alle necessità. Poniamo, però, attenzione al liquido infiammabile utilizzato per mantenere calda l’acqua di questo prezioso utensile che spesso può sviluppare un odore sgradevole.
ASSAGGIDIGALATEO
Per sistemare meglio le portate si possono sfruttare delle alzatine che creano un gioco estetico sul buffet e permettono di recuperare spazio. E’ importante non utilizzare utensili e stoviglie di carta, se non in eventi estremamente informali condivisibili fra amici. Quando il numero degli ospiti è sostanzioso, sarà opportuno predisporre diverse isole a buffet suddivise per tipologie di portate: questo diminuirà notevolmente la creazione di file da parte degli invitati che in tal modo non si spazientiranno. In queste occasioni è importante organizzare diversi tavoli con le bevande, soprattutto nei periodi più caldi; all’arrivo tutti gli invitati vorranno degustare un drink fresco. E’ fondamentale organizzare, oltre a dei tavoli di appoggio, anche dei tavoli per lo sbarazzo, in modo che gli ospiti ripongano le loro stoviglie sporche su tavoli sgombri e non sui tavoli del buffet. A tal proposito può sembrare banale sottolineare l’importanza di appositi cestini per gli scarti e la sorveglianza di questi punti, compresi i tavoli di servizio, per mantenere l’ambiente sempre decoroso. Attenzione, dunque, a questi dettagli rilevanti. Spesso nei tavoli dove vengono predisposte le portate viene effettuato dello show cooking per incuriosire gli ospiti della festa. In questa occasione è essenziale che si disponga di una mise en place da parte dei cuochi sempre ordinata, con un’attenzione alla pulizia massima. Questo è molto importante
anche per i camerieri che dovranno indossare un abbigliamento pulito e in ordine, oltre che consono all’occasione in base alla sua formalità. Per prendere i cibi si disporranno delle clips, ossia l’unione del cucchiaio con la forchetta, anche se sarebbe più opportuno che questa strumentazione sia utilizzata dallo staff in quanto più esperto e del settore, mentre per gli invitati saranno predisposte delle pinze da buffet. È fondamentale, quando i tavoli di servizio vengono allestiti all’esterno, che ci sia un’adeguata copertura che protegga le pietanze dal sole o altri fattori climatici. Le portate in generale saranno appoggiate sui tavoli all’ultimo momento per una questione igienica. Se vi è un angolo di cucina a vista per il fritto, evitiamo di farlo in ambienti chiusi se non con accurata aspirazione dei vapori; nel caso in cui si predisponga all’esterno è più adeguato organizzarlo lontano dal punto di arrivo degli ospiti, sempre per questioni di odori sgradevoli. I dolci, infine, verranno serviti per ultimi su un tavolo apposito, mentre il personale di servizio proporrà agli invitati delle coppe di spumante dolce adagiate su eleganti vassoi. Quando si utilizzano delle puntine per fissare le tovaglie al tavolo, è molto importante porre attenzione a non farle cadere, soprattutto quando si effettua un banqueting in ville private: possono finire nel prato e, se si cammina scalzi, si potrebbe incappare in qualche brutta sorpresa.
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PROGETTARE L’IMPRESA
a cura di
Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop
COME FARE IN MODO CHE IL TUO MENÙ EVITI LA
PARALISI DA OPZIONI AL TUO CLIENTE
Esiste un fenomeno che gli psicologi cognitivi, in particolare il professore americano Barry Schwartz, chiamano «Paralisi da Opzioni». Questo fenomeno accade quando un soggetto, posto di fronte a troppe scelte, non sapendo quale sia la migliore per lui, si paralizza, e sceglie di non scegliere. Il fenomeno ha una conseguenza ben chiara: il soggetto si rifugia nella scelta che lui reputa più «sicura», cioè quella «meno rischiosa». Se volessimo fare un esempio, pensiamo alla situazione dove, di fronte ad uno scaffale di un supermercato, ci si trova impietriti, quasi spaventati dalle troppe scelte che ci mette a disposizione. Lo scaffale, pieno di decine e decine di marche di prodotti tutti diversi tra loro, ma che ci sembrano davvero simili, ci intimidisce. Che fare? Quale prodotto scegliere? Quale sarà la scelta migliore? O meglio, quale sarà la scelta… giusta? Lo scaffale ci pone di fronte ad una decisione che non siamo in grado di prendere: «E’ meglio quello o quell’altro? O quell’altro ancora?» Questo per una semplice ragione: ogni scelta che compiamo implica non scegliere tutte le altre. Se volessimo dare una scala di «felicità» ad ogni scelta, dove 10 è il punteggio associato alla scelta «giusta» mentre 0 è il punteggio associato a quella «sbagliata», potremmo dire che tutte le scelte intermedie avrebbero un punteggio compreso tra 1 e 10. Cioè non ottimale. Inconsciamente cerchiamo di compiere la scelta con associato il punteggio di «felicità» massimo, e siamo terrorizzati dal compiere tutte le altre.
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Ma come possiamo sapere quale di queste scelte sia davvero quella giusta? O quella sbagliata? La realtà è che non possiamo. E’ impossibile sapere se la scelta compiuta sia proprio la scelta più giusta che avremmo potuto compiere. E quindi che facciamo, di fronte allo scaffale e, quindi, alla nostra indecisione? Ci paralizziamo. E scegliamo di non scegliere. Ma non possiamo esimerci dal prendere una decisione, e normalmente prendiamo sempre le solite tre: ==> 1) «Quello che prendono tutti» così, in caso di scelta deludente, avremmo una giustificazione verso noi stessi; ==> 2) «Quello che prendiamo di solito» poichè sapremmo esattamente quale sarà il livello di «felicità» associato a quella scelta; ==> 3) Oppure «quello che costa meno» così, se la scelta si rivelasse sbagliata, non ci saremmo privati di tanti fondi. Ora, come si allaccia questo discorso alla Ristorazione? Beh, questo scenario si ripete praticamente invariato nella mente dei nostri clienti, di fronte al Menù. E’ scientificamente provato che ci si comporta come se si fosse di fronte allo scaffale del supermercato! Le persone, di fronte alle troppe scelte date da un menù troppo ampio, potrebbero decidere di non scegliere, e ordinare: ==> 1) «Quello che prendono tutti» ==> 2) «Quello che prendono di solito» ==> 3) Oppure «quello che costa meno»
PROGETTAREL’IMPRESA
Questo non costituisce uno scenario ideale. Infatti, se così fosse, i propri guadagni dipenderebbero dal caso. E si finirebbe per non avere il controllo sui propri guadagni. Quindi, come si risolve questo problema? Molto semplice... si sceglie al posto del cliente. O meglio, lo si guida verso la scelta che noi reputiamo sia la migliore per il suo caso specifico. Infatti il cliente vuole un consiglio amichevole, una guida e, non neghiamolo, anche un capro espiatorio sul quale riversare la colpa della scelta qualora si rivelasse sbagliata. Insomma, dobbiamo assumerci parte della responsabilità della scelta del cliente. E come si fa? Il Menu Engineering ci aiuta in questo, guidando il cliente verso i piatti che noi vogliamo incentivare, diminuendo le possibili scelte a sua disposizione. Questo si fa, analticamente, ingegnerizzando il menù. Essendo tuttavia un’attività complessa e variegata, troppo vasta per essere trattata in questa sede, vediamo oggi tre stratagemmi che possiamo applicare ai nostri menù per renderli più snelli, facili da leggere e per eliminare una volta per tutte la possibilità di «Paralisi da Opzioni»: 1) Il primo stratagemma è semplificare il menù. Potrà sembrare banale, ma menù lunghi aumentano la scelta, quindi aumentano la possibilità di «Paralisi da Opzioni». Menù snelli, chiari e semplici diminuiscono la possibilità di «Paralisi da Opzioni» e incentivano allo stesso tempo la vendita dei piatti migliori per la situazione economica del ristorante. 2) Il secondo stratagemma è evidenziare alcuni piatti sul menù. In questo modo questi piatti risalteranno sopra tutti gli altri, “catturando” l’occhio del lettore e portandolo, statisticamente, ad ordinare proprio quel piatto. I metodi migliori per evidenziare i piatti sono due: scrivere con un font grassetto, oppure inserire il piatto all’interno di un riquadro. 3) Il terzo stratagemma non riguarda il menù in particolare. Ma riguarda formare il personale di sala ad incentivare la vendita di alcuni piatti piuttosto che di altri. Ricordiamo che il parere di un professionista non può essere sostituito da null’altro. Nemmeno da un menù ben ingegnerizzato. Il cliente tende a fidarsi di un consiglio autorevole e, qualora il consiglio autorevole combaciasse con il piatto a più alta marginalità presente tra l’offerta del ristorante, si finirebbe per fare il bene di tutti. A volte, scegliere al posto del cliente, è l’unica scelta veramente giusta.
GOLAVAGANDO
A MILANO
DA PONTI 1881 È CALDA OSPITALITÀ IN UN AMBIENTE DI CLASSE Apre nel cuore della Milano internazionale il centro dell’eccellenza culinaria campana; Da Ponti 1881, prima Banca, oggi è Ristorante Pizzeria di qualità in un ambiente arredato con cura e stile da Costa Group. Praticamente in Piazza Duomo, “Da Ponti 1881” è l’ennesima scommessa vinta del gruppo Regina Margherita che vanta, al suo attivo, molti locali in tutta Italia, primo fra tutti l’omonimo e prestigioso ristorante sul bellissimo lungomare di Napoli, a pochi passi dal Castel dell’Ovo. L’ambiente conserva lo spirito dell’antica banca dove marmo nero e oro nobile a parete e banconi finemente lavorati in bronzo portano l’asticella in alto trasformando una pizzeria in un locale del ben stare. Naturalmente cibo e servizio contribuiscono al successo grazie, soprattutto, alle materie prime eccellenti portate ogni giorno in tavola direttamente dai fornitori storici del Gruppo. Le sedute di design Costa Group sono personalizzate in pelle e insieme al divano, esaltato dalla parete luminosa, creano un forte effetto coreografico. Le pareti, con rivestimento in marmo, contribuiscono ad attenuare l’impatto acustico grazie alla parte superiore in alcantara verde trapuntata a mano. Il bancone è rivestito in bronzo e suddivido in diverse aree espositive: pasticceria, cocktail e prodotti freschi di giornata su ghiaccio.
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GOLAVAGANDO
DA PONTI 1881
Via Silvio Pellico, 1 Milano
Studio, design e progettazione: Costa Group Massimiliano Faggioni
Particolare attenzione è data, inoltre, all’esaltazione dei salumi finemente lavorati davanti al cliente ed esaltati dal taglio della fiammante Berkel. La cassa è un monoblocco in marmo nero/oro mentre l’area forno, dal taglio originale, è suddivisa da una scenografica vetrata bronzata a tutta altezza. Particolarmente curato è l’aspetto della luminosità del locale, studiato e modulato in base alle ore del giorno così da illuminare esattamente il centro del tavolo. Ancora una volta Costa Group crea su misura del cliente interpretando, in forma non invadente, il locale. Regina Margherita e Costa Group uniti hanno creato un ambiente unico, moderno e anticonformista conservandone la coscienza storica nell’esaltazione della tradizione campana.
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GOLAVAGANDO
RISTORANTE
MOCAJO A VOLTERRA: CAMBIAMENTI NEL SEGNO DELLA QUALITÀ di
Claudio Mollo
Nel 1963, mamma Lia e babbo Adelmo si convincono a prendere in gestione quella che allora era la mensa, oramai chiusa, di uno dei pastifici più vecchi e importanti della zona: il “Mocajo”, dove Lia lavorava e la cui struttura è tuttora presente in loco, anche se decadente. Da allora, la storia gastronomica del Mocajo è cresciuta con discrezione e semplicità, attraverso i tipici piatti toscani, dedicati soprattutto alla selvaggina, che la natura generosa delle attigue campagne ha sempre offerto. Da quel momento in poi, chi sceglieva il Mocajo sapeva di trovare sulle sue tavole il meglio della cucina di caccia in Toscana e la sosta “gourmet” in quel tratto di strada che da Cecina sale verso Volterra, immerso nel verde della Val di Cecina, era quasi obbligata. Passa il tempo e all’attività familiare iniziano ad appassionarsi i figli, Fabrizio e Laura
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Lorenzini, che con grande dedizione e impegno iniziano ad apportare i primi cambiamenti, in modo dolce però, senza snaturare riti e rituali dell’ormai conosciutissimo locale. Così, pian piano, il Mocajo cambia faccia, mantenendo la genuinità e territorialità dei prodotti, mantenendo la ricchezza di sapori della cucina contadina, ma iniziando a presentarsi al suo pubblico in una veste più attuale. Laura inizia per prima, in cucina, affiancando la mamma, ed è proprio lei a dare un nuovo grande impulso alla cucina del Mocajo, affinando sempre più
RISTORANTE MOCAJO Loc. Casino di Terra S.S. 68 per Volterra Riparbella (PI)
Tel. 0586 655018
preparazioni, ricette e storicità dei piatti proposti, con personalizzazioni e rivisitazioni misurate, mantenendo profumi e sapori. Qualche anno dopo, a Laura si affianca Fabrizio, che inizia ad occuparsi della sala, dei vini e di una meticolosa ricerca di prodotti agroalimentari artigianali da proporre alla clientela più esigente, oltre, naturalmente, a gestire i rapporti con il pubblico. Oggi il Mocajo è considerato uno fra i migliori locali della provincia pisana, con una spiccata identità, forte di una cucina piacevole, elegante e in continua evoluzione. Della trattoria di campagna rimangono il nome e i principi del “mangiare sano”, nel rispetto delle stagioni. Una fornitissima cantina completa un locale che negli ultimi anni si è sempre più imposto tra i più interessanti e innovativi, nel panorama della ristorazione Toscana di qualità.
GOLAVAGANDO
In primo luogo, la passione. Poi la tecnica, l’esperienza e la continua ricerca di ingredienti stagionali e di qualità, spesso provenienti da piccole produzioni artigianali. Infine, la maturità, che dopo la gestione del ristorante Pane e Acqua a Milano, lo porta a costruire un percorso imprenditoriale, per mesi studiato e fortemente voluto. Ultimo tassello, la definizione della location, che sente come “sua” – al civico 26 di via Tortona, punto di incontro tra la Milano creativa ed esuberante e la “vecchia Milano”. Da questi elementi nasce ESCO bistrò mediterraneo, il nuovo progetto dello chef Francesco Passalacqua. Sapori mediterranei ed essenzialità, con espliciti rimandi alla tradizione piemontese, che racconta le origini di Passalacqua, sono il filo conduttore di un’esperienza che in ESCO non è mai univoca e ridefinisce il concetto tradizionale di “bistrot” - il bistrò. ESCO bistrò mediterraneo è un luogo, innanzi tutto. Dove si gusta cibo eccellente. Ma dove ci si può anche accomodare per un aperitivo. O per uno spuntino rapido. O, ancora, per un cocktail, a conclusione di una serata “non convenzionale”. In ogni occasione lo Chef, il Sommelier, il Mixologist e il Direttore di Sala si prendono cura dell’ospite, garantendogli un’esperienza sempre nuova e di alto livello, in un format “aperto”, dove la qualità è al primo
ESCO
BISTRÒ MEDITERANEO IL NUOVO LABORATORIO DELLO CHEF FRANCESCO PASSALACQUA foto di
Marina Caccia - L’Artigiana Fotografa
posto e dove lo spazio è definito dal cliente. Aperitivi e cocktail possono essere degustati in tutti gli spazi di ESCO, sapientemente disegnati dall’architetto e designer Andrea Rossini su due piani: un ampio salone aperto – circa 190 metri quadri, per 50 coperti. Al piano inferiore -
ESCO BISTRÒ MEDITERRANEO Via Tortona 26 – Milano
www.escobistromediterraneo.it
90 metri quadri per circa 40 coperti - ci si accomoda, come al piano superiore, per un drink, uno spuntino veloce, un pranzo o una cena completa. Le ampie volte di mattoni bianco candido e i pavimenti in ceramica decorata richiamano le atmosfere provenzali, dove il tempo sembra essersi fermato. Al centro di ciascuna delle due sale campeggia il “Social Table”, disponibile - su prenotazione - per chi al cibo desidera abbinare un’esperienza di conoscenza e condivisione. Alcuni elementi, che segnano le origini dello chef, emergono spesso nei suoi piatti: le nocciole delle Langhe, il fassone piemontese, le verdure, i formaggi a pasta erborinata. Ma anche le acciughe del Cantabrico e il pesce azzurro, gli ortaggi e le erbe aromatiche che richiamano i profumi mediterranei. In un menù che varia ogni due mesi, nel rispetto della stagionalità degli ingredienti.
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GOLAVAGANDO
CUCINA SENZA CARTA
AL PRIMO PIANO DI FOGGIA, NEL RISPETTO DEI RITMI DEL TERRITORIO di
Sandro Romano
“Al Primo Piano” di Foggia è un ristorante dove il territorio e i suoi prodotti sposano la passione dello chef Nicola Russo, un ragazzo innamorato della sua terra, la Daunia, e della sua “cucina terrazzana”, recuperando nei suoi piatti, gustosi e ben presentati, gli antichi sapori di una volta. Nicola, foggiano, dopo avere accumulato varie esperienze di lavoro in altre strutture e località daune come Peschici e Baia del Monaco a Macchia di Monte Sant’Angelo, nel 2006 decide di aprire il ristorante Al Primo Piano in centro a Foggia. A Foggia ritiene di potere esprimere al meglio la sua passione per la cucina anche perché è la città dove abita e opera tutta la sua famiglia di macellai da ben cinque generazioni.
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L’AMBIENTE
LA CUCINA
Si entra passando dal piano alla strada, dove c’è l’enoteca/gastronomia e dove prodotti di alta qualità e vini di nicchia sono a disposizione per l’impiego nel ristorante, costituendo quasi una sorta di grandissima dispensa colma di ogni ben di Dio. Una giacenza media di circa 800 vini pugliesi, italiani e internazionali (ma nel corso di un anno girano oltre 1300 etichette), costituiscono una scelta davvero ampia per chi cerca il giusto abbinamento ai gustosi piatti dello chef. Spostandosi al piano di sopra si entra in un’ampia sala dai colori caldi con arredi in wengè, nei quali, nei prossimi mesi, lo chef realizzerà l’abbinamento del food con l’arte, attraverso l’esposizione di particolari opere di artisti contemporanei.
Nicola Russo affonda le radici della sua passione nella cucina “terrazzana” di Capitanata, prevalentemente fatta di prodotti del territorio, erbe spontanee e cacciagione e professando la “non carta”, poiché la cucina si basa sul fresco giornaliero e sul suo estro creativo, sempre in stretta correlazione con il territorio e le sue molteplici capacità di espressione. A mò di esempio riportiamo la nostra esperienza di degustazione che si è sviluppata, per due persone, con i seguenti gustosissimi piatti: zuppetta di moscardini, olive taggiasche, pomodorini e capperi di Salina con veli di pane di Monte Sant’Angelo; fagottino di pasta fillo e zucchero a velo ripieno di ricotta di bufala, speck e zucchine su vellutata di
parmigiano reggiano; crema di pancotto in vasocottura; pizzarelle (un tipo di pasta locale) fatte a mano con pomodorino prunìll, menta, lauro e monacelle (lumache); favetta bianca di carpino con cubotto di tonno rosso di corsa di Carloforte, sesamo bianco e pepe nero di Cayenna; costatine di agnellino locale al forno con funghi caldarelli; involtini a cutturrìll; manzo oceanico alla brace con profumi di sottobosco... Eleganti e molto particolari i dessert: ricotta di pecora emulsionata con sale grosso e zucchero di canna su riduzione di lavanda, fiori eduli e polvere di caffè; crema al cucchiaio alla vaniglia, bourbon e fave di cacao. Un menù completo di antipasto, primo, secondo e dessert ha un prezzo medio di € 35 escluso bevande, ma Nicola Russo, che è anche sommelier, consiglia per il meglio anche sul vino.
