La Madia Travelfood n. 313 - Dicembre 2016

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Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa

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DANIEL CANZIAN LA CUCINA ESTETICA E CONCETTUALE DI

PIRAS DEL FAVERO

In Perù il melting pot di

La cucina in movimento

MITSUHARU TSUMURA

In Germania le giovani due stelle di

DANIELE D’ALBERTO

DARIO PICCHIOTTI

PAUL STRADNER

LA MADIA EDITORE

ANNO XXXII - Dicembre 2016 - N. 313 - €E 4,00 - Direttore ELSA MAZZOLINI




SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 313 GOURMETFOOD

di

Alessandra Meldolesi

GOURMETFOOD

pag. 34

di

Flavia Tomaello

pag. 64

RISTORANTE AGA

MITSUHARU TSUMURA

L’esssenzialità sontuosa nelle forme di una nuova cucina italiana.

Al Maido di Lima, palato giapponese e cuore peruviano.

La cultura del benessere

Dario Picchiotti

La nutrizione ha bisogno della gastronomia

di Maria Chiara Zucchi e Roberta Filippi.................... pag. 48

di Primo Vercilli......................................................... pag. 8

Giovani Talenti

La scelta vegana

Daniele D’Alberto

Chato, il “formaggio” che viene dalla patata

di Antonietta Mazzeo................................................ pag. 54

di Silvia Bianco.......................................................... pag. 10

GourmetFood

Assaggi di Galateo

Paul Stradner

Un pasto senza vino è come un giorno senza sole

di Lucy Gordan.......................................................... pag. 70

di Fabio Ferrantino.................................................... pag. 12

Chef di Spirito

Progettare l’impresa

Edi Dottori

Aumentare il guadagno negli esercizi pubblici

di Sonia Leo............................................................... pag. 76

di Lorenzo Ferrari...................................................... pag. 14

GourmetFood

Golavagando

Pasticceria Casadei

Scimmia Factory....................................................... pag. 18

di Giorgia Zucchi........................................................ pag. 82

Nordic Grill................................................................ pag. 20

Eventi

Cocktail... and more

16° Festival della Cucina Italiana a Siracusa

Champagnino - Astice con fondo di vitello

di Giovanni Polito....................................................... pag. 86

a cura di Daniele Briani............................................. pag. 24

Vinaria

Buone Nuove............................................................... pag. 26

Golavagando “Mon Trésor”

Vini convenzionali e vini naturali

Ristorante Perla Nera

di Alessandro Rossi.............................................. pag. 91

di Teresa Cremona................................................... pag. 28

Giulio Ferrari Collezione 1997

Bar Tirreno

di Teresa Cremona.................................................... pag. 93

di Claudio Mollo........................................................ pag. 30

Birrificio Cisk

Alfredo alla Scrofa

di Giovanni Angelucci................................................ pag. 94

di Teresa Cremona.................................................... pag. 32

Assaggio di libri........................................................... pag. 96

GourmetFood

Daniel Canzian

di Alessandra Meldolesi............................................ pag. 42

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Il focus di Alessandro Magnum




EDITORIALE di

Elsa Mazzolini

CANNAVACCIUOLO COME LA SCHIFFER Gli anni ’90 sono stati quelli delle super top model, Naomi Campbell, Cindy Crawford e Claudia Schiffer in testa ad un plotone di famose. Gli anni 2000 sono stati quelli delle veline, Canalis e Corvaglia tra le più note. Dieci anni dopo sono i cuochi a condizionare l’immaginario nazionale e forse questa moda durerà un po’ più a lungo perché, se le bellone rappresentano uno stereotipo di carta e un sogno irrealizzabile, gli chef rappresentano un sogno di felicità raggiungibile. Il cibo è infatti un bene accessibile, forse per questo – in un’epoca in cui sono le paure a dominare le persone (del futuro, del lavoro, degli altrui fondamentalismi, della mancanza di libertà…) – gli chef sono il ponte in grado di traghettare fiducia alla gente. Oggi finalmente mangiare, parlare e scrivere di piatti e di chef è diventato un bisogno intellettuale legittimato, tanto che il mondo della comunicazione, dalle tv al web, sta massicciamente utilizzando questa forma di cultura popolare come spettacolo, manipolazione del consenso, intontimento collettivo. Il cibo è il nuovo oppio del popolo e i cuochi, al momento, sono i sui santoni venerati. Non ci vuole tuttavia una laurea in futurologia per pronosticare che anche questa moda, in quanto tale effimera, non avrà vita lunga, almeno non nelle formule attuali. Certo, il cibo e i suoi officianti sono fenomeni meno caduchi rispetto a quelli riguardanti lo star system tradizionale, tuttavia mi sento di prevedere che il futuro non vedrà nuovi protagonisti così tanto celebrati come i Bottura, i Cannavacciuolo e i Cracco di oggi. Come nel caso di tutto ciò che è esaltazione del momento, e quindi esagerazione (i cuochi sono opinionisti, politicanti, attori, testimonial di ogni genere di bene di consumo) anche questa mania collettiva è destinata a scemare e il culto delle personalità a livellarsi. Nei prossimi anni ci saranno sempre chef straordinari quanto e più di quelli attuali, ma finiranno per stancare tutti quegli spadellamenti fotocopia, esibizioni pubbliche, comparsate continue tanto che, forse, le giacche bianche torneranno là da dove le abbiamo volute strappare: dietro ai fornelli.

ME

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LACULTURADELBENESSERE

Primo Vercilli Medico Dietologo

a cura di

LA NUTRIZIONE HA BISOGNO DELLA GASTRONOMIA ECCO PERCHÉ TANTE DIETE FALLISCONO

È sotto gli occhi di tutti come, ormai da anni, si stiano facendo avanti diverse tendenze “light” e “bio”, con l’idea che consumare tali prodotti implichi un guadagno in salute. Molto spesso la nutrizione sembra ormai essere relegata più a slogan, a marketing che a conoscenza vera e propria. Su questo ho già avuto modo spesso di dire la mia. Oggi vorrei però affrontare l’aspetto nutrizionale sotto un altro punto di vista: è giusto insistere sempre sulla nutrizione come terapia e quindi proporre una dieta solo perché quella è l’unica medicina che possa, in alcuni casi, farci star meglio? Se fate una breve indagine tra i vostri amici che stanno seguendo una dieta, sono certo che almeno l’80% di essi sta seguendo regimi alimentari che hanno totalmente stravolto abitudini e ritmi e mirano anche a stravolgere i gusti. Ora, mi chiedo: sebbene non discuta sul fatto che le diete che i vostri amici stanno seguendo siano tecnicamente valide, cos’è che poi non permette alle persone di far diventare quel regime alimentare un’abitudine? Perché il peso perso si recupera con tanta facilità? Non mi riferisco ovviamente alla sciocchezza di seguire diete estreme e sbilanciate: chiunque sa che ciò, di per sé, è già una condanna certa a riacquistare i chili; parlo invece proprio di diete comunque bilanciate, comunque tecnicamente equilibrate e nutrizionalmente valide. Perché anche queste falliscono nel tempo? Io penso proprio che il problema di questo tipo di fallimento consista nel mancato aggancio con la Gastronomia. Per Gastronomia non intendo il banale tentativo di allegare delle ricette alla dieta, ma un complesso meccanismo propositivo con cui si permette alla persona di sviluppare la sua creatività, di esaltare il gusto e di fare scelte appropriate in virtù dei suoi gusti. Come dico sempre: il compito della Gastronomia è far diventare bello e gustoso ciò che la Nutrizione ritiene indispensabile. Se la Nutrizione pensa di proporre il cibo sempre e solo come una medicina, difficilmente le abitudini alimentari delle persone cambieranno. Come si può proporre un piano alimentare che coniughi la Nutrizione con la Gastronomia? Intanto è fondamentale che sia la dieta, sia il piatto che ne deriva, abbiano esattamente le stesse caratteristiche: FACILE – BILANCIATO – GUSTOSO – BELLO – PER-

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SONALIZZATO. Se la dieta ha tutte queste caratteristiche, anche il piatto che la persona prepara in casa può conservare le medesime proprietà! Ma se già il nutrizionista non propone un piano di questo tipo è evidente che la persona in casa non vivrà il momento del mangiare come un momento di esaltazione del gusto.

PRIMO CONCETTO: FACILE FACILE fa rima con QUOTIDIANO, perché ripetibile. Le proposte alimentari devono essere una sfida da ripetere volentieri, ma per far sì che una proposta alimentare sia ripetibile, i cibi che propongo devono già far parte della propria quotidianità. Il concetto stesso di facilità implica automatismi che a volte sottovalutiamo: è facile tutto ciò che riusciamo a fare bene e senza sforzo. Se io propongo un certo alimento ad una persona che non sa neanche dove andare a reperire quel particolare prodotto, ecco che già la “facilità” viene meno. Se io come nutrizionista punto solo sul fatto che la persona si deve organizzare di più, in linea di massima ho già fallito. Se io invece propongo alla persona cibi familiari, che la persona sa già come reperire e come preparare, ecco che posso qui agganciare la Gastronomia: essa può stimolare la creatività nel quotidiano. Quello che dobbiamo chiederci è questo: perché, se io dico ad una persona che può mangiare pasta, verdura e pesce, la persona, d’istinto, pensa che può semplicemente consumare pasta in bianco + sogliolina lessa e contorno di verdure? Perché manca un’esperienza nel quotidiano che gli faccia percepire che la creatività va educata. È proprio qui il passaggio tra una Nutrizione Facile (che però può essere alla fine triste e ripetitiva) ad una Gastronomia Efficace!

SECONDO CONCETTO: BILANCIATO BILANCIATO fa rima con SANO. Questa relazione non è del tutto scontata, in quanto c’è chi per “sano” intende diete totalmente squilibrate. Pensate a tutte le diete low-carb e capite che il con-


LACULTURADELBENESSERE cetto di “sano” è assolutamente fuorviante: infatti, se partiamo dal presupposto che i carboidrati fanno male, allora la dieta sana è quella senza carboidrati, il che significa che il concetto di sano è completamente opposto al concetto di bilanciato. Affermare quindi il concetto di “sano” in termini non di “alimento come valore assoluto”, ma in termini di “bilanciamento” è la sfida che si dovrebbe (condizionale d’obbligo, perché andiamo nella direzione opposta!) porre la Nutrizione moderna. Non discutiamo circa quanto un alimento sia sano di per sé (o quanto una regola alimentare sia healthy): questo ormai lo sanno tutti! Dobbiamo invece discutere di quanto un alimento sano o meno riesce ad entrare in un ordine (bilanciamento) quotidiano e/o settimanale. Questo deve essere il vero punto di forza del nutrizionista: lo sappiamo tutti che mangiare meno grassi e meno zuccheri fa meglio alla salute, ma la nostra sfida è portare nella pratica quotidiana questa applicazione, pur, eventualmente, lasciando nel menu qualche concessione un po’ “più grassa e zuccherosa”! Cioè: se a me piace la salsiccia, posso trovare un posto che mi faccia capire come è meglio che io la mangi nella mia giornata, in modo da non rovinare la mia salute? In questo momento ci sono quattro diversi tipi di ristorazioni “alla moda”, cioè, per così dire, molto gettonati: a) i fast food dozzinali (tipo Mc Donald’s) che propongono autentiche schifezze e si sforzano di dire che NON sono schifezze, cioè, attraverso una strategia marketing incredibile, danno un senso di tranquillità, gioco, familiarità, infanzia, sponsorizzano le Olimpiadi, ecc, mettono le informazioni nutrizionali sul prodotti, che , viste così, ci fanno addirittura pensare che “alla fin fine, quel Mc Bacon non è poi così male!”; b) i ristoranti che “basta che si mangi, che va sempre bene”, cioè posti in cui l’unica nota distintiva è la totale inconsapevolezza di ciò che si mangia; c) i posti “superfighilight-perché-bio-è-la-mia-vita”, che possono andare bene per un numero limitato di persone, che possono essere una moda, una tendenza, ma che propongono una stile di vita che stravolge quelle che sono le normali abitudini delle persone. Sono, cioè, posti staccati dalla realtà, in cui, magari, uno mangia anche sano e poi la sera, a casa sua, si abbuffa! d) i fast food “che si sforzano di fornire una alimentazione pseudo-sana, ma fondamentalmente anonima”: sono tutti quei posti che sono nati sull’onda di un’esigenza ben precisa, che è quella di fornire un pasto rapido a tutti coloro che, per motivi di lavoro, sono costretti a mangiare fuori casa. Questi fast food hanno due caratteristiche fondamentali: non sono dozzinali come Mc Donald’s, ma sono totalmente impersonali (cioè non pensati veramente per la persona); in questo caso quindi il fast food punta tutto sul marchio, sul marketing, su fattori esterni al concetto di salute nel piatto e su fattori “esterni” alla persona stessa. Ecco quindi che il concetto di SANO/ BILANCIAMENTO acquista il valore di un Percorso di avvicinamento graduale verso abitudini più complete e realmente sane, dove però non viene giudicata la singola assunzione (moralistica!) di un hamburger, ma viene giudicato come questo hamburger è inserito nella realtà alimentare settimanale della persona. In più, il percorso progredisce non in virtù di step predefiniti, ma in virtù degli effettivi

progressi nel miglioramento delle abitudini alimentari. Le proposte migliorative che fa NIGeF/Libraway, in virtù dei suoi algoritmi, si basano sull’effettiva adesione del soggetto al piano alimentare e sul grado di soddisfazione che il soggetto ha nel seguirlo. È chiaro che la proposizione DEL CONCETTO DI ALIMENTAZIONE SANA non può essere ridotto ad un mostrare le informazioni nutrizionali o al proporre una banale insalata o un banale passato di verdure o un centrifugato! Come non è detto che una persona che mangia hamburger una volta a settimana sia da prendere come prototipo del “si-sta-scavando-la-fossa-mangiando-male”. Il concetto di SANA ALIMENTAZIONE sta nel trovare il giusto equilibrio tra ciò che ci fa obiettivamente bene e ciò che ci fa sentire bene. C’è una componente di gratificazione emotiva in ciò che mangiamo che non andrebbe mai estrapolata dal contesto di un cibo. Un cibo è sano quando ci fa bene, piace e sappiamo esattamente come gestirlo.

TERZO CONCETTO: GUSTOSO Sembra la cosa più normale del mondo, ma è difficilissima da rendere, tanto è vero che spesso, per rendere più “gustosi” i cibi, si aggiunge il sale! Quando una ricetta è gustosa? Quando piace, quando non appesantisce dopo l’assaggio, quando gli ingredienti sono riconoscibili e ben equilibrati. Ecco quindi un punto che la Nutrizione, da sola, non riuscirebbe mai a sviluppare, se non con l’aiuto della Gastronomia. La NUTRIZIONE fallisce perché raramente si evolve in GASTRONOMIA, come si nota anche che la Gastronomia diventa ridicola quando si vuole sostituire alla Nutrizione! Sono due sfere assolutamente complementari, che più interagiscono e più portano successo per entrambe.

QUARTO CONCETTO: BELLO È un concetto che va di pari passo con il precedente, ma non è la stessa cosa. Sono 2 concetti complementari. Attraverso il GUSTO noi attiviamo principalmente due sensi: l’olfatto e il gusto. Mentre la bellezza la percepiamo con gli altri 3 sensi: il tatto, l’udito, la vista. Il “crunch” di un croccante, le consistenze di una salsa o di una mousse o di una gelatina, l’impiattamento: questo attiva i sensi e ci permette di arrivare a dire “bello”. Forse questa è la sfida più affascinante: far vedere che anche una “normale” omelette può essere “bella”! La bellezza è qualcosa a cui noi aspiriamo di continuo, perché quello che caratterizza l’uomo è il desiderio (e la capacità) di sorprendersi. Questo desiderio e questa capacità l’uomo l’ha completamente persa nel rapporto con il cibo quotidiano: il cibo quotidiano è un “mordi e fuggi”, un “dare per scontato”, un “tanto bisogna farlo”, un “adesso mi rilasso e mangio quello che mi pare”. Niente di tutto questo è compatibile con una bellezza nel piatto. Noi invece, anche se facciamo fatica ad ammetterlo, siamo fatti per le cose belle: infatti una dieta non regge alla lunga proprio perché è infinitamente triste! Nutrizionisti, non fate i Gastronomi e voi Gastronomi, fatevi aiutare da un Nutrizionista!

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LA SCELTA VEGANA

a cura di

Silvia Bianco testimonial di cucina vegana

CHATO

IL “FORMAGGIO” CHE VIENE DALLA PATATA Negli ultimi anni sono stati effettuati molti studi e ricerche nel campo del food, tant’è che miriadi di innovazioni sono state introdotte soprattutto in campo vegetale. Pensate ad esempio alle fermentazioni di mandorle, noci e semi vari per produrre dei simil formaggi vegetali, “all’avena sfilacciata” per riprodurre la consistenza e sapore del pulled-pork, oppure ai burger fatti di carne sviluppata in vitro. Anche il mondo della moda è stato coinvolto in questo trend, difatti manipolando in laboratorio materiali vegetali impensabili si sono aperte le porte alla moda cruelty free ed è così che oggi si producono scarpe ed accessori in finta pelle utilizzando i funghi, oppure le fibre di cellulosa dell’antico tè kombucha, oppure ancora le foglie dell’ananas o la buccia delle banane. Una delle più recenti rivoluzioni nel campo del food pare proprio arrivare dalla patata. Un’invenzione tutta australiana, che grazie ad Andrew Dyhin, fondatore ed ingegnere dell’azienda PotatoMagic, promette di offrire un prodotto 100% vegetale composto da sole patate, versatile che si presta per fare la crema pasticciera, le salse, i gelati, la maionese, negli impasti da forno, yogurt e naturalmente i formaggi come ad esempio l’halloumi, tipico formaggio cipriota.

COS’È IL CHATO? Il Chato (fusione delle parole “Cheese” e “Potato”) è costituito al 100% da semplici patate coltivate che vengono sottoposte ad una serie di processi top secret che prevedono la loro cottura a determinati range di temperatura e poi raffreddate. Il prodotto si presenta sia in forma liquida, per essere utilizzato come addensante per creme, salse, purè o come latte vegetale alternativo, sia in forma solida, grattuggiato sulla pizza o gli gnocchi perché fonde come la mozzarella, o tagliato a cubetti nelle insalate, fritto come le classiche patatine o grigliato, oppure grat-

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tuggiato per ottenere delle frittelline simili ai Rösti svizzeri o agli hashbrown americani. Nella sua forma solida vengono aggiunti degli aromi che riproducono il sapore del formaggio. Chato è un prodotto adatto a vegani, intolleranti al lattosio ed alle uova e più sano rispetto ai classici formaggi ricchi di grassi. Chato si può conservare nella dispensa per oltre 12 mesi e si rivela quindi un prodotto comodissimo per la vita di tutti i giorni, ma anche perfettamente fruibile dalle truppe militari durante le missioni oltreoceano oppure come alimento d’emergenza in caso di disastri naturali o per le popolazioni in via di sviluppo; inoltre utilizzato nella versione fortificata con calcio si ottiene un prodotto di livello nutrizionale pari a quello della mucca, ma privo di ormoni ed antibiotici che vengono somministrati agli animali in tutti gli allevamenti.

ORIGINI DEL CHATO Il Chato è nato un po’ per caso ed un po’ per passione del suo inventore Andrew Dyhin, il quale affascinato dalle patate, ha speso anni nello studio di questo prodotto. Sembrerebbe che, durante uno degli innumerevoli test di laboratorio per un progetto a cui stava lavorando assieme al suo team di scienziati, qualcosa sia andato storto e la sperimentazione abbia generato un risultato inaspettato.