RISTORANTE AL PRIMO PIANO Via Pietro Scrocco, 27
DOVE SI TROVA
Foggia
Tel. 0881 708672
Il ristorante “Al Primo Piano” si trova in pieno centro di Foggia, nelle immediate vicinanze della zona pedonale dove ci sono i negozi per lo shopping, della Fontana del Sele e del centro storico del capoluogo dauno.
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GOLAVAGANDO
RISTORANTE
LA NORMA UNO SPICCHIO DI SICILIA A LUCCA di
Nel centro storico di Lucca, città di Giacomo Puccini, al riparo da traffico e rumore, da circa due anni un siciliano e il suo modo di cucinare hanno iniziato a conquistare sempre più il palato di tanti estimatori del buon gusto, soprattutto lucchesi. Persone difficili quando si parla di cucina, viste le antiche e storiche radici gastronomiche dell’intera provincia, eppure, con non poca diffidenza, molti hanno iniziato pian piano a “provare” il ristorante La Norma, rendendosi conto molto velocemente che Carlo Lo Grande, chef e proprietario, riesce a coniugare bene sicilianità, creatività e fantasia nei suoi piatti. Un mix davvero invidiabile, abbinato a un ambiente bello e arredato con gusto, dove colori, tonalità, luci calde e altri tocchi di stile, bendispongono a un vero momento di relax e piacere, non solo per il palato. L’ingresso è piacevolmente
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Claudio Mollo Xxxxxxxx
retrò: il bar, alcuni tavoli apparecchiati con cura per dare il benvenuto, una grande credenza colma di bottiglie e poi si arriva nella sala principale, dotata di due grandi lucernari che rendono ancora più suggestivo l’ambiente. Una quarantina di coperti permettono una buona gestione dalla cucina, completamente a vista grazie ad un’ampia finestra che consente all’intera sala di godere del lavoro dello chef e dei suoi aiuti. In sala, il servizio è decisamente all’altezza del resto, cordiale e fluido. Carlo è figlio d’arte, proviene da una famiglia di ristoratori ed ha iniziato a prendere confidenza con il cibo, tanto tempo fa, in una delle bellissime vecchie osterie di una volta, giù in Sicilia. Poi, alla maggiore età, inizia a fare esperienze in diversi locali e strutture, quasi sempre stagionali, sia in ItaXXXXX lia che all’estero. xxxxxxxxxxx Dodici anni fa xxxxxxxxxxx approda a Lucca e, dopo un periodo di lavoro come chef presso un noto ristorante cittadino,
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A SAN BENEDETTO DEL TRONTO
NUDO E CRUDO
È GASTRONOMIA DI PESCE A KM 0 di
decide di iniziare la grande avventura. La sua cucina racconta di Sicilia ma non solo. Il pesce è decisamente il protagonista del menù e a Carlo piace conquistare gli ospiti con proposte sempre nuove, a parte qualche “classico siciliano” che non riesce proprio a togliere dalla carta. Di solito la cena inizia sempre con un ventaglio di piccoli assaggi, perché, nonostante siano presenti in carta altri antipasti, quasi nessuno riesce a rinunciare a questo rituale, ormai molto diffuso a La Norma. Grande savoir faire nell’accogliere gli ospiti, con mille premure, compreso l’immancabile saluto portato a ciascun tavolo nel corso della cena, per capire il reale gradimento. Il rapporto qualità prezzo è davvero invidiabile e, per quanto riguarda la scelta dei vini, anche in questo caso la Sicilia vince decisamente, con etichette famose e meno famose, senza per questo flettere in quanto a qualità. La scelta è ampia, tra autoctoni e vitigni internazionali prodotti nella bella isola. Naturalmente, non mancano i toscani e altre etichette nazionali. Prenotare è la cosa migliore perché non è difficile rimanere al palo se si decide di andare a sorpresa, anche nei giorni meno sospetti.
Gianni Di Lorenzo Xxxxxxxx
Si ispira ai piccoli ristoranti allestiti sulle spiagge dei pescatori dei villaggi vicini a Lisbona la gastronomia di pesce Nudo e Crudo di San Benedetto del Tronto, assimilabile per certi aspetti alla cucina di strada per l’approccio veloce e il prezzo contenuto. Ma questa realtà vanta una serie di non trascurabili aspetti: la sua bella posizione sul famoso porto marchigiano, la gastronomia di pesce con ampio dehors per la cosumazione all’aperto, la filiera che assicura frequenti rifornimenti giornalieri di pesce ancora vivo direttamente dalle barche, la cucina affidata allo chef Marco Piattoni con la supervisione di Francesco Palestini, figlio di uno dei più affidabili ristoratori della costa. Suo padre Federico è infatti il patron di quella Caserma Guelfa di Porto d’Ascoli, nota a critica e pubblico per piatti incantevoli e, quando possibile, per gli affascinanti racconti di vita vissuta sui mari del mondo. NUDO E CRUDO
Porto Banchina Riva Nord - 63039 San Benedetto del Tronto (AP) - Tel. 393 602 0140
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xxxxxxxxxxx xxxxxxxxxxx RISTORANTE LA NORMA
Via San Nicolao, 26 - Lucca Tel. 0583 1681166
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GOLAVAGANDO
A MILANO APRE
LE VRAI LA PRIMA AUTENTICA BRASSERIE FRANCESE Ora anche a Milano è possibile immergersi nell’atmosfera senza tempo di un Café francese, acquistare una “vera” baguette artigianale e assaporare le specialità gastronomiche tipiche delle Brasserie: ricette semplici, familiari e al contempo raffinate, con i loro ingredienti francesi di eccellente qualità e di lunga tradizione. Piaceri da gustare, a tutte le ore. Le Vrai è un luogo di scoperte gastronomiche, con quattro aree distinte e tutte da vivere: Café, Brasserie (ristorante), Boulangerie (panetteria) ed Epicerie (negozio di specialità). Aperto dalla mattina presto fino a tarda sera, Le Vrai vuole essere un punto d’incontro in ogni momento della giornata. Dalla prima colazione con i deliziosi pain au chocolat e croissant artigianali al pranzo, da gustare al Café (per esempio con un Croque Monsieur o una fetta di Quiche Lorraine con insalata) oppure seduti agli esclusivi tavoli della Brasserie (per esempio con la Tartare de boeuf charolais au couteau o la Cocotte de poissons). Le Vrai è aperto anche nel pomeriggio come salon de thé e per aggiungere al registro delle abitudini “milanesi” una nuova occasione d’incon-
delle regioni francesi, come il Maigret de canard nantais aux épices, la Blanquette de la mer aux légumes du marché, strepitose carni alla Rôtissoire (girarrosto) e, tra i dessert, il goloso Trianon di mousse e cioccolato croccante. Ad accompagnare le proposte gastronomiche, una selezione accurata di vini dei terroirs francesi.
tro: il café gourmand, ossia la tradizione francese di sedersi a gustare una tazza di espresso accompagnato da irresistibili dolcetti e piccola pasticceria. E quando arriva la sera, l’apéritif à la française invita a sorseggiare una birra, un pastis, un calice di sidro o di Champagne, in attesa di passare alla cena in Brasserie e di scoprire il sapore delle ricette tradizionali
LE VRAI
Via Galileo Galilei
(angolo Viale Monte Santo) 20124 Milano
Tel. 02.36630790 www.levrai.it
prenotazioni@levrai.it aperto 7 giorni su 7
dalle ore 7.00 fino a tarda sera
(la Boulangerie chiude alle ore 20)
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LO CHEF La cucina di Le Vrai è diretta dallo chef Patrick Massera, originario del nord della Francia ma con una profonda conoscenza della nostra cucina, vantando, ad esempio, una lunga collaborazione con Gualtiero Marchesi. Il suo interesse per una cucina autentica e la sua esperienza biculturale ne fanno uno chef capace di valorizzare le vere tradizioni francesi e di proporle con successo a tutto il mondo. Per ricreare lo stile autentico della brasserie francese, Le Vrai ha coinvolto l’architetto e interior designer Karine Lewkowicz di Parigi, che ha mixato con equilibrio la tradizione e la modernità, impiegando principalmente materiali delle storiche maison della manifattura francese, valorizzando la funzionalità degli spazi e ispirandosi ai principi della sostenibilità.
I ristoranti
on
Trésor
Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...
Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...
golavagando montresor di
Daniele Briani
BRILLA LA LUCE DE
LA PICCOLA LANTERNA PER UNA CUCINA DI LAGO E DI TERRITORIO, NEL LECCHESE
Ci sono momenti, nella vita, in cui decidi di dare una svolta alla tua esistenza. Ci sono eventi, definiti sincronici, che ti fanno capire che è arrivato il momento di realizzare il tuo sogno, che la strada verso la tua meta ha inforcato la giusta direzione e si sta avvicinando. Altrimenti non si spiegherebbe perché Giorgio e Lara Trombetta, brianzoli doc, abbiano scelto di lasciare le loro precedenti occupazioni per aprire un’attività imprenditoriale nel campo della ristorazione nel piccolo borgo di Casletto di Rogeno sul lago di Pusiano, un’ambita meta turistica degli anni sessanta che da tempo ha perso parte del suo smalto a favore delle rive più famose del vicino lago di Como. “Guarda il lago a Como ma mangia a Pusiano.” è il motto coniato dai due gestori: “Soprattutto se non hai fretta e ti prendi il giusto tempo per farlo”. Di fatto il locale sono loro due: fratello e sorella. Lui chef e lei ragioniera, hanno deciso di unire le loro esperienze in questa nuova avventura partita il 1° d’Aprile del 2014, quasi a sfidare la sorte come fosse
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Trésor Il Mon Tresor è... LA PECULIARITÀ DELLE RICETTE TIPICHE Sicuramente le due espressioni tipiche del territorio, rivisitate dall’esperta mano di Giorgio Trombetta, che rappresentano il condensato della sua esperienza culinaria: il timballo di pesce persico con crema di cipolle al profumo di carpione e il risotto al profumo di lago con mondeghili di luccio alle erbe. In particolare questo secondo piatto unisce la croccantezza del riso con il morbido e succulento impasto di queste piccole polpettine di luccio, accuratamente amalgamate con erbe profumate.
uno scherzo che invece non è, visto che dopo più di un anno il pesce lo trovi, ma sul menù. E si, perché la cucina fonda la sua centralità sul pesce di lago e su due pietanze in particolare: il timballo di pesce persico con crema di cipolle al profumo di carpione e il risotto al profumo di lago con mondeghili di luccio alle erbe. Non poteva essere altrimenti vista la passione di Giorgio per la pesca. La conoscenza della materia prima, nata proprio dalla passione per ciò che abita i laghi e i fiumi lombardi, è fondamentale nella scelta che lo chef opera quotidianamente al mercato, prediligendo spesso pezzature e tipologie meno commerciali ma sicuramente più pregiate, una volta trasformate in pietanze. Lara, dal canto suo, ha velocemente imparato la gestione di sala con i suoi modi affabili, simpatici e carichi di entusiasmo nel raccogliere le comande raccontando il menù a voce. La Piccola Lanterna, così si chiama il ristorante, in realtà
è una piccola bomboniera, composta di una sala interna da diciotto posti a sedere e un pergolato esterno di altrettanti diciotto aperto nella stagione estiva. Pochi posti se vogliamo, anche se l’ambiente ne permetterebbe di più, ma non sarebbe consono alla filosofia di una cucina gourmet, dove lo spazio riservato al cliente è parte integrante della degustazione di un piatto espresso. Non solo pesce nella proposta, perché la cucina del territorio prevede anche la carne e sicuramente i dolci che come tutte le altre pietanze variano in base alla stagionalità delle materie prime. La carta dei vini è distribuita su poche ma selezionate etichette che sono servite al calice. Il locale osserva il turno di riposo al lunedì e la domenica sera, tranne nel periodo estivo, per dare la possibilità a turisti e vacanzieri di chiudere la giornata di festa seduti sotto il pergolato a desinare, ma sempre senza fretta, come meritano questi piatti.
LA PICCOLA LANTERNA Via V. Emanuele II, 13
23849 Casletto di Rogeno Lecco
Tel. 031865815
www.lapiccolalanterna.com info@lapiccolalanterna.com
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golavagando montresor di
Daniele Briani
L’EVOLUZIONE DEL RISTORANTE
AL CALMIERE
PUNTO DI RIFERIMENTO STORICO A VERONA La rivolta di San Zeno, che ha dato i natali al Calmiere, non è certo famosa come l’ammutinamento del Bounty, a cui la filmografia holliwoodiana ha dato fama mondiale, ed è stata una rivolta certamente meno cruenta ma sicuramente caratterizzata dalla stessa determinazione che Christian Fletcher mise nell’impossessarsi del comando della goletta inglese per dirigersi verso Tahiti. Forse è meglio fare un po’ di chiarezza. Nel 1919 uno dei passatempi preferiti dalla popolazione veronese maschile era il gioco delle bocce. E così pure nel quartiere di San Zeno,
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presso l’osteria La Busa, ci si giocava il mezzo litro di vino come premio per una partita a quattro. In seguito all’aumento improvviso e a quanto pare sconsiderato del prezzo del vino da parte del gestore, i clienti decisero di ammutinarsi e di fondare una “società cooperativa al calmiere sul prezzo del vino” il cui oggetto sociale fosse la vendita di vino al prezzo più basso di tutto il quartie-
re. Apre così i battenti l’osteria “Al Calmiere” proprio dirimpetto alla vecchia osteria, grazie alla costituzione in società da parte di duecento persone che per statuto non possono però gestire il locale, affidato da sempre ad una conduzione esterna. Una piccola ribellione per salvaguardare gli interessi ludici di un’esigua parte della popolazione veronese, che la dice lunga su quanto, in tempi ormai remoti, lo spirito di appartenenza a una comunità fosse più sentito di quanto lo possa essere nell’odierna epoca della comunicazione virale. L’osteria segna il passo negli anni sessanta e si trasforma in ristorante di pesce, seguendo l’evoluzione della richiesta del mercato in seguito allo sviluppo economico e alla trasformazione sociale della popolazione italiana. Dal 1987 Pietro Battistoni, assieme alla moglie Morena Zanardelli, gestisce il ristorante che, nelle loro mani, è tornato ad avere un’impronta tipicamente veronese con i piatti della tradizione, affiancando al carrello dei bolliti anche la carne alla brace cucinata a vista sul grande camino della sala principale. Se non si è abbandonato totalmente il menù di pesce che rivitalizza le pietanze estive, il centro della gastronomia si fonda sui primi di pasta fatta in casa: bigoli,
on
fettuccine, tortellini e gli gnocchi di malga che, con il loro impasto di farina e ricotta dei monti Lessini, rivelano il campanilismo sui prodotti del territorio che da sempre contraddistingue il credo dei due titolari. Come già detto, il sontuoso carrello dei bolliti con i tagli di carne tipici di questa parte d’Italia, unito alle carni cotte sulle braci, completano l’offerta dei secondi, la-
sciando spazio ai dolci esclusivamente fatti in casa da Morena. Anche la scelta dei vini tradisce una propensione verso il campanilismo, ampiamente giustificata, del resto, dall’abbondanza di vini rossi e bianchi di spessore che contraddistingue la produzione veronese. Così, delle circa settecento etichette presenti in carta, solo un venti percento proviene dal territorio nazionale fuori provincia mentre di estero non v’è nulla, eccezion fatta per lo champagne: vino prediletto da Pietro e che si sposa con tutto. Non sappiamo se in ossequio all’estrazione popolare della “società cooperativa al calmiere sul prezzo del vino”, ma forse più che altro grazie alla lungimiranza commerciale dei conduttori, tutti i vini sono aperti e serviti al calice, tranne i vini di riserva di annate storiche. L’ambiente è diviso in due sale della capacità di centotrenta posti a sedere che
aumentano di una settantina quando la bella stagione permette di mangiare all’aperto di fronte alla Basilica di San Zeno. Chiuso la domenica sera e il lunedì, è comunque sempre preferibile la prenotazione, mentre per chi volesse assaggiare la cucina del Calmiere fuori dal ristorante, è previsto un servizio di catering per la gestione esterna di banchetti e ricevimenti.
Trésor RISTORANTE AL CALMIERE
Piazza San Zeno, 10 37123 Verona
Tel. 045 8030765
info@calmiere.com
Il Mon Tresor è... FAMILIARITÀ E CONFIDENZA Pietro ama pensare che i suoi clienti considerino la sala del ristorante come la naturale estensione della sala da pranzo di casa loro: “Oggi invece che mangiare in sala da pranzo, si va al Calmiere”. Affabilità, cortesia uniti al buon cibo e al tepore di un camino su cui arde vivida la fiamma, sono gli ingredienti che magicamente ricreano quell’atmosfera piacevole che ognuno di noi vorrebbe ritrovare anche fuori dalla propria abitazione.