VANTAGGI DEL CHATO I vantaggi del suo utilizzo sono notevoli. Innanzitutto si parla di fonte di cibo sostenibile ad alto rendimento grazie ad una resa di tre volte superiore rispetto a quella del grano, un’efficienza produttiva che include tutti i sottoprodotti della lavorazione della patata stessa e una coltivazione della materia prima come la patata, che richiede meno acqua e risorse rispetto alla maggior


LASCELTAVEGANA

parte dei cereali e dei prodotti di origine animale. Di fatto per ottenere il Chato, si utilizza il 100% della raccolta delle patate, includendo anche gli “scarti” di lavorazione che vengono riscontrati negli attuali processi di lavorazione delle patate e quantificati come il 25 % sul totale del raccolto. Dyhin ha inoltre promesso che il costo del prodotto finale sarà meno caro del 30% rispetto ai classici formaggi vegetali che troviamo sul mercato. Chato non è ancora in commercio, ma il lungimirante Dyhin prevede l’approdo nei supermercati australiani entro il 2018. Attualmente è già impegnato nella discussione con potenziali fornitori ed investitori per il potenziamento dell’impianto, la produzione ed il marketing ed alla ricerca di joint venture. Ha rivelato di nutrire un profondo interesse per il mercato cinese poiché l’80% della popolazione asiatica è intollerante al lattosio ed inoltre le autorità cinesi stanno cercando di duplicare le coltivazioni di patate entro il 2020 riducendo quelle del riso e del grano che sono meno produttive e più costose rispetto alla patata. Aspettiamo ulteriori studi e la conseguente introduzione sul mercato di questo nuovo prodotto vegetale le cui premesse fanno pensare davvero ad una innovazione che ci garantisce un futuro ancora più ecosostenibile, di sostentamento per la popolazione mondiale, a bassi costi e totalmente cruelty free.

Silvia e gli esperti rispondono... Alcuni prodotti che trovo al negozio biologico sono molto costosi. Ad esempio, volevo utilizzare il burro di cocco per fare i dolci ma i prezzi sono proibitivi. - Renato, Trieste. Innanzitutto bisogna fare distinzione tra l’olio extravergine di cocco ed il burro di cocco: il primo è costituito da solo grasso, mentre il secondo contiene anche la polpa del cocco e quindi anche alcune fibre. L’olio extravergine di cocco subisce delle lavorazioni di spremitura a freddo che giustificano il prezzo più alto. Diffidate dall’olio di cocco che si trova a basso costo, poiché è spesso deodorato ed ha subito trattamenti non a freddo. In alternativa al cocco comprato, una valida soluzione è realizzare il burro di cocco in casa. Aprire e pulire la noce di cocco, e separare la polpa dal guscio. Grattugiare la polpa, mescolare il trito con l’acqua e lasciarlo macerare. Infine, filtrare il tutto per ottenere il latte di cocco. A questo punto, foderare un colino con un canovaccio pulito, appoggiare il colino sopra ad una ciotola, dunque versare il latte di cocco e lasciare sgocciolare il latte di cocco per 6-8 ore, in frigo. Trascorse le 8 ore di gocciolamento, si può notare il latticello raccolto nella ciotola sottostante ed il burro di cocco, contenuto all’interno del canovaccio. In questo modo, si potranno ottenere circa 230 grammi di burro vegetale. Rimuovere il burro con un cucchiaio o con una spatola e conservarlo in un barattolo di vetro per 7-10 giorni. Il latticello si può utilizzare per preparare altri piatti.

La ricetta del mese è gentilmente offerta dal Pastry Chef Manuel Marzari del 5 star Hotel Alpina Dolomites di Alpe di Siusi (Bz): meringa al lampone con spuma al mango. La dolcezza del mango con l’acidità e la freschezza del lampone e la friabilità della meringa. All’interno della semisfera di meringa si trova una pallina di sorbetto al lampone poi coperta di spuma al mango. Come decorazione oltre al mango fresco e lamponi ho messo pure dei physalis.

MERINGA AL LAMPONE con spuma al mango INGREDIENTI

Per la spuma al mango: ml. 400 di latte di riso, ml. 200 di purea di mango 100%, ml. 100 di acqua di cottura dei ceci, g. 50 di malto di riso.

In un pentolino versare il latte di riso ed il malto di riso, portare ad una tem-

peratura di 50°C a fiamma medio bassa. Raffreddare il liquido a temperatura ambiente versarlo in una bacinella e aggiungere la purea di mango e l’acqua

di ceci. Mescolare con una frusta a mano, filtrare con un colino e versare il

tutto nel contenitore del sifone, inserire una carica di N20 (azoto e ossigeno) shakerare fortemente e lasciare riposare per almeno 5 ore in frigorifero.

Per la meringa profumata al lampone: ml. 260 di acqua cottura dei ceci, g. 340 di zucchero di canna, ml. 15 di succo di limone, g. 30 di polvere di lamponi essiccati.

Versare l’acqua dei ceci in una boule capiente e iniziare a montarla. Uti-

lizzare una frusta a mano o elettrica, meglio ancora la planetaria o con un robot da cucina. Montare l’acqua dei ceci per circa 5 minuti, fino a quando

diventerà una spuma bella soda, corposa e soprattutto ferma. Aggiungere

al composto lo zucchero di canna ed il limone, incorporare delicatamente sempre con la frusta. Continuare a montare il composto fino ad ottenere un composto liscio, lucido e sodo. Infine incorporare la polvere di lamponi essiccati e mescolare delicatamente con una spatola morbida dal basso

verso l’alto. Dressare in stampi di silicone a forma di semisfera ed infornare a 90°C per circa 4 ore tenendo la valvola aperta.

Per il sorbetto al lampone: ml. 150 di acqua, g. 90 di zucchero di canna, g. 20 di glucosio, ml. 250 di purea di lampone.

In un pentolino portare a bollore l’acqua lo zucchero di canna ed il glucosio. Lasciare raffreddare, quindi unire la purea di lampone. Versare il composto nel bicchiere del pacojet e congelare a -20°C. Poi mantecare e servire.

Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com

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Gala teo ASSAGGI DI

a cura di

Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico

UN PASTO SENZA VINO È COME UN GIORNO SENZA SOLE PICCOLO VADEMECUM SUL SERVIZIO DEL VINO

Quello del cameriere è un ruolo che richiede formazione e professionalità, caratteristiche sempre più rare da riscontrare nel personale di un ristorante, ancor di più se l’addetto si occupa in particolare del vino e della cantina. I compiti di un bravo sommelier sono molteplici: l’accostamento cibo-vino da cui poi scaturiscono gli ordini e lo stoccaggio, il pricing e il servizio in sala. Una carta in media può risultare funzionale quando presenta una scelta modesta con vini del territorio e alcune proposte internazionali, con qualche chicca per gli intenditori e una selezione di bollicine. In genere è bene fare abbinamenti che seguono la territorialità dei prodotti; osare non è sempre sinonimo di originalità, dunque se non si hanno le conoscenze per farlo, è meglio restare saldi ad alcuni punti cardine sinonimo di qualità. Una delle problematiche dell’approvvigionamento spesso è legata a dei minimi d’ordine, soprattutto se il ristorante non si trova vicino a grandi centri di distribuzione. Il consiglio è di stringere collaborazioni commerciali con enoteche locali capaci di fornirvi poche bottiglie per ogni voce della vostra carta. È importante, al proposito, ricordarsi che ogni bottiglia, anche la più cara, può riservare spiacevoli sorprese e quindi è opportuno avere sempre almeno una quantità di scorta. Un bravo cameriere deve sempre avere in mente l’inventario delle bottiglie che ha a disposizione in casa. Risulterebbe poco professionale proporre una bottiglia spiegandone le caratteristiche e poi tornare al tavolo per riferire che tale bottiglia è stata terminata. Dopo aver trascritto l’ordinazione, il cameriere o il sommelier dovrà preparare il servizio in base alla tipologia della bottiglia scelta. Se si tratta di un vino rosso strutturato, con degli anni di invec-

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chiamento, servirà un decanter per ossigenarlo o, nel caso di un vino bianco o di bollicine, una glacette per mantenerlo in fresco. Se il tavolo risulta avere una superficie piuttosto esigua è bene che il vino sia posizionato su una prolunga dello stesso o su una colonna porta secchiello. È sempre bene limitare la quantità di bottiglie sul tavolo in quanto andrebbero ad impedire la conversazione fra i commensali e a interferire con l’estetica di un eventuale centro tavola. Se è stata predisposta una mise en place base con il solo bicchiere dell’acqua si procede a completarla in base ai vini scelti, al contrario, se la predisposizione prevede già i bicchieri per il vino rosso e bianco, si toglierà quello che non sarà utilizzato. Il consiglio è sempre quello di mantenere un assetto base della tavola, per poi completarlo in relazione alla comanda. Una volta portata la bottiglia al tavolo aiutandoci con un tovagliolo di servizio, descriviamo sommariamente le caratteristiche mostrando l’etichetta ai clienti per poi procedere all’apertura dopo un cenno positivo da parte di chi ha effettuato l’ordine. Riuscire ad usare un cavatappi con disinvoltura non è cosa facile. La bottiglia non va mai ruotata o mossa mentre viene eliminata la capsula e inserito il cavatappi; consigliabile quello a doppia leva. Durante tali fasi il cameriere deve sempre mostrare serenità e sicurezza. Se dovesse capitare che un tappo si rompa, possiamo rimpiazzare la bottiglia con una nuova, specie se quest’ultima non ha un valore notevole. Terminata l’apertura, nel caso in cui il tappo sappia di sughero, viene annusato dal sommelier per comprendere se il carattere della bevanda all’interno della bottiglia sia stato influenzato dal legno di chiusura. È bene avere sul gueridon di servizio o sul tavolo un piattino per i relativi scarti derivati da queste ultime fasi.


ASSAGGIDIGALATEO

Il tovagliolo di servizio ci aiuterà a pulire la bottiglia da eventuali residui, poi si procederà a servire una quantità minima per la degustazione alla persona che ha effettuato l’ordine. Se il vino sarà di suo gradimento verrà servito agli altri commensali presenti a tavola seguendo il senso orario e quelle che sono le precedenze secondo il galateo. Per prima verrà servita la persona che ha effettuato l’ordine (di solito la persona che ha più importanza) e poi si procederà a servire prima le signore e poi i signori in base alla loro età, dai più grandi ai più giovani. In questa fase bisogna ricordarsi che il servizio va effettuato alla destra del cliente riempiendo il bicchiere per un terzo circa. Per aiutarci a non lasciare eventuali residui di vino, le cui macchie hanno una leggendaria fama conosciuta da tutte le brave massaie, è importante ruotare leggermente la bottiglia sul suo asse pulendo con un tovagliolo di servizio l’anello; in alternativa si può utilizzare un drop-stop anche detto salva goccia, sicuramente meno estetico, ma funzionale. Per una bottiglia di bollicine l’apertura avverrà aiutandoci direttamente con le mani e un tovagliolo di servizio che attutirà la pressione dell’anidride carbonica nel momento della fuoriuscita del tappo. Non è importante solo “cosa” si beve, ma anche “dove” si beve. Ogni vino richiede il suo bicchiere per potere esprimere appieno le sue potenzialità. Ad oggi il mondo della ristorazione ha nettamente snellito la formula del servizio: la scelta dei bicchieri non segue più quelle regole rigide dove ogni vino ha un suo bicchiere dedicato. La forma è importante, ma il materiale a volte lo è quasi di più. È da preferire il cristallo o il vetro cristallino che, oltre a donare un tocco percettibile di eleganza estetica, è funzionale nell’esaltazione dell’intero bouquet di profumi sprigionato dal vino.

Può sembrare retorico ricordarlo, ma sono espressamente vietati i bicchieri colorati; l’unico colore che si dovrà notare è quello della bevanda che verrà servita al loro interno. Generalmente ci si può salvare con un calice detto “tulipano” adatto per i vini bianchi freschi e non molto complessi, ma anche per la degustazione di vini rossi giovani con poca struttura. Se serviamo un grande vino rosso affinato in botte con diversi anni di invecchiamento sarà da prediligere un calice di forma tronco conica, eletto qualche anno fa dall’Università di Pisa come miglior bicchiere per degustare il Chianti Classico. Anche lo scenografico “grand ballon”, da sempre considerato perfetto per i rossi importanti, sembra aver perso terreno. Per le bollicine dal gusto secco si predisporrà la flûte o la sua versione leggermente più svasata e panciuta adatta allo Champagne; la coppa invece è indicata per gli spumanti dolci. Nel complesso è fondamentale mantenere un’armonia di forme nella mise en place, soprattutto per quanto riguarda i cristalli. Dunque scegliamo una stessa linea di bicchieri anche per l’acqua, considerando che, essendo oggetti di estrema fragilità, dobbiamo prevedere un margine di scorta importante. Come per le stoviglie, il suggerimento è quello di creare un piccolo magazzino personale presso il proprio fornitore per salvarsi nel caso in cui la propria linea di piatti o bicchieri vada fuori produzione. In questo mondo frenetico siamo abituati a vedere camerieri schizzare da una parte all’altra della sala, spesso perdendo d’occhio il dettaglio che fa sempre la differenza. Per questo bisogna dedicare del tempo anche semplicemente per aprire una bottiglia con classe, questo non per la vanità del ruolo professionale, ma per l’importanza che si dà a un prodotto dietro il quale vi è passione e sacrificio. D’altronde, come recitava Anthelme BrillatSavarin: “Un pasto senza vino è come un giorno senza sole”.

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PROGETTARE L’IMPRESA

a cura di

Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop

UN ESEMPIO DI COME

AUMENTARE IL GUADAGNO NEGLI ESERCIZI PUBBLICI Chi scrive, durante uno dei suoi viaggi, si trovava a Valencia. Un pomeriggio, dopo una giornata a girovagare per le viuzze del centro storico e aver vissuto un’esperienza piuttosto terrorizzante sul cucuzzolo della Torre del Miguelete, si imbattè in un volantino che recitava poche, semplici e concise parole. CAÑAS = 70 CENT Sul retro una foto degli interni del locale e le indicazioni per raggiungerlo. La cañas - a scanso di equivoci - è l’equivalente della birra piccola italiana (da 0,20l) e questo volantino diceva in maniera chiara che una di quelle sarebbe costata solamente 70 centesimi. Chi scrive non è affatto nuovo a queste promozioni, in quanto spesso le crea, e ha intravvisto in essa una semplice ma efficace strategia di menu engineering. Obbligatorio dunque approfondire la questione.☺ La domanda che aleggiava nell’aria era una sola: “Come può un ristorante pensare di guadagnare vendendo birra a 70 cent?” Chi scrive lo avrebbe scoperto presto. Dopo un paio di svincoli, eccolo: si trattava di una sorta di evoluzione del tapas-bar spagnolo che serviva le classicissime tapas (piccoli piatti da condivisione tipici della tradizione spagnola), i pinchos (tapas un poco più elaborate e monoporzione) e qualche complemento, ma che aveva inserito nel suo arsenale commerciale un paio di innovazioni che dal punto di vista di chi scrive facevano e fanno la differenza.

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L’esperienza offerta era quella di un ristorante informale e veloce. Un concetto fast-casual, tanto di moda negli ultimi tempi. Appena varcata la soglia, l’accoglienza è nelle mani del personale di sala, che dopo aver fatto accomodare gli ospiti e spiegato nei dettagli il funzionamento del locale, parte con la domanda di rito: LUI: “Cosa bevete?” IO: “Avevo visto un volantino con la cañas a 70 centesimi; come funziona?” LUI: “Funziona proprio così. Se vi fermate un poco di più vi porto la birra media o direttamente il litro, che costa solamente 3,00€” Una decisione piuttosto semplice per chi scrive, e un’ottima strategia commerciale per lui, che nel giro di pochi secondi aveva innalzato il valore di un cliente per l’azienda di più del 400%, portando la spesa media dai 0,70€ iniziali ai 3,00€ finali. E con una birra fresca davanti, era possibile non mangiare qualcosa? Questo tapas-bar proponeva due scelte: (1) La prima opzione erano tapas e pinchos freddi messi in bella vista sopra al bancone e dietro ad un vetrina retro-lluminata dalla quale era possibile servirsi in autonomia, ad un prezzo relativamente basso (1,50€ a salire) (2) La seconda opzione erano tapas e i pinchos caldi, leggermente più costosi, sfornati direttamente dalla cucina durante il corso della serata e annunciate dal suono di una campana e dall’urlo dell’addetto cameriere “CALIENTITO!”


PROGETTAREL’IMPRESA

Piccola nota: le tapas e i pinchos caldi escono a scaglioni di 5-6 per volta, quasi fossero delle piccole “edizioni limitate” e questo aumenta il senso d’urgenza. E’ una delle leggi portanti dell’economia: meno offerta, più domanda. Infatti è davvero difficile che rimanga qualche tapas o pinchos sul vassoio del cameriere. Ma non finisce qui. Infatti, in questo caso, i camerieri non erano solamente dei porta-piatti, ma bravi venditori formati per far aumentare la spesa media degli avventori. Infatti facevano il giro dei tavoli con il vassoio in mano e chiedevano, sorridendo e con garbo, se si volesse consumare una di quelle tapas, descrivendo brevemente il piatto e premurandosi di specificare che non sapevano quando sarebbero uscite le prossime. Il messaggio era chiaro: “O decidi ora e le acquisiti subito, o difficilmente per il resto della sera le rivedrai!“ Non mancavano le gentilezze (con un retrogusto molto commerciale): “Oh, la birra è vuota, ne porto un’altra? Oh, vuoi la piccola? Dai facciamo la media!” E via così. Risultato? I tavoli giravano all’inverosimile, lo scontrino medio si alzava considerevolmente fino a toccare i 10-15€ e tutti sembravano felici e contenti della propria scelta. La situazione appena descritta è ciò che si vede fa fuori, lato cliente. Ma lato ristoratore la questione è molto più interessante. Frontend + Upsell + Backend: questi sconosciuti. Lo scopo di una qualsiasi attività commerciale è acquisire clienti ed aumentarne il valore nel tempo. Quello che gli americani chiamano CLV (customer lifetime value), cioè il valore del cliente per il periodo di tempo che è rimasto effettivamente cliente. La ristorazione non fa eccezione e, anzi, si presta molto bene ad applicare questi principi. Il tapas-bar valenciano dell’esempio precedente sembra saperlo molto bene e sembra applicarlo persino meglio (e i numeri gli danno ragione, in quanto è una catena da 275 unità in tutto il mondo). Infatti ciò che rende interessante il modello di acquisizione clienti del tapas-bar di cui sopra è la somma di tre semplici ma potentissime strategie, che in gergo potremmo chiamare (1) frontend, (2) upsell e (3) backend. Queste tre strategie hanno scopi diversi: (1) Il frontend serve ad acquisire clienti. (2) L’upsell serve ad aumentare il valore del cliente acquisito. (3) Il backend serve a creare il VERO guadagno, aumentando ulteriormente il valore del cliente per l’azienda.

Graficamente potremmo vederlo così:

Sull’asse delle Y (quello verticale) c’è il valore del cliente per l’azienda, mentre sull’asse delle X (quello orizzontale) c’è il prezzo del prodotto che si sta proponendo. Come si può notare il frontend è un prodotto caratterizzato da un prezzo basso e da un relativo basso valore per il ristorante. L’upsell serve semplicemente ad alzare la spesa del cliente, mentre il backend crea il vero guadagno. Infatti quest’ultimo è caratterizzato da prodotti ad alto prezzo (relativamente al frontend) e un conseguente alto valore per l’azienda. Se volessimo calare nel contesto del Tapas-Bar di cui sopra questi tre termini, potremmo fare in questo modo: (1) Il frontend in questo caso è la cañas a 0,70€. Un prodotto a bassissimo prezzo e un valore ridottissimo (si potrebbe addirittura decidere di venderlo andando in perdita) che ha il solo e semplice scopo di “portare dentro” clienti. Non c’è guadagno e non c’è marginalità sulla birra a 0,70€, ma c’è dietro una strategia ben precisa di acquisizione clienti. (2) L’upsell è una semplice domanda (“Porto il litro di birra o la media invece che la piccola?”) e serve ad aumentare il valore del cliente, immediatamente, ponendolo di fronte ad una questione “no brainer” cioè talmente tanto semplice da prendere da risultare scontata. Nel caso di cui sopra ha funzionato (e funziona nella maggior parte dei casi) portando chi scrive a spendere 3,00€ invece dei 70 centesimi che rappresentavano il mio valore nel momento in cui sono entrato nel locale. Possono sembrare pochi, ma non lo sono. E’ un aumento del 400%. E un aumento di 2,30€ per cliente, alla fine dell’anno, si fa sentire in maniera estremamente positiva. (3) Il backend è rappresentato dalle tapas e dai pinchos freddi e caldi, che servono al tapas-bar per aumentare la spesa media. In quegli oggetti c’è il vero guadagno del tapas-bar. Per tirare le somme, è possibile guadagnare anche vendendo birra a 70 centesimi. Chi legge, come può applicare le stesse strategie al proprio locale? Buon lavoro.