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golavagando montresor di
Daniele Briani
AMBROSIANO BISTROT D’ECCELLENZA A COMO
L’Ambrosiano: un tempo solo caffetteria, oggi “molto di più”, come cita lo slogan del locale. Luca, Manuela e Loris collaborano da anni e, prima di approdare a Como, hanno rafforzato la loro amicizia gestendo un locale serale nell’entroterra monzese. Lo sbarco sul ramo di ponente del lago di manzoniana memoria, nasce dall’idea di ampliare i loro orizzonti lavorativi e raccogliere la sfida di saper soddisfare il cliente dalle prime ore della mattina fino a tarda sera in un fluire continuo di dinamiche che spaziano dalla colazione al pranzo, fino al pre e
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l’after dinner. Situato in piazza Cavour, dirimpetto al lago, l’Ambrosiano gode di una magnifica vista che, nel periodo estivo, regala momenti estremamente rilassanti per chi si accomoda ai tavoli del plateatico esterno. Si comincia dalle colazioni che uniscono alla piccola pasticceria l’aroma del caffè o il sapore di spremute, frullati e centrifughe per chi preferisce iniziare la giornata in modo salutare. Si continua con l’aperitivo prima di sedersi al tavolo per un veloce pranzo slow food. Si passi l’ossimoro, perché effettivamente la tipologia dei piatti espressi non è
on
Trésor prevalentemente da ristorante, ma la ricerca di materie prime di alta qualità spesso a km 0 o di presidio slow food, fanno del locale un bistrot d’eccellenza particolarmente votato all’attenzione verso i particolari, tanto da dedicare parte del menù a pietanze vegane o vegetariane piuttosto che elaborarne alcune scevre di glutine o lattosio. Per questo è a volte preferibile scegliere un panino gourmet o una bruschetta della tradizione, in alternativa all’abituale piatto classico, che comunque nel menù non manca. Il tutto è poi accompagnato da una serie di vini già abbinati alla pietanza e serviti al calice. La carta vini è elaborata e conta circa una sessantina di etichette suddivise tra bianchi e rossi fermi, anche bio, e bollicine sia italiane che estere, ma soprattutto champagne alcuni dei quali di Vigneron Independant, senza contare anche alcune birre artigianali. Dopo il pranzo e le prime ore del pomeriggio si passa al momento serale, dove la vera anima dei gestori risalta nella sua interezza. Dal pre dinner all’after dinner, il locale diventa un vero cocktail bar. La precisione nella scelta dei vari ingredienti e l’attenzione per i particolari, che pervade il locale in ogni suo aspetto, s’innalza nella fase serale perché, come dice lo stesso Luca Ferrari: “il cocktail
Il Mon Tresor è... CREATIVITÀ, SEMPLICITÀ E PROFESSIONALITÀ è creatività; è la capacità di unire vari ingredienti in maniera precisa per creare un sapore nuovo, un’emozione nuova”. In effetti, la precisione nell’assemblare un cocktail può essere paragonata in cucina all’arte della pasticceria dove i vari alimenti devono essere dosati e amalgamanti nella corretta quantità, prima della cottura. I bartender rinunciano al forno perché il loro prodotto finale è degustato in forma liquida, ma rimangono la precisione e la creatività a farne una forma d’arte simile a quella della cucina. Sono più di trecento i cocktail in degustazione, naturalmente tutti preparati al momento, e numerose sono anche le varianti ai classicissimi che non mancano mai; rivisitazioni innovative e a volte dissacranti o invenzioni tout court firmate Ambrosiano. Per chi non amasse o
Questi i tre ingredienti che contraddistinguono il locale nella sua essenza e che rimandano ineluttabilmente al modo di creare i cocktail da parte di Luca Ferrari. Tra le sue creazioni citiamo il Bitter Mule, una rivisitazione del famosissimo Moscow Mule che unisce a ginger e lime il Bitter dry Montresor per un drink dal sicuro effetto rinfrescante.
non potesse amare l’alcol, vengono serviti anche cocktail analcolici. La carta dei distillati, siano essi rum, gin, vodke ecc.. è impressionante, senza contare liquori e amari di ogni provenienza. Se si vuole visitare Como e le sue bellezze, l’Ambrosiano potrebbe essere il giusto riferimento da mattino a sera per i propri momenti di riposo. AMBROSIANO BISTROT COCKTAIL AND MORE Piazza Cavour, 8 - 22100 Como Tel. 031 2070286
www.ambrosianocomo.it
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C CKTAIL... a cura di
Daniele Briani foto di
StudioGraf IL BARTENDER
Charles Flamminio Bartender mixologist Belludi 42 Riccione LO CHEF
Fabio Drudi “Curiosità, passione e tenacia sono gli ingredienti dei miei piatti”
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Oil cl. 3 di olio d’oliva ratafià e cannella cl. 5 di Vodka cl. 3 di Champagne a colmare
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Dal pre dinner all’after dinner, nasce un nuovo modo di giocare tra solido e liquido. L’alchimia del bere miscelato sposa la cucina con sapori che rimbalzano dall’una all’altra preparazione, in una esperienza sensoriale pienamente coinvolgente.
Polpo
con patate mantecate alla cannella ed erba cipollina
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INGREDIENTI per 10 finger
PREPARAZIONE
1 polpo di circa kg. 1 g. 800 di patate di uguale misura 1 costa di sedano 1 carota 1 cipolla bianca 1 foglia di alloro 3 bacche di ginepro g. 50 di aceto bianco cannella erba cipollina olio extravergine d’oliva sale pepe
Porre sul fuoco una pentola d’acqua con le verdure mondate (carote, sedano, cipolla), bacche di ginepro, foglia d’alloro, aceto e portare a bollore. Con l’aiuto di forbici, pulire il polpo privandolo di occhi e bocca; lavarlo accuratamente sotto l’acqua corrente per eliminare ogni residuo di sabbia. A bollore raggiunto, immergere il polpo e le patate; trascorsi 20 minuti, togliere le patate cotte e continuare la cottura del polpo per altri 25 minuti circa. Pelare le patate e schiacciarle dentro ad un contenitore; aggiungere l’olio extravergine, la cannella, l’erba cipollina tritata finemente e aggiustare di sale e pepe. A cottura ultimata, scolare il polpo e tagliarlo. Condirlo con sale, pepe e olio. Con l’aiuto di un coppapasta disporre l’impasto di patate e porvi sopra il polpo fermato dall’apposito stecco.
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NDO
chef
TANDEM VEGETARIANO A TORINO Primavera nell’aria, ed è tutto un fiorire di tavole per il paese. Christian Milone si appresta ad alzare sipari e coperchi sulla sua nuova avventura torinese in tandem con Giuseppe Iannotti. Si tratta del progetto So Far (so fare): “Dopo il laboratorio di pasticceria e panetteria, il cui bistrot propone un menu a tema pane e farina, prevalentemente vegetariano per scelta della proprietà, è arrivato lo spin-off del caffè bistrot in stile liberty e vagamente parigino, sempre in centro a Torino, che offre pranzi veloci e salutari, a basso contenuto di sale e di grassi, con l’aiuto di un tecnologo alimentare. Al primo piano sempre in via Mercanti avrà sede dal mese di maggio anche il ristorante gourmet. Mi sto occupando dei lavori di ristrutturazione in prima persona. La cucina sarà a quattro mani, con riletture delle specialità piemontesi e campane dentro lo stesso menu”.
NUOVE CUCINE Sempre a Torino Ivan Milani, discepolo virtuale di Davide Scabin, ha alzato il velo sul suo futuro professionale: sarà ambientato presso il grattacielo di Intesa San Paolo, all’ultimo piano con vista panoramica sulla città. “Ma non c’è ancora niente di ufficiale”, si cuce la bocca. Si precisano inoltre le coordinate di approdo di Flavio Costa, atteso presso la Tenuta Carretta di Piobesi d’Alba, e di Paolo Lopriore, che in primavera inaugurerà il Portico ad Appiano Gentile, con una proposta informale a pranzo e la sua cucina d’autore, finita al tavolo con le attrezzature di Andrea Salvetti, a cena.
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a cura di Alessandra Meldolesi
GUARINO SI FA IN DUE Dopo 4 anni Vincenzo Guarino lascia il ristorante stellato l’Accanto del Grand Hotel Angiolieri di Vico Equense e trasloca in Toscana; per la fine di marzo è infatti prevista l’apertura presso il Castello di Spaltenna a Gaiole in Chianti di due punti di ristoro, l’osteria con cucina tipica e il ristorante gourmet il Pievano, con proposte di impronta mediterranea.
SORRENTINO COLTIVA I GERANI Il giovane chef campano Giovanni Sorrentino ha invece spento lo scratch del suo Vinile a Salerno: da febbraio cucina presso i Gerani, in piazza Borrelli a Santa Maria La Carità, all’inizio della penisola sorrentina. “Porto con me la mia cucina, ma senza vincoli. Mi sento libero di esprimermi al meglio, guardando il territorio con gli occhi di chi per 15 anni è stato in giro per apprendere. Il mio obiettivo è far star bene le persone, creando un mix di accoglienza, riflessività e territorio, senza integralismi né dogmi. Il locale è molto piccolo: al massimo 40 coperti, con una fascia di prezzo sui 30-40 euro e una cucina totalmente aperta. Tutti i ragazzi del Vinile, a cominciare dal mio secondo Mario Varone, mi hanno seguito. Il menu cambierà al massimo ogni 60 giorni, ma resterà qualche piatto firma, per esempio il ceviche campano con granita di birra, la mia seconda passione”.
RITORNO ALLA TERRA PER BALDASSARRE Il Tordo matto di Adriano Baldassarre è tornato a nidificare dopo la lunga stagione indiana, ma a Roma: lo stesso nome
del locale di Zagarolo (scritto in un’unica parola, stile web 2.0), su un’insegna appesa nel centrale quartiere Prati. L’atmosfera ricorderà una casa sull’Agro Romano, come quella dove lo chef è cresciuto, molto semplice e senza barriere, con la cucina in sala e gli sgabelli nel tinello scaldato dai fuochi. “Conto di aprire in primavera. Torno per stare vicino alla mia famiglia e riaprire il cassetto dei sogni. Tre anni fa, dopo le esperienze a Labico con Colonna e al Café Les Paillottes di Pescara, avevo già deciso di riaprire il Tordo Matto, progetto nato con una filosofia ben precisa: regalare cibo vero, non comprato su catalogo, fatto di ricerca a opera del cuoco, in sinergia con agricoltori e allevatori. Perché il divertimento deve restare, ma sul fulcro della sostanza. Penso alla pelle d’oca dei prodotti di una volta, perché mio nonno Nello, detto Giovanni, faceva il contadino, era il mio guru e non portava mai indietro quanto aveva colto dalla pianta, per rispetto verso la terra. Farò ricerca anche sugli strumenti di cottura: pietra, ghisa, terracotta al posto del Roner. Dell’India non dimenticherò il cuore dei ragazzi: è stata l’esperienza più toccante della mia vita, a termine non solo per ragioni contrattuali. Anche alcune spezie finiranno in valigia, per esempio la triphala, pepe antichissimo e leggermente agrumato. Oltre alla carta ci saranno tre menu degustazione, al prezzo massimo di 75 euro. Il primo a scelta del cliente; il secondo dedicato al riassunto della materia prima, microstagionale; il terzo chiamato ‘Mozzichi e bocconi’ e ideato già a Zagarolo, con 10 piccole portate per un’esperienza globale della cucina. I coperti saranno 26 nella sala principale, più il mezzanino per gruppi anche numerosi. Mentre la cantina ospiterà un centinaio di etichette, con proposte pensate per il singolo menu; la centounesima sarà uno Champagne riservato al tinello, come
CUOCOMERCATO
quando nonna friggeva i carciofi la vigilia di Natale e nonno Giovanni ci mesceva un bicchiere per farli andare giù meglio”.
ROMA CITTÀ APERTA Sempre a Roma Riccardo di Giacinto e Ramona Anello lasciano trapelare nuovi dettagli sulla metamorfosi di All’Oro, che ha lasciato The First Luxury Art Hotel per una nuova location, a due passi da piazza del Popolo. L’apertura è prevista in primavera. Definitiva invece la chiusura di Oliver Glowig a Roma, per decisione della proprietà. Il suo Aldrovandi abbandona la ristorazione gastronomica, ma lo chef conta di restare nella capitale.
LA DEMOCRAZIA DI ENTIANA Nel centro di Firenze Entiana Osmenzeza si è rimessa la toque presso il suo Gurdulù, intitolato a un personaggio di Italo Calvino. “Stiamo lavorando benissimo con un pubblico soprattutto giovanile. Come i miei soci, cinque amici che per me sono il futuro dell’imprenditoria food a Firenze. Il locale era una falegnameria e ferramenta, in una strada molto tipica, e lo hanno fatto rivivere: abbiamo la stessa età, parliamo la stessa lingua ed è il vestito che dovevamo indossare. In albergo non ero del tutto libera di esprimermi, qui invece sono partita dall’abolizione del menu in favore di un cambiamento permanente, con una lista di piatti ispirati dal mercato, anche se qualche cavallo di battaglia resterà. Più la carta degli snack serviti sul bancone di ferro, tutti home made, e la carta dei dolci, molto semplici. Anche i prezzi sono democratici: si spende dai 55 ai 60 euro inclusi i vini, che spaziano fuori dai confini della Toscana, fino al Nuovo
Mondo, con ricarichi moderati. I piatti che mi piacciono di più? I cappelletti di maialino di cinta e timo con brodo di dashi e daikon e la crépinette di coda di vitello con purea di sedano rapa. C’è molto Piemonte in carta, forse perché ho voglia di casa, ma alleggerito, perché la gravidanza mi sta cambiando: i sapori sono più semplici, puliti e diretti, con una bella acidità”.
BOLOGNA PIÙ GRASSA Andrea Bartolini si prepara a tuffare il suo Gran Fritto, appena estratto dalle pastoie burocratiche, sulla scena caliente di Bologna. Dove entra nel vivo, finalmente, anche la trattoria di Bruno Barbieri, che vedrà in cucina Daniele Simonetti, già al suo fianco presso il Cotidie di Londra. L’apertura è prevista a maggio negli spazi dell’Antica Trattoria dello Sterlino, esercizio storico ubicato in via Murri. Si sposta invece, ma sempre sulla piazza bolognese, lo chef marchigiano Riccardo Cattalani, noto nel capoluogo emiliano per i suoi cinque anni trascorsi al Trebbo di Reno, ma soprattutto per aver lavorato nel celebre Godot Wine Bar nella gestione Panichi, Scagliarri, Tantini. Approdato al Ciacco in Piazzetta San Simone, Cattalani può dedicarsi ad una elegante cucina di pesce che per freschezza creativa e nitore esecutivo ricorda quella del grande Vincenzo Cammerucci, con cui lo chef ha lavorato in passato. Al Sole di Trebbo torna invece Max Poggi che ha dato notorietà e prestigio al Cambio, dove ha lasciato il secondo Daniele Benassi, che continuerà a seguire così come già fa con il Vicolo Colombina, presidiato da Leonora Benassi. Poggi anticipa che farà una cucina di campagna contemporanea affiancata ad una cucina di ricerca, alla quale si dedicherà con una rinnovata libertà espressiva.
Top secret ancora il nome della Locanda e lo stile del nuovo arredamento.
DRUDI, DAL MARE ALLA CAMPAGNA Lo chef Fabio Drudi lascia la riviera per intraprendere una nuova avventura nell’immediato entroterra, a Tenuta Saiano. Un resort di campagna confinante con l’oasi naturalistica di Montebello, al centro delle rocche Malatestiane della Valmarecchia, che offrirà a partire da gennaio, oltre all’esclusiva ospitalità di quattro alloggi, un servizio ristorativo di alta qualità, i cui piatti saranno legati a doppio filo alla terra di appartenenza dato l’utilizzo delle materie prime, prodotte in maggior parte direttamente nell’azienda agricola di cui fa parte l’agriturismo. www.tenutasaiano.it
SAN MARINO: SARTINI SUBENTRA A RIGHI Dopo 25 anni di lavoro come chef executive dello storico ristorante Righi di San Marino – lavoro premiato dal 2009 con la stella Michelin – Luigi Sartini ne rileva la gestione mediante un accordo con la proprietà stipulato a inizio febbraio scorso. “Il mio impegno – dichiara Sartini – è quello di assicurare quella continuità che ha garantito il successo del locale fino ad oggi, unito ad un nuovo entusiasmo sia sul piano strettamente personale, che sul piano professionale”. In base a questa filosofia imprenditoriale il nome del ristorante non cambierà, ma aggiungerà al nome storico anche quello dello chef. Al ristorante Righi, aperto solo la sera, si affiancheranno inoltre l’Osteria La Taverna, sempre aperta, con menu della tradizione all’insegna della grande qualità e l’attività di catering, da sempre fiore all’occhiello della struttura.
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GOURMETFOOD
ATTENZIONE! PARLA LA CUCINA DEL CONTRASTE DI
MATIAS PERDOMO di
Alessandra Meldolesi
Suonare il campanello digitale con su scritto “Contraste” e sprofondare in un racconto di Alejo Carpentier o in un’atmosfera alla Gabriel Garcia Marquez. Real-maravillosa, dove la vita sfuma in fantasia e il sogno si lascia toccare, camminare, infilzare sulla forchetta. Assomiglia a un’ambasciata della creatividad la villa eletta da Matias Perdomo a domicilio della sua cucina: dietro una recinzione robusta e la cortina di schiamazzi misti a clacson della zona Navigli, al termine di un cortile disseminato di tavolini, dove col favore del meteo si può sorseggiare un aperitivo pronto per lo stappo, messo a punto studiando lo scioglimento dei cubetti con algoritmi da glaciologi. Ci sono voluti 3 mesi per trasformare quello che era un domicilio signorile in un indirizzo cult di Milano, rispettando i soffitti affrescati e il camino scavato di fregi, appendendo
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lampadari pomposi, glassati in un’improbabile colorazione scarlatta, e montando le sculture surreali di Matteo Pugliese, che fuoriescono dal muro esortando chi passa al silenzio. I tavolini sono appena dieci, rotondi e bardati di tovaglia bianca; la cucina, moderna, suda a vista, con la sagoma dello chef nell’esplosione di luce che rimbalza sui piani d’acciaio. Un’ascesa non male rispetto ai tavolacci rumorosi del vecchio Pont de Ferr, dietro la cui finestrella è iniziata la favola di un cuoco che ha cambiato la ristorazione milanese, in anticipo sulla voga bistronomica e sulla tempesta latina che ha spazzato la cucina mondiale. “In Uruguay ero già chef di un ristorante italiano con tre sedi, pubblicavo le mie ricette su una rivista e andavo spesso in televisione”, racconta Matias. “Ma dentro di me sentivo
MATIASPERDOMO
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GOURMETFOOD
che mi mancava qualcosa. Quando Maida Mercuri, nel 2001, ha deciso di rinnovare la brigata e lo chef, anch’egli uruguayano, ha fatto il mio nome, ero poco più di un ragazzino. Non era facile, ma ho deciso di seguire l’istinto e fare le valigie. In un esercizio già consolidato, ai piatti storici abbiamo subito affiancato le prime prove d’autore. Sperimentazioni di un cuoco praticamente autodidatta, tranne brevi stage da Martin Berasategui e dai fratelli Roca, che sono andate a comporre un menu degustazione e negli anni ci sono valse una stella Michelin, del tutto inaspettata. Nonostante le soddisfazioni, col tempo ho iniziato a desiderare una crescita ulteriore, in un contesto diverso da quello dei grandi numeri che eravamo abituati a fare, che mi
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consentisse una maggiore precisione nell’esecuzione e la centratura di equilibri rischiosi”. Dal bistronomico al gastronomico, in controtendenza sulla cucina contemporanea.
CARTA “IMPROVVISATA” Il concept del Contraste è rivoluzionario: il fine di Perdomo è l’abolizione della carta, rimpiazzata dall’improvvisazione. Una specie di participatory restaurant, dove è il cliente a suggerire al cuoco cosa mettere in pentola. Tanto che la prima pagina dello scarno menu reca uno specchio pronto a tradire le brame culinarie: è il degustazione riflesso, dal costo di 130 euro a per-
sona. A renderlo possibile sono le tecnologie di conservazione, in grado di ampliare indefinitamente la dispensa, e la taylorizzazione dei procedimenti culinari, con le ricette arrestate nei loro step nodali, in modo che il cuoco possa dare loro svolgimenti differenziati e finiture accelerate nel corso del servizio. L’organizzazione è millimetrica, il progetto in fieri. “Si tratta di porre al centro del ristorante il cliente, mettendo fine alla storica rivalità con il cuoco. Quella al Contraste deve essere la sua serata, non la mia”. In attesa di dissolvere l’offerta nella massima personalizzazione, restano a disposizione degli ospiti un menu composto di 7 corse al prezzo di 80 euro e una decina di proposte alla carta, due al prezzo di 65 euro, tre a 80.