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GOLAVAGANDO

A ROMA

SCIMMIA FACTORY OFFRE UNA TRADIZIONE DOLCIARIA CHE DURA DA 90 ANNI C’è un posto a Roma, nel cuore del ghetto ebraico, dove la tradizione del gelato e la modernità della tecnica si sposano in un mix perfetto. Scimmia Factory nasce, infatti, da una delle più antiche gelaterie d’Italia, “La gelateria della scimmia”, fondata nel 1922 a Taranto da Michele Monacelli, con sede a Napoli dal 1933. Tre generazioni cresciute con la passione per la lavorazione del gelato che, con Luca Monacelli, nipote di Michele, sono approdate a Roma. È passato qualche decennio da quando il nonno raffreddava le creme con una mistura di ghiaccio e sale, ma immutato è il rispetto per il prodotto e per le materie prime. La filosofia di Scimmia Factory prevede, infatti, il gelato in carapina che rende le creme decisamente più avvolgenti e spalmabili. Non c’è, però, solo gelato ma anche yogurt, semifreddi e centrifugati di frutta. Sviluppare nuove ricette sperimentando l’infinita gamma di materie prime a disposizione è il leitmotiv che da sempre contraddistingue “il metodo” Monacelli. Il locale, progettato e realizzato da Costa Group, è caratterizzato da colori caldi che richiamano i principali gusti di gelato

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GOLAVAGANDO

e dal legno antico trattato, a contrasto con l’immediatezza del ferro verniciato. Il laboratorio a vista sottolinea la trasparenza dell’operato e la genuinità del prodotto mentre la zona sedute, con tavoli e comode poltroncine, richiama la bellezza dei vecchi cortili. Verde a parete e ceste a soffitto ricreano un atmosfera naturale, perfetto habitat della famosa scimmia, vera protagonista di questa storia di grandi tradizioni che dura da oltre 90 anni. Storica la scimmietta come storico è lo stecco, in primis alla banana (neanche a dirlo) ma anche in tante altre declinazioni, che grazie alla famiglia Monacelli ha dato il via al gelato da passeggio. “Scimmia Factory” è dunque laboratorio, luogo di produzione e sperimentazione, di dinamica attività sempre e comunque nel segno della massima qualità.

SCIMMIA FACTORY” Via dei Falegnami, 64 Roma

Design e Arredo Costa Group

Arch. Gianfranco Berghich

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GOLAVAGANDO

A MILANO

NORDIC GRILL

LUXURY STEAKHOUSE CON CUCINA E DESIGN NORDICI Ha aperto nel cuore di Milano, in via De Amicis 34, Nordic Grill, un locale dove cucina e design si legano creando un ambiente caldo ed elegante. Luogo ideale dove ritrovare il calore e la semplicità della tradizione, Nordic Grill, non è un classico ristorante, ma piuttosto una cucina aperta sul living, con una grande griglia sempre accesa, un camino e un angolo per ascoltare la musica e rilassarsi sul divano. Questa è la tipica steakhouse dei paesi del Nord, dove si possono gustare le carni più pregiate, allevate nei paesi freddi secondo metodi antichi e nel pieno rispetto della genuinità del prodotto. Attraverso un meticoloso lavoro di ricerca, il management del ristorante seleziona allevatori e coltivatori che spiccano per la qualità e genuinità dei propri prodotti.

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L’Aberdeen Irlandese, razza bovina alimentata esclusivamente a pascolo, l’Angus Scozzese, famoso per la sua carne tenera e gustosa, o l’Agnello Irlandese, allevato con una dieta a base di piante erbacee ricche di minerali, sono solo alcune delle selezioni presenti. Ma Nordic Grill non è solo carne: oltre a una varietà di formaggi d’alpeggio, per i meatless guest propone anche piatti vegetariani, e per gli amanti del mare numerose ricette a base di pesce fresco: una gamma di piatti di pescato proveniente dai freddi mari del Nord come salmoni, halibut, merluzzi e aringhe. Carne, hamburger, zuppe e dolci fatti in casa, prodotti genuini, selezionati dalla decennale esperienza dei proprietari e cucinati in modo semplice e non invasivo grazie alla brigata degli


NORDICGRILL

chef Matteo Pisciotta e Andrea Piantanida, sono quindi il piatto forte del locale dalle volte a mattoni grezzi. All’ideatore di questo nuovo format culinario, Massimo De Lodovici, si deve l’idea di guardare oltre ai trend del momento. Unico tra molti a raccontare le atmosfere dei paesi del nord Europa sia attraverso la cucina, sia nello stile dell’arredamento nordico, moderno ed elegante, con il legno naturale e acciaio. Nordic Grill offre inoltre la possibilità di assaggiare il suo brunch domenicale, che accanto alla tradizionale grigliata di carne, propone un vasto buffet dolce e salato, con insalate, frittate, zuppe, uova strapazzate, bacon croccante, patate al forno, torte fatte in casa, muffin, frutta fresca,

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GOLAVAGANDO

french toast e croissant. Sul tavolo da falegname, in cantina, sono posizionati taglieri di salumi, formaggi, diverse varietà di pane e morbida focaccia. I punti di forza del locale sono senza dubbio la zona relax e la cantina dei vini: qui l’ospite è invitato a godere dello spazio ed interagire con l’ambiente come se fosse a casa sua. Nordic Grill, inoltre, organizza serate di degustazione e di musica live e si trova anche a Varese in via Cattaneo, all’interno di una corte del ‘600. NORDIC GRILL MILANO - Via De Amicis, 34 - Milano - www.nordicgrill.com - nordicgrillmilano@gmail.com Aperto lunedì/domenica 12:00 -15:30 | 19:00 - 01:00 - Aperitivo 10 euro a partire dalle ore 18:30 Brunch 24 euro ogni domenica dalle ore 12 alle 15:30

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C CKTAIL... a cura di

Daniele Briani foto di

StudioGraf IL BARTENDER

Charles Flamminio Bartender mixologist

ASTICE CON FONDO DI VITELLO

Belludi 42 Riccione

INGREDIENTI

LO CHEF

1 astice

court bouillon

fondo di vitello

rosmarino per guarnizione PREPARAZIONE

Per il court bouillon: in una pentola di acqua fredda aggiungere il mazzetto di

erbe aromatiche, la cipolla, la carota e il sedano, che avremo precedentemente

Fabio Drudi

pulito e tagliato a dadini, pepe in grani e vino bianco secco.

“Curiosità, passione e tenacia sono gli ingredienti dei miei piatti”

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Portare a bollore, quindi immergere l’asti-

ce; cuocere per 10 minuti, spegnere e far

riposare per 5 minuti. Estrarre l’astice, tagliare alla base del carapace ed estrarre la polpa. Con un coltello formare dei piccoli

medaglioni, porli sul piatto e accompagnare con un fondo di vitello.


Dal pre dinner all’after dinner, nasce un nuovo modo di giocare tra solido e liquido. L’alchimia del bere miscelato sposa la cucina con sapori che rimbalzano dall’una all’altra preparazione, in una esperienza sensoriale pienamente coinvolgente.

CHAMPAGNINO

cl. 7 di champagne

cl. 3 di timo rosmarino, ginepro

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Buone Nuove

le novità del mese

NATALE ALLA ROSA

BN

Puntualissime le nuove collezioni Loison per il Natale 2016, frutto dell’impegno e delle sfide che Dario e la moglie Sonia si sono posti nell’ultimo anno. Questi i punti fondamentali: il 2016 è l’anno del Panettone alla Rosa. Per questo Panettone è stato utilizzato un blend di rose tra cui la Rosa Damascena, coltivata sin dai tempi dei persiani per l’inebriante e delicato profumo. Alla Rosa Damascena sono state riconosciute oltre 400 sostanze aromatiche differenti. Assieme alla Rosa Damascena è stato calibrato il prezioso Sciroppo di Rose Liguri, Presidio Slow Food, ricavato da un’antica e rinomata tradizione della lavorazione dei petali di rosa che risale addirittura al 1600. Dario e Sonia hanno pensato di omaggiare la cultura del convivio delle tavole aristocratiche dell’Europa del ‘700, con digressioni su Russia e Cina, attraverso una serie di confezioni che testimoniano la grande bellezza della cristalleria, delle argenterie e delle ceramiche d’altri tempi. Completano la gamma 2016 i nuovi Peluche Loison: Anna e Cleto, i teneri gufetti, dal morbido piumaggio arruffato e i Biscotti Tutto Burro in mini latta da 120 grammi.

www.loison.com

RUGGERI, VENTI VENDEMMIE, VENT’ANNI DA RICORDARE

BN

Elegante e prezioso il cofanetto realizzato per il Giustino B. Venti Vendemmie della Ruggeri di Valdobbiadene. Si tratta di un’edizione limitata davvero speciale, perché ogni singola etichetta è stata firmata a mano personalmente da Giustino Bisol, fondatore della cantina Ruggeri nell’ormai lontano 1950. Il Giustino B. è uscito per la prima volta con la vendemmia del 1995, per festeggiare i cinquant’anni di lavoro nel mondo del vino di Giustino Bisol, il quale aveva iniziato a operare nella cantina paterna nel 1946, ancor prima di dar vita alla Ruggeri. Come viene spiegato in modo sintetico in un cartoncino che accompagna l’astuccio, questa bottiglia intende rappresentare simbolicamente vent’anni della storia della cantina, e anche del territorio. Giustino Bisol ha voluto firmare di suo pugno ogni etichetta sia per celebrare la ventesima vendemmia del vino più premiato, sia per suggellare e rinnovare un impegno qualitativo costante nel tempo.

www.ruggeri.it

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L’EVOLUZIONE DEL FORMAGGIO SECONDO FERRARI Interessante iniziativa proposta da Giovanni Ferrari per scoprire come i formaggi si evolvono nel tempo: Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono i protagonisti di queste confezioni: • Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna 3 stagionature valorizza una produzione di nicchia e di alta qualità, dove si mettono a confronto le 3 stagionature del Parmigiano Reggiano: oltre 24 mesi, oltre 30 mesi ed oltre 36 mesi. • Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna 30 mesi con i Presìdi Slow Food, una confezione che preserva l’economia montana della zona di Bedonia nell’Alta Valtaro, ideale per abbinare con miele oppure con salse di peperoni e carciofi. • Grana Padano Riserva stagionato oltre 20 mesi con i Presìdi Slow Food, dall’aroma ricco e sapore prevalentemente dolce, da abbinare con i prodotti dei Presìdi Slow Food. • Grana Padano Riserva stagionato oltre 20 mesi da abbinare con una selezione di mieli dolci o delicatamente amari. • Grana Padano oltre 16 mesi con il condimento agrodolce a base di “Aceto Balsamico di Modena IGP”, mettendo in evidenza la fragranza e gusto di questo formaggio. • Parmigiano Reggiano di Montagna 30 mesi con salse dolci piccanti a base di frutta che, insieme al formaggio, ti offrono una sfiziosa e raffinata degustazione dai delicati contrasti. • Pecorino Romano DOP 10 mesi, Grana Padano Riserva oltre 20 mesi, Parmigiano Reggiano Prodotto di Montagna DOP 30 mesi selezionati e affinati con cura da Giovanni Ferrari per un percorso di degustazione sorprendente.

www.ferrariformaggi.it



I locali

on

Trésor

Scopriamo insieme quali sono i locali che racchiudono piccoli grandi tesori...

Ogni ristorante, locanda o trattoria, famosa o meno, può vantare il proprio “Mon Trésor”, un personalissimo tesoro fatto di attenzione per i dettagli, cura dei propri ospiti, professionalità in cucina e in sala. Noi abbiamo individuato alcuni di questi “Mon Trésor” e li segnaliamo nelle prossime pagine...

golavagando montresor di

Teresa Cremona

A TORVAIANICA

LA PERLA NERA RAPPRESENTA IL PESCE DELLA TRADIZIONE MERIDIONALE

Siamo sulla costa di Roma, dove il paesaggio - in alcuni tratti - ancora conserva la pineta, la duna, e una bella vegetazione mediterranea che si spinge fin sulla spiaggia e ci piacerebbe poter descrivere Torvaianica paragonandola a quei luoghi di mare che fanno moda e tendenza. Torvaianica invece è un susseguirsi affollato e confuso di casette, un’edilizia nata in assoluta assenza di piano regolatore, una barriera compatta e disordinata che impedisce la vista del mare. Peccato! Peccato! In questa realtà priva di identità, il Ristorante La Perla Nera ha una bella posizione, è in primissima linea, sul mare con un’ampia terrazza che affaccia sulla spiaggia dove d’estate si allestiscono lo stabilimento balneare ed un chiosco, e dove i bagnanti possono avere tutti i servizi del ristorante direttamente sotto il proprio ombrellone. A novembre il panorama è felliniano, i colori sono tenui, l’arenile è deserto, solo sabbia a perdita d’occhio, piccole onde, un vento leggero che porta via le nuvole. Una dolce, poetica serenità che fa ancora più rimpiangere quello che questo luogo avrebbe potuto essere.


on

Trésor Il Ristorante La Perla Nera è ospitato in una costruzione bianca, bassa e con ampie vetrate; al suo interno l’arredamento è quello tradizionale, un arredo semplice che non segue canoni di moda, ma è curato dall’attenzione di una gestione che anno dopo anno si preoccupa di fare migliorie. La conduzione è familiare, padre, madre, due figli. Il fulcro del piccolo gruppo è Rosa Formisano, napoletana. Signora energica, sorridente e comunicativa, un’autodidatta che fa cucina da 32 anni. In sala è suo figlio Alberto, l’altro figlio Sandro si occupa dell’amministrazione, mentre il signor Adolfo cura una piccola azienda agricola di proprietà, situata a breve distanza, con orto, ulivi e alberi di agrumi. La Perla Nera è quindi una storia di famiglia, di esperienze nate sul lavoro, misurandosi nel quotidiano con le realtà del territorio. La stagione più vivace è quella estiva, negli altri mesi il lavoro si concentra soprattutto nei weekend, i villeggianti, proprietari e affittuari di seconde case, sono gli habituè del locale. La cucina di Rosa è costruita sul ricordo della sua meridionalità, i sapori sono del sud, il menu è articolato sulle richieste di una clientela poco incline alle novità. Un menu con un’offerta classica e, intelligentemente, contenuta e che va dall’ampia offerta di antipasti: tortino di zucchine e calamari; tortino di farro, orzo perlato con calamari e gamberi; seppia in insalata; quenelle di melanzana con gamberi; filetto di cefalo con crema di cipolla di Tropea caramellata; frittura di moscardini, polpo scottato con pomodorini e broccoletti dell’orto. Nei primi, spaghetti allo scoglio;

linguine alle mormore; spaghetti alle vongole; rigatoni alla Perla Nera; risotto agli scampi. I secondi propongono pesce e polpo di questo mare o di quello di Anzio, soprattutto preparati in frittura o alla griglia. Pesce fresco, buono, di passo o di secca, cucinato con attenzione. Tutte le verdure provengono dall’orto di casa e sono biologiche, l’olio è nuovo ed è quello degli ulivi coltivati da Alfonso.

Il Mon Tresor è... IL RISOTTO, MA ANCHE... Il Piatto Montresor per Alberto Formisano, è il risotto alla crema di scampi. A nostro modo di vedere le Linguine con la mormora sfilettata e piccole verdure, erano nella loro semplicità, ricche di profumi di mare. Abbiamo bevuto Montresor Pinot Nero Rosè Extra dry e Wallemburg Blanc Fumè.

RISTORANTE LA PERLA NERA Via Francoforte 1

00071 Pomezia (RM) Tel. 06 9157120

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golavagando montresor di

Claudio Mollo

A MARINA DI MASSA

BAR TIRRENO È MUSICA, COCKTAIL E BUON PESCE

Non è uno dei tanti Bar del litorale massese, quello gestito dalla famiglia Nunziati e, a differenza di tante altre situazioni, nessuno dei gestori è un “improvvisato”. A spiegarlo è colui che ormai da diversi anni è un po’ l’animatore principale di questa storica attività: Matteo Nunziati che, insieme ai genitori e al fratello, dal 1980 gestisce questo locale, arrivato in eredità dai nonni, che lo inaugurarono nel lontano 1902, abbinato ad un stabilimento balneare situato di fronte al bar, tuttora attivo e gestito anch’esso dalla famiglia. A Matteo è sempre piaciuto tanto questo lavoro, così tanto che, appena quattordicenne, inizia a dare una mano ai genitori, seguendo un po’ la pizzeria, un po’ altri piccoli lavoretti quotidiani che servivano a portare avanti l’attività. Poi arriva il momento di decidere cosa fare davvero nella vita e, seguendo un corso Aibes, diventa un bravo barman, affascinato da questo tipo di lavoro e incuriosito per aver visto e seguito nel tempo chi, prima di lui, nel bar realizzava con tanta competenza aperitivi e cocktail per la clientela.

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on

Trésor Da allora, al Bar Tirreno, sono cambiate tante cose: l’attività inizia di prima mattina con le colazioni e continua per l’intera giornata con la pausa pranzo, i pomeriggi di relax, poi gli aperitivi e infine la cena. Quindi non solo l’attività di bar, ma quella di un piccolo bistrot, con una cucina snella e dinamica, fatta con ingredienti di primissima qualità, selezionati quotidianamente. Sul menu ci sono pochi piatti che cambiano spesso e le preparazioni di mare sono quelle più richieste. Ai piatti veloci si alternano sfiziosi antipasti, ottimi primi di mare e tanto pesce per i secondi; pietanze tutte accompagnate da un pizzico di fantasia. Insieme a Matteo ci sono i genitori Francesco e Anna Marina, la moglie Samantha e il fratello Giacomo, tutti impegnati, insieme ad altro personale, nel portare avanti questa grossa macchina dedita all’accoglienza. L’attività è frenetica e dal tardo pomeriggio in poi il locale prende ulteriore vita con i primi aperitivi che anticipano la cena, in genere accompagnata da musica dal vivo o dalla presenza di gettonatissimi Deejay.

Il Mon Tresor è... LA MUSICA E LA CUCINA LIVE Sono le serate in musica il grande Montresor di questo locale, realizzate nell’ampio spazio antistante il locale che in estate diventa un vero e proprio palcoscenico, con allestimenti che rimango per l’intera stagione per esibizioni dal vivo, frequentato da cantanti solisti, piccole orchestre e noti Disk Jockey. Chiamati ad allietare e coinvolgere i numerosi clienti che ogni sera di ritorno dalle “fatiche” balneari non aspettano altro che immergersi nella musica di vario genere, che accompagna sfiziose tapas e buona cucina, tutto abbinato ad ottimo vino.