MATIASPERDOMO
“Tutto l’insolito, tutto lo stupefacente, tutto ciò che fuoriesce dalle regole prestabilite è meraviglioso e il realmaravilloso è quello che incontriamo allo stato bruto, latente, onnipresente in tutta l’America Latina”, recitano le antologie letterarie. Il suo procedimento più caratteristico è lo straniamento, cioè l’assunzione di un fatto quotidiano in qualcosa d’altro, una “inesperada alteracion de la realidad (el milagro)” per dirla con lo scrittore cubano Carpentier. Può così accadere che ad aprire il sesamo del pasto sia una chiave metallizzata in burro salato di Normandia, da spalmare sul crostino di pane ritagliato a forma di spioncino. Perché “il meraviglioso non è che una delle forme del reale”: la sua forma eminentemente latinoamericana. Ma
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Alalunga in salsa verde
Preparare innanzitutto la crema di scarola, sbollentando la scarola e poi immergendola in acqua e ghiaccio; frullarla nel Bimby con olio e sale e setacciare. Unire una mela Granny Smith tagliata a dadini, 1 cucchiaio di succo di limone; mettere sottovuoto al 100% e tenere in frigo. Preparare il guacamole con un avocado maturo, scalogno tritato, peperoncino, olio, sale, succo di tre lime; frullare il tutto, setacciare, mettere in sac a poche. Tostare intanto i pistacchi di Bronte, frullarli nel Bimby fino a ottenere una pasta. Per la salsa verde, prendere due tuorli cotti, prezzemolo, mollica di pane imbevuta in aceto, acciughe, capperi, olio di oliva. Frullare fino a formare una salsa verde omogenea. Preparare il sedano tagliandolo a listarelle, i capperi in fiore tagliandoli a rondelle. Prendere una palamita cruda e lasciarla marinare in acqua e colatura di alici. Impiattare disponendo la crema di scarola, 3 gocce di guacamole, 3 punti di pasta al pistacchio, 3 dadini di mela, 3 listarelle di sedano, rondelle di capperi, alalunga marinato coperto completamente dalla salsa. Unire fiori, germogli e insalata verde fresca.
GOURMETFOOD non è l’unico piatto ad alto tasso di show. Gli appetizer, per cominciare, vengono disposti su una nuvola flottante di cotone. Non prima che il tavolo sia stato apparecchiato all’arrivo dell’ospite, protagonista incontrastato della dining experience. Si tratta di una serie di bocconi antigravitazionali, sospesi sopra le banalità dell’empiria: tapioca soffiata con crema di limone alla vaniglia e anguilla affumicata, amaranto in cialda con guacamole e mais, sarda in saor nella gelatina di menta, patè di fegatini di piccione a mo’ di pralina, crème brûlée di foie gras e fichi, cialda di riso con sushi di carne e alga nori da assaporare in una sequenza a piacere. Oppure le finte monete di gelatina di maiale metallizzata (pagina accanto in basso), confezionate senza aggiunta di additivi, che vengono irrorate al tavolo di un brodo caldo di cassoeula, che magicamente le scioglie: raccontano con piglio borgesiano la storia della location, dove il dottore Ercole Tavella praticava le sue attività di beneficenza, si prendeva cura dei poveri e ogni set-
Rognoni
di coniglio, anguilla affumicata e gelato all’escapece Prendere 6 rognoni di coniglio e tagliarli a metà. Spadellarli in olio e sale e lasciarli riposare. Intanto preparare la crema di anguilla con cipolla e carote, stufarle con anguilla affumicata, vino rosso e nero di seppia. Frullare il tutto e setacciare. Per la foglia di cicoria, condirla con olio, sale, aceto di lampone. Mettere sottovuoto 100%. Far riposare due ore in frigo, tagliare poi in rettangoli. Per il gelato, cuocere le zucchine trombetta sottovuoto con olio e sale per 20 minuti a 70°C. In una pentola mettere 300 grammi di vino bianco, 300 grammi di aceto, 100 grammi d’acqua, 30 grammi di zucchero, alloro, pepe in grani. Sbollentare per 10 minuti; aggiungere le zucchine e cuocere per altri 10 minuti. Frullare il tutto e fare un gelato. Impiattare mettendo come base la crema di anguilla al nero di seppia, i rognoni, i dadini di anguilla, la foglia di cicoria e i cucchiaini di gelato.
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Piedi
di porco con lenticchie e nocciole Per il consomèe di lenticchie, far rosolare una cipolla, una carota e un gambo di sedano; aggiungere un pezzo di pancetta o guanciale e rosolare il tutto. In seguito aggiungere le lenticchie e cuocere per un paio d’ore bagnando il tutto con del brodo vegetale. Filtrare la zuppa che restringeremo ancora un po’ sul fuoco per ridurla e concentrarla. Per le lenticchie di nocciole, prendere la pasta di nocciole tostate, sciogliere il burro e aggiungerlo alla pasta di nocciole tostate. Miscelare bene il composto. Prendere una bacinella grande da cucina, riempirla di ghiaccio e acqua, inserirvi una siringa senza ago e far cadere delle goccioline che si rapprenderanno subito, creando delle piccole lenticchie. Conservare in acqua fredda. Per il piede di porco: prendere uno zampone artigianale, cuocerlo dentro una teglia da cucina sottovuoto per 12 ore a 75°C. Raffreddare. Prendere un coppapasta per dare la forma di piede. Sistemare il piatto con un piede caldo, di fianco le lenticchie di nocciole e versare il consomèe di lenticchie molto caldo davanti all’ospite.
MATIASPERDOMO timana imbandiva loro la tavola. “Per ricordarlo abbiamo scelto un piatto povero che fosse simbolo della città: la cassoeula. Sta anche a significare il valore che noi diamo al denaro. Qualcosa che deve arretrare di fronte alla passione”. E ancora il dessert Pulp Fiction, colpo letale al cuore del gourmet. Ricostruisce la scena di un delitto, con “sassi” che in bocca si rivelano profumo. In realtà una mousse di cocco passata nella magic bag del sottovuoto, che insuffla aria anziché sottrarla, e poi abbattuta, in modo da ottenere un soufflé freddo impal-
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GOURMETFOOD
pabile e high-tech. Fra gli altri reperti il sangue di sciroppo di barbabietola, le pallottole di ganache metallizzata e una terra di cenere di cipolla, nella perfetta coincidenza di piacevolezza, tecnica e divertimento.
LA FILOSOFIA DELLA CUCINA Ai trompe-l’oeil si alternano giochi gustativi sottili, contro la burocrazia della creatività di cui parlava Carpentier. Consapevoli delle tecniche spagnole ma abbarbicati alle memorie gustative, “perché vogliamo guardare il passato mentre viviamo il presente e aspettia-
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mo il futuro. Cuciniamo come viviamo e dove viviamo. Ci piace l’idea di strappare un sorriso di stupore con una ciambella di ragù alla bolognese, alternata magari a piatti metaforici, come il pesce sulla strada del sale, e di cucina pura”. Vedi lo squisito sgombro crudo, marinato al dashi, laccato al miso, privato della pellicina e fiammeggiato, servito con sorbetto di fagiolini edamame, limone, capperi e aria di mandorle, in punta di forchetta fra Mediterraneo e Giappone, con le note dolci e profumate sullo zoccolo robusto dell’umami; oppure la pluma di iberico con ricci di mare e burrata, lascito del Pont. “Un piatto che ha un valore storico: abbiamo faticato a imporre un maiale così crudo. Invece è la sua ricetta: croccante fuori, morbido dentro”. Con la mineralità del mare che rimbalza nella carne, più il latticino per la morbidezza che arrotonda e in funzione di legante: un minimalismo vincente. Fra i classici prossimi venturi, per finire, l’Omaggio a Marchesi, variante del risotto giallo. La farcia è ottenuta dal sugo amidaceo rilasciato in
cottura, abbattuto e rivestito di una pasta che assume le funzioni di testura al posto dei chicchi. Per condimento un pizzico di gremolada e una salsa suadente di midollo. Un virtuosismo dove però a trionfare è la sensazione vellutata e carezzevole del ripieno, che solo una membrana separa dalla grassezza confortante della salsa: generosità e morbidezza tutte padane. “Essendo sudamericani abbiamo studiato la ricetta originale, pensando prima alla foglia d’oro, poi al risotto con l’ossobuco. Lo abbiamo lasciato in acqua gasata e ghiaccio per 24 ore, in modo che si dissanguasse, poi lo abbiamo cotto in forno ed estratto. Una base di cipolla, la crema per legare ed ecco la salsa. Il risotto è cotto classicamente con il brodo di carne, ma ne filtriamo solo l’anima. Più la gremolada in finitura per la freschezza. Cosicché chi mangia si chiede: è pasta o riso? C’è la sorpresa, ma c’è anche lo studio sul gusto. E l’invito a riflettere in ogni caso su quel che stiamo mangiando”. In qualsiasi momento, tuttavia, l’ospite è libero di ordinare un fuori programma: lo abbiamo fatto anche noi, con il quinto quarto e una ricetta vegetariana. Per ricevere a stretto giro un piatto di animelle cacio e pepe, vera epitome di Roma, in fondo una variante gagliarda delle animelle alla panna, e un radicchio trevigiano con sorbetto di galanga,
MATIASPERDOMO
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crema di nocciole, aceto e polvere di lamponi, match teso di acidità e adesività su fondo amaro. Con Perdomo due vecchie conoscenze del Pont: il giovanissimo secondo argentino Simon Press e il direttore di sala e di cantina Thomas Piras. Il servizio è fondamentale per il progetto di Contraste, quale cinghia di trasmissione dei desideri degli ospiti e in funzione dello show. La carta dei vini, già corposa, privilegia produzioni di nicchia e biodinamici, senza rinunciare alle certezze. Gli abbinamenti possono essere altrettanto sartoriali della cucina, senza rinunciare a osare. Vedi il Vino Santo trentino sull’Omaggio, che recupera al piatto le note ossidate della ricetta artusiana, sfumata al Marsala, e ne esalta la sontuosità senza stucchevolezze.
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VISSANI CAMBIA PELLE
ECCO COME SI È RINNOVATO IL RISTORANTE DI CASA VISSANI CHE CONFERMA LA SUA CONTINUA EVOLUZIONE SIA NEI PIATTI CHE NEGLI ARREDI di
Maria Chiara Zucchi
Foto di Claudio Mollo
Nei 30 anni del grande cambiamento che ha investito tutto il settore enogastronomico nazionale e internazionale, lui è stato il genio creativo istintuale che ha condizionato il cambiamento stesso. E la sua formula innovativa non tende ad esaurirsi: ne sono un segnale gli arredi mutati spesso nel corso degli anni, così come i suoi piatti di straordinaria inventiva. L’ultima trasformazione avviene nel segno della trasparenza: fin dall’ingresso si ha piena visione delle sale che si succedono via via, verso il dehors che guarda il lago di Corbara. Vissani, a dispetto dei detrattori che poco sanno della sua cucina, continua ad essere il più ingegnoso, per naturale predisposizione, tra gli chef della scena contemporanea.
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Disco
di capellini ai pomodori verdi, brodo di capriolo, purea di sedano rapa e julienne di tartufo nero INGREDIENTI per 4 persone g. 100 di pasta all’uovo, 20 pomodorini verdi, 3 spicchi d’aglio, 2 foglie d’alloro, 1 ciuffetto di mentuccia selvatica, g. 20 di pecorino grattugiato, brodo ristretto di capriolo, g. 20 di sedano rapa, olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b., g. 30 di tartufo nero, 1 carota.
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PREPARAZIONE Stendere sottilmente la pasta e tagliarla poi a capellini finissimi; lasciarli asciugare in un luogo fresco. Tagliare finemente il sedano rapa e farlo cuocere a fuoco lento in una casseruola con olio, aglio ed alloro. Successivamente frullare, filtrare e regolare di densità e sapore. Tagliare a fettine sottili le carote e saltarle in padella con olio, aglio e alloro; comporre poi 4 dischi appoggiati su carta forno. Tagliare a metà i pomodorini e condire con aglio, sale, pepe, mentuccia sfogliata ed olio extravergine d’oliva. Cuocerli in forno a 150°C per 20 minuti circa. Nel frattempo tagliare il tartufo a julienne finissima. Cuocere i capellini in acqua salata, scolarli e spadellarli poi con i pomodori, il pecorino ed un filo d’olio extravergine d’oliva. Adagiarli al centro di un piatto fondo, versarvi intorno un filo di purea di sedano rapa, appoggiare sui capellini il disco di carote e la julienne. Completare col brodo bollente.
Gianfranco e Luca Vissani hanno rinnovato il loro ristorante e anche le proposte mediante una carta Wip (work in progress) utilizzata solo nel lunch con due pietanze salate, un dolce e un calice di vino a 50 euro e una seconda proposta Wip declinata sia per il momento del pranzo che della cena con tre pietanze tratte dal menu Tradizione/Evoluzione e tre calici di vini abbinati a 75 euro. Oltre alle soluzioni più accessibili, una nuova proposta Three Level si compone di tre pietanze scelte nella carta creativa a 90 euro, sei pietanze in libera scelta a 180 euro e nove a 250 euro. Il menu alla carta Tradizione/Evoluzione contiene nove piatti della tradizione e dodici creativi. Arricchisce ogni degustazione la possibilità di attingere da una cantina contenente 1.200 etichette. Il ristorante Vissani ha un organico di 25 addetti, divisi tra sala e cucina. Nella foto a sinistra, le elegantissime tagliatelle e cubi di gamberi rossi, foglie di cappero, liquido di ceci e rosmarino e gocce di acqua minerale. In alto a destra, i menu scritti a mano contenenti le nuove proposte e uno scorcio della cucina coordinata dal fidatissimo Mori.
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Zuppa
di passion fruit, ravioli di cappesante ripieni di noci pekan e pere alla grappa, tuorlo d’uovo farcito con crema di broccoli romaneschi
INGREDIENTI per 4 persone
PREPARAZIONE
Far imbiondire in una padellina uno spicchio
2 passion fruit
Adagiare i tuorli d’uovo su un letto di zucche-
d’aglio, unire l’acciuga e i broccoli, passarli due
cl. 15 di brodo vegetale
ro a velo e coprirli completamente con altro
volte al setaccio fine per ottenere una purea
olio extravergine d’oliva , sale e pepe q.b.
zucchero a velo; lasciarli riposare per 24 ore.
liscia. Ricavare dalle cappesante 8 fettine e
2 cappesante marinate con agrumi ed erbette fini
In una casseruola far imbiondire uno spicchio
batterle tra due fogli di pellicola trasparente
g. 50 di purea di pere alla grappa
d’aglio con olio extravergine d’oliva ed una
per ottenere 8 dischi sottili. Preparare 4 ravioli
g. 100 di latte
foglia d’alloro; unire la polpa del passion fruit
con la crema di noci e pere aiutandosi con un
g. 20 di noci pekan tostate
e successivamente il brodo; portare a bollore.
tagliapasta tondo; svuotare con una siringa il
g. 5 di burro
Togliere aglio ed alloro, frullare, filtrare e re-
tuorlo e riempirlo con la crema di romaneschi.
g. 5 di farina
golate di densità e sapore. Bollire il latte con le
Versare la zuppetta di passion fruit al centro
4 tuorli d’uovo
noci tritate, frullare e filtrare; preparare un roux
di un piatto, adagiarvi il raviolo di cappesante
zucchero a velo q.b.
bruno che uniremo poi al latte ancora caldo
e l’uovo farcito. Completare con un filo d’olio
g. 100 di broccoli romaneschi cotti
e cuocere a fuoco lento; unire a questo com-
extravergine d’oliva e qualche cimetta di broc-
2 spicchi d’aglio
posto la purea di pera e conservare in frigo.
colo romanesco.
1 filetto d’acciuga 1 foglia d’alloro
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Zuppa
di lenticchie con cappelletti al tartufo nero e cappuccino di zucchine INGREDIENTI per 4 persone
PREPARAZIONE
Stufare le zucchine in una casseruola con olio,
g. 100 di pasta all’uovo
In una casseruola stufare i composti tritati con
aglio e alloro; versare il brodo, frullare e filtrare.
g. 50 di lenticchie cotte
olio, aglio, rosmarino e alloro. Unire le lentic-
Regolare di sapore ed aggiungere la lecitina,
g. 5 di carote tritate
chie e cl. 30 di brodo; cuocere qualche minuto;
far riposare un’ora circa e poi, con un frullatore
g. 10 di cipolla tritata
togliere aglio, rosmarino ed alloro; frullare;
ad immersione, formare una schiuma corposa.
g. 10 di sedano tritato
filtrare e regolare di densità. Prelevare 200
Tagliare la zuppa a cubetti e disporli in linea su
cl. 50 di brodo vegetale
grammi di zuppa e farla bollire con 2 grammi
un piatto piano, adagiarvi i cappelletti crudi e
2 spicchi d’aglio
di agar agar quindi stendere il composto in
completare con il cappuccino di zucchine.
1 ciuffetto di timo
una placchetta dell’altezza di 1 centimetro.
1 rametto di rosmarino
Tritare finemente il tartufo e cuocerlo a fuoco
1 filetto d’acciuga
dolce con olio extravergine d’oliva, l’acciuga,
2 foglie d’alloro
il timo, l’aglio e l’alloro. Scolarlo dell’olio in
g. 80 di tartufo nero
eccesso e, quando sarà freddo, farcire i cappel-
1 zucchina
letti fatti con la pasta sottilissima.
g. 2 di lecitina di soia olio extravergine d’oliva sale e pepe
CASA VISSANI S.S. 448 Todi - Baschi Km 6.600 (Terni) Tel. +39 0744 950206 Fax +39 0744 950186 www.casavissani.it
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GOURMETFOOD
NEL NOME DEL PADRE
DA VITTORIO
LA FAVOLA DI UNA GRANDE CUCINA ITALIANA di
RISTORANTE DA VITTORIO Via Cantalupa, 17 24060 Brusaporto (BG) Tel. 035 681024 www.davittorio.com
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Alessandra Meldolesi
1966: Vittorio e Bruna Cerea si affacciano da una foto in bianco e nero, sul fondo grigio di viale Papa Giovanni XXIII a Bergamo, dietro lo sfrecciare delle auto in pieno boom economico. Lui rubizzo e pasciuto, lei snella e innamorata. Giovani, entusiasti, sonnambuli di un sogno mai sognato in precedenza. 2015: il figlio Chicco, e poi i fratelli Roberto, Francesco, Rossella e Barbara, e ancora i cognati Paolo e Simone sfrecciano nell’ossigeno verde ai margini della città orobica. Si è caricata dei loro volti sorridenti l’istantanea del ristorante Da Vittorio, e del technicolor di una location en plein air: dieci ettari di prati, boschi, vigne, laghetti, campi da calcetto e da tennis attorno a un casale trasformato nel castello di una favola lombarda e familiare. Il lieto fine non era scontato, per un azzardo iniziato portando il pesce di mare ai piedi delle Alpi, dove gastronomicamente non aveva mai sguazzato. “Ero ancora in fasce quando tutto ebbe inizio”, racconta oggi Chicco, al secolo Enrico Cerea, chef del ristorante con il fratello Roberto, che si dedica piuttosto ai primi piatti. “Vittorio non aveva ricevuto una formazione professionale come chef, ma si era limitato a compiere qualche esperienza come barman, in gelateria e soprattutto in sala, in Svizzera e a Cervinia.