BAR TIRRENO

Piazza Betti, 30

Marina di Massa (MS) Tel. 0585 241867

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golavagando montresor di

Teresa Cremona

ALFREDO ALLA SCROFA

RACCONTA ANCORA IL FASCINO DELLA DOLCE VITA ROMANA E’ iscritto nell’elenco delle botteghe storiche romane, ha compiuto 100 anni di attività, e da oltre 70 appartiene alle stesse due famiglie di proprietari. E’ un ristorante di tradizione, ha professionalità e garbo nell’accoglienza, ha fascino negli interni fasciati di boiserie e tappezzati da una galleria di foto di attori che hanno fatto la storia dello spettacolo nel mondo, ha l’unicità di un ambiente arredato in stile romanamente british, abbastanza insolito nel panorama della capitale. Alla piacevole sala interna si aggiunge, in stagione, un dehors con qualche tavolo sulla strada. Alfredo alla Scrofa deve la sua fama alle ‘fettuccine’ che Alfredo di Lelio inventò, agli inizi del Novecento, per la moglie incinta. Un piatto che piacque a Mary Pickford e a Douglas Fairbanks, che lo resero famoso negli USA. Quando poi tornarono in Italia per il loro viaggio di nozze, rega-

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larono ad Alfredo un cucchiaio e una forchetta d’oro, con le loro firme, a ricordo della loro stima e della loro amicizia. Nel 1943 il ristorante fu acquistato da due camerieri del locale, Mozzetti e Salvatori, che continuarono a mantenere nel menu le famose fettuccine. Negli anni ‘50 Alfredo alla Scrofa divenne un indirizzo frequentato da attori, italiani e stranieri, e le fotografie di quei personaggi, tutti notissimi e famosissimi, sono testimonianza e racconto di un’epoca. Oggi la clientela è cosmopolita, e proviene soprattutto dal mondo di chi viaggia, ma l’atmosfera c’è ancora tutta. Lo chef è Sergio Peri, e lavora in queste cucine da circa 20 anni, così come il sommelier Marco Zambardi che è anche food & beverage manager. Con Mario Mozzetti e Veronica Salvatori, siamo oggi alla terza generazione di proprietari. Sono giovani, e si occupano attivamente della gestione e di nuovi progetti di


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Trésor

sviluppo, come la Alfredo’s Academy che ha ristoranti a Corfù, a Sofia, in Kuwait e che brandizza alcuni prodotti presenti sulla tavola, come un olio della Sabina, un aceto balsamico, e un’acqua minerale. Anche i vini Montresor, serviti nel ristorante, hanno il marchio Alfredo’s Academy in etichetta. Nei nuovi programmi di sviluppo è anche previsto il ‘Fettuccina Bar’ che si propone di esportare nel mondo, dalla Cina agli USA, il know how delle ‘Fettuccine Alfredo’ abbinandole a proposte di sughi e condimenti di qualità.

Il Mon Tresor è... LE FETTUCCINE ALFREDO La ricetta delle Fettuccine Alfredo prevede che la pasta si scoli dopo solo 20 secondi di cottura e che poi sia mantecata dal maitre di sala, al tavolo, con parmigiano 24 mesi e burro di fattoria. Ad alcuni ospiti è data una scatola-scrigno con le posate d’oro firmate da Mary Pickford e Douglas Faibanks. Abbiamo assaggiato le famose fettuccine, abbiamo usato le mitiche posate, ed abbiamo apprezzato la gestualità rituale della preparazione e la professionalità di chi ci ha servito. A nostro gusto, il tipo di pasta ha una consistenza che poco si presta per essere ‘al dente’, ma la rotondità dei sapori conquista sicuramente i palati. Per noi, a seguire, un piatto firmato Montresor, ovvero medaglioni di filetto all’Amarone Montresor e al gorgonzola.

ALFREDO ALLA SCROFA

Via della Scrofa, 104 - 00186 Roma Tel +39 06 68 80 61 63

www.alfredoallascrofa.com

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GOURMETFOOD

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RISTORANTEAGA

L’ESSENZIALITÀ SONTUOSA DI

AGA

NELLE FORME DI UNA NUOVA CUCINA ITALIANA di

Alessandra Meldolesi © Aromicreativi

foto

Non si arriva per caso a San Vito di Cadore, stazione delle Dolomiti che allinea i suoi caseggiati bruni lungo la via principale, impacchettati dentro un paesaggio severo che non si può non definire “sublime”. Su un lato, dietro il cuscinetto del parcheggio e del prato, proprio sotto le cime si staglia la sagoma gialla di Villa Trieste, edificio d’antan convertito al turismo gourmet. Dove è quasi invisibile l’insegna di Aga, ristorante balzato in cima all’agenda dei gourmet. È stato un 2015 da incorniciare, per Oliver Piras e Alessandra Del Favero, che l’hanno aperto due anni fa. Fuori dalla piccola sala del ristorante, con i suoi quattro tavoli nudi e le pareti in legno chiare che sembrano covare il calore dei sogni, si sono affastellati trofei e riconoscimenti: Emergenti per il Gambero Rosso e per Luigi Cremona, poi Top di domani per il Touring club e infine stella Michelin 2016. Lui un ragazzo di 29 anni, passato per le cucine dei grandi; lei un’ex maestra di sci, figlia dei titolari dell’albergo, diplomata ad Alma. Fra loro intesa, passione e una scintilla che è scoccata da Vittorio a Brusaporto, dove Alessandra stava svolgendo il suo stage mentre Oliver era già sous-chef. Oggi nella loro piccola cucina, che serve

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GOURMETFOOD

anche l’albergo, hanno un unico aiuto: alle 20, finita la pensione, esplode il coup de feu gastronomico, con i giovani cuochi che accorrono in sala per illustrare i piatti agli ospiti e intuirne le propensioni. La cucina è a quattro mani: quelle esperte di Oliver, chef ficcante ed estroverso, strette alle carezze di Alessandra, il cui temperamento è più concreto e misurato. “Sono cresciuto in uno scenario altrettanto incontaminato di questo, a Selargius, vicino a Cagliari; con mio nonno Angelo che mi portava a raccogliere i funghi nei boschi”, racconta Oliver, il più mediatico dei due. “Non so bene come e perché, a un certo punto ho cominciato a ossessionarmi. Ero sempre sintonizzato sul Gambero Rosso Channel e collezionavo riviste; ogni anno non vedevo l’ora di accaparrarmi la Michelin, anche se i miei amici non capivano. Così dopo la terza media ho scelto l’Alberghiero di Cagliari e ho iniziato ad accumulare una biblioteca che oggi conta 200 volumi, da Sadler a Pascal Barbot, il mio preferito. Ricordo che mi mettevo a cucinare di nascosto da mia madre, che temeva sporcassi. Ma lei se ne accorgeva sempre”. Dopo uno stage a Strasburgo, utile per imparare il francese, c’è subito il salto felino nel gastronomico con Roberto Petza, Alberico Penati e niente meno che Joël Robuchon, nell’arco di due anni a Londra. “Ricordo che ogni tanto arrivava, come un’apparizione. Dava una stretta di mano ma non sapeva il nome di nessuno. Sono rimasto impressionato dalla cura del dettaglio e dall’organizzazione; dalle influenze asiatiche, che mi erano ignote, e da tecniche classiche che tuttora impiego, per esempio nella cottura delle carni sulla padella di ferro, con i relativi tempi di riposo”. L’Italia tuttavia chiama ed è la volta di Vittorio a Brusaporto,

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prima in veste di commis, poi da capopartita e per finire nel gruppo dei sous-chef. Sono quasi quattro anni spesi a investigare la materia pesce, cogliendo l’occasione di qualche stage nei gangli strategici della cucina mondiale. Il Celler de Can Roca, particolarmente stimolante in pasticceria, come il Noma, scuola di vegetali, fermentazione e foraging, con il suo stile di dressage e i piatti finiti al tavolo. “Poi è successo che per amore ho seguito Alessandra in montagna. Un paio di stagioni al Rosa Alpina di Norbert Niederkofler mi sono state utili per familiarizzare con i prodotti di montagna. Ed è stata la volta di Aga, inizialmente in chiave nordica, per le peculiarità del contesto, e anche per attirare l’attenzione; poi sempre più italiana”.

L’ESTERO È L’ISPIRAZIONE. MA LA PROSSIMITÀ È LA REGOLA Ma il 2015 è stato anche l’anno di un viaggio in Giappone, che ha aiutato a precisare lo stile. “Ci siamo resi conto che tante cose, viste in Spagna o in Danimarca, venivano da lì. E la cena da Ryugin è stata una folgorazione, per la lavorazione dei vegetali, i brodi e l’integrità di una cucina, praticamente priva di grassi”. È entrato in dispensa anche qualche ingrediente, come yuzu, shiso e umeboshi, che però non diventano mai protagonisti: la prossimità è la regola, o meglio ancora l’alta quota. Ci sono le verdure dell’orto sotto l’Antelao, pittoresco ring per la coltura di sementi scelte, con il supplemento di un’azien-


RISTORANTEAGA

da agricola locale; è a regime dal mese di maggio, ma in inverno, per esempio, si utilizzano le radici estratte dal terreno per i brodi. E soprattutto le erbe aromatiche classificate e trapiantate in vaso con l’aiuto di un botanico e un forestale: quaranta varietà del luogo (più una decina di bacche), collocate accanto alla lavastoviglie per l’effetto serra. La raccolta ha luogo in stagione, tutti i giorni per un’ora dopo il servizio del pranzo, a opera di tutta la brigata. Il pesce è tutto e solo di acqua dolce (gamberi di fiume, trota, salmerino, talvolta con la produzione di bottarga per citare la Sardegna) e laddove è necessario un cereale, si privilegiano l’orzo, l’amaranto o la pasta secca Felicetti, prodotta in Trentino. Anche la cantina ha sposato l’altimetro, con le bottiglie di montagna in prima fila. Il risultato è originale: in assenza di un magistero ben preciso, a prendere forma è una nuova cucina italiana, nel gusto e nelle sequenze, che culminano in superbi primi piatti. Al loro servizio si pongono tecniche ed elementi di diversa matrice, che per una sorta di mossa del cavallo finiscono per enfatizzare la territorialità del messaggio, ricreando sensazioni nordiche di affumicato, balsamico o liquidità corroborante attraverso elementi alloctoni. La stratificazione stilistica ne risulta arricchita, con il suo coerente assemblaggio di motivi classici, primitivisti e d’a-

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GOURMETFOOD

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RISTORANTEAGA

vanguardia dovuto al cursus honorum di Piras, con Cogo il più completo fra i giovani fuoriclasse italiani. Altrettanto giapponista, ma più astratto, scarnificato e maturo. L’elemento originario, dalla Sardegna alla Danimarca, ai ghiacciai, ha soltanto cambiato cornice, per un tasso di naturalismo immutato. Mentre di “classico”, oltre alle cotture, resta il senso dell’equilibrio, sempre saldo nel piatto, raggiunto però per via originale, temperando la rotondità attraverso note provocatorie quali la tannicità, la scossa elettrica delle spezie, l’alcol, in prospettiva il rancido e l’ossidato. Variabile il numero degli ingredienti, da un minimo di tre fino a una dozzina, molti dei quali presenti come accenni in composizioni complesse. Fra le tecniche, spazio alla fermentazione e alla Greenstar; poco o nulla sottovuoto. L’utopia è ancora quella di Eurasia, che non ha smesso di ispirare l’alta cucina dai tempi della nouvelle cuisine, sulle orme dei fratelli Troisgros e di Gualtiero Marchesi.

COMFORT FOOD IN DEGUSTAZIONE I menu degustazione sono due, entrambi a sorpresa, composti di 5 e 8 portate al prezzo di 65 e 85 euro; ma c’è anche la carta, per quanto breve, con le sue tre proposte per portata dal tasso di sperimentalismo variabile. Fra gli antipasti, la trota servita in forma di nigiri italiano, con il filetto rassodato nel sale adagiato sulla bran-

SFOGLIA DI MELA VERDE rapa di Chioggia, coriandolo e caviale INGREDIENTI

2 rape striate, 2 mele verdi, g. 300 di aceto balsamico di mele, g. 50 di scorza di limone, g. 150 di olio evo, g. 300 di aceto di riso, g. 24 di sapa, g. 20 di coriandolo in foglie, g. 20 di succo di zenzero (da zenzero

fresco, estratto), 1 cipolla rossa, g. 40 di zucchero, g. 24 di caviale Asetra, sale e pepe.

PROCEDIMENTO

Per le rape: tagliare le rape con un apposito macchinario che ne ricava delle sfoglie. Cuocere a vapore 90°C per 4 minuti; raffreddare in acqua e ghiaccio.

Per le mele: tagliarle sottili e ricavarne delle sfoglie.

Per la vinaigrette: cuocere a vapore sottovuoto l’olio con le bucce di

limone per 1 ora, quindi filtrare. A parte ridurre gli aceti e la sapa. Unire il tutto assieme all’olio e al limone. Mixare.

Per le cipolle: pulire e mondare le cipolle, quindi sfogliarle. Metterle

nell’aceto, acqua e zucchero. Portare ad ebollizione e lasciar raffreddare. Ricavarne una julienne.

Assemblamento: procedere come una lasagnetta; alternare le rape con

le mele, la vinaigrette, il sale e il pepe. Raccogliere e dare una forma nel piatto. Disporvi il caviale, il coriandolo e la julienne di cipolle agre.

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GOURMETFOOD

RAVIOLI DI ZUCCA

testina di maiale, prugne fermentate e amaro del Cadore INGREDIENTI

Per le prugne: tagliare le prugne a metà,

maiale tagliata a metà, 10 carote, 10 ci-

rare per 4 giorni sottovuoto a temperatura

g. 500 di pasta fresca all’uovo, 1 testa di polle, 5 prugne, 1 zucca Delica, 5 foglie di Shiso, l. 0,5 di amaro del Cadore. PROCEDIMENTO

Per la testa: in una pentola mettere le verdure e le due mezze teste, coprire con acqua, aggiungere un pugno di sale grosso

e lasciare sobbollire per 10 ore. Scolare, spolpare, condire con sale e pepe e lasciare raffreddare in un contenitore quadrato.

Per la zucca: cuocere in un cartoccio a 200°C per 40 minuti. Frullare e condire.

dade dello stesso pesce, ma acidulato e mantecato con patate e olio infuso alla brace, per la nota di barbecue. Sul piatto con schizzi di estratto di alloro e spuma di rafano selvatico, piccante e leggermente tannico, secondo un abbinamento del territorio. Oppure il refresh della splendida rosa di rapa di Chioggia sbollentata e mela verde, (qui sotto) ispirata all’insalatina di indivia belga di Joël Robuchon. Gli ingredienti sono numerosi, dalla polvere di radicchio per l’amaro al caviale, che bilancia l’acidità e cita l’ittico; dal coriandolo, vettore di sapidità, alla spruzzata finale di estratto di zenzero, che ricrea la sensazione dei pickles serviti insieme al sushi, con un morso più croccante. Direttamente dalla terra, il floreale di una bocca profumata. Pulizia. Straordinari i primi piatti. I ravioli ripieni

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di zucca al forno, testina alla senape e purea di umeboshi (le prugne fermentate giapponesi) pesate al bilancino, serviti sconditi con mezza foglia di shiso verde e una spruzzata di Amaro del Cadore, a base di iperico e melissa. Una pasta dall’opulenza padana, puro comfort food, bilanciata nella grassezza e nella tendenza dolce dal liquore, appena ridotto per una maggiore presa sulla sfoglia. Dove l’erbaceo con il suo gusto amaro finisce per svolgere la funzione di un burro e salvia d’avanguardia, con l’alcol a fare le veci del grasso. Oppure le linguine portate a cottura in una miscela di mirtilli rossi e neri, nelle proporzioni del 70 e del 30%, in modo da ricostruire l’acidità di un pomodoro estivo, misurata al piaccametro. Il modello è quello di una classica pasta con la salsiccia, che in questo caso è cruda e

condirle con il 2% di sale e lasciarle matuambiente. Frullare con il mixer.

Per il raviolo: tagliare la testa di maiale in cassetta, a 2 millimetri di spessore; coppare. Disporre sopra ad ogni disco di testina la crema di zucca e circa 1 gram-

mo di prugne fermentate. Farcire i ravioli e cuocere in acqua per 4 minuti.

Spennellare i ravioli con la riduzione di amaro del Cadore e servirli con un pezzo di foglie di Shiso e qualche goccia di olio di semi di zucca.

di Bra, più una spolverata di luppolo che con il suo tannino asciuga la salivazione indotta dall’acidità e la succulenza dei bocconi di carne. Tanto lineari quanto arditi i secondi: il salmerino all’origano servito con capperi di sambuco (messi sotto sale e sott’aceto al ristorante) e brodo di petali di rosa secchi, ridotto fino a evidenziare una tannicità aggressiva, che ripulisce la grassezza di un pesce cresciuto in acque ghiacciate; oppure il cuore di manzo, scottato in padella di ferro fino alla temperatura di 55°C e lasciato riposare al caldo per mezz’ora in modo da ridiscendere a 40°C e ridistribuire i succhi, ottenendo una testura asciutta. La sua carica ematica è mitigata dall’acidità della salsa ponzu con un esito di grande delicatezza, che entra nel circolo di amaro vegetale (il cavolo nero stufato, in estratto e


RISTORANTEAGA

FARAONA

cime di rape, brodo alla rosa canina INGREDIENTI

1 faraona, 2 mazzi cime di rapa, g. 40 di istachys, g. 200 di rosa

canina secca, g. 50 di radici di levistico, g. 40 di abrotano, g. 5 di aglio fermentato, g. 500 di brodo di faraona. PROCEDIMENTO

Disossare la faraona quindi cuocere le cosce (senza osso) a 120°C

per 40 minuti. Per il brodo: portare ad ebollizione il brodo di carcasse di faraona, quindi aggiungervi la rosa canina, l’abrotano, l’aglio fermentato e le radici di levistico. Lasciare in infusione finché raffredda; filtrare quindi condire con sale e pepe. Cuocere il petto al barbecue e lasciare riposare 40 minuti a 50°C. Spadellare le cime di rapa con gli istachys e disporle sul piatto. Completare con il petto e la coscia. Servire con il suo brodo.

in foglia essiccata) ed elettricità speziata (l’estratto di pepe di Sichuan), che quasi anestetizza il palato. Per dessert il quasi gin tonic di gelato al pino mugo e crema pasticciera all’acqua tonica, servito con kiwi candito e zucchero filato, in stile Roca; oppure il gelato di pepe nero di Sarawak sgrassato dalla spuma di pere acerbe, spruzzato di estratto di levistico e rivestito di cialda al caramello. Con l’alternativa di un piccolo classico della casa: la bavarese di fieno d’alpeggio con spuma di latte di malga e croccante al cioccolato bianco e orzo soffiato, dove le tecniche della pasticceria classica si inerpicano per i sentieri sconnessi di San Vito. Il dressage, particolarissimo, è ottenuto filmando il piatto e lasciando solidificare il dessert in posizione verticale dentro il cestello della lavastoviglie, fino a ottenere una secante della circonferenza in porcellana: un’abbacinante fanopea dell’alta montagna. AGA RISTORANTE

Via Trieste, 6 - 32046 San Vito di Cadore (BL) Tel. 0436 890134

www.agaristorante.it

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GOURMETFOOD

DANIEL

CANZIAN

E LA SUA CUCINA SEMPLICEMENTE ELEGANTE CHE OMAGGIA MARCHESI, MA SI CONTAMINA CON L’ORIENTE E L’AMERICA LATINA di

Alessandra Meldolesi

© Bruno Taddei

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DANIELCANZIAN

NEL SEGNO DI MARCHESI Milano più che mai, da almeno 30 anni. Si fatica a immaginare un packaging diverso per il motore della cucina italiana, fra lo squarcio dei grattacieli delle Varesine e il melting pot che si rovescia per le strade, lo sprint degli indici di borsa e quello delle fuoriserie; più che mai dopo Expo, palestra per le contaminazioni globali. Daniel Canzian vi è arrivato in tempi non sospetti per cucinare un certo sentiment cittadino, fatto di continenza ed eleganza, forma e rigore. Nel filone del milanesissimo Gualtiero Marchesi, di cui è uno degli allievi più fedeli. Era l’ottobre del 2013 quando ha inaugurato il suo Daniel, il leggio del menu sul marciapiede di via Castelfidardo, ai piedi di una palazzina liberty. Dove un tempo si ballava e si bevevano drink, l’infilata luminosa dei tavoli con i loro 60 coperti; sulla destra, subito dopo l’ingresso, l’apertura della cucina a vista, priva di qualsiasi barriera, fosse pure un vetro divisorio. E la barra, come in un sushi bar, richiestissima soprattutto a mezzogiorno da uomini d’affari e ragazzi della porta accanto, accuditi da giovani camerieri in gilet. Il posto giusto per mettersi alla prova anche imprenditorialmente. Con il Maestro, più che un addio un arrivederci, dopo 8 anni di collaborazione ininterrotta. Era iniziata a Erbusco, tappa di un percorso passato per il ristorante di famiglia a Conegliano Veneto, l’alberghiero, il battesimo

gourmet al Tivoli di Cortina d’Ampezzo e il Dolada di Enzo De Prà. “Era il 2004 e a Berton stava subentrando Molteni, con cui ho girato tutte le partite. Poi nel 2008 ho avuto l’opportunità di passare al Marchesino, prima come secondo, poi come chef. E si sono innescati una serie di meccanismi meravigliosi, che mi hanno catapultato nuovamente a Erbusco, ma da executive”. “La cosa bella è che con te mi capisco al volo: tu e Paolo Lopriore siete i cuochi con cui ho lavorato meglio. Tanto che i tuoi piatti li riconoscerei a occhi chiusi, per la matericità e per lo stile”, dice Marchesi, che con Canzian ha messo a punto classici d’oggi come il gulasch di tonno: suo lo spunto del tonno alla cipolla, poi centrato nella speziatura e nella cottura in tataki. Una fusione di orizzonti che prosegue nel nuovo ristorante, dove Marchesi si ferma spesso a mangiare per uno scambio di idee, incalzato dalla richiesta di stimoli e consigli. Ed è stato sempre lui a mettere in contatto Canzian con i Troisgros, accompagnandolo personalmente a Roanne nel “giorno più bello della mia vita”. Dopo di che sono venute le cene a 4 mani presso la Maison di Tokyo, utili per familiarizzare con la cucina orientale; i proficui scambi con Michel e César, tanto che il loro champagne campeggia in carta in esclusiva per l’Italia. Il gusto marchesiano, fatto di pulizia e di separazione fra gli elementi sul piatto, vibra così di una diversa acidità dall’inizio alla fine del pasto. Ma Canzian procede anche per attualizzazioni, ad

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GOURMETFOOD

esempio ampliando il raggio delle contaminazioni dal Giappone all’America Latina e all’Oriente in generale, grazie all’effetto Expo, e facendosi carico di intolleranze e idiosincrasie alimentari, con una costruzione relativamente personalizzabile del piatto (vedi la limitazione dei latticini). Del Maestro permangono il metodo della sottrazione, la ricerca della massima semplicità e linearità compositiva; anche i voli pittorialistici, come nel caso dei dessert ispirati ad Arnaldo Pomodoro. A tutti gli effetti una nuova nouvelle cuisine incardinata sugli assi del mercato, della stagionalità e dell’italianità.