© Paolo Chiodini
DAVITTORIO
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GOURMETFOOD
Moscardini al verde
INGREDIENTI: g. 500 di moscardini, olio extravergine di oliva q.b., succo di limone q.b., 1 cucchiaio abbondante di aceto di vino bianco, sale e pepe. Per il trito di erbe aromatiche: prezzemolo, basilico, 1 spicchio d’aglio, g. 260 di farina per polenta, l. 1 di acqua, sale. PREPARAZIONE Preparare una polenta morbida. Mentre cuoce, pulire i moscardini eliminando dalla testa il sacchetto con il nero. In una pentola con acqua salata e acidulata mettere a bollire i moscardini, cuocendoli per 4/5 minuti. Scolarli e condirli ancora caldi con sale, pepe, limone, aceto, le erbe aromatiche e l’olio extravergine di oliva. Servirli immediatamente, accompagnandoli alla polenta.
© Fabrizio Donati
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Certo possedeva le physique du rôle, quella rotondità che esprimeva un’indole gioviale, le bretelle sulla camicia azzurra che portava anche per spadellare. La sua grande fortuna però era quel quid in più: il palato. Viveva per il cibo, che fosse per sé o per gli altri. Non ha mai avuto un hobby che non fosse legato alla tavola: ricordo che al ritorno da scuola mi aspettava in cucina per farmi assaggiare quello che aveva preparato.
Ci veniva a prendere e ci portava alla Colombina, un locale che esiste ancora, per mangiare pane, burro e acciughe, o altrove, per un prosciutto speciale. Essendo il fratello maggiore, ho iniziato subito ad affiancarlo. A volte depositavo la cartella e iniziavo a lavorare, senza neppure mangiare. Ma è stato anche il mio migliore amico: appena finiva il servizio ci sedevamo a parlare di nuovi progetti per il ristorante”.
DAVITTORIO
Maialino orvietano purea di datteri e insalata di pere Ripulire dalle interiora un maiale di kg. 10 al
Per la salsa (tutto a freddo): l. 3 di acqua, l. 1
dano. Anche la ventresca tiepida andrà messa
massimo. Sezionare cosce e spalle; togliere le
di Marsala, l. 1 di Porto, tutte le carcasse, 4 / 5
sottovuoto, così che si compatti bene.
costolette per ricavare la ventresca e aggiun-
coste di sedano, 4/5 carote, 3 cipolle, testa, chiodi
gerle, insieme alla colonna vertebrale, ai pie-
garofano, bacche di ginepro, alloro, rosmarino,
Per i contorni: mondare le pere e cuocerle in
dini e alla testa tagliata a metà, per realizzare il
salvia.
uno sciroppo realizzato con parti uguali di cannella, chiodi di garofano e pepe nero in grani.
fondo di maiale. Pareggiare bene la ventresca
Far raffreddare nella salsa.
e chiuderla a libro. Mettere nel service di accia-
Ridurre il tutto facendolo andare piano piano
io prima le cosce, poi le spalle e le ventresche,
e schiumandolo, fino a farlo addensare un po’.
possibilmente tutte sullo stesso piano. Aroma-
Aggiungere il fondo di cottura del maialino
Per la purea di datteri: 10 datteri senza noccio-
tizzare a piacere (alloro, ginepro, agrumi, pepe
cotto nell’olio: si formerà una salsa gelatinosa
lo, g. 100 di aceto bianco, g. 100 di aceto rosso, g.
in grani, lemon gras, salvia, rosmarino, timo,
che aggiungeremo al fondo. Quando il maiale
100 di aceto balsamico.
aglio etc.). Porvi sopra un peso per schiacciare
risulterà cotto, prima che si raffreddi totalmen-
Lasciare i datteri in infusione con i tre aceti per
le ventresche; coprire con olio (metà di oliva,
te, togliere le ossa di cosce e spalle e, ancora
1 mese. Scolare il liquido e tritare finemente i
metà di semi) superando di 7/8 centimetri il
tiepido, disporlo pezzo per pezzo sottovuoto
datteri al coltello e poi passarli al setaccio.
maiale. Mettere in forno a 75°C per 7 ore.
in modo che i buchi lasciati dalle ossa si chiu-
Comporre il piatto come nella foto.
© Paolo Chiodini
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GOURMETFOOD
© Paolo Chiodini
IL PIONIERISMO DI VITTORIO “Vittorio è stato un pioniere, come Paracucchi e Alciati, quando la ristorazione italiana era ancora in uno stato embrionale, prima che Marchesi consacrasse una rinascita che era già nell’aria. Ma non si è mai legato a nessuna tendenza, come ad esempio Linea Italia. Ha sempre preferito cantare un po’ fuori dal coro. L’idea di servire il pesce di mare gli era venuta da una zia di Venezia che cucinava benissimo. Si era detto: ‘Voglio proporre i suoi piatti’. Anche se il bergamasco medio non sapeva nemmeno come affrontare un trancio nel piatto. Ma lui ha tenuto duro perché sapeva di poter sfondare e
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dare gioia, a se stesso e agli altri. Alle sue spalle c’era mia madre, che teneva le fila di tutto, in particolare dell’amministrazione. Era una vita di sacrifici, ma provenivano entrambi da famiglie umili, con la fame atavica di creare qualcosa di loro”. “A 15 anni già seguivo i primi servizi esterni: uscivo con qualche cameriere e me li gestivo io, nelle case private. Poi pian piano ho affiancato i due chef che collaboravano con mio padre e ho iniziato a fare stage all’estero, da cui tornavo carico di mille stimoli. Ho cominciato dalla pasticceria, quando i dessert al piatto erano ancora rari in Italia, ma non ho trascurato le altre partite. Sono stato dapprima da Jacques Cagna, un due stelle parigino, poi a Monaco da Heinz Winkler e a New York da Sirio Maccioni, che era all’avanguar-
dia nell’organizzazione, fino ai due mesi che ho trascorso al Bulli di Ferran Adrià; mentre Roberto si perfezionava fra gli altri dai Troisgros. A casa hanno capito che portavo il nuovo, le cose del momento e il ricambio è stato quasi automatico. Anche se con papà ogni tanto scoccava qualche scintilla, quando sentivo che non potevo esprimermi, perché lui aveva un carattere fortissimo”.
LA SEQUENZA DI STELLE MICHELIN Dopo la prima stella, datata anni ’70, la seconda nel 1996 premia la creatività della nuova generazione e la terza nel 2010 il trasferimento alla Cantalupa,
DAVITTORIO
con l’allestimento di una struttura senza eguali in Italia, teatro di una banchettistica pluripremiata. “Quando abbiamo visitato per la prima volta la tenuta, mio padre ha detto di no. Poi un amico lo ha convinto a ripensarci, ed è stata una scelta vincente. Abbiamo iniziato ad affittarla per gli eventi nel 1996, poi sono partiti i lavori e al vecchio edificio abbiamo affiancato ali nuove. Nel 2005 si è trasferito anche il ristorante gastronomico”. Ci lavora praticamente tutta la famiglia, con l’eccezione di Barbara, che gestisce il caffè pasticceria Cavour 1880 a Bergamo alta, uno dei Locali Storici d’Italia.
Dietro a Chicco e Bobo ci sono infatti la sorella Rossella, che cura l’accoglienza del ristorante, con suo marito Paolo Rota, sous-chef, e il fratello Francesco, responsabile della ristorazione esterna e della carta dei vini; mentre Simone Finazzi, marito di Barbara, è chef pasticciere. Tutti sotto l’ala protettrice di mamma Bruna, che continua a dispensare sorrisi in sala. I dipendenti sono addirittura un centinaio, fra il ristorante gastronomico, le 10 camere della locanda arredate tutte in modo diverso, il catering e il banqueting che arriva a 300 coperti, con una cucina e una brigata separata, le postazioni per la griglia, il fritto e il forno a legna a bordo piscina. “Siamo partiti con una macchina scassata in cui infilavamo i cartoni e adesso gestiamo eventi in tutto il mon-
do. Forse perché facciamo quello che altri non fanno: allestiamo le cucine sul posto e prepariamo praticamente tutto espresso, come al ristorante”. Ma ci sono anche spazi per corsi e private chef, il Vicook bistrot presso l’aeroporto di Orio al Serio e dal 2012 il ristorante stellato del Carlton Hotel di Sankt Moritz. I fornitori sono gli stessi di papà Vittorio: 5 o 6 disseminati per l’Italia. “Ogni giorno riceviamo il pesce in aereo dalla Sicilia, da Chioggia e da Molfetta, dalla Liguria in treno o in camion. Viaggia di notte e, quando scoperchiamo i cartoni, scopriamo scampi ancora vivi. L’abbattitore lo usiamo solo dove è richiesto dalla legge, quindi per i crudi, con l’eccezione dei crostacei”; e ancora le carni piemontesi e il tartufo di Alba,
che in stagione strappa un menu dedicato. Ma non delude neppure la cantina: sono 1400 le etichette affidate alle cure del sommelier Fabrizio Sartorato, fra cui il vino della casa Faber, prodotto nelle vigne che circondano il ristorante e imbottigliato sia come uvaggio bordolese sia come moscato tipo Scanzo da Monzio Compagnoni.
LO STUDIO DEI PIATTI I piatti vengono messi a punto attraverso una procedura di brainstorming, foriera di un piacevole pluristilismo: “Quando decidiamo di cambiare una parte del menu, i collaboratori più stretti sono autorizzati ad avanzare idee e proposte, su cui cominciamo a lavorare. Passano al vaglio
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GOURMETFOOD
Paesaggio marziano INGREDIENTI
Per le nocciole caramellate: g. 500 di noccio-
Per la bavarese: g. 500 di latte, g. 80 di tuorli,
le, g. 300 di zucchero a velo, g. 30 di burro.
g. 150 di zucchero, g. 4 di colla di pesce, g. 100 di nocciole ben tostate, g. 500 di panna montata.
Tostare le nocciole in padella e, poco alla volta, aggiungere lo zucchero a velo. Ottenuta
Portare a bollore il latte e versarlo sui tuorli
una colorazione dorata, unire il burro. Stacca-
precedentemente amalgamati allo zucchero;
re le nocciole.
aggiungere la pasta di nocciola (fatta con le nocciole ben tostate e frullate calde); portare
Per il crumble al cacao salato: g. 150 di bur-
il tutto a 85°C; aggiungere la colla di pesce
ro, g. 150 di farina di mandorla, g. 200 di farina
precedentemente ammollata e raffreddare
debole, g. 200 di zucchero di canna, g. 10 di
il tutto. Ad una temperatura di 30°C versare
sale, g. 60 di cacao.
questo composto nella panna precedente-
Mettere tutti gli ingredienti in una planetaria;
mente semi-montata. Versare nel sifone con
appena il composto risulterà amalgamato,
due cariche e far riposare per 2 ore in frigo.
farlo riposare in frigo per 2 ore. Infornare a 160°C per 12 minuti.
Per il cioccolato soffiato: g. 500 di cioccolato la latte, g. 50 di olio di semi.
Per la salsa mou: g. 500 di panna, g. 250 di zucchero.
Portare a 41°C il cioccolato e l’olio di semi;
Far caramellare lo zucchero, aggiungervi la
raffreddarli sino a 25°C, versare il composto
panna precedentemente portata a bollore e
in un sifone con due cariche e sifonare in un
far ridurre.
vuoto senza far uscire l’aria. Farlo riposare per un’ora in congelatore.
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Disporre in un piatto fondo come nella foto.
© Paolo Chiodini
contenitore “magic vac”. Farlo andare sotto-
DAVITTORIO
mio, di Bobo e Paolo, per essere eventualmente sistemate”. I cambi di carta sono 5 e riguardano tutte le proposte, compresi i degustazione Carta bianca, dedicato alle sperimentazioni contemporanee (250 euro), e Nella tradizione di Vittorio, con piatti moderatamente creativi (180 euro). Sono inaugurati da appetizer diversi, vedi il marshmallow al Parmigiano Reggiano con crema di pere e gin, particolarmente umido perché preparato al momento. Ma in carta restano, richiestissimi, i classici del fondatore: i paccheri scaldati su una piastra in sala durante la coreografia della mantecatura come gli scamponi, il gran fritto misto e l’orecchia di elefante. Del Carta bianca fa parte il superbo scorfano scomposto, brasato e crudo, piatto che valorizza tagli insoliti di un pesce solitamente sacrificato alla zuppa. Si tratta del muscolo dell’occhio con la gola, dalla soave testura gelatinosa, e di un brano della testa completo di pinna, che vengono cotti dentro la pentola a pressione, per preservare i profumi, in un fumetto al lemon grass con soia e zenzero; mentre il filetto è battuto in forma di tartara e condito con il miso e un secondo fumetto. La suggestione è quella di un pesce con le ali, grazie alla presentazione che sfrutta abilmente la pinna, come non era mai stato fatto prima; in bocca freschezza e umami, un morso indimenticabile che segue il gesto dello scalco fai da te al tavolo. Tra profumi d’Oriente e crudeltà nordeuropea. Oppure il Carbon fossile, preparazione riservata al branzino o all’ombrina, in cui
trova un altro sfogo la passione di Chicco per la pasticceria. Il punto di partenza è la cottura dello zucchero a roccia, come si fa per il carbone dei bambini, dentro una padella alta. Quando raggiunge 106-107 °C viene colorato con il nero di seppia e si tuffa al suo interno il pesce avvolto nelle alghe. Fuori dal fuoco, la polpa cuoce grazie al calore della massa, che si solidifica lentamente. Quando forma un blocco lo si può prelevare e aprire davanti al cliente. In bocca sviluppa aromi di castagna bollita e arachide, esaltati da una salsa acidula al frutto della passione con melanzane piccanti. Fra le portate del secondo, gli scampi in shabu shabu con granita di lime e pesca, “un piatto che ormai avrà 25 anni. Racchiude il mio amore verso il Giappone, per il rispetto del prodotto che ispira la sua cucina. La tecnica di cottura è una pennellata, con l’immersione fugace dell’ingrediente in qualsiasi liquido: lo scampo sembra cotto perché opaco ma resta praticamente crudo, morbidissimo e appena rassodato dal passaggio in acqua acidulata. Con la crema di pesca bianca, il pepe rosa, la menta, il peperoncino e la granita, in bocca la freschezza esplode”. Oppure le intramontabili linguine all’aragosta, condite con una salsa mista di pomodoro fresco e pelati, infuso di carcasse e teste, carne della coda cotta a bassa temperatura nella stufa, burrata di Andria e un giro di mulinello di pepe.
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GOURMETFOOD
PASQUALE
LAERA
LO CHEF CHE HA DETTO NO A CANNAVACCIUOLO PER LAVORARE CON LUI IN UN PROGETTO SOSPESO TRA NORD E SUD di
Alessandra Meldolesi - foto di Lefotodimarzo.it
Le pietre normanne del castello impregnate di brume autunnali; dietro lo skyline delle colline, in lontananza, un sospetto di mare; mandrie di mucche al pascolo fra filari di nebbiolo e di moscato, idrocarburi da tartufo sotto il pendolo rosso dei pomodori. C’è un po’ di Puglia nel paesaggio di Serralunga d’Alba, da quando Pasquale Laera, due anni fa, ha assunto il controllo di tutte le cucine del Boscareto Resort,
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cinque stelle lusso di recentissima costruzione circondato da viti che rampicano pure sugli arredi. Un’astronave che ha portato il turismo di lusso nel paradiso dei golosi, dove il food non può che occupare posizioni di rilievo. I punti di ristoro sono diversi, per un totale di 400 metri quadrati abbondanti di cucina: oltre al comune room service con relative room amenities e colazioni, il bistrot, lo spazio
PASQUALELAERA
eventi e la mensa per un personale che conta 100 unità; soprattutto il ristorante stellato La Rei, con i suoi 30 coperti che, durante la stagione del tartufo, si dilatano in una sala più ampia. Ovunque detta legge, come un illuminato re bambino, Pasquale Laera, che sua maestà Antonino Cannavacciuolo, consulente della struttura da due anni, ha nominato resident chef quando era suo secondo, appena ventiquattrenne. Come il maestro, anche l’allievo arriva da sud, per la precisione da Gioia del Colle. “Ed essendo cresciuto in un contesto rurale, credo di partire in un certo senso avvantaggiato, perché conosco i prodotti; da noi è ancora normale barattare una cassetta di verdura col vicino”. Poi c’è tutta un’enciclopedia gustativa assemblata nelle case, dove mamme, zie e nonne cucinano ancora come una volta. Tanto quotidiano e universale quel mangiare, che non è scontato pensare di farne una professione. “Nel mio caso l’avvicinamento è stato graduale. Per pagarmi i primi anni al liceo classico ho iniziato a lavorare come cameriere in un ristorante di cucina pugliese e sono stato catturato subito dal sentimento di gratificazione. Al fine di guadagnare di più, una volta lasciata la scuola attaccavo presto in cucina,
su mia iniziativa personale, prima di passare in sala. In questo modo riuscivo a mantenermi con le mance, mentre lo stipendio formava il gruzzoletto che mi avrebbe consentito di frequentare Alma”. A Villa Crespi Laera arriva nello stage di fine corso, per fermarsi quasi 6 anni: dapprima è commis, poi chef de partie agli antipasti e ai secondi - la partita che predilige perché gioca da pivot, in mano i fondi con cui andare insieme a canestro - ma anche jolly in pasticceria e, finalmente, secondo.
HO LASCIATO CANNAVACCIUOLO “A un certo punto volevo scappare perché non reggevo orari e ritmi di lavoro. Fu Luciano Tona, direttore didattico di Alma, a chiedermi una riflessione supplementare. ‘Quale chef vuoi lasciare?’. ‘Cannavacciuolo’. ‘Vuoi lasciare CAN-NA-VAC-CIUO-LO? E per andare da chi?’. La risposta sta nel fatto che io, qui al Boscareto Resort, sono cresciuto e ho imparato tante cose: a gestire una brigata e un’impresa, come cuoco ad alternare i territori. La nostra cucina vuole portare in viaggio l’ospite.
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GOURMETFOOD
Ciò che cerchiamo è il gusto italiano, anche quello un po’ ignorante dell’aglio e del prezzemolo, di un soffritto fatto bene, della griglia e delle pentole di coccio, per cuocere i legumi come a casa: basta guardare la gente in faccia per vedere l’effetto che fa. I piatti passano tutti al vaglio di Cannavacciuolo, che ad ogni cambio di carta arriva per fare l’integrale e vuol essere aggiornato settimanalmente su come procede il ristorante. Praticamente sul gourmet, dove mi diverto, ho carta bianca; ma mi sento doppiamente responsabile, per me e per Cannavacciuolo”. Degli approvvigionamenti si occupa in gran parte lo chef, che una volta alla settimana si reca nella macelleria di paese e al caseificio per i latticini di bufala; poi ci sono i prodotti di giù, come le carote di Polignano, sapide e intense fin dal colore, le rape navoni e i peperoni cruschi della Basilicata. Con Laera in brigata lavorano 12 elementi, molti dei quali provenienti da Orta San Giulio, fra cui il sous-chef Gabriele Tratzi. Rinnovano quasi quotidianamente la linea di una cucina che conserva l’energia e la freschezza del sud, senza sbavature né esitazioni. Così solida che si teme Laera possa arrestarsi ai risultati già raggiunti, nonostante l’entusiasmo. Sembra tuttavia che non sia questo il caso, se è vero che durante le ferie le valigie si posano nei luoghi clou di una formazione professionale ininterrotta. L’anno scorso in Giappone, paese che ha lasciato evidenti tracce a mandorla in menu. L’impressione è quella di trovarsi in piena transizione: ancora nitida l’impronta classico-mediterranea di Cannavacciuolo, è lo stile Laera a premere qua e là, con i primi azzardi creativi.