IL MENU DEL MERCATO. E DINTORNI I menu degustazione, disponibili la sera, sono due: A tutto tondo, con 4 portate a 50 euro, e Impressioni di stagione, che ne conta 6 a 70 euro, 100 con l’abbinamento di altrettanti calici. Mentre la formula del pranzo è concepita per non appesantire chi lavora e valorizzare la freschezza del mercato attraverso piatti semplici e diretti che cambiano ogni giorno, talvolta ispirati alle usanze familiari della città, come gli gnocchi il giovedì, magari di zucca o ripieni, per un prezzo che oscilla fra 18 e 25 euro.

Nascono spesso al vicino mercato di San Marco, dove Canzian si reca per acquistare pesci e vegetali, sulle orme dei Troisgros che a Roanne sfilano fra i banchetti ogni venerdì mattina. Ma nelle celle ci sono anche le verdure di Terra Madre, raccolte nel circondario lombardo, i pesci di un fornitore ligure e le carni della macelleria l’Annunciata. Materie selezionante per la qualità e non per lo status, “perché voglio fare una cucina semplice e preferisco avere in carta un grande pesce azzurro rispetto a un astice, con i problemi di reperibilità e di prezzi che comporterebbe”. In accompagnamento ci sono le 150 bottiglie selezionate da Simone Marelli, che dopo il Marchesino è cresciuto professionalmente a Londra.

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DANIELCANZIAN

RISOTTO

al limone, sugo d’arrosto e liquirizia INGREDIENTI per 4 persone

Portare a cottura mescolando di tanto

g. 40 di limone in salamoia

Tagliare le bucce di limone candito a

g. 320 di riso Carnaroli

g. 40 di vino bianco secco

g. 900 di brodo leggero di pollo g. 80 di burro

g. 40 di parmigiano grattugiato g. 60 di burro acido liquirizia in polvere

g. 40 di sugo d’arrosto PROCEDIMENTO

Tostare il riso in una casseruola con po-

co burro, salandolo leggermente. Sfu-

mare con il vino bianco secco, far evaporare, bagnare con il brodo bollente.

in tanto.

concassé piccola.

Allontanare la pentola dal fuoco, unire il burro, il parmigiano e il limone in salamoia: coprire con un panno e lasciar

riposare per qualche minuto in modo da rilassare il riso. Mantecare energicamente con il mestolo, aggiungere po-

chissimo brodo per conferire la classica

consistenza “all’onda”, quindi correggere di sale. Stendere a velo il risotto sui

piatti, dressare leggermente il riso con il sugo d’arrosto, cospargervi la polvere di liquirizia. Servire.

Perennemente in fieri, si vanno orientando sempre più verso piccole cantine, biodinamici e naturali, con la massima disponibilità verso il diritto di tappo. Nel cestino grissini nature, al curry e alla paprica, focaccia, pane al burro e integrale. Dopo gli appetizer, fra cui il curioso grissino farcito e fritto, arriva in stagione il carciofo alla giudia scavato, riempito di mousse di pecorino, gambo e mentuccia, poi gratinato. Nel filone delle rivisitazioni marchesiane. Seguono primi di rango. Il risotto (quasi) alla Parmigiana, portato a cottura nel brodo di gallina affumicato al tè nero, mantecato al burro acido e spolverizzato di paprica affumicata, tè nero e curry di Madras, per cominciare. Dove la nuova miscela speziata dello chef, esaltata dalla grassezza del riso, sta a rappresentare il messaggio di Expo: la reunion dei diversi continenti su basi italiane. Oppure quello mantecato con limone in salamoia e succo di limone, insaporito e ingrassato dal sugo d’arrosto, ricco, tostato, caramellato, con la liquirizia in fondo per ripulire il palato. Il piatto firma di Canzian però è lo straordinario minestrone, sempre presente in carta, la cui composizione varia secondo la stagione. Ci sono gli ortaggi del momento saltati all’extravergine, con una robusta aggiunta di cavoli e legumi all’arrivo del freddo, la cipolla lasciata struggere fino a disfarsi in dolcezza, foglioline di sedano per la fragranza e un amaro leggero; soprattutto non manca mai l’acqua di pomodoro, al top nel mese di settembre grazie all’ultima raccolta, che con la sua acidità provoca l’effetto intermezzo, resettando il palato. “Il desiderio di riproporre il minestrone mi è venuto ascoltando Marchesi, che ricordava verdure croccanti mangiate in Spagna. Cercavo la chiave e ad aiutarmi è stato Michel Troisgros con la sua ricetta di eau de tomate, da usare al posto del brodo. Poi ha voluto assaggiarlo e gli è piaciuto”. Fra i secondi lo sgombro in tempura di quinoa soffiata con salsa agrodolce di

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GOURMETFOOD

SFERA ARNALDO POMODORO INGREDIENTI per 4 persone

Per la salsa granadilla

g. 160 di mousse al cioccolato peruvia-

perarne semi e succo, frullare il tutto e

8 semisfere in cioccolato temperato, no, g. 40 di quinoa caramellata, g. 160 di lucuma mousse, salsa alla granadilla.

zucchero, g. 380 di cioccolato, g. 400 di

mentare. Inserire all’interno delle mezze

di vaniglia.

Montare tuorli e zucchero. Far bollire il

latte con la vaniglia, unire i tuorli mon-

RISTORANTE DANIEL Milano

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ruola e ridurre del 50%. PROCEDIMENTO

panna, g. 120 di bianco d’uovo, 1 bacca

Via San Marco angolo Castelfidardo

setacciare. Posizionare tutto in casse-

Per la mousse di cioccolato

g. 250 di latte, g. 160 di tuorli, g. 200 di

stampo marchesiano, per un crunch particolare e globale, e il galletto in crosta di arachidi con salsa “all’italiana”, una portoghese profumata al basilico e non al dragoncello, con contorno di stagione e cremino di insalata russa. Dove le basi classiche sfumano in sensazioni impreviste di cacciatora e ketchup su un nocciolato assai pop. Soprattutto il rognoncino spadellato intero ma senza grasso, glassato con fondo di vitello alla senape e servito a lobi ben rosati con i porcini trifolati alla melissa. Il dessert è un altro piatto firma. Si tratta della sfera Arnaldo Pomodoro, scultore prediletto di Marchesi, che ne ha descritto le meraviglie a Canzian. Ecco quindi la palla metallizzata di cioccolato fondente con le due metà socchiuse, intercalate da dischi per creare profondità e farcite di quinoa caramellata e composta di mango o marron glacé, che al tavolo si sciolgono leggermente sotto un fiotto di brodo di maracuja, ennesimo ricordo latino.

Aprire i frutti a metà (80 grammi), recu-

tati e far pastorizzare. Aggiungere il cioccolato a pezzi. Montare la panna e

aggiungerla al composto. Montare gli albumi e unirli alla fine all’impasto. Raffreddare.

Spennellare le semisfere con l’ oro alisfere la mousse di lucuma e la mousse

di cioccolato. Spolverare di quinoa caramellata. Per dare lo spessore classico della scultura di Pomodoro, inserire due dischi di cioccolato fondente. Unire le due mezze sfere. Sciogliere poco cioccolato e adagiarlo alla base del piatto. Adagiare sopra la sfera di cioccolato.

Dressare il piatto con la salsa granadilla calda, che ammorbidisce il cioccolato.

Per la mousse di lucuma

PRESENTAZIONE

montata, g. 25 di colla di pesce.

re una goccia di coccolato fondente al

g. 500 di polpa lucuma, kg. 1 di panna

Sciogliere la colla di pesce precedente-

mente ammollata in poca acqua. Frullare la lucuma. Inserire la colla di pesce nella polpa di lucuma e frullare nuovamente. Montare la panna e unirla alla base di lucuma.

Posizionare in un piatto freddo. Adagiacentro del piatto, e prima che si solidifichi posizionare sopra le sfere ripiene in

diagonale (in questo modo resteranno bene in equilibrio) in modo tale da rappresentare la scultura dell’artista. A ta-

vola versare la salsa tiepida sopra le sfere in modo da ammorbidire il coccolato.



GOURMETFOOD

A BOLOGNA

DARIO PICCHIOTTI E LA SUA CUCINA EMOZIONALE di

Maria Chiara Zucchi e Roberta Filippi

A soli quindici minuti dal centro della città di Bologna, immersa nella calma della campagna e ancora a stretto contatto con la natura, l’Antica Trattoria di Sacerno è un locale che già dall’esterno chiarisce immediatamente la sua vocazione: un antico casolare ristrutturato, accogliente, molto curato senza essere pretenzioso, che vuole diventare meta irrinunciabile per chi ama il comfort-food Lui, Dario Picchiotti, della cucina di pesce è giocoliere, saltinbanco, funambolo, acrobata, contorsionista ed equilibrista. Gli piace talmente praticarla nel suo bel ristorante tra il verde della campagna bolognese, da farne un divertimento e una sfida

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continua, per lui e per gli altri. Già l’aspetto e l’irruenza del personaggio “un po’ fuori dai coppi” ne anticipano la filosofia, che è sostanzialmente, ma riduttivamente, quella dell’ossimoro, dell’impegno però scanzonato, di una passione totalizzante però divertita, da offrire ad un pubblico che vuole essere coinvolto e stare al gioco. “Il mio è un ristorante di pesce, vi sto servendo la mia nemesi” chiosa Picchiotti mentre a tavola viene servito un cucchiaio di salmone canadese red con panna acida e aneto, piatto simbolo della qualità assoluta della materia prima. Il pesce dell’Antica Trattoria di Sacerno – rigorosamente pescato e mai di allevamento – arriva a Bologna dai migliori mercati di Chioggia, Cesenatico, Sardegna, Sicilia e Puglia. Fiore all’occhiello della proposta gastronomica: i crudi, tra cui si distingue una tartare di gamberi gobbi con soia e limone amaro. Ci colpisce, di seguito, seppia, ricci e cime di rapa (foto a lato), piatto da pescatore per la rustica saporosità della seppia sporca, in equilibrio con la piccantezza del riccio di mare naturale e in polvere: un gusto selvatico che si unisce a quello amarognolo erbaceo delle cime di rapa.


DARIOPICCHIOTTI

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GOURMETFOOD

LA STRADA VERSO LA CAPANNA DI ERACLIO

SPAGHETTI AGLI ZOTOLI con burro affumicato ed estratto di erbe INGREDIENTI

g. 200 di zotoli

g. 400 di spaghetti Carla Latini g. 20 di burro

g. 4 di sale affumicato

g. 200 di erbe aromatiche fresche (acetosella fondamentale) PROCEDIMENTO

Pulire e lavare bene gli zotoli. Cuocere gli spaghetti. In una

padella antiaderente mettere il burro precendetemente

manipolato con il sale; saltarvi gli zotoli. Passare le erbe

fresche nell’estrattore e riporre l’estratto in frigo; una volta cotti gli spaghetti, saltarli con gli zotoli. Realizzare i nidi nei piatti e macchiarli con l’estratto di erbe.

Il successivo brodetto di Picchiotti consiste in un doppio brodo di carne versato caldo nel piatto, atto a reidratare il pesce che sembra esser appoggiato sulla sabbia, qui ricreata con succo ai frutti di mare disidratato, alghe, aglio, olio e peperoncino: il connubio carne-pesce rappresenta un convincente rimpallo tra gusti opposti e affini e costituisce la personale versione di Dario dell’orientale ramen. Lo spaghetto agli zotoli con burro affumicato alle erbe è invece un palese omaggio alla cucina delle valli ferraresi della Capanna di Eraclio, alla cui patronne Maria Grazia Soncini Dario dice di dovere ideologicamente molto. E infatti il piatto è pienamente riuscito, ricco di una sapidità salmastra, di densi toni amaricanti che non riusciremmo a definire se non come delicatamente “paludosi”. Ode contemporanea alla Bologna dell’800 i balanzoni di bollito, gamberi rossi, canolicchi, arance e capperi, piatto di recupero per via del bollito, ma piatto gastronomico nella sua digressione verso il mare. Si cambia nettamente registro con il nostalgico risotto con champagne Krug (il ristorante è Krug Ambassade) che Picchiotti esegue come si faceva negli anni ‘70, alla lampada, e davvero (sigh!) con il Krug, malgrado lo implorassimo di usare al suo posto un più modesto frizzantino. Esagerazione nell’esagerazione, così come si confà al nostro anfitrione, il risotto è cosparso non già di parmigiano, bensì con polvere di ostriche e germogli di rapanello a bilanciare l’ulteriore grassa sontuosità del foie gras.

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DARIOPICCHIOTTI

La presenza piacevolmente ingombrante dello chef non mette tuttavia in ombra quella più discreta di Giada Eleonora Berri che, oltre ad essere proprietaria e sommelier del ristorante, segue con garbo il servizio di sala. Socia dal 2012 e compagna di Dario - ma nel 2014 si aggiunge a loro, nella gestione, anche il giovane Mario Solomita, 23 anni, sous chef di cucina - questa necessaria figura femminile ha saputo creare con competenza una carta importante (circa 450 etichette), a tratti originale grazie all’immissione di prodotti locali o di nicchia che denotano una lodevole curiosità unita ad una precisa autonomia critica. Apparente acqua cheta, ma di quelle che nel tempo erodono i ponti, Giada lascia volentieri la scena al compagno, sorridendo con amabile ironia quando lui si racconta con rumorosa vitalità:“Nella locanda della Colonna a Tossignano, dove iniziai, ho capito cosa voleva dire provare a fare una ristorazione di alto livello che non si fermasse alla sola cucina, ma che fosse

BALANZONI

di bollito, gamberi rossi, canolicchi, arance e capperi INGREDIENTI Per i tortelli

g. 300 di bollito misto di carne (questa ricetta nasce per dare una seconda vita

alla carne del brodo), g. 100 di ricotta, g. 100 di mortadella, g. 800 di farina 0, 6 uova.

Per il condimento

40 cannolicchi, g. 16 di rossi, 2 arance, 12 capperi. PROCEDIMENTO

Frullare la carne da brodo con la ricotta e la mortadella con sale e pepe. Stendere la sfoglia, tagliare dei quadrati di cm. 5 per 5 e mettervi al centro il ripieno; chiuderli a triangolo e poi a ombelico di Venere. Una volta pronti i tortelli,

riporli in frigo. Pulire i cannolicchi e i gamberi rossi. Spremere le arance e tritare i capperi.

Mettere a cuocere i tortelli in acqua bollente salata e scolarli quando vengono a galla. Nel frattempo soffriggere i capperi con poco olio di oliva e quando risul-

teranno rosolati, saltarvi i cannolicchi e i gamberi, da sfumare col succo di arancia. Mettere i tortelli in padella con il loro condimento e saltarli con olio evo.

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DARIOPICCHIOTTI

GOURMETFOOD

ANGUILLA E RADICCHIO con brodo di miso d’orzo INGREDIENTI

g. 800 di anguilla aperta e privata della spina dorsale, 2 radicchi

tardivi, g. 400 di fumetto di pesce e gusci, aceto di riso, polvere di carboni vegetali (per ricreare la sensazione della griglia), g. 20 di miso in pasta.

PROCEDIMENTO

Spellare l’anguilla (importante è che sulla pelle non rimangano

tracce della polpa). Tagliare la pelle ottenuta in pezzi più piccoli e metterli a bollire in acqua salata; quando diventeranno molto

morbidi, scolarli e asciugarli, dopodiché porli nell’essicatore finché

non saranno totalmente disidratati. Con la polpa dell’anguilla salata

e pepata realizzare dei rotolini regolari avvolti nella pellicola ben stretti prima di chiuderli sottovuoto. Settare la temperatura del ro-

ner a 68°C per 4 ore. Sciogliere il miso nel brodo di pesce e gusci e tenerlo in caldo. Pulire e lavare il radicchio e poi condirlo con aceto di riso, olio evo e sale. Friggere le pelli di anguilla e scolarle su

carta assorbente. Tagliare a rondelle spesse (2 centimetri) i rotolini

e scottarli dai due lati su una padella antiaderente rovente senza grassi; adagiarli su una teglia e poi in forno; unire il radicchio su un piatto con un pezzetto di pelle e poi l’anguilla spolverata di carboni vegetali e, davanti agli ospiti, aggiungere il brodo di miso.

in grado di emozionare anche tramite la cantina e l’accoglienza dell’ospite. Il nostro ristorate deve riuscire a soddisfare il cliente ma, contemporaneamente, deve costruire anche uno stimolo costante per chi, ogni giorno, ci lavora. All’Antica Trattoria di Sacerno propongo una cucina che vuole esaltare le materie prime, selezionate tra le migliori disponibili, a volte tramite sensazioni più immediate, rassicuranti o tradizionali, altre tramite accostamenti più arditi o inusuali, che mirano a valorizzare qualità più nascoste, sempre e comunque con il criterio di esprimere al massimo le proprietà del prodotto” spiega lo chef. L’aragosta scottata, maionese vegetale e broccoli, l’anguilla con radicchio e brodo di pesce all’orzo anticipa-

no il trionfo di dolci e concludono la nostra degustazione che ha avuto luogo nella grande sala centrale, alternativa a quella disponibile al piano superiore, ideale per raccogliere gruppi o pranzi aziendali e incontri più informali. D’estate il locale si sposta all’aperto, nel piacevole dehors. Quella offerta da Giada e Dario è la risposta adeguata a chi, a pochi minuti dal centro di Bologna, cerca un ambiente elegante ma non troppo formale, un’accoglienza piacevole, una cucina vivace e interessante all’insegna della qualità. Si aggiunge il pregio del fattore umano riscontrabile nel garbo di Giada e nella vulcanica giovialità di Dario: dietro ai suoi tatuaggi si nasconde un gentleman e uno chef di pregio.

ANTICA TRATTORIA DI SACERNO Via di Mezzo Levante 2/b

40012 Sacerno di Calderara di Reno (BO) - Tel. 051.6469050 www.sacerno.it

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Giovani talenti

DANIELE D’ALBERTO PROTAGONISTA IN UN PROGETTO CULTURALE DI AMPIO RESPIRO di

Antonietta Mazzeo Andrea Amadori

foto piatti di

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DANIELED’ALBERTO

Arte, alta cucina e accoglienza: il BR1 - affascinante struttura multi-spazio posta sul Belvedere di Montesilvano Colle (PE), di proprietà di Bruno Peca (da qui l’acronimo), nata dal recupero di un palazzo settecentesco - è un luogo dove, nel tempo, la creatività ha trovato una dimensione semplice ma unica. La molteplicità delle formule espressive confluisce nel nome UNO: “… UN contenitore di storie, UNA casa d’arte e per l’arte UN luogo di ospitalità e di convivialità, UNO spazio fisico, ma dai confini trasparenti, pronto ad accogliere e a trasmettere, a rinnovare continuamente il suo nucleo …” Tradotto da spazio culturale a ristorante, con l’ingresso della cucina all’interno del salone principale, il BR1 ha dunque cambiato veste, senza però perdere identità. Prezioso è stato il contributo al progetto derivante dalla collaborazione con l’Associazione Gastronomica Fud! Espressioni di Gusto, di Francesco Cinapri, e di sua moglie Annalisa Colangeli, che hanno creato brevi rassegne gastronomiche, promuovendo i giovani talenti della ristorazione abruzzese. Dallo sviluppo di questi eventi e dall’incontro tra Bruno Peca, Francesco Cinapri e lo chef Daniele D’Alberto, ha avuto origine nel 2015 il nuovo progetto permanente, dove arte, cibo, vino e accoglienza si uniscono creando attuali e sorprendenti equilibri. L’arte è il “motore immobile” di questo progetto: le pareti, i menù e la carta dei vini accolgono le opere degli artisti selezionati da Martina Peca, che si aggiungono ai lavori permanentemente in esposizione di Pep Marchegiani, artista abruzzese, considerato uno dei maggiori rappresentanti della Pop Art internazionale. Uno degli elementi distintivi e caratterizzanti del ristorante è appunto la cucina situata in sala. Priva di barriere e con una completa visibilità da ogni tavolo, crea un contatto diretto e immediato con la clientela, che può interagire, porre domande e farsi raccontare la preparazione dei piatti. Daniele D’Alberto, classe 1987, vincitore del premio Chef Emergente Abruzzo 2014, si diploma all’Istituto Alberghiero De Cecco di Pescara nel 2006, e fa la sua

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Giovani talenti BR1 CULTURAL SPACE Largo Belvedere

Borgo Antico di Montesilvano Colle (PE) Tel. +39 0854688101

www.br1culturalspace.it info@br1culturalspace.it

prima lunga esperienza presso l’Hotel Villa San Carlo Borromeo a Senago nel ruolo di commis di cucina. In seguito Daniele inizia a girare l’Italia lavorando in diversi hotel e ristoranti come commis di cucina, occupandosi anche della pasticceria, una delle sue grandi passioni. Dal 2011 le esperienze nei ristoranti “stellati”, la prima a “Casa Vissani“ a Civitella del Lago come chef capo-partita, la seconda presso il ristorante La Madonnina del pescatore di Senigallia con Moreno Cedroni, e poi al Pellicano da Sebastiano Lombardi a Porto Ercole. Il suo sogno nel cassetto non era quello di essere uno chef ma quello di diventare un grande chef (!) e il sogno si realizza nel novembre 2015 quando diventa chef patron del ristorante BR1 Cultural Space a Montesilvano Colle, dove all’occorrenza lascia spazio anche ad altri professionisti, ospiti per serate tematiche. “Profumo, colore, sapore” non sono solo titolo di una delle ricette vincenti di Da-

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niele (mezzemaniche con zucchine e vongole con salsa al nero di seppia, pomodoro datterino e lime), ma sono gli elementi che rappresentano in modo significativo le sue preparazioni, sempre stimolanti e divertenti in una logica di equilibrio, capaci di rilasciare emozioni fortemente legate all’identità territoriale ma con un animo sperimentale. Il menù è caratteriz-

zato dall’eccellenza delle materie prime, che garantiscono una qualità impeccabile: carne, pesce e portate vegetariane si alternano con piacevole creatività tra antipasti, primi e secondi ricchi di personalità. A completare la brigata di cucina, Florence Laloti capo partita per i primi e i secondi piatti, Gabriele Granà addetto gli antipasti freddi e dolci e Lorenzo Serafini responsabile della panificazione e “narratore di sala”. Interessante la carta dei vini che offre una selezione di etichette locali e nazionali; ottima la selezione e la scelta degli oli evo. Il format del BR1 Cultural Space sembra avere tutte le caratteristiche per affermarsi sul territorio, sia per la qualità della proposta gastronomica ed artistica, che per la capacità innovativa. Daniele D’Alberto conferma la crescita della qualità della ristorazione abruzzese, un contributo esemplare nel panorama nazionale grazie anche alla qualità del territorio e dei prodotti che lo esprimono.


DANIELED’ALBERTO

QUINOA IN AGRODOLCE

verdure croccanti, salsa di carote viola e arance INGREDIENTI per 4 persone

g. 500 di quinoa, g. 200 di aceto bianco, g. 200 di zucchero, 5 carote viola, 2 arance, 1 carota arancione, 1 finocchio, 1 ravanello, 2 fagiolini, 1 taccola, 1 rapa gialla, 1 rapa rossa, 1 mela pink lady. PREPARAZIONE

In abbondante acqua salata cuocere la quinoa per circa 5 minuti. Una volta cotta, scolare e lasciare raffreddare. In una casseruola far sciogliere

l’aceto con lo zucchero in modo tale da ottenere un’agrodolce che servi-

rà per condire la quinoa. Una volta condita con olio evo e sale, riporre in

frigo e lasciare insaporire. Lavare e pulire le carote viola, tagliarle a pez-

zettini piccoli e stufarle in una casseruola. Una volta cotte, frullarle e setac-

ciarle in modo tale da ottenere una salsa liscia ed omogenea. Far raffredda-

re ed infine aggiungere il succo di arance per completare la salsa. Con l’aiuto

dell’affettatrice iniziare a tagliare tutte le verdure che andranno a completare il

piatto. Conservare in acqua e ghiaccio in modo tale da farli arricciare, carote, ra-

pa, finocchio, ravanello, mela ecc. A parte sbollentare il resto delle verdure, scolarle, completare il piatto e condire con un filo di olio evo.

L’UOVO VENUTO DALLO SPAZIO INGREDIENTI per 4 persone

4 uova biologiche, g. 200 di parmigiano reggiano, g. 500 di pan-

na fresca, g. 0,5 di zafferano di Navelli, 10 carciofi, g. 50 di filetto di vitellino, g. 500 di rucola. PREPARAZIONE

Pulire e tagliare a julienne i carciofi, spadellarli a fiamma dolce e condirli con sale e pepe nero; frullare il parmigiano e portare a

ebollizione la panna, farla sobollire per 2 minuti. Unirla al parmigiano e frullare, dopodiché lasciare lo zafferano in infusione nella fonduta per 4 ore circa. Sbollentare la rucola e raffreddarla in acqua e ghiaccio; frullare le foglie di rucola: si otterrà una salsa

verde. Condire con olio e sale. Battere leggermente al coltello il filetto di vitellino, condirlo con sale e pepe.

Aprire le uova una alla volta ed avvolgerle in una pellicola

alimentare, chiudere con dello spago, terminare la cottura in acqua bollente per circa 4 minuti. Riscaldare gli ingredienti e comporre il piatto con il resto degli ingredienti.

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Giovani talenti

DANIELE D’ALBERTO INTERPRETA

RAVIOLOTTI AL PECORINO DI PIENZA E PINOLI INGREDIENTI per 4 persone

12 Raviolotti al pecorino di Pienza e pinoli Divine Creazioni Surgital g. 200 di fagiolini freschi 1 cipolla

4 pomodori Piccadilly


www.surgital.it

Giovani talenti per

PREPARAZIONE

In abbondante acqua salata sbollentare i fagiolini precedentemente lavati e tagliati. In una padella soffriggere l’olio evo con la cipolla. Spadellare i fagiolini e aggiungere acqua di cottura.

Far ridurre il tutto, infine frullare il composto e setacciare al colino cinese; salare e pepare.

In un pentolino sbollentare i pomodorini per alcuni secondi. Raffreddare in acqua e ghiaccio, privarli della pelle e dei semi. Tagliare a spicchi ed in-

fornare a 80 gradi per circa 1 ora. Cuocere i Raviolotti e impiattare con le verdure guarnendo con la crema di con delle foglie di basilico e menta e un giro di olio e.v.o.

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Giovani talenti

INTRIGHI

aglio, olio, peperoncino, triglia e agrumi

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www.surgital.it

Giovani talenti per

INGREDIENTI per 4 persone

PREPARAZIONE

2 spicchi d’aglio

prezzemolo, con aggiunta di acqua fredda. La-

g. 400 di Intrighi Divine Creazioni Surgital g. 10 di peperoncino secco

g. 100 di prezzemolo sfogliato g. 70 d’acqua 5 triglie

1 limone

Realizzare un soffritto con uno spicchio d’aglio e sciare raffreddare e frullare in modo da ottenere

una salsa al prezzemolo che andrà alla base del

piatto. Soffriggere leggermente con il peperon-

cino l’altro spicchio d’aglio, aggiungere dell’acqua e lasciare ridurre, dopodiché setacciare

il composto ed aggiungere succo di limone. Cuocere gli Intrighi in abbondante acqua salata, scolarli e mantecarli in padella. Aggiungere la

buccia del limone grattugiato e i filetti di triglia sfilettati a crudo.

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Giovani talenti

QUADRELLI CON CHIANINA E CARDONCELLI sedano rapa, basilico e ristretto di carne INGREDIENTI per 4 persone

16 Quadrelli con Chianina e cardoncelli Divine Creazioni Surgital kg. 1 di ossa di Chianina 1 sedano rapa

1 mazzetto di basilico

1 mazzetto di rosmarino

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Giovani talenti per

PREPARAZIONE

Far sudare le ossa di chianina in padella con il rosmarino, sale e pepe. Una volta che le

ossa sono ben rosolate, aggiungere dell’acqua e lasciare ridurre fino a quando il composto non raggiunge la densità e sapidità desiderata.

In abbondante acqua salata sbollentare il sedano precedentemente tagliato a pezzetti. Una volta pronto, continuare la cottura in padella facendolo insaporire con aglio. A parte sbollentare il basilico e frullarlo nel composto in modo tale da ottenere una salsa verde

pastellata. Colarla al colino cinese in modo tale da ottenere un composto liscio. Cuocere i Quadrelli, scolarli e comporre il piatto.


GOURMETFOOD

AL MAIDO DI LIMA

MITSUHARU TSUMURA È PALATO GIAPPONESE E CUORE PERUVIANO

di

Flavia Tomaello

Educato secondo la severa disciplina giapponese che ha ingentilito con i sapori del natio Perù, nel suo ristorante, il Maido, Mitsuharu Tsumura riesce ad ottenere una fusione perfetta tra le due culture che rappresentano le sue radici.

Mitsuharu Tsumura è nikkei: nasce a Lima, Perù, ma i suoi antenati sono giapponesi che, oltre al nome, gli hanno lasciato in eredità anche la passione per la cucina. Si narra che Angelica, sua nonna, morta prima che Mitsuharu nascesse, fosse un’eccellente creatrice di nuovi sapori e che avesse l’abitudine di riunire varie persone attorno alla sua tavola. Con questo bagaglio culturale sulle spalle, il giovane Tsumura decide di partire per gli Stati Uniti, grazie all’appoggio del padre, per trasformare la sua passione gastronomica in una vera e propria professione. Studia presso la Johnson & Wales University di Providence, nel Rhode Island, e poi, dopo un breve rientro in patria, decide di intraprendere un viaggio in Giappone, con un unico scopo: imparare a preparare il sushi nella terra dove questo cibo è nato. Ha solo 21 anni, un perfetto dominio della lingua giapponese e

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raccomandazioni in quantità a livello gastronomico. Nonostante ciò ha avuto bisogno dell’aiuto dei suoi nonni paterni, che vivevano in quel Paese, per potersi inserire nel durissimo mercato del lavoro giapponese. La sua prima esperienza avviene presso il Seto Sushi, un ristorante abbastanza rinomato e il cui proprietario è un certo signor Hirai, amico di suo nonno. “Non ti pagherò nulla, ma puoi pranzare e cenare qui e usare questo luogo per imparare”, questa è stata l’offerta lavorativa che Tsumura ha accettato di buon grado. I primi quattro mesi sono stati i più difficili: gli era permesso solo di lavare le pentole e guardare i cuochi lavorare. Non gli era permesso nemmeno di far uso degli spunti che andava accumulando per mettere in pratica la sua esperienza: ogni ingrediente era molto prezioso e non lo poteva utilizzare personalmente. Nella filosofia del lavoro giapponese non è


MITSUHARUTSUMURA

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GOURMETFOOD

IL RITORNO DAL GIAPPONE

dato di saltare nessun passo verso l’obiettivo finale. Il livello successivo, dopo aver dimostrato di saper lavare pentole in modo eccellente, è stato quello di affilare i coltelli. Si sono susseguite diverse abilità: selezionare e lavare il pesce, verificare che tutto fosse fresco, preparare i vassoi, le postazioni, imparare a cucinare il riso, cucinare per il personale, ed infine, servire al bancone, all’inizio preparando i piatti caldi e poi, due anni dopo che aveva messo piede in quel ristorante, il sushi. “Di quel periodo conservo diversi quaderni pieni di note e foto per catturare i dettagli di ogni tecnica: c’era così tanto da imparare che avevo paura di dimenticare”, racconta oggi Tsumura.

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Dopo altri otto mesi in Giappone, riceve la chiamata che gli permette di tornare in patria: era lo Sheraton di Lima, presso il quale aveva realizzato alcuni tirocini, che lo invitava a far parte della sua quadra di chef. Dopo aver ricoperto alcuni incarichi inferiori, nei quali ha comunque saputo farsi apprezzare per la sua conoscenza della cucina giapponese, arriva a soli 25 anni ad occupare l’incarico di responsabile degli Alimenti e delle Bevande, con ben 160 persone alle sue dipendenze. “Qui ho imparato due cose che sarebbero state fondamentali per il resto della mia carriera: da una parte la capacità di organizzare e gestire la produzione di una cucina e dall’altra la possibilità di accedere ai sapori locali”, ammette Tsumura. Il fatto di essersi concentrato per tanto tempo sui palati giapponesi gli aveva fatto perdere di vista le eccellenze della cucina peruviana, che ha ritrovato grazie a questo impiego. Il suo lavoro era eccellente. Al punto che la famosa catena alberghiera gli offre, a soli 28 anni, di trasformarsi nel Responsabile Generale più giovane al mondo. La proposta era allettante, ma i suoi sogni andavano in altre direzioni. Per la seconda volta deve fare i conti con l’appoggio inestimabile del padre. “Figlio mio, mi hai dimostrato di essere un buon lavoratore e per questo ho deciso di investire su di te. Apri il tuo ristorante, io ti appoggio”, sono state queste le parole chiave che hanno dato la soluzione al suo forte dilemma. E’ così che nasce il Maido: un ristorante di fusione tra i concetti di cucina giapponese e peruviana, che gli permette di unire le sue due radici. “Tutto ciò che offro qui nasce dalla mia immaginazione, che si nutre dei miei ricordi e delle mie esperienze fino a diventare un sapore reale”, è in questi termini che definisce l’offerta del suo locale.

FAGIOLI

con crema di avocado INGREDIENTI per 4 persone

Per i fagioli: g. 60 di crema di avocado, g. 60 di fagioli saltati, g. 8 di

marmellata dolce di melocotogno, g. 8 di terra di grani, g. 4 di gelatina

di ponzu, 12 biscotti di quinua, germogli e fiori.

Per la crema di avocado: g. 500

di avocado senza punta, ml. 120 di cashi, g. 8 di coriandolo, g. 4 di sale, succo di 4 limoni.

Per il dashi: l. 0,5 d’acqua, g. 6 di kombu, g. 10 di katsuobushi.

Per i fagioli saltati: g. 60 di fagioli regionali cotti, g. 8 di cipolla rossa

tagliata a dadini, g. 4 di aglio tritato, g. 4 di zenzero (kion) tritato, ml. 20 di olio di sesamo, sale e pepe.

Per la marmellata dolce di melocotogno: g. 200 di melocotogno, g. 100

di zucchero bianco, g. 2 di cannella intera, ml. 200 di acqua.

Per la terra di grani: g. 50 di mais

chulpi fritto, g. 35 di caffè macinato,

g. 50 di miele, g. 20 di farina non raffinata, g. 15 di burro senza sale.

Per la gelatina di ponzu: ml. 250 di salsa ponzu, g. 2 di Xantana.

Per i biscotti di quinua (20 unità): g. 50 di quinua.


MITSUHARUTSUMURA

PREPARAZIONE

te. In una casseruola ottenere il caramello

gliere fino a che non sia completamente

giungere tutti gli ingredienti e frullare fino

cubi insieme con l’infusione. Lasciar cuo-

seruola e cuocere per 10 minuti a fuoco

Crema di avocado: in un frullatore ag-

a ottenere una crema compatta. Mantenere al freddo.

Per il dashi: idratare il kombu in acqua

con l’acqua e lo zucchero e aggiungere i cere per 3 minuti. Mantenere in luogo freddo.

macinata. Versare il composto nella casmedio. Stendere il composto su un silpat,

il più fino possibile, e mettere in forno a 120°C per 30 minuti. Togliere dal forno e

per 12 ore. In una casseruola, versare l’ac-

Per la terra di grani: sciogliere il burro

fino a raggiungere gli 80°C. Aggiungere

fino ad ottenere una specie di terra gros-

DECORAZIONE

dienti fino ad ottenere una specie di com-

linea di crema di avocado. Sopra, colloca-

qua con il kombu e portare a fuoco medio

poi il katsuobushi e spegnere il fuoco. Lasciare in infusione per 20 minuti con il

coperchio in cima. Poi scolare con una

garza fina per evitare di far passare residui e mettere da parte.

Per i fagioli saltati: in una padella saltare l’aglio con la cipolla e lo zenzero (kion),

fino a punto crema. Triturare il mais chulpi

sa. In una ciotola mescolare tutti gli ingre-

posto. Stenderlo in una sfoglia e mettere in forno a 150°C per 10 minuti. Togliere

dal forno, lasciar raffreddare e mettere in un contenitore ermetico.

aggiungere i fagioli e saltare per circa 2

Per la gelatina di ponzu: con un mixer,

gere l’olio di sesamo e mettere da parte.

zu non ottenga uno spessore gelatinoso.

minuti. Condire con sale e pepe, aggiunMantenere in luogo freddo.

Per la marmellata di melocotogno dolce: Sbucciare il melocotogno e tagliare a cubi di 1 centimetro. Con ciò che resta, ottenere un infuso insieme con la cannella e mettere da par-

sciogliere gli ingredienti fino a che il ponMantenere in luogo fresco.

Per i biscotti di quinua: in un

frullatore, mettere la quinua con un filo d’acqua e scio-

conservare in luogo asciutto.

In un piatto freddo, collocare alla base una re i fagioli saltati disegnando una specie di

giardino. Collocare i biscotti di quinua sul-

la crema di avocado e collocare i cubi di marmellata di melocotogno. Concludere con qualche goccia di gelatina di ponzu e

la terra di grani. Decorare con fiori e germogli. Servire freddo.