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PASQUALELAERA
Pasta e alghe
INGREDIENTI per 4 persone
PREPARAZIONE
In cottura: preparare una base di brodo di pe-
g. 400 di Pasta Vesuvio
Come prima cosa lavare e dissalare le alghe
sce e calarci dentro la pasta, facendo atten-
g. 50 di alga lattuga di mare fresca
fresche mettendole sotto acqua corrente per
zione a non farla attaccare. Durante la cottura,
g. 50di alga spaghetto di mare fresco
qualche minuto, poi farle sgocciolare e dispor-
iniziare ad insaporire il tutto aggiungendo, po-
g. 50 di alga kombu fresca
le in placca con carta forno.
co per volta, dell’olio EVO, della colatura di alici
ml. 800 di fumetto di pesce
Lavare e bollire il grano saraceno. Quando sarà
e del pepe nero macinato fresco. Continuare
g. 25 di burro all’acciuga
cotto, disporlo in placca su carta da forno e
ad aggiungere brodo di pesce se necessario,
g. 10 di bottarga di tonno
metterlo, insieme alle placche di alghe, ad es-
ma non troppo. A cottura ultimata, spegnere
g.10 di bottarga di muggine
siccare in forno una notte intera a 70°C.
il fuoco e mantecare la pasta con del burro
g. 5 di grano saraceno soffiato
Una volta essiccato il tutto, separatamente,
all’acciuga, del pecorino, le tre tipologie di
parmigiano reggiano q.b.
frullare le alghe fino a farle diventare polvere;
alghe in polvere, della bottarga di tonno e di
olio extravergine d’oliva
il grano saraceno invece friggerlo alla tempe-
muggine grattugiata e sistemare di sapore.
pepe
ratura di 195°C facendolo soffiare e diventare
In ultimo, prima di servire il piatto, spolverare
colatura di alici
croccante.
la pasta con del grano saraceno croccante.
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GOURMETFOOD
Cioccolato bianco caco, nocciola e tartufo bianco… INGREDIENTI per 4 persone
PREPARAZIONE
Per il cremoso cioccolato bianco e vaniglia: g. 200 di latte, g. 10 di glucosio, g. 2 di bacca di vani-
Per il cremoso cioccolato bianco e vaniglia:
glia, g. 8 di gelatina in fogli, g. 450 di cioccolato bianco.
in un capace tegame far bollire il latte e il glu-
Per lo streusel di nocciola: g. 50 di farina di nocciola, g. 50 di zucchero, g. 1 di sale, 1 bacca di vani-
cosio, dopo di che versare sul cioccolato bian-
glia, g. 70 di burro morbido, g. 70 di farina.
co precedentemente sciolto. Unire la gelatina
Per il caco: g. 700 di cachi freschi, g. 15 di kappa.
in fogli (messe a bagno in acque molto fredde); frullare il tutto con l’ausilio di un minipimer. Riempire il sifone con due cariche, agitare bene: la spuma è pronta all’uso. Per lo streusel di nocciole: unire tutti gli ingredienti insieme; lavorarli in planetaria con il gancio fino a quando non si crea la mousse (fare attenzione a non lavorarla troppo). Setacciare il tutto formando dei fili lunghi e precisi, poi far riposare in frigorifero per almeno trenta minuti. Infine cuocere in forno a 180°C per 12 minuti. Per il caco: lavare e pulire il caco, ricavare la polpa interna, privandola dei semi. Frullare il tutto al Bimby, aggiungere un pizzico di sale, setacciare il composto e riempire del silpat a semi sfera; abbattere di temperatura fino a quando non saranno ben congelati. In una pentola mettere la parte restante di polpa di caco, aggiungere il kappa e portare ad ebollizione. Immergere le semisfere ghiacciate nel composto: si formerà subito una pellicola esterna. Lasciare in frigorifero fino a quando il liquido all’interno sarà sciolto. FINITURA DEL PIATTO Mettere una coppa piatta al centro del piatto. Coprire l’interno con lo streusel di nocciole; mettere al centro la gelatina di caco, spumare nei contorni con il sifone il cioccolato bianco, spalmare con dello zucchero di canna e bruciare con il cannello dove c’è lo zucchero. Infine grattarvi generosamente il tartufo bianco.
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PASQUALELAERA
IL SUD SU UN IMPIANTO NORDICO La piccola degustazione si compone di 6 portate al prezzo di 75 euro, la grande di 7 a 90; con l’alternativa in stagione di un menu tartufo da 5 corse a 200 euro. Il tastevin è appeso al collo di Fabio Mirici Cappa, che amministra una carta da 1200 etichette, fra le cui righe spiccano i vini di famiglia, Beni di Batasiolo, tanto territorio con qualche bella escapade in Borgogna e bianchi in pole position per l’abbinamento. Bottiglie disponibili anche per il servizio al bicchiere, con matrimoni della casa oppure concordati con l’ospite. “Un cuoco non può essere grande da solo. Per questo ringrazio sempre i ragazzi della brigata, di cui devo conquistare la fiducia, a maggior ragione quando sono più grandi di me”. Lo dichiarano gli appetizer serviti a inizio pasto, uno per ogni regione di appartenenza dei cuochi, elaborati in base alle loro proposte, poi risistemate con Laera. Quindi la spuma di baccalà con puntarelle e acciughe, i tortellini croccanti con mortadella e pistacchi, la roccia di alghe alla bottarga, i grissini al salame, il finto tartufo di pâté e Porto… Le consistenze sono croccanti e musicali, come le chips di un aperitivo, ma suonano il ritornello di un aperitivo all’italiana. Il primo antipasto, il cannolo ripieno di spuma di ricotta di bufala con salsiccia di Bra e mousse di castagna, arriva da Villa Crespi, dove Cannavacciuolo lo bocciò a causa di un problema tecnico nel trasporto dalla cucina. A seconda della stagione la composizione cambia: adesso la cialda è composta di purea di cipolla cotta in forno e isomalto, in estate di melanzana. Più sperimentale il gambero passato per pochi secondi sul vapore di vermut Cocchi, che regala un leggero amaro e una notevole persistenza, servito in omaggio ai vini della casa con uva di nebbiolo in
diversi stati e una terrina di foie gras, sempre al Vermut. Dove i tannini delle vinacce essiccate e polverizzate e l’acidità tagliente del succo nebulizzato e testurizzato neutralizzano la grassezza e la succulenza degli ingredienti principali. E, ancora, il peperone ripieno destrutturato, con il cubo di tonno crudo in omaggio alle forme picassiane di Cannavacciuolo, salsa bernese e di acciughe, riduzione di peperoni gialli e rossi, polvere di capperi e olive taggiasche. L’esasperazione di una voga acida tutta piemontese, dove il crudo prende il posto del cotto, il solido del cremoso, il condimento del condito. I primi mettono in atto quell’alternanza fra territori, di cui Laera parla a proposito di Cannavacciuolo. La cloche si solleva prima sugli agnolotti di tomin dal mel con crema di cavolfiore, acciughe e tartufo bianco, costruiti sul canovaccio di associazioni consuete; poi, con abile coup-de-théâtre, sopra spaghetti lessati nel fumetto di pesce, poi saltati con peperoni cruschi in polvere che assumono le sembianze di pomodori. Completano il piatto i totanetti appena scaldati dalla pasta e un cordone di crema di baccalà, che ammorbidisce il tutto. Il contrasto è pulito, senza contaminazioni fra le due cucine, che sprigionano la scintilla di uno choc spiazzante. Ma c’è anche pasta e cozze, icona del ristorante, con i tubettini cotti nell’acqua dei molluschi mista a fumetto, che fanno storcere il naso ai gourmet per l’apparenza ospedaliera, ma insieme alle patate e alla colatura di alici strappano l’applauso. L’anguilla è un ricordo del Giappone: viene preparata secondo la tecnica tradizionale (quindi sfilettata, passata al vapore per togliere le spine, schiacciata su una griglia sotto un peso e poi disposta a strati in una terrina, cotta per una notte, raffreddata e porzio-
nata), ma la glassatura finale sotto la salamandra viene compiuta con una riduzione di Moscato d’Asti della casa, addizionata di fondo di vitello. Completano il piatto una fettina di foie gras crudo e sapido, marinato nello stesso vino con spezie varie, e la crema di sedano rapa. La passione di Laera però sono i secondi di terra, come il piccione, che viene cotto in padella, senza bassa temperatura, e servito con la coscetta nella retina di maiale e l’aletta impanata e fritta, una salsa di seirass del fen dalla leggera acidità, il classico fondo e un nido di tagliatelle di daikon che strizzano l’occhio alle guarnizioni d’Oltralpe. Seguono il trompe-l’oeil del finto uovo di cioccolato bianco e purea di cachi, su crumble di nocciole con finitura al tartufo, parodia di un rito piemontese, e una scelta di dessert di impianto classico.
RISTORANTE LA REI Il Boscareto Resort & Spa Via Roddino 21
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GOURMETFOOD
CASA
GANGOTENA ALLA RISCOSSA DEL GUSTO ECUADORIANO di
Flavia Tomaello
Il ristorante dell’Hotel Casa Gangotena, gestito dal giovane chef Andrés Dávila, si configura come una delle migliori alternative gastronomiche del Sudamerica, sulla base di un semplice presupposto: ritrovare i sapori della cucina ecuadoriana più tradizionale. Casa Gangotena è un “boutique-hotel” situato un uno dei luoghi più caratteristici di Quito, la capitale dell’Ecuador: occupa infatti uno degli angoli della piazza San Francisco, nel pieno centro storico della città (uno dei centri coloniali meglio conser-
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vati di tutta l’America Latina, oltre che patrimonio dell’umanità dell’UNESCO dal 1978). Narra la leggenda che su quello stesso suolo fosse stato innalzato, verso il XV secolo, un tempio inca.
CASACANGOTENA
In seguito, dopo l’avanzata degli spagnoli in America, il luogo venne occupato da ordini religiosi cattolici, tra i quali i francescani, che praticamente presero possesso dell’intera area. La casa fu testimone e centro della vita sociale, politica e culturale della principale città dell’Ecuador. Per le sue stanze passavano politici, funzionari, mercanti, uomini di potere… Nel 1914, un incendio distrusse l’intero edificio. Quatto anni più tardi la famiglia Gangotena - proprietaria dell’immobile e famosa per annoverare tra i suoi membri personalità di spicco del commercio, della politica, latifondisti, intellettuali e poeti della cultura ecuadoriana - affidarono all’architetto italiano Antonino Russo la costruzione di una nuova casa. Così nacque l’attuale edificio di tre piani, di aspetto nobile, la cui inaugurazione risale al 1920. Fedele alla sua responsabilità storica, l’attuale Casa Gangotena è stata inaugurata come hotel solo pochi anni fa ed è stata fin da subito scelta come il migliore stabilimento alberghiero del Sudamerica e il sesto a livello mondiale, responsabilità che li ha spinti a impegnarsi nella riscoperta della cucina tradizionale del paese. La proposta, nata nella mente dello chef Andrés Dávila (foto a lato), è quella di raccogliere, e quindi di diffondere, i sapori ancestrali dell’Ecuador. Partendo da questo concetto, è stato creato un menù diverso per ogni giorno della settimana, basato sempre su ricette tradizionali, ognuna proveniente da una diversa regione del paese. “Siamo esponenti della cucina patrimonio dell’Ecuador”, si autodefinisce lo stesso hotel. E come descriverebbe in questo contesto la cucina ecuadoriana? “Autentica, verace e sempre rispettosa delle nostre radici. Usa solo prodotti acquistati al mercato rionale, a dimostrazione del fatto che si può creare una cucina sostenibile con ingredienti locali di eccellente qualità”.
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Ovviamente è fondamentalmente la mano di Dávila, che ha trasformato questa iniziativa in un vero successo. Dávila è giovane: ha da poco superato i 30 anni. Tuttavia, diversamente da molti dei suoi colleghi, mantiene un basso profilo. La sua cucina viene sempre prima di se stesso. Ha l’abitudine di parlare più attraverso i suoi piatti che non con parole altisonanti. Ciononostante mantiene l’abitudine di girare per i tavoli e discutere con i commensali sull’altra sua passione: i vini. Dirige ogni suo sforzo, ogni sua conoscenza e talento per raccomandare il miglior connubio per ogni piatto.
COME ESPRIMERSI IN OGNI PIATTO Prima di arrivare a Casa Gangotena Dávila ha studiato gastronomia e amministrazione alberghiera presso la Scuola Internazionale Alberghiera che si trova a Buenos Aires, in Argentina. In seguito ha iniziato il suo viaggio passando per differenti hotel e lussuose navi da crociera, ma
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CASACANGOTENA
sempre con in mente un’idea fissa: cioè quella di mantenere sempre presenti gli elementi originari della cucina “quiteña”, sua città natale. Egli stesso infatti assicura di ritornare spesso con la mente ai ricordi e agli aromi della sua infanzia ogni volta che cerca ispirazione per le sue creazioni. In particolare il mais tostato della cucina di sua nonna. Grazie a questo stile culi-
nario che proviene dalle antiche origini e dagli ingredienti primordiali, egli cerca di fare in modo che tutti gli elementi di ciascun piatto possano essere riconosciuti, rispettandone l’origine anche se attraverso una presentazione gourmet. Nato a Quito, in Ecuador, a 31 anni ha già raggiunto l’obiettivo di essere il Master Chef di importanti imprese a cinque stelle, siano essi hotel come navi da crociera.
Zuppa di gamberi (“Ceviche de camarón) INGREDIENTI kg. 1 di gamberi grandi 2 cipolle rosse tagliate a fette molto sottili 4 pomodori succo di dieci limoni succo di 5 arance mezza tazza di ketchup un po’ di coriandolo tagliato molto finemente sale, aglio, olio di girasole e pepe PROCEDIMENTO Disporre i gamberi in un recipiente con acqua e portare a ebollizione con cipolla, aglio, coriandolo, succo di limone, sale e pepe. Far bollire per circa 5 minuti. In seguito versare acqua fredda per mantenere il processo di cottura e lasciar riposare. Mettere in ammollo le fettine di cipolla in acqua con sale per almeno 10 minuti e poi asciugare per bene. Tagliare i pomodori a cubettini. Mescolare gli ingredienti in un recipiente grande insieme con del liquido di cottura dei gamberi. Lasciare riposare in frigo per almeno 30 minuti. Servire con chips di banana verde fritti (“chifles”) e mais tostato.
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Per questo la sua speranza è che il cliente, quando si avvicina alla sua cucina, possa godere di un’esperienza unica e personale. I menù rendono omaggio alle diverse regioni del Paese. Un menù infatti corrisponde alla provincia del Guayas e Sant’Elena (uno stufato di capra come piatto principale che rasenta la perfezione), uno al Manabí (mirabile il biche di gamberi!), uno a Esmeraldas (lo stufato di gallina, che proviene da una ricetta classica, e il formaggio di cocco come dessert sono una vera delizia), un all’Azuay (si raccomanda l’empanada de viento o soffiata) e uno alla provincia di El Oro
(cestini di platano verde come antipasto e i gamberi impanati di Santa Rosa, con maionese di maracuja, come piatto principale, sono eccellenti). Infine, il piatto che rappresenta la città di Quito propone come antipasto una zuppa di gamberetti (“ceviche”) o zuppa di legumi (“locro”), come primo piatto un pollo ripieno di ricotta e noci o arrosto di maiale in salsa di lulo (“naranjilla”), e come dessert un vulcano di cioccolato, ossia un dolce dalla base molto morbida e ripieno di cioccolato liquido. La capitale è ben rappresentata nel menù anche nel caffè pomeridiano, di cui si occupa lo stesso Dávila. “Gli antichi abitanti di
Quito facevano una pausa pomeridiana con una tazza di caffè e uno stuzzichino”, confermano nell’hotel. E quindi Casa Gangotena, che fa parte di un paese che è anche importante produttore di caffè, ha sviluppato dei propri aromi o blend, che vengono serviti durante il pomeriggio insieme a una ricca collezione di tè e la tradizionale agua de frescos, un infuso proveniente dalle terre del sud dell’Ecuador, che combina una dozzina di erbe aromatiche, foglie e petali di fiori in una bevanda energizzante. Un vero e proprio corso di storia ecuadoriana impartito nel migliore dei modi, ossia attraverso i suoi sapori.
HOTEL CASA GANGOTENA Bolivar Oe6-41 y Cuenca Quito - Ecuador
PBX: +(5932)4008000
Mobile: +(5939)88000100
www. casagangotena.com info@casagangotena.com
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CRISTINA
BOWERMAN
LA SUA CUCINA INTELLIGENTE E FUORI DAGLI SCHEMI foto di
Niko Boi
L’aspetto colorato ne anticipa la vitalità e la positività. Sempre in movimento con l’audacia caparbia e sorridente di chi sa cambiare per migliorare (dalla natia Puglia, con una laurea in giurisprudenza che affina all’Università di San Francisco, passa poi ad una laurea in Arti Culinarie ad Austin per poi ritornare a Roma) Cristina Bowerman è oggi la regina di Glass, luminoso e raffinato ristorante dal design esclusivo, corpo estraneo nel cuore della troppo turistica Trastevere. Qui Cristina pratica una celebrata cucina ricca di influssi etnici internazionali, curiosa ma rigorosa come lei, contemporanea eppure fuori dagli schemi. Una cucina seducente, femminile, multiforme.
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CRISTINABOWERMAN
Tartare
di manzo, capperi di Pantelleria, arancia e tobiko al wasabi sbriciolato INGREDIENTI per 4 persone
la carne nel congelatore per circa 30 minuti
g. 280 di filetto di manzo già pulito da eventuale
prima di questa operazione, risulterà più soda
grassetto ed elastina, 1 tuorlo d’uovo biologico,
e facile da tagliare). Preparare una maionese
g. 150 di olio di semi, 1 cucchiaio di succo d’a-
usando il metodo classico. Quando è ben ti-
rancia, la scorza grattugiata di 1 arancia biolo-
rata, aggiungere il succo d’arancia. Condire la
gica, capperi di Pantelleria dissalati e tagliati a
carne con un goccio d’olio, la scorza d’arancia
coltello, 4 cucchiai di insalatina di crescione con
e i capperi di Pantelleria. Servire disponendo
ravanelli, olio extravergine d’oliva q.b., sale q.b.,
su ogni piatto della maionese all’arancia, si-
tobiko (uova di pesce volante), wasabi in polvere,
stemandovi sopra un po’ di carne e di insalata
pane di Lariano essiccato, fritto e poi sbriciolato
condita. Completare cospargendo sulla carne
a mano, sale da finitura q.b.
un paio di cucchiai di tobiko (se lo si trova già condito con il wasabi bene, altrimenti lo si
PREPARAZIONE
può preparare con infusione in acqua appena
Questo piatto va preparato al momento. Con il
tiepida), il pane di Lariano croccante e qualche
coltello tagliare il filetto a brunoise (se si tiene
scaglia di sale in fiocchi.
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GOURMETFOOD
Gnocchetti
crema all’aglio nero, ricci di mare, crumble al nero di seppia, pomodorini semisecchi e tartufo
INGREDIENTI per 4 persone
Incorporare delicatamente amido, farina e sale.
PREPARAZIONE
Per gli gnocchetti di patate: g. 250 di patate a
Mettere nella forma desiderata.