GOURMETFOOD

MAIDO

399 San Martin street Miraflores

Lima - Peru

“Il paese ha così tanto da offrire, che conoscere l’origine di ciascun prodotto, contribuire alla sua sostenibilità, sapere chi lo ha coltivato o chi lo ha pescato è molto di più di una semplice ispirazione, e significa condividere la sua storia; di fatto quando qualcuno è capace di raccontare la storia di un Paese servendola in un piatto, allora è capace anche di esprimere davvero cosa vuol dire Perù”, sintetizza.

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TRA I MIGLIORI AL MONDO Il Maido, che si trova nel quartiere aristocratico di Miraflores, nella capitale peruviana, occupa il posto numero 13 nella classifica “The World’s Best 50 Restaurantes America Latina” e brilla di un ulteriore merito: è stato, durante l’ultima edizione, il locale che più è salito in classifica rispetto alla sua posizione precedente. Secondo lo chef, la cucina nikkei nasce espressamente da una complessa storia conosciuta come “Perù” e da un’altra storia, lontana, sconosciuta ma non meno complessa, che si chiama “Giappone”, due storie che si sono ritrovate a convivere in armonia per creare questa terza realtà. “Qui il cuoco non è il protagonista, ma sono gli ingredienti di prima qualità che permettono all’artista la creazione di un’opera unica.”, assicura, con umiltà giapponese, lo chef. “Si fa di tutto affinché il cliente possa vivere un’autentica esperienza nikkei”. Secondo le parole dello stesso Tsumura, questa meravigliosa cucina è il riflesso dell’influenza giapponese nella gastronomia peruviana.

“Gli ingredienti delle due culture si completano a vicenda come se fossero nate per stare insieme: è una cucina onesta, con una consistenza e un sapore unici”, aggiunge. Spiega inoltre: “Le cucine sono come gli alberi genealogici, si ridefiniscono continuamente, si arricchiscono nelle loro identità originarie attraverso una intensa interculturalità che è anche la base della storia di tutte le civiltà, fin dai tempi in cui gli uomini si sono scambiati le prime parole, prodotti, idee, abitudini. Cucina “fusion” non vuol dire altro che cucina tout court: tanto eloquente è la parola che ne racchiude la sua azione intrinseca”. Anche il nome del ristorante definisce la filosofia di Tsumura: Maido vuol dire “Benvenuto” e rappresenta, tra i vari modi che esistono in Giappone per esprimere questo saluto, la più significativa. “Riassume il nostro sentimento di far sì che ogni persona che entra in questo locale si senta come a casa propria”, conclude lo chef.



GOURMETFOOD

PAUL

STRADNER

TRA I BISTELLATI PIÙ GIOVANI IN GERMANIA di

Lucy Gordan

L’elegante e lussuoso Brenners-Park Hotel&Spa, che per quasi un secolo, dal 1872-1969, è appartenuto alla omonima famiglia, coccola i VIP del mondo, dagli aristocratici europei, agli attori, agli industriali e politici americani: John Jacob Astor e Cornelius Vanderbilt, i Presidenti Clinton e Obama, i guru della moda come Giorgio Armani, l’architetto californiano di fama mondiale Richard Meier, le stelle del cinema Zsa Zsa Gabor e sir Peter Ustinov, Keanu Reeves e George Clooney, Frank Sinatra e Bono, per citare qualche nome, hanno soggiornato qui. A Paul Stradner, executive chef del Brenners-Park-Restaurant, nel 2012 è stata assegnata la prima stella Michelin; la seconda è arrivata nel 2014. Il suo successo più recente è il Gault&Milau Newcomer of the Year 2016 che lo annovera tra i tre Top Chefs della regione tedesca di Baden-Württemberg.

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PAULSTRADNER

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GOURMETFOOD

Paul, ci racconti di lei... Sono nato il 23 giugno 1981 in una fattoria vicino a Graz, seconda città dell’Austria che si trova nella regione agricola della Styria, particolarmente rinomata per l’allevamento delle mucche. Quando ha scoperto la sua vocazione per diventare top chef? Durante i miei studi alla scuola alberghiera. Cucinare era la mia materia preferita, perciò già pensavo che questa sarebbe stata la mia possibile professione futura. Ma furono la fattoria dei miei e i suoi prodotti a farmi innamorare del cibo. I suoi mentori erano Harald Wohlfahrt e Jean Georges Klein: che cosa ha imparato da loro? Da Wohlfahrt ho imparato la disciplina, la sfida per raggiungere l’eccellenza e per mantenere gli standard di qualità. Da Klein ho imparato a non avere paura di provare nuove cose e

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PAULSTRADNER

di abbinare i prodotti con uno stile innovativo. Ambedue sono i miei mentori perché ambedue possiedono una percezione incredibile della natura umana ed ambedue sono dei mister straordinari delle loro squadre, delle loro brigate in cucina. In poche parole come definirebbe la sua cucina? Contemporanea e francese con sfumature tedesche. Rispetto profondamente il purismo e la virtuosità culinaria francesi, ma apprezzo anche la mia cucina austriaca. Secondo me, ho ottenuto la mia seconda stella Michelin nel 2014 grazie ai miei menù di ispirazione austriaca, sintesi della cucina genuina e rustica e di quella classica ma avanguardista. Può spiegarmi la sua filosofia culinaria? Dopo essere cresciuto nella fattoria dei miei genitori e soprattutto nell’orto di mia madre, ho imparato ad apprezzare profondamente gli ingredienti a kilometro 0. I prodotti devono essere genuini e di stagione, così da poter esprimere i lo-

ro sapori al massimo. Nei miei piatti si possono distinguere e gustare le proprietà di tutti gli ingredienti, non alterati nei loro sapori. Per esempio, io cucino le mie verdure con una tecnologia ultramoderna che garantisce il mantenimento di tutte le loro vitamine. Ma il mio obiettivo è quello di creare e di presentare un piatto che scateni l’acquolina in bocca. Le sue specialità? Il cervo locale, che è una specialità antica del Brenners, ed altri piatti di carne, considerando che provengo dalla Styria, che produce carni tra le più buone al mondo. Utilizzo inoltre olio di semi delle zucche della Styria e il salmone di acqua dolce delle Alpi austriache. Le qualità essenziali per essere un top chef? Avere una buona conoscenza dei prodotti del mercato, essere un buon mister per la propria squadra, ed anche un bravo amministratore.

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GOURMETFOOD

FEGATO D’OCA

biologico in patè con gelato e purea di fico INGREDIENTI per 4 persone

Per la riduzione del Porto

g. 300 di fegato pulito, g. 2,5 di sale per

Madeira.

Per la terrina di paté

marinatura, g. 0,5 di pepe bianco, ml. 35 di Gewürztraminer.

Togliere tutta la pelle e le vene dal fe-

l. 1 di sugo d’uva, l. 1 di Porto rosso, l. 1 di

Bollire fino a quando i tre litri diventano la metà.

gato dell’oca e passarlo in un setaccio.

Per il il gelato del paté

risposare, poi marinarli e mettere il tutto

d’uovo, g. 6 di zucchero, ml. 40 di ridu-

Mescolare tutti gli ingredienti e lasciarli nel frigo per almeno 24 ore.

Arrotolare il composto in diversi rotolini e confezionarli in carta pellicola di allu-

minio. Cucinare a vapore ogni i rotolini a 60°C per 35 minuti.

g. 65 di terrina di paté, g. 1,2 di tuorlo

zione di Porto bianco, ml. 35 di vino Sau-

ternes, 1 pizzico di glucosio, 1 pizzico di sale, 1 pizzico di pepe Cayenne, ml. 70 di Porto bianco che riduce a ml. 40.

Dopo metterli nell’acqua con tanti cubet-

Mettere tutti gli ingredienti in un thermo-

per almeno 12 ore.

tutto in una coppa Pacojet e pacotizzare

ti di ghiaccio e farli raffreddare nel frigo

Per la crema del paté

mix e mescolarli a 80°C. Poi trasferire il prima di servirlo.

L’aspetto del suo lavoro che ama di più? La possibilità di realizzare la mia creatività tutti i giorni. Di meno? L’impossibilità di rimanere a casa la sera con mia moglie e la mia bambina.

g. 180 di terrina di paté, g. 90 di riduzio-

Per la glassa per la terrina

di panna, ml. 50 di brodo di tartufo, g. 45

rosso, ml. 80 di essenza di coda alla vac-

Consideri gli chef artisti? Sì, simili ai pittori.

Mescolare tutto insieme. Coprire e cuo-

Aggiungere la gelatina vegetariana alla

raffreddare per una notte. Il giorno dopo

Tagliare la terrina nella forma desiderata

Altri chef che ammira? Eric Frechon, executive chef di “Epicure”, il ristorante gourmet del Bristol Hotel a Parigi, che vanta 3 stelle Michelin, e Mr. Frank Merrenbach, General Manager del Brenners-Park Hotel & Spa e amministratore delegato di tutta la catena di Oetker Hotels, perché, quando mi ha affidato questo posto, mi ha lasciato totalmente libero in cucina, non interferendo mai nel mio lavoro.

ne di Porto, ml. 25 di brodo di pollo, g. 150 di albume, g. 50 di tuorlo d’uovo.

cere a vapore per un’ora a 80°C. Far

sbattere con un frullino a mano fino a quando il tutto è diventato cremoso.

ml. 100 di sugo d’uva, ml. 75 di Porto cinara, g. 8 di una gelatina vegetariana.

riduzione, fa bollire e raffreddare a 85°C. e, quando sarà diventata ben fredda, aggiungere la glassa.

Per il purée di fico

ml. 75 di Porto rosso, g. 100 di purée di

fico, g. 1 di agar-agar, g. 1 di gomma di Gellano, g. 0,5 di tapioca.

Ridurre il porto insieme a purée di fico

fino a ml. 100. Aggiungere agar-agr, la

gomma gellano e tapioca e fa bollire

il tutto per 2 minuti. Fa raffreddare nel frigo per una notte e poi sbattere fino ad ottenere un purée molto fine.

Un consiglio: servire il paté con degli spicchi di mela glassati.

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Il suo ristorante preferito? A Baden-Baden “Le Jardin de France”; vicino Baden-Baden “Gasthof Auerhahn” in Geroldsau; fuori dalla Germania “Epicure” e, prima della sua chiusura nel dicembre 2013, “Oud Sluis” di Sergio Herman, nelle Fiandre.


PAULSTRADNER

Che cosa pensa delle guide gastronomiche? Servono per avere pubblicità. Cosa preferisce mangiare e cucinare? Mi piace particolarmente mangiare e cucinare le verdure. Io propongo qui una degustazione vegetariana con sei portate ispirata alla cucina dei prodotti dell’orto di mia madre. Poi mi piace cucinare il pesce della Foresta Nera. I suoi vini preferiti? I Pinot Grigio dalla Germania e dall’Alsazia e Mersault. Dove ama andare in vacanza? Nel Sud-Tirol, soprattutto a Merano, per la sua atmosfera alpina ma anche mediterranea. Adoro andare in montagna e lì c’è un clima più mite rispetto a quello dell’Austria. Il modo di vivere e la purezza del Sud-Tirol sono unici.

SALMONE

alpino d’Austria marinato con aromi asiastici INGREDIENTI per 4 persone

Lasciare indurire su un vassoio da forno

g. 300 di filetto di salmone alpino, g. 16

gliare in pezzi della stessa misura dei pez-

Per il sottaceto del salmone alpino

di zucchero, g. 22 di sale grosso, scorza di 1 limone biologico, 20 Takuan dolce

Uno chef sudtirolese che ammira particolarmente? Raimund Brunner, lo chef di “Anna Stuben” nel Grödnerhof: la sua cucina con una stella Michelin è una combinazione vincente di semplicità e di alta qualità. Altrove in Italia? Ammiro tanto Heinz Beck. Mi affascina che il “Maestro Tedesco” vanti 3 stelle Michelin da tantissimi anni per la sua cucina ormai italiana.

o aspro.

Schillerstraße 4/6, 76530 Baden-Baden Germania - Tel.: +49 7221 9000 www.brenners.com

sopra ogni fettina di salmone delle fettine di ravanello.

Per il Miso Cream

sul lato più carnoso del filetto del salmo-

agar-agar, g. 1 di gomma di gellano.

scorza del limone. Spalmare il miscuglio ne e farlo marinare nel frigo per 24 ore.

ml. 50 d’acqua, g. 50 di Miso paté, g. 1 di

Sciacquarlo bene e lasciare asciugare il

Fa bollire tutti gli ingredienti per 2 minuti,

Togliere la pelle e tagliare il filetto a pia-

una notte nel frigo e poi montare il tutto

filetto su carta da cucina.

cere. Tagliare il Takuan in fettine di mm. 5 e coprire con il Takuan.

ml. 100 di acqua, 1/4 di un pezzo di Nori (alga per il sushi), g. 2,5 di polvere di

Dashi, g. 2,5 di un miscuglio già preparato di alga, g. 1 di agar-agar, g. 2 di un foglio di gelatina.

Fa arrivare alla bollitura tutti gli ingreBRENNERS PARK-HOTEL & SPA

zetti del filetto del salmone. Aggiungere

Mescolare bene lo zucchero, il sale e la

Per la gelatina di alga marina

Ha un sogno nel cassetto? Mi piacerebbe diventare un ristoratore, essere proprietario di un ristorante che fa il tutto esaurito tutte le sere... ma prima devo trovare il coraggio per fare questo passo da gigante.

nel frigo per 24 ore. Prima di servirlo, ta-

dienti eccetto la gelatina e l’agar-agar;

coprire e lasciare in infusione per un’ora.

Filtrare il liquido e aggiungere l’agar-agar e la gelatina.

mescolando sempre. Fa raffreddare per fino ad ottenere una crema. Per la crema di soia

g. 50 di salsa di soia con poco sale, g. 40 d’acqua, g. 1 di gomma di gellano, g. 1 di agar-agar, g. 0,5 di Kappa.

La preparazione è identica al Miso Cream. Per la crema di Mizkan

g. 45 di aceto di Mizkan, g. 45 d’acqua, g. 1 di agar-agar, g. 1 di gomma di gellano, sale se necessario.

La preparazione è come per le altre creme.

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GOURMETFOOD

CASADEI

PROFUMI DI ALTA PASTICCERIA IN ROMAGNA

di

Giorgia Zucchi Simone Scano

foto di

Da 30 a 300 metri quadrati, “perché in 30 metri puoi fare solo casino!”. È lievitato in breve tempo come un pan di Spagna il laboratorio di pasticceria di Gianluca Casadei a Gambettola (FC), paesone romagnolo famoso per essersi arricchito con il commercio di acciaio, ferro, pezzi di ricambio usati e per le tradizionali tele stampate con la ruggine. Con il laboratorio si è ampliato anche lo showroom, enormi vetrate e spazi luminosi per esaltare una produzione dolciaria di grande livello. “Il cibo è parte integrante della mia vita, da quando ne ho il ricordo – si racconta Casadei – Nella mia famiglia d’origine era talmente importante che se ne discuteva quotidianamente, era qualcosa che ci entusiasmava e che ci spingeva a cercare sempre il meglio. Questo imprinting ha condizionato la mia vita e il mio lavoro, tanto che quando non sono chiuso in laboratorio, vado in giro per ristoranti, anche perché volevo fare il cuoco e non il pasticciere!”.

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PASTICCERIACASADEI

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GOURMETFOOD

Il fatto è che quando Casadei s’iscrisse all’Alberghiero di Castrocaro, i posti nei corsi di cucina erano già esauriti. Rimanevano quelli per diventare pasticciere e su quelli ripiegò, in attesa che si liberassero gli altri per qualche possibile fisiologica defezione. E invece il caso aveva già deciso per lui, perciò non solo il Nostro si diplomò, ma la passione per questa materia divenne tale da fargli frequentare le scuole dei più grandi pasticcieri, da Massari, a Biasetto, a Zoia. Lui non voleva essere semplicemente un professionista del settore, voleva essere un grande professionista. La sua curiosità e l’ambizione lo spinsero a sperimentare, a ricercare la propria strada per distinguersi e offrire l’eccellenza. Oggi Casadei è “quasi” realizzato (d’obbligo l’avverbio per chi ha sempre progetti davanti a sé) in questo laboratorio perfettamente attrezzato dove operano quindici collaboratori che, dalle 3 di notte, lavorano sulle diverse linee già da lui predisposte. In questo periodo dell’anno è il panettone a occupare la sua mente e le teglie della sua pasticceria, anche perché gli piace molto preparare il panettone Milano che per fragranza e profumi si distingue da ogni altro.

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Tra le sue passioni anche quella per la gelateria, contrastata in parte dalla consapevolezza che la grande qualità – che ha sempre un prezzo – non viene percepita dalla massa, poco disposta a pagare una materia prima superiore. Persino il caffè è diventato oggetto di ricerca per Casadei che acquista i grani crudi in base a una sua personale e scrupolosa selezione, per poi torrefarli settimanalmente, così da offrire la freschezza e i profumi per lui fondamentali. In fondo, Gianluca Casadei quell’idea di fare cucina l’ha sempre praticata in quanto la sua pasticceria è studio dei sapori, abbinamenti e inserimento di ingredienti un tempo sconosciuti in questo settore. “Nelle mie creazioni – conclude questo eclettico personaggio – cerco il gusto dei miei ricordi: le creme, il bacio, le diplomatiche sono la nostalgia che vorrei offrire ai miei clienti. Purtroppo ciò che per me è goloso, non coincide con il gusto di chi, oggi, cerca novità continue e segue le mode. Ma tradizione e innovazione costituiscono il must del mio lavoro, fatto di sapori autentici e contraddistinto da una passione che, fortunatamente, ha contagiato una clientela sempre più numerosa”.

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PASTICCERIA CASADEI

Via del Lavoro, 27 - 47035 Gambettola (FC) Tel. 0547 53186

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EVENTI

di

Giovanni Polito Walter Silvestrini

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La 16ª edizione del Festival della Cucina Italiana, realizzato a Siracusa nell’ottobre scorso dalla rivista La Madia Travelfood in collaborazione con l’associazione Elisir, è stato un autentico trionfo, sia in termini organizzativi che di partecipazione. Sotto la supervisione di Elsa Mazzolini, direttore de La Madia Travelfood, Teresa Gasbarro, Maurizio Urso, Silvia Gasbarro, Pina Gallo e Mariarita Luca hanno contribuito a segnare uno spartiacque nella storia del Festival, riuscendo ad amalgamare perfettamente i valori siciliani in parallelo con quelli del resto d’Italia.

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TM

Pienone ai convegni sui grani antichi di Sicilia, sugli oli e nell’incontro con Lilly Ferro Fazio per le “Donne del vino”, pienone a tutte le degustazioni guidate, con punte di oggettivo imbarazzo a causa dei posti limitati a disposizione, pienone ai banchi di degustazione del Sudest Wine Fest, manifestazione a cura della Strada del Vino e dei Sapori del Val di Noto, inclusa quest’anno nel programma del Festival della Cucina Italiana, pienone nel corso dei cooking show di alcuni tra i più famosi chef siciliani. Pienone infine, ma era scontato, per le due cene stellate ospitate dalla Terrazza sul Mare di Maurizio Urso, quella con Massimiliano

Nella pagina a fianco, alcuni scorci dell’Antico Mercato che ospitava i produttori, l’artigianato, la scuola di cucina, lo street food; in questa pagina, alcuni momenti convegnistici, le degustazioni dei vini e degli oli e un intervento di Gianfranco Vissani.

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EVENTI

Mascia e Seby Sorbello e quella con Gianfranco Vissani, ormai completamente innamorato di Siracusa e della Sicilia in generale. Un Festival diffuso in tutto il centro storico ultramillenario della cittĂ di Archimede, variegato ma soprattutto trasversale, spoglio di quella sorta di snobismo intellettualoide che sembra voler relegare il buon cibo esclusivamente ad una selezionata ĂŠlite di persone,

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Nella foto in alto, la cena con Massimiliano Mascia e Seby Sorbello con il padrone di casa, Maurizio Urso. A lato, la cena con Gianfranco Vissani e alcuni dei piatti presentati. Nella pagina a fianco, alcuni momenti della scuola di cucina tenuta da noti chef siciliani. Insieme a loro, altri chef hanno dato vita ad un gustoso street food.


ma anzi predisposto all’apertura, al desiderio di fare conoscenza e cultura tramite le preparazioni culinarie ma soprattutto attraverso le materie prime del territorio, spesso oggi rivalutate e rivisitate ma sempre in un’ottica di rispetto. Nel corso del Festival della Cucina Italiana a Siracusa si è dimostrato come possano convivere in armonia lo street food e l’alta cucina, la tecnica

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EVENTI

e il cuore, la ragione e il sentimento: in ognuno dei tre giorni di manifestazione, chiunque ha avuto la possibilità di vivere esperienze sempre diverse seppur tutte importanti e uniche. Si è trattato in fondo della dimostrazione di come attraverso uno dei principali valori immateriali d’Italia si possa puntare ad una delle più grandi utopie ricercate in Sicilia, quella cioè della destagionalizzazione turistica. D’altronde, per gustare prelibatezze, ogni stagione è quella giusta! Infatti l’edizione 2017 si riconferma a Siracusa nella prima settimana di giugno, in concomitanza con i festeggiamenti per i 2750 anni dalla fondazione della città.

In alto, alcuni spazi di degustazione all’Antico Mercato, quindi il bellissimo Giardino dei Limoni che il Grand Hotel Ortigia aveva allestito nell’area antistante il mare per ospitare gli aperifestival e una importante degustazione di sigari e distillati.

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

a cura di

Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”

VINI CONVENZIONALI E VINI NATURALI GIUDIZI E NON PREGIUDIZI Non intendo tramutare questo articolo in una discussione o infervorarmi su un argomento a me tanto caro quanto difficilmente digeribile, ovvero la differenza tra i vini convenzionali e tutte le altre differenti tipologie come i vini naturali, biologici, biodinamici ecc… Prima di tutto un vino deve essere buono e su questo non ci piove. Un vino per me deve avere delle regole fondamentali per essere considerato un vino piacevole e gradevole, insomma un vino buono: tracciabilità, pulizia, riconoscibilità del vitigno e giusto punto di bevuta (inteso come stile perfetto per il momento storico che si attraversa). Non mi sono mai schierato né da una parte né dall’altra perché non giudico un vino per la categoria a cui appartiene. Nella mia vita ho bevuto vini naturali molto buoni, ma anche vini convenzionali altrettanto buoni e viceversa. Però non sono e non sarò mai per il detto: Il vino naturale non fa male e deve puzzare! no, mi spiace ma proprio no... Non credo nei difetti che vogliono farmi passare per pregio, ovvero: riduzioni eccessive (perché la minima presenza a volte può essere affascinante), acidità volatile e ossidazione. Io mi chiedo (e vi anticipo che non ho intenzione di scusarmi con nessuno): ma non è meglio giudicare positivamente un vino per la sua freschezza, piacevolezza, bevibilità o complessità, senza idolatrare difetti che per altro sono veramente difetti?

Un vino è buono quando è buono. Non ho mai accettato e consumato, per esempio, un piatto difettoso perché il difetto andava inteso come un pregio e non capisco perché il vino non possa seguire questo filo logico. Vorrei semplificare una volta per tutte e consentire anche a chi si è avvicinato al mondo del vino da poco quali sono le differenze tra le varie tipologie cercando di essere il più obiettivo possibile: Vino convenzionale. Il “vino convenzionale” viene di fatto chiamato così per differenziarlo dalle altre categorie di vini che appartengono ad altre categorie come ad esempio i vini naturali o biologici. Ad oggi la grande maggioranza delle aziende che produce vini in Italia appartiene a questa categoria. Il vino cosìddetto convenzionale, ottenuto con moderne tecnologie, rappresenta ad oggi sicuramente la fetta più grossa del vino prodotto nel mondo. Prodotti e processi ammessi per la vinificazione: Acido citrico / Acido L(+)tartarico / Acido L-ascorbico / Acido L-malico D,L malico / Acido lattico / Acido metatartarico / Acidificazione tramite elettrodialisi a membrana bipolare / Albumina d’uovo / Anidride solforosa (SO2) / Autoarricchimento tramite evaporazione / Autoarricchimento per osmosi inversa / Batteri lattici / Bentonite / Bicarbonato di potassio /Bisolfito di potassio /

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ILFOCUSDIALESSANDROMAGNUM

Bisolfito di ammonio / Carbonato di calcio / Carboximetilcellulosa (CMC) / Gomma di cellulosa (CMC) / Caseinato di potassio / Caseina / Carbone enologico / Chitina-Glucano / Chitosani / Citrato di rame / Colla di pesce / Cloridrato di tiamina / Biossido di silicio (Gel di Silice) / Scorze di lieviti / Elettrodialisi / Enzimi beta glucanasi / Fermentazione alcolica spontanea / Pastorizzazione rapida / Gelatine / Gomma arabica / Fosfato diammonico / Cremor di tartaro / Lieviti secchi attivi (LSA) / Lisozima / Mannoproteine dei lieviti / Proteine di origine vegetale ottenute dal frumento o dai piselli / Metabisolfito di potassio / Microfiltrazione tangenziale / Chips di legno di quercia / Mosto concentrato / Mosto concentrato rettificato / Polivinilpolipirrolidone (PVPP) / Enzimi per l’attivazione della pectinasi / Resine scambiatrici di cationi / Solfato di rame / Solfato di ammonio / Tannini enologici / Tartrato neutro di potassio Vino naturale. Fanno parte di questa categoria di vini una serie di produttori che hanno deciso di autoregolamentarsi dandosi delle regole ben precise con metodi di lavoro che prevedono il minor numero possibile di interventi in vigna e cantina, proibendo l’uso di pesticidi e fertilizzanti chimici in vigna, l’uso di lieviti selezionati per innescare la fermentazione, l’uso di additivi chimici e coadiuvanti nel mosto e nel vino. Limitano inoltre l’uso di anidride solforosa come antisettico e stabilizzante a valori non superiori a 80 mg/l di totale per i vini secchi e 100 mg/l per i vini dolci. In italia esistono due associazioni di vini naturali: Vinnatur e ViniVeri. Prodotti e processi ammessi per la vinificazione: Anidride solforosa (SO2) Vino biologico. Un vino si considera biologico nel momento in cui le regole utilizzate riguardano soltanto le coltivazioni e non i procedimenti di vinificazione. Le coltivazioni biologiche vietano in pratica i prodotti chimici di sintesi. La normativa sul vino biologico lascia pieno potere al produttore sull’uso di lieviti selezionati, additivi chimici e coadiuvanti enologici durante i processi di vinificazione e affinamento, demolendo così qualsiasi possibile significato di “naturalità” attribuibile ai vini etichettati come biologici. Il vino biologico potrebbe essere naturale ma potrebbe anche non esserlo. Solo analizzando le bottiglie è possibile sapere la naturalità del prodotto o no. Prodotti e processi ammessi per la vinificazione: Acido citrico / Acido L(+)tartarico / Acido L-ascorbico / Acido lattico / Acido metatartarico / Albumina d’uovo / Autoarricchimento tramite evaporazione * / Autoarricchimento per osmosi inversa /

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Batteri lattici / Bentonite / Bisolfito di potassio / Metabisolfito di potassio / Bicarbonato di potassio / Carbonato di calcio / Caseinato di potassio / Caseina / Carbone enologico / Citrato di rame / Colla di pesce / Cloridrato di tiamina / Biossido di silicio (Gel di Silice) / Scorze di lieviti / Fermentazione alcolica spontanea / Gelatine / Gomma arabica / Fosfato diammonico / Cremor di tartaro / Lieviti secchi attivi (LSA) / Proteine di origine vegetale ottenute dal frumento o dai piselli / Microfiltrazione tangenziale / Chips di legno di quercia / Mosto concentrato / Mosto concentrato rettificato / Enzimi per l’attivazione della pectinasi / Solfato di rame / Tannini enologici / Tartrato neutro di potassio / Anidride solforosa (SO2) Vino biodinamico. Anche per il vino biodinamico non esiste una normativa di legge di riferimento ma esistono enti di certificazione, come per esempio Demeter, che rivendicano la paternità sulla parola “biodinamico”. La biodinamica nasce all’inizio dello scorso secolo seguendo le ispirazioni cosmologiche di Rudolf Steiner che aveva escluso l’utilizzo dei prodotti chimici anche dalle pratiche di cantina, regimentando il tutto attraverso norme molto rigide. La certificazione Demeter prevede un obiettivo ottimale e uno standard. L’obiettivo ottimale è quello più rigoroso, che il produttore certificato dichiara di volere ottenere nel tempo. Lo standard invece è il minimo richiesto per essere certificati “biodinamici”. Prodotti e processi ammessi per la vinificazione: Disciplinare dei vini biodinamici Demeter: Albumina d’uovo / Anidride solforosa (SO2) / Bentonite / Carbone enologico / Microfiltrazione tangenziale Vino vegano. Nei vini vegani rientrano tutti quei vini che si sono sottoposti ad un processo di verifica, effettuata da un ente terzo, atta ad indicare che tutti i processi di produzione, agronomici ed enologici, siano stati effettuati non utilizzando qualsiasi prodotto e/o attrezzatura di origine animale. Questi vini quindi sono prodotti in assenza totale di sfruttamento animale. Prodotti e processi ammessi per la vinificazione: gli stessi dei prodotti biodinamici ma escludendo i derivati animali. Il vino buono nasce in vigna? No, l’uva nasce in vigna ma anche i vini naturali nascono in cantina. L’uva è fondamentale per fare un grande vino, ma il vino, in qualsiasi caso, alla fine prende forma in cantina. Meditate.


VINARIA

GIULIO FERRARI COLLEZIONE 1997 IL TRENTODOC CHE VINCE LA SFIDA DEL TEMPO di

Teresa Cremona

Bella la serata del 27 ottobre, organizzata dalle Cantine Ferrari, a Roma, al Ristorante la Pergola dell’Hotel Hilton, per presentare l’annata 1997 del Giulio Ferrari Collezione. E’ stata una serata vivace, ricca di empatica partecipazione, dove la famiglia Lunelli, ha saputo infondere un’atmosfera di accoglienza calda e piacevolmente informale, pur nella cornice importante di una consolidata tradizione. Nel menu, creato da Heinz Beck: ricciola marinata all’aceto balsamico bianco con neve di melograno; ostriche alla griglia su crema di zucca con aria di prezzemolo; tortellini d’anatra con infuso all’ago di pino e polvere di funghi porcini (nella foto sotto), piatto studiato per l’occasione, e dedicato espressamente alla nuova etichetta, e che si ispira alle delicate note silvestri di queste bollicine esaltandone al meglio le caratteristiche uniche. A seguire, lombo di agnello al finocchietto in crosta di cereali con perle di caprino, e per finire, come un Mont Blanc con caffè e tartufo bianco di Alba. Il Giulio Ferrari Collezione è un Trentodoc, Chardonnay in purezza, che nasce solo nelle annate giudicate eccellenti dal vigneto di Maso Pianizza, fiore all’occhiello della famiglia Lunelli per la sua posizione, in alta quota e protetto dai

Marcello, Camilla, Matteo e Alessandro Lunelli con lo chef Heinz Beck

boschi, su quelle montagne trentine di cui oltre un secolo fa proprio Giulio Ferrari aveva intuito la straordinaria vocazione. Come se il tempo si fosse fermato, il Giulio Ferrari Collezione 1997, con sboccatura 2016, conquista per la sua intensità e al tempo stesso per l’eleganza. La complessità aromatica, in cui spicca una nota floreale, in particolare di ginestra, all’assaggio si trasforma in un’esplosione di vitalità, bilanciata dalla freschezza che la sorregge e la completa. Toni delicatamente speziati completano un quadro gustativo di finezza e persistenza. Prima bollicina italiana presentata sul mercato dopo un affinamento sui lieviti così prolungato, il Giulio Ferrari Collezione, è realizzato in sole 1997 bottiglie numerate, dedicate alle migliori enoteche e alla ristorazione d’eccellenza. Dà inoltre diritto a chi lo acquista, di entrare nell’esclusivo club dei “Collezionisti Giulio Ferrari”, che permette di accedere a una serie di privilegi e a esperienze dedicate.

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VINARIA di

Giovanni Angelucci

DA MALTA

BIRRIFICIO

CISK

LA BIRRA DI QUALITÀ ALLA CONQUISTA DEL MERCATO HO.RE.CA

La storia del marchio Farsons e delle birre Cisk ci porta lontano nel tempo, addirittura nel 1840 quando il marchese Giuseppe Scicluna fondò la prima banca privata di Malta, mettendo in circolazione i primi assegni, tanto da essere chiamato con il soprannome di “ic-Cisk”, dalla pronuncia maltese di “Cheque” (assegno, in inglese). Cosa c’entra questo con la birra? È proprio da quest’uomo che tutto ebbe inizio, e dal suo nome. Nel 1928, la banca di Scicluna, sotto la direzione del marchese John Scicluna, figlio di Giuseppe, prese le redini di un’azienda che deteneva l’esclusiva per la produzione di birra Pilsner e Munchener, la Malta Export Brewery; l’anno successivo venne prodotta la prima lager con il nome di Cisk. Più avanti, nel 1948 la Simonds Farsons Limited, altro nome storico brassicolo maltese, e la Malta Export Brewery si unirono così da creare la Simonds Farsons Cisk Limited, la prima azienda produttrice di birra sull’isola. Da qui partì una crescita esponenziale tanto che nel 1995 divenne l’unica azienda privata del Paese a quotarsi sulla Borsa di Malta. 135 milioni di euro investiti negli ultimi 26 anni, fino all’ultima novità fresca di inaugurazione: il nuovo impianto di imbottigliamento presentato lo scorso 7 settembre, realizzato con un investimento di 27 milioni di euro. Ad oggi l’azienda potrà confezionare ed esportare ben 30.000 bottiglie e 40.000 lattine all’ora. Secondo Louis A. Farrugia, Presidente di Farsons, “la costruzione di questo nuovo impianto rappresenta un’altra im-

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portante pietra miliare che permetterà all’azienda di diventare un attore fondamentale nel settore beverage. Questo investimento è arrivato subito dopo un altro importante stanziamento, pari a 12,5 milioni di euro, che ha permesso la completa ristrutturazione delle sale di cottura, inaugurata nel 2012”. L’amministratore delegato del gruppo, Norman Aquilina, aggiunge: “Nel 2015 abbiamo esportato l’equivalente di 400 container, mentre il numero di mercati che siamo riusciti a penetrare è aumentato costantemente. Ad oggi esportiamo in 15 Paesi attraverso 5 continenti: questo investimento ci consente di aumentare ulteriormente le esportazioni, in linea con i nostri obiettivi per il futuro. Il mercato


CISK

italiano è il più importante che abbiamo, il 25% dell’esportazione è dedicato all’Italia dove siamo presenti su tutte le regioni, con le Cisk Export Premium Lager, Pilsner e Strong Lager, e quelle a marchio Farsons la Blue Label Amber Ale, Double Red Strong Ale e Ipa. Commercializziamo quasi esclusivamente birra in fusti, ma ora, con il nuovo impianto, possiamo dedicarci anche alla produzione di bottiglie e lattine così da avere una maggiore visibilità. Cominceremo quindi dall’horeca perché il marchio non è ancora particolarmente conosciuto; riteniamo che il miglior modo per lavorare al posizionamento sia tramite i distributori. Inoltre stiamo lavorando anche su formati differenti come le bottiglie da 75 cl, appetibili per il mercato italiano. Molto bene Cina e Corea e buoni risultati dall’Inghilterra. Ci interessa concentrarci su pochi mercati, ma buoni”. Un’azienda che punta sul futuro facendo dell’innovazione e dell’internazionalizzazione i punti chiavi della crescita. Il nuovo impianto di imbottigliamento è stato un nuovo grande passo e di certo non l’ultimo.


ASSAGGIO DI

LIBRI a cura di Giorgia Zucchi

PASTA REVOLUTION

COME TU MI VUOI

Questo libro è da una parte un appassionato racconto sull’evoluzione della pasta, dalle origini allo sviluppo del design e dei formati fino all’arte di inventare nuove ricette (variando il sugo ma non solo), dall’altro un vivido quadro della ricerca contemporanea di nuove tecniche e sorprendenti sapori. La storia della pasta s’intreccia con le moderne interpretazioni gourmet, gli aneddoti curiosi con le ragioni dell’evoluzione nell’alta cucina. A questo percorso originale, ricco di informazioni che pochi conoscono nonostante l’Italia sia la culla della pasta, l’autrice aggiunge le ricette di alcuni grandi chef.

I prodotti tipici siamo noi, consumatori prevedibili e replicabili? C’è ancora un patto di fiducia, nell’era di Tripadvisor, tra chi scrive e chi legge guide enogastronomiche e di viaggio? Possiamo ancora raccontare il cibo e i luoghi fuori dalla routine del sensazionale, dai cliché linguistici, dalla mistica della degustazione e dalla retorica degli specialismi? Come tu mi vuoi prova a riflettere su questi temi tentando anche di individuare un senso credibile per parole che rischiano il logorìo da abuso (qualità, tipicità, naturalità) e stimolando testimonianze e spunti riflessivi a più voci sugli elementi che consolidano o cambiano la percezione di una regione come le Marche.

La pasta conquista l’alta cucina di Eleonora Cozzella - Collana Peccati di Gola - Giunti Editore 160 pagine - Euro 18,00 - (Euro 20 in inglese)

STORIA MODERNA DEL VINO ITALIANO Suddiviso in tre parti (Rinascimento del vino italiano; Il vino Italiano. L’innovazione; La geografia del vino italiano), il volume propone un affascinante viaggio alla scoperta dei diversi aspetti del poliedrico mondo del vino: dal cosiddetto Rinascimento del vino italiano, al suo futuro e all’innovazione in tutte le sue declinazioni, dalla cucina italiana nel mondo alla sfida dei mercati internazionali, dagli intellettuali del vino al paesaggio vitivinicolo, dalle bottiglie ed etichette d’autore alle cantine, veri sancta sanctorum dove si celebra il rito del vino. Il volume presenta, decennio dopo decennio, le aziende protagoniste di questa storia dagli anni sessanta sino a oggi, a ciascuna delle quali viene dedicata una scheda illustrata completa della storia della casa vinicola e dei vini più rappresentativi.

a cura di Walter Filiputti - Skira Editore 480 pagine - Euro 55,00

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Raccontare il locale, i territori, le biodiversità. di Antonio Attorre - Edizioni ae - 126 pagine - Euro 13,00

L’INTERPRETAZIONE DEI SUGHI Parafrasando Freud, il titolo L’interpretazione dei sughi intende “ogni preparazione che serve ad arricchire un piatto, qualunque esso sia” e quindi anche ragù e salse. Aprono il volume premesse generali su dosi e terminologia e la descrizione dei 30 raggruppamenti dove il sugo può/deve essere utilizzato (dalla pasta secca saltata in padella alla pasta ripiena di carne, dal risotto alle crespelle, dagli gnocchi alle patate lesse, dalle carni fredde ai legumi stufati...). Segue il ricchissimo repertorio, con l’indicazione degli ingredienti e le ricette; per ognuna, Bay indica l’abbinamento ottimale e quelli consigliati.

Oltre 400 ricette per trovare sempre il condimento perfetto a ogni piatto! di Allan Bay - Giunti Editore - 448 pagine - Euro 16,00



EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com

CONFEDERATION EUROPEENNE

DES GOURMETS La famiglia dei Gourmets europei si è data una nuova dimensione per valorizzare

il piacere

della convivialità e della cultura

enogastronomica italiana

Direttore responsabile: Elsa Mazzolini La Madia srl è parte del Gruppo Cose Belle d’Italia www.cosebelleditalia.com

REDAZIONE Caporedattore: Maria Chiara Zucchi Impaginazione: Andrea Amadori Stampa: D’Auria Printing SPA - (AP) Webmaster: Giorgia Zucchi Redazione e centro di distribuzione in Gran Bretagna: ALIVINI Company Limited - London - Tel. +44 20 8880 2525

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