Sciogliere latte, burro e sale insieme. Raffreddare a temperatura ambiente e incorporare
pasta gialla, l. 1 di acqua, g. 60 di farina, g. 30 di amido, sale, g. 80 di ricci di mare, g. 200 di brodo
Per la salsa all’aglio nero: sbucciare gli spic-
le uova.
di pesce, g. 100 di latte, 2 teste d’aglio nero,
chi d’aglio e metterli in una casseruola coperti
Frustare farina e baking powder insieme e poi
g. 80 di tartufo estivo, g. 60 di edemame, g. 40
di latte; cuocere a fuoco dolcissimo per 50 mi-
incorporare latte, burro e uova. Cuocere in uno
di pomodori semisecchi, polvere di prezzemolo
nuti. Aggiungere quindi le acciughe spezzetta-
stampo a 170°C per 25 minuti.
per servire.
te e cucinare per altri 5 minuti (per comodità si
PREPARAZIONE
può mettere la casseruola in forno a 70/80°C,
Per i pomodorini semisecchi: pomodorini
mescolando ogni tanto).
confit, 4 pomodorini San Marzano tagliati a
Dopo aver lavato le patate, metterle in acqua
metá e scolati, buccia di arancia e limone, 1/2
fredda e sale e portarle a temperatura di ebol-
Per il crumble al nero di seppia: g. 660 di fari-
lizione (80/90°C) fino a quando la cottura risul-
na fioretto, 6 uova, g. 500 di latte, g. 300 di burro,
terà completa. Passare allo schiacciapatate una
g. 30 di baking powder, g. 30 di sale, g. 30 di nero
volta e al tamis a maglia media una volta.
di seppia.
cucchiaino di sale, zucchero a velo, timo. Mettere a esiccare in forno per 6 ore circa a 65°C.
In collaborazione con
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GOURMETFOOD
Nadia Moscardi
Nicola Fossaceca
A CHIETI
MEET IN CUCINA
PER INDAGARE PRESENTE E FUTURO DELL’ABRUZZO GASTRONOMICO di
Alessandra Meldolesi - foto ©Meet in Cucina
È fioccata conoscenza sulla ristorazione abruzzese, nel gennaio scorso. Inesorabile e persistente come la neve che si depositava pian piano fuori dalla Camera di Commercio di Chieti, palcoscenico di un evento giunto alla sua seconda edizione. Si chiama Meet in Cucina, perché rappresenta un momento di incontro e di scambio per gli operatori della regione ospite e di quelle limitrofe; ma anche, come suggerisce l’ideatore Massimo Di Cintio, perché in dialetto significa aggiungere, mettere insieme, conMattia Spadone
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Matteo Iannaccone
MEETINCUCINA
dividere: una addizione che, dopo il segno +, considera il trickle-down delle conoscenze, sopra tavoli dove i piatti sono fatti di altri piatti e gli stili si compongono alla maniera di un patchwork. Gli economisti parlano di general intellect, cioè del sapere sociale quale coefficiente di sviluppo, contro la recessione creativa. Anche (e perché no?) in cucina: “Nell’ultimo decennio la ristorazione abruzzese è molto cresciuta – spiega Di Cintio – ma le potenzialità sono ancora enormi, sia perché abbiamo una nuova e ambiziosa generazione di cuochi, sia per la qualità dei prodotti che possiamo e dobbiamo valorizzare, se vogliamo fare dell’Abruzzo una vera e propria destinazione gourmet. Accanto ai congressi nazionali e internazionali, che consentono di guardare alle grandi tendenze e di misurare le capacità dei nostri migliori cuochi, credo si possa lavorare anche per far crescere la qualità in maniera diffusa attraverso l’aggiornamento professionale e il confronto delle esperienze. Si tratta di concetti che è più facile applicare all’interno di territori ristretti, dove si parla un linguaggio (culinario, di materie prime) comune e dove dunque può essere più
facile condividere e trasferire conoscenze ed esperienze di ricerca e sperimentazione. Non tutti i cuochi hanno tempo e modo di fare ricerca, ma possono giovarsi di chi invece la sta facendo, trovando in essi non motivi di imitazione ma di ispirazione. Meet in Cucina nasce in Abruzzo con questo obiettivo, cogliendo l’esigenza espressa da una nuova generazione di cuochi che operano in regione, ma è un modello che ripeteremo e che probabilmente esporteremo anche in altre regioni, nelle Marche e in Puglia per esempio, visto l’interesse e la partecipazione di molti cuochi arrivati da queste regioni”. Un congresso in profondità, quindi, con un focus verticale sul territorio. Promosso dall’Unione Cuochi Abruzzesi, ha affilato quest’anno il suo taglio tecnico, per ottimizzare l’aggiornamento professionale. Quindi sette interventi tutti incentrati su tematiche definite e radicate: spezie e ortaggi dimenticati, carni bianche, affumicatura, marinatura, conservazione ed esaltazione del crudo, fra gli altri.
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GOURMETFOOD
Mattia Spadone
Cristian Di Tillio
Con una lunga dissertazione di Leonardo Seghetti, auctoritas centroitaliana di tutto quanto è buono, sulle varietà di grani e farine locali, quali solina, saragolla e senatore Cappelli, nell’ottica della produzione di un buon pane da ristorante. E sul pane si sarebbe concentrato anche l’intervento di Niko Romito, formidabile trascinatore della ristorazione abruzzese, senza l’inciampo della fatidica colonnina di mercurio. Nel mezzo di una bufera di neve, ha fatto leggere sul palco un messaggio sui valori dell’onestà e della ricerca che ispirano la sua cucina, che non è rivolta a tutti, come sarebbe populistico pensare, ma sa essere pur tuttavia inclusiva.
Consistenze
dell’orto
Chef Nadia Moscardi - Ristorante Elodia - L’Aquila INGREDIENTI per 4 persone g. 50 di fagioli bianchi di Paganica g. 20 di ceci di Navelli g. 20 di lenticchie di S. Stefano g. 20 di robiglio selvatico del Gran Sasso g. 400 di patate Turchesa g. 400 di pastinaca aquilana g. 20 di tartufo nero de L’Aquila
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PREPARAZIONE Mettere a bagno i legumi per una notte e poi lessarli. Mettere le verdure nel disidratatore tagliate sottili per 12 ore. Cuocere le patate sotto pressione per 5 minuti, prendere 250 grammi di bucce e frullarle con l’aggiunta di 100 grammi dell’acqua di cottura delle stesse e sistemare di sale. Friggere la pastinaca tagliata
Verdure di stagione disidratate
a bastoncini sottilissimi in olio di arachidi ben
(cavolo viola, germogli di spina-
caldo. Impiattare la crema di bucce di patate
ci, funghi, pomodori e verza)
con sopra i legumi, un filo di olio extravergine
olio extravergine d’oliva e olio
di oliva, la pastinaca, le verdure disidratate e il
di semi di arachide
tartufo a scaglie.
MEETINCUCINA
LA SPECIALIZZAZIONE DEI TINARI La ristorazione abruzzese mostra comunque di poter reggere il palcoscenico anche senza star chef. Cominciando da Peppino e Arcangelo Tinari, impegnati da un anno nella staffetta dal padre, che ha guadagnato la stella Michelin a Villa Maiella, al figlio, che mostra ai fornelli una classe francese grazie ai tre anni trascorsi in un’altra struttura familiare, il ristorante di Michel Bras a Laguiole, impegnato in una transizione similare. “E l’Aubrac è un territorio affine ai nostri monti: selvaggio, con spazi sterminati che inducono alla contemplazione”. L’anno scorso avevano dedicato il loro corposo intervento all’allevamento di maiali neri abruzzesi, trasformati in salumi eccezionali, che stagionano nella cantina della casa, o utilizzati quale succulenta carne fresca, praticamente rossa e dotata di una marezzatura record: spirava l’atmosfera di un Pescatore abruzzese, fra orti, mandrie di asini, che presto scalceranno in menu, e ruspare di galline. E proprio con Antonio Santini si è formato il fratello di Arcangelo, Pascal, direttore di sala e sommelier con il vizio delle bollicine. Quest’anno i due chef si sono concentrati piuttosto sulla tecnica della marinatura, cesellando una ricetta di carpaccio a base di controfiletto di vitellone bianco. Il punto di partenza è stata l’idea del caffè a inizio pasto, per invertire ludicamente la sequenza. Quindi una marinata preparata al mortaio con caffè di Gianni Frasi, bacche di ginepro, cumino montano, mandarino e cacao, i cui sentori tostati rimpiazzano la reazione di Maillard, dentro un foglio di carta da forno al posto del sottovuoto, sotto il segno di un’artigianalità d’antan. Ne fuoriesce una carne compatta, asciutta e aromatica, leggermente amarognola, il cui condimento sul piatto alterna sensazioni acidule e scosse piccanti in sordina: la maionese allo zenzero, preparata con l’uovo bazzotto per una maggiore delicatezza, che riconduce allo schema di un carpaccio alla Cipriani (dove Peppino si è formato) con un twist orientaleggiante; ma anche un petalo di begonia per l’acidità e qualche goccia di olio al peperoncino per raddoppiare il ginger.
Carpaccio di vitellone bianco marinato al cumino montano e al caffè di Frasi Chef Arcangelo Tinari - Ristorante Villa Maiella - Guardiagrele (CH)
INGREDIENTI per 4 persone
le bacche, asciugare il controfiletto con un
kg. 1 di controfiletto di vitellone bianco pulito a
torcione e lasciar riposare per altre 6 ore.
vivo, g. 20 di cumino montano, g. 10 di ginepro,
A questo punto è pronto da poter affet-
g. 20 di caffè Haiti Komet, g. 18 di sale, g. 50 di
tare sottilmente, condire con
pepe rosso scuro di Sarawak, 1 melograno, erba
un filo di extravergine
aglina, fiori eduli per decorazione
(varietà intosso se possibile) decorare
PREPARAZIONE
con una riduzione
Dopo aver pulito per bene il controfiletto, pri-
di melograno ed
vandolo delle pellicine e del grasso, massag-
erba aglina, e
giarlo con il sale e tutte le bacche, adagiarlo
fiori eduli.
in una piccola placca e, trascorse 6 ore, massaggiare di nuovo. Dopo 36 ore togliere tutte
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LE NIVEE CARNI DI DI TULLIO E I RIPIENI DI FOSSACECA Cristian Di Tillio del Ritrovo d’Abruzzo a Civitella Casanova ha invece messo in pentola le carni bianche, nella fattispecie un coniglio agli aromi guarnito con patata viola e il suo fegatino proposto come gelato alle amarene, in forma di omaggio al Magnum al foie gras e Aceto Balsamico di Massimo Bottura. Si è ben destreggiato anche Nicola Fossaceca, stellato al Metro’ di San Salvo, cui è stato chiesto di dissipare le incertezze sulla tecnica dell’affumicatura, che già avviluppa qualche boccone della sua cucina. Gli ha ispirato una ricetta deliziosa di pasta ripiena, dove la farcia è composta di ricotta di pecora affumicata a freddo con legno di ciliegio e ginepro, mentre la sfoglia è impastata con un goccio di aceto. Ravioli che poi vengono tuffati in un sauté di vongole alle erbe aromatiche con ricci di mare, il cui gusto metallico penetra come una lama nella farcia rassicurante e grassa. Un piatto contrastato, persistente, elementare nella sua semplicità, che mette a nudo gli ingredienti. Coniglio agli aromi guarnito con patata viola e il suo fegatino. Chef Cristian Di Tillio Ristorante Ritrovo d’Abruzzo Civitella Casanova (PE)
I FRUTTI DI NADIA E IL CRUDO SECONDO MATTEO Dopo Nadia Moscardi del ristorante Elodia, situato dentro il Parco naturale del Gran Sasso, che ha cucinato le diverse consistenze dei frutti stagionali della sua terra, sul modello delle Virtù teramane, con una zuppa di bucce di patata ripresa nella terrosità dal tartufo nero, è stata la volta di Matteo Iannaccone, discepolo di Heinz Beck, che gli ha schiuso le porte del pescarese Café les Paillotes. Oggetto del suo intervento è stato il crudo nelle sue molteplici versioni: aromatizzato, puristico, caldo come complemento di un piatto di pasta. Fra le ricette presentate il wafer di cialde di manioca al sesamo con tartare di branzino, Porto ridotto e burrata (foto pagina accanto), omaggio all’intramontabile evergreen di Giancarlo Perbellini, altro nome sul suo CV, e una quenelle di scampi in tartare su effluvio odoroso di ghiaccio secco e menta, promanato al riparo di un plexiglas.
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Cremoso di liquirizia di Atri con frutti rossi ed erbe di montagna. Chef Nadia Moscardi Ristorante Elodia fraz. Camarda - L’Aquila (AQ)
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BOTTURA TRA POP E STREET Ma a incalzare è l’ospite d’onore Massimo Bottura, salito sul palco con il suo sous-chef di natali abruzzesi, Davide Di Fabio, mentre nelle narici cominciava a insinuarsi il fumo seduttivo degli arrosticini alla brace. Un intervento denso e trascinante, il suo, che ha preso spunto dalla presentazione di tre ricette per schizzare le grandi linee di una cucina ormai entrata nella storia. Altrettanti rovelli su una tradizione ingombrante come quella italiana, che si tratti di Emilia Romagna o di Abruzzo, gestita criticamente per non soccombere alla “maWafer di cialde di manioca lattia storica” che infiacchisce tante tavole del al sesamo con tartare di branzino, Belpaese. A cominciare dal joke sugli spaghetti Porto ridotto e burrata. al ragù, refuso gastronomico invalso sulle taChef Matteo Iannaccone vole di tutto il mondo, che Bottura ha corretto Cafè Les Paillotes con la matita verde, bianca e rossa di una cialPescara da tricolore ottenuta da masse di spaghetti alle erbe, al Parmigiano e al pomodoro, sovrapposte, stese, essiccate e fritte, poi bruciacchiate al cannello per evocare l’angolo di crosta della lasagna. Quale condimento una spruzzata di besciamella al sifone, per una maggiore leggerezza, e un ragù di parti gelatinose e lingua. Lo schema è quello dell’antifrasi fra entità al tempo stesso prossime e inconciliabili come un feticcio e un misunderstanding: un procedimento questo classico dell’ironia. Un altro errore è stato al centro della seconda ricetta: quello compiuto da Il sipario cala sul giovane chef più promettente della Taka facendo cadere l’ultima crostatina al limone durante il servizio, senza scena abruzzese: il giovanissimo Mattia Spadone, mise en place di scorta. Da qui la scelta di ricomporla sul piatto nei suoi accompagnato sul palco dal padre Marcello. Sulle tavoframmenti. Il metodo creativo è in questo caso quello dell’analogia, ma con le della loro Bandiera, a Civitella Casanova, gli ortaggi le arti figurative, dove il passo falso, inteso come “inciampo felice”, è stato dell’orto coltivato da mamma Bruna, di formazione valorizzato da tanto modernismo quale parte integrante dell’opera. Vedi agronoma, forniscono un secondo, a un’incollatura dal Marcel Duchamp e il suo Grande Vetro esteso alle rotture, aleatorie come vitto vegano. Cotti nel sale per 2 ore a 140 °C, vengol’arte quando cerca la coincidenza con la vita. Ma gli arrosticini a questo no pelati e ridotti in brunoise, per incontrare sul piatto punto sono cotti a puntino. Longe alius è il motto giusto per descriverne note e contronote di una sinfonia vegetale. La salsa di la rielaborazione: da lontano un altro, anche nel senso di un pedone che ghiande, ridotta al termine di una cottura lunghissima a spostato in ottava traversa acquista ben altra importanza sulla scacchiera. consistenza di demi-glace, dall’imprevedibile e profonEd è quel che accade alla dadolata di pecora, che viene catapultata come dissimo umami, e lo yogurt rifermentato in cella, fino un giavellotto in Cina ed acquista così una nuova aura insieme alla caa pizzicare leggermente la lingua; ma anche le foglie pacità di riaccendere l’attenzione di chi ci si imbatte a ogni angolo di verza appena passate al cannello, per l’ossimoro di strada. di un sentore affumicato su testura cruda e acquosa, L’incontro è fra due momenti del cibo pop e street, a livello la purea di patata dolce, la riduzione di barbabietola, locale e globale. Avviene dentro il classico panino al vapore, i semi di senape reidratati in aceto balsamico fino a ottenuto per tripla lievitazione, con schizzi di mostarda di meconsistenza gelatinosa, soprattutto le bucce di tuberi e le campanine, ceci e zafferano fermentati, salsa di pomodoro radici, recuperate secondo i dettami dello scarto zero, tipo barbecue, pickle di finocchio. L’Abruzzo come frammento di disidratate e fritte, sorta di chips con cui prelevare svaun Tutto alla Boetti, pittore che dedicò una tela a comporre il puzzle gatamente un gusto qua e là secondo riti pop. di qualsiasi cosa.
SPADONE NELLA SINFONIA VEGETALE
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IN ALTA BADIA
SCIARE CON GUSTO IL SUD AD ALTA QUOTA di
Maria Chiara Zucchi Freddy Planinschek
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del Sud Italia. Due terre, apparentemente agli antipodi, con due caratteristiche in comune: l’amore per la propria tradizione e l’elevata concentrazione di rinomati chef, capaci di interpretarla sapientemente e renderla famosa in tutto il mondo. A fare da apripista (!) il Gourmet Skisafari, in cui 8 chef, dei 14 partecipanti, hanno presentato i propri piatti ognuno nella baita che li terrà in carta fino a fine stagione, fissata al 3 aprile. Ad attendere gli sciatori gourmet sulle piste per la categoria Sud Tirolo: Norbert Niederkofler, del Ristorante St.Hubertus presso il Relais e Chateaux Hotel Rosa Alpina, abbinato al rifugio Col Alt (1.980 m) propone una zuppa di vino con crostini alle erbe, salmerino marinato su bruschetta di patate; il giovanissimo stellato Matteo Metullio, del Ristorante La Si-
Una stagione invernale alquanto bizzarra, tanto da confondere anche la vegetazione con giornate tipicamente primaverili, non ha colto impreparata l’Alta Badia: dai primi di dicembre 90km di piste innevate artificialmente erano pronte ad accogliere gli appassionati di sci e… di buona cucina. Da 4 anni, infatti, il Consorzio Turistico Alta Badia organizza “Sciare con Gusto”, una serie di eventi volti alla valorizzazione del proprio patrimonio enogastronomico nell’incomparabile quadro scenico delle Dolomiti, Patrimonio Mondiale dell’UNESCO. In questa 4ª edizione Sciare con Gusto ha voluto avvicinare i profumi del mediterraneo alla tradizione delle Dolomiti con il tema “Noi del Sud”: la grande cucina del Sud Tirolo incontra la cucina
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Foto 1 e 2: lo chef Angelo Sabatelli e i suoi spaghetti aglio, olio, peperoncino e capesante con salsa di marasciuolo. Foto 3 e 4: lo chef Nicola Laera e le tagliatelle di puccia alla genovese di manzo del proprio maso, con veli di ricotta pugliese stagionata in grotta. Foto 5: lo chef Alois Vanlangenaeker mentre prepara la linguine al limone con cozze, bottarga e pane croccante di Agerola. Foto 6 e 7: l’uovo, porcini, frisella e taleggio di bufala dello chef Nino di Costanzo, nella foto con Moritz Craffonara, patron del rifugio Il Moritzino. Foto 8: lo chef Filippo La Mantia presenta la pasta con il broccolo in tegame. Foto 9: lo chef Matteo Metullio con il caporedattore de La Madia Travelfood, Maria Chiara Zucchi e lo chef Chris Oberhammer, che nella foto 10 prepara l’orzotto “del molino di Villabassa” con maialino nostrano e maggiorana.
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GLI CHEF E LE RICETTE DEGLI ALTRI RIFUGI
Lo chef Matteo Metullio
Ütia Jimmy (2.222 m) lo chef Heinrich Schneider del Ristorante Terra a Val Sarentino (BZ) con praline di carrè affumicato con polvere di porcini Ütia Mesoles (1.721 m) lo chef Pino Cuttaia, de La Madia di Licata, con il suo tortello in falso magro Ütia Pralongià (2.157 m) lo chef Gennaro Esposito del Ristorante Torre del Saracino, di Vico Equense (NA), con i ravioli alla genovese Ütia Lèe (1840 m) gli chef Antonella Ricci e Vinod Sookar del ristorante Al Fornello da Ricci, di Ceglie Messapica (BR), con paccheri con straccetti di vitello ai tre porcini tardivi, capperini, mollica fritta Ütia Bagler (1.850 m) lo chef Marianna Vitale del Ristorante Sud, a Quarto (NA), con spaghetti burro, acciughe e lime Ütia l’Tamà (1.530 m) lo chef Ernesto Iaccarino, del Ristorante Don Alfonso 1890 a Sant’Agata Sui Due Golfi (NA) con mousse di tonno con gelatina di limoni e prezzemolo
riola presso l’Hotel Ciasa Salares, ha realizzato un tortello al caprino su purè di rape rosse, arachidi e ragout di maialino al latte per il rifugio Piz Arlara (2.040 m); al rifugio Utia Pic’Prè (1.824 m) lo chef Chris Oberhammer del ristorante Tilia di Dobbiaco, si esibisce con un orzotto “del molino di Villabassa” con maialino nostrano e maggiorana; Nicola Laera, del Ristorante La Stüa de Michil presso l’Hotel La Perla a Corvara, propone al rifugio Bamby (1.850 m), le tagliatelle di puccia alla genovese di manzo
del proprio maso, con veli di ricotta pugliese stagionata in grotta. I vini in abbinamento ai piatti degli chef del Sud Tirolo sono del Sud della Penisola. Per la categoria Sud Italia al rifugio Tablà (2.040 m) lo chef pugliese Angelo Sabatelli, dell’omonimo ristorante di Monopoli, ha creato gli spaghetti aglio, olio, peperoncino e capesante con salsa di marasciuolo; ospite del rifugio Bioch (2.079 m), lo chef Alois Vanlangenaeker del ristorante Zass presso il San Pietro
Tortello liquido al caprino
Chef Matteo Metullio - Ristorante La Siriola - Armentarola - San Cassiano (BZ) INGREDIENTI
fresca, g. 10 di latte fresco, g. 2 di colla di pesce,
cubetti. A questo punto mettere poco concen-
Per il tortello: g. 100 di semola, g. 100 di farina
1 noce di burro.
trato di pomodoro e sfumare con il vino. Una
‘’00’, g. 100 di uova intere.
Per il maialino: g. 500 di pancia di maialino,
volta sfumato, bagnare con brodo di carne e
Per il ripieno al caprino: g. 100 di caprino
1 carota, 1/2 cipolla bianca, 1 gambo di sedano,
adagiare la carta da forno aderente al sugo.
fresco, g. 5 di cioccolato bianco, g. 20 di panna
aromi (salvia, timo, rosmarino, alloro), vino Porto
Cuocere fino a cottura del maialino. Per il pure
rosso e Porto bianco, concentrato di pomodoro q.b.
di rapa rossa, invece, si cuociono le rape; una
Per la rapa rossa: 2 rape rosse cotte, g. 100 di
volta cotte, si pelano e si frullano con la panna
brodo vegetale, g. 100 di panna fresca, sale e
ed il brodo fino ad ottenere un purea liscia. Il
pepe q.b.
ripieno invece va realizzato al Bimby a 70°C frullando tutti gli ingredienti assieme. Deve
PREPARAZIONE
riposare in frigo fino a quando non diventa
Preparare la pasta e farla riposare sotto-
di una consistenza cremosa. Cuocere i tortelli
vuoto per un paio d’ore. Intanto fare il
in acqua bollente salata, scolarli, glassarli con
ragù di maialino, preparando una brunoi-
dell’acqua di cottura e del burro, adagiarli sul
se di sedano, carota e cipolla, mazzetto
pure di rapa rossa, poi le arachidi ed infine il
profumato e la carne di maialino tagliata a
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ragù di maialino.
GOURMETSKISAFARI
COLAZIONE TRA LE VETTE I rifugi Las Vegas a San Cassiano e Col Alt a Corvara offrono la possibilità di prenotare una bella colazione in vetta, prima dell’apertura degli impianti, salendo con il gatto delle nevi. Il panorama, con il sole che inizia a colorare le vette e il silenzio che le circonda sono un’esperienza entusiasmante.
Da sinistra, Stefano Medici, responsabile marketing di Cantine Ferrari, lo chef Norbert Niederkofler (2 stelle Michelin al ristorante St. Hubertus), e Hugo Pizzinini, patron dell’Hotel Rosa Alpina a San Cassiano (BZ).
di Positano (SA) porta i profumi della Campania con le sue linguine al limone con cozze, bottarga e pane croccante di Agerola; al rifugio Moritzino (2.100 m) lo chef ischitano Nino di Costanzo fa degustare il suo famoso piatto uovo, porcini, frisella e taleggio di bufala; al rifugio Las Vegas (2.050 m) si può degustare la pasta con il broccolo in tegame di Filippo La Mantia, originario di Palermo ma trasferito a Milano nel ristorante che porta il suo nome. Ai piatti del Sud Italia sono abbinati alcuni vini altoatesini.
Zuppa
E sono proprio i vini i veri protagonisti, a marzo, sulle belle piste dell’Alta Badia: il 3 e il 10 gli amanti del vino e dello sci, guidati da un esperto sommelier, nonchè guida sciistica, sosteranno nei vari rifugi per degustare alcuni dei vini più pregiati dell’Alto Adige, nella kermesse Sommelier in Pista. Il Wine Skisafari, quasi in chiusura di stagione, il 20 marzo porta i migliori vini e spumanti altoatesini a 2000 metri per una singolare degustazione accompagnata dallo Speck Alto Adige IGP.
di vino, crostini alle erbe, salmerino marinato su bruschetta di patate
INGREDIENTI
PROCEDIMENTO
Per la bruschetta di patate
Per la bruschetta di patate: bollire le patate
2 patate di montagna
in acqua salata. Frullare calde al thermomix, © Daniel Töchterle
Chef Norbert Niederkofler - Ristorante St. Hubertus - San Cassiano (BZ)
così da far sviluppare la collosità all’impasto. Per la zuppa di vino
Stendere finemente su un silpat e lasciar essi-
ml. 500 di fondo di pollo
care a 70°C. Friggere a 120°C fino a doratura.
ml. 250 di panna fresca ml. 250 di vino Terlano
Per la zuppa di vino: unire i liquidi, portare
5 tuorli
ad ebollizione e lasciar ridurre dolcemente di 1/4. Fuori dal fuoco, aggiungere i tuorli e
Per la guarnizione
montare con un minipimer. Aggiustare
g. 60 di salmerino alpino marinato, a cubetti
di sapore e servire accompagnata
crostini alle erbe
dalla bruschetta di patate e le
uova fresche di salmerino
guarnizioni.
maggiorana
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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM
a cura di
Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”
LE GUIDE AL VINO FANNO RISPARMIARE Una premessa. Si può parlare di rapporto tra qualità e prezzo solo in presenza della stessa qualità. Nel senso che (per usare il metro di valutazione della guida del Gambero Rosso, per esempio) non si può dire che un Brunello di Montalcino che viene valutato due bicchieri e che costa 30 € è più conveniente di un Brunello che di bicchieri ne ha tre e costa 70 €. A parità di bicchieri (o centesimi, o ventesimi, a seconda delle guide) si potranno utilmente confrontare i prezzi. Diversamente no. Il tema ha sicuramente un suo interesse, visto che riguarda molti appassionati e visto che se ne occupano periodicamente svariati blog, italiani e non solo. La mia idea è che, contrariamente a quanto alcuni cercano di sostenere, le guide fanno risparmiare, non spendere smodatamente. Vediamo alcuni punti. La prima e complessa opera che svolgono le guide è quella di selezionare un certo numero di cantine. Basti pensare che in Italia ci sono circa 40.000 imbottigliatori (dalla piccolissima azienda agricola, all’industria da decine di milioni di pezzi) e che le guide ne scelgono appena 2.000 o poco più (per fare qualche esempio: 2.350 su Vini d’Italia del Gambero Rosso, 1.900 su Slow Wine di Slow Food, 1.700 su Bibenda dell’Associazione Italiana Sommelier), per dire che sono più meritevoli di essere assaggiate di tutte le altre 38.000 che non vengono nemmeno citate. È pur vero che il prezzo medio di una bottiglia di queste 2.000
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cantine è sicuramente più alto di quello delle 38.000 non citate, ma tutte le guide dichiarano a priori di voler trattare solo vini di qualità. Chi non è interessato a questo elemento può ovviamente fare a meno di comprare almanacchi e rivolgersi ai discount. Da notare che, sulla scelta delle aziende, le guide sono abbastanza omogenee, nel senso che non vi sono differenze abissali nella scelta delle cantine da indicare oppure da omettere. Sul fatto che crea maggior scandalo, ossia la premiazione di vini piuttosto costosi, c’è intanto da fare una precisazione quasi perentoria: nel vino (come in parecchi altri settori merceologici) sono assai rari i casi di etichette dal prezzo altissimo che non siano di ottima qualità. Si potrà discutere all’infinito se, sempre per restare in Italia e non citare i soliti Pétrus, Lafite e Romanée Conti, le etichette rosse di Bruno Giacosa, i Langhe Nebbiolo di Gaja, la Barbera d’Alba di Roberto Voerzio, l’Amarone di Dal Forno e il Masseto valgano davvero più di 200 € alla bottiglia, ma resta il fatto che – le rare volte che si riescono ad assaggiare queste bottiglie – siamo di fronte a prodotti più che validi, sempre al vertice della tipologia (si può discutere anche di stili di cantina più o meno consoni ai nostri gusti personali, ma non si può praticamente mai contestare un pregevolissimo livello qualitativo). Nessuna guida, inoltre, si limita alla premiazione di vini cari, assegnando spesso la valutazione più alta anche a etichette
assai meno costose, di cui viene in qualche modo (in euro o attraverso fasce di prezzo) indicata la cifra di acquisto in enoteca. Ultimamente, infatti, quasi tutte le guide stanno cercando sempre di più di valorizzare i vini dal grande rapporto qualità/prezzo, indicando e premiando (anche in base ai riconoscimenti ottenuti negli ultimi anni da tipologie e denominazioni che sicuramente hanno di partenza un prezzo più abbordabile) in maniera precisa vini sicuramente più economici, ovviamente prodotti in un numero maggiore di bottiglie e di conseguenza di più di facile reperimento. Vi sono poi alcuni editori che al tema del risparmio e dei prezzi convenienti dedicano apposite simbologie, che quasi sempre possono essere una valida indicazione per l’appassionato. Ecco quindi che il Gambero Rosso fa un apposito elenco dei tre bicchieri sotto i 15 €, oltre a contrassegnare con un asterisco centinaia di vini di ogni tipologia ritenuti particolarmente corretti nel prezzo di uscita sul mercato. E così fa Slow Wine con l’evidenziazione in azzurro dei vini più risparmiosi e al tempo stesso riusciti, pubblicando ogni tanto anche un’apposita guida al vino quotidiano in cui sono banditi i vini sopra i 10 € in enoteca. E si potrebbe proseguire. Che cos’è, quindi, che potrebbe non funzionare nel modo di premiare i vini da parte delle guide? Sicuramente c’è da valutare con attenzione l’attendibilità dei giudizi, derivante da numerosi fattori assai diversi (dal reperimento dei campioni da degustare, all’esperienza degli assaggiatori, alla capacità di governare un mare di bottiglie in tutte le regioni italiane, ad altro ancora), ma questo è un altro discorso, che non inficia il fatto che non è vero che le guide tendono a mettere in luce solo le etichette più costose, anzi possono aiutare a risparmiare.
ENO
ità
XXXXXA CURA DI
ANTONIETTA MAZZEO
BOLLICINE EMILIANE Lodi Corazza 1887 è il risultato della ricerca e valorizzazione di un vitigno autoctono dalle grandi potenzialità, un prodotto colturale e culturale, espressione e patrimonio della peculiarità e delle particolarità del territorio. Il vino si presenta ricco di bollicine fini ed eleganti, all’olfatto prevalgono i profumi tipici del vitigno arricchiti da sentori di pan brioche, buone l’acidità e la complessità, di lunga persistenza che invita ad altri assaggi. Lodi Corazza 1887 Spumante Metodo Classico Brut DOC 100% Pignoletto (Grechetto Gentile) 12 mesi su lieviti autoctoni selezionati
Azienda Agricola Lodi Corazza Via Risorgimento, 223 - Ponte Ronca di Zola Predosa (BO) Tel/Fax +39.051.756805 wine@lodicorazza.com - www.lodicorazza.com
DEGUSTAZIONE DI CHAMPAGNE DE VENOGE E JAMON JOSELITO Il dehors del Wunderbar di Merano (BZ) ha ospitato sabato 7 Novembre 2015 la verticale di degustazione di Champagne della Maison de Venoge - Épernay (France) abbinato al prosciutto iberico, Jamon Joselito Gran Riserva L’evento, riservato alla stampa, è stato condotto da Alessandro Federzoni della Première Italia Wine & Food, l’azienda importatrice per l’Italia della Maison de Venoge, una delle più antiche Maison de Champagne oggi in commercio. Creata nel 1837 da Nenry Marc de Venoge è Maison de Venoge, fu la prima azienda nel mondo del vino ad utilizzare etichette illustrate e nomi di fantasia per le sue bottiglie. Nella nuova e prestigiosa sede di Avenue de Champagne ad Épernay è custodita la più grande ed
importante raccolta di etichette di Champagne al mondo. Per la sua importante e prestigiosa storia allo Champagne de Venoge viene attribuita l’allocuzione “Noblesse Oblige”.
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VINARIA
ALLARME
MICROAGGLOMERATI TAPPO TOSSICO SECONDO FONTI ACCREDITATE
di
Gianluca Ricci
Chiunque abbia mai avuto a che fare con un vino di pronta beva, ne è sicuramente già venuto a contatto. Non ha però mai dovuto sospettare che si trattasse di un potenziale pericolo per la sua salute. Il vino non c’entra: c’entra il tappo, nello specifico quello microagglomerato, ottenuto cioè compattando con plastiche e colle il sughero triturato, scarto della lavorazione delle industrie del tappo. Qualche settimana fa la Environmental Protection Agency (Epa) e la Food & Drug Administration (Fda) degli Stati Uniti hanno lanciato l’allarme sulla possibile tossicità di questi tappi: molti di essi sarebbero realizzati tramite l’utilizzo di un particolare composto chimico, il diisocianato di toluene, considerato potenzialmente cancerogeno. E considerato che nei soli Stati Uniti sono 400 milioni le bottiglie di vino chiuse con i tappi microagglomerati, ben si comprende il senso dell’allarme lanciato dalle due agenzie che si preoccupano della salute dei cittadini. Questi tappi erano nati per rappresentare l’alternativa “povera” a quelli più pregiati di sughero, destinati dunque a vini non particolarmente strutturati ma di qualità tale da non poter essere rinchiusi da tappi vite o di plastica. Non che questi
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sistemi, come molti produttori ed enologi di vaglia hanno più volte avuto modo di certificare, siano meno funzionali: tutto dipende però dalla percezione del consumatore, le cui reazioni davanti ai tappi di sughero continuano ad essere diverse rispetto a tutte le altre forme di chiusura. Ecco perché i microagglomerati hanno preso piede: al tatto e alla vista sono simili ai tappi di sughero, ma costano infinitamente meno e non finiscono per incidere pesantemente sul prezzo finale della bottiglia. Inoltre rappresentano un valido sistema per recuperare i numerosi scarti del sughero ottenuti per la realizzazione dei tappi tradizionali: si tritura il materiale e, tramite i collanti considerati potenzialmente dannosi, si ricompone in forme utili alla lavorazione. Al momento non è prevista alcuna azione di ritiro: da anni, negli Stati Uniti ma anche in Europa, il diisocianato di toluene viene utilizzato dall’industria alimentare per garantire freschezza e asetticità ai prodotti senza che si siano verificati casi di intossicazione o, peggio ancora, che sia stato provato alcun collegamento diretto fra l’esposizione al materiale e l’insorgenza di fenomeni tumorali. L’allarme tuttavia è utile af-
TAPPIMICROAGGLOMERATI
finché le industrie del tappo si ingegnino per individuare alternative in grado di fornire garanzie di totale sicurezza. Certo, il sistema migliore per non esporsi a rischi di questo tipo sarebbe quello di acquistare e consumare esclusivamente vini tappati col sughero naturale. O anche col tappo vite, perché no. Ma milioni di bottiglie chiuse con i microagglomerati sono sugli scaffali dei supermercati e nelle cantine dei ristoranti di mezzo mondo ed impossibile sarebbe procedere ad una sostituzione in tempi brevi, senza spendere fiumi di denaro. L’obiettivo è quello di lanciare oggi un allarme perché negli anni prossimi si provveda a rivedere le modalità di chiusura delle bottiglie, anche se le aziende che fino ad ora hanno prodotto quei tappi insistono a ritenere i loro prodotti privi di qualsiasi rischio per la salute dei consumatori: nessun medico o ricercatore ha ancora potuto provare con dati certi ciò che l’Epa e la Fda sostengono.
o t i v n Un i a non d re perde
LA RISPOSTA ITALIANA AL PROBLEMA Fatto sta che qualcosa si è mosso, visto che proprio un’azienda italiana, la vicentina Labrenta, ha brevettato un nuovo tappo realizzato con microagglomerato di sughero ricomposto però con un agente agglomerante e compattante totalmente privo di rischi per la salute: si tratta sempre di polimeri termoplastici la cui natura e la cui lavorazione, frutto di oltre dieci anni di ricerca, impediscono il rilascio di qualsiasi tipo di sostanza nel vino. All’apparenza, dunque, il tappo sembra identico a quelli a cui il consumatore è da tempo affezionato, ma risulta totalmente sicuro, almeno secondo i dati resi noti dall’azienda vicentina. Che dall’uscita di Epa e Fda ha ricavato una visibilità tale da portarla a stringere accordi commerciali con il mercato statunitense, notoriamente assai attento ai pronunciamenti delle agenzie di protezione della salute pubblica. Ovviamente il problema non si porrebbe se i consumatori si convincessero della assoluta praticità e della totale sicurezza offerte dai tappi vite, che alcuni produttori hanno iniziato coraggiosamente a proporre a chiusura di vini anche strutturati. Ma l’idea che la qualità di un vino stia anche, se non soprattutto, nell’intensità del pop al momento in cui il cavatappi solleva con forza il turacciolo è dura a morire e non sono molti i vignaioli disposti a rischiare in prima persona per educare gli appassionati. Ecco perché si finisce per investire risorse anche cospicue seguendo deviazioni ed arzigogoli quando la strada maestra sarebbe così semplice da imboccare. © Gourmadia
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Tempesta al Castello