Mensile Sped. In Abb. Post. - Gruppo III° - 45% - Art.2 Comma 20/B Legge 662/96 - Fil. Forlì - Tassa Pagata - Taxe Perçue - Reg. Trib. Di Forlì N.653 - Del 14/6/84 - Dir. Resp. Elsa Mazzolini - La Madia Srl - Via Pacchioni, 365 - Cesena - Euro 4,00 - In caso di mancato recapito restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa
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ANNO XXXIII Maggio 2018 - N. 327 - €E 4,00 Direttore ELSA MAZZOLINI
FAKE NEWS E CIBO
QUANDO LE FALSE NOTIZIE DIVENTANO PERICOLOSE
LA MADIA EDITORE
SOMMARIO - LA MADIA TRAVELFOOD n. 327 TENDENZE
di redazione
La Madia Travelfood
pag. 36
foto copertina
3 foto in alto © ph L. De Zubiria - 3 foto in basso © La Madia Travelfood
GOURMETFOOD
pag. 55
FAKE NEWS E CIBO
PUGLIA FASHION
Quando le false notizie diventano pericolose.
Sole, mare, masserie storiche, distese di ulivi, cibo spettacolare...
La cultura del benessere
GourmetFood
I nemici della salute:
Ristorante 12 Apostoli
ancora qualche notizia sullo zucchero
di Alessandra Meldolesi................................................... pag. 48
di Primo Vercilli................................................................ pag. 8
Puglia Fashion
La scelta vegana
Wine Resort Vinilia
La colazione vegana
di Teresa Cremona.......................................................... pag. 56
di Silvia Bianco................................................................. pag. 10
B&B Le 6 Conche
Assaggi di Galateo
di Teresa Cremona.......................................................... pag. 60
“Come volete governare un Paese ove esistono
Masseria Il Melograno
246 varietà di formaggio?”
di Teresa Cremona.......................................................... pag. 61
di Fabio Ferrantino........................................................... pag. 16
Ristorante Olio
Il menu engineering
di Teresa Cremona.......................................................... pag. 66
Cos’è un menu ingegnerizzato?
Masseria Le Stanzìe
di Lorenzo Ferrari............................................................. pag. 18
di Teresa Cremona.......................................................... pag. 67
Chissenefood
Raffaele Liuzzi................................................................. pag. 68
Dialogo semiserio tra un venditore di guide
Ristorante Cibus
e un passeggere
di Alessia Pellegrini.......................................................... pag. 74
di Cristiano Giliberti.......................................................... pag. 20
Chef di Spirito
GolavagandOraviaggiando
Senape selvatica di campo
Ristorante I Tre Re
di Sonia Leo..................................................................... pag. 78
di Alessia Pellegrini.......................................................... pag. 24
Eventi
Golavagando
18° Festival della Cucina Italiana..................................... pag. 82
Ristorante Battipalo
Ristogolf 2018................................................................. pag. 90
di Camilla Rocca............................................................... pag. 28
Il focus di Alessandro Rossi
Creta osteria contemporanea.......................................... pag. 32
Maxiprocesso alla solforosa
Buone Nuove..................................................................... pag. 34
di Alessandro Rossi.......................................................... pag. 92 Podere Fiorini di Antonietta Mazzeo....................................................... pag. 96
EDITORIALE di
Elsa Mazzolini
FAKE NEWS ANCHE NEL SETTORE ENOGASTRONOMICO? Certo che sì, malgrado la distinzione tra totalmente falso e artatamente manipolato sia d’obbligo. Le bugie sono più potenti della verità e si diffondono molto velocemente (10 volte più veloci delle notizie vere), specie quando suscitano sdegno, disgusto o paura: lo sa bene la politica che scredita gli avversari usando le emozioni della gente. Il problema, purtroppo difficile da contrastare, non è attribuibile tanto a quattro perditempo mitomani che si divertono a inventare puttanate, quanto a organizzazioni che, pompando bufale, guadagnano tanti più soldi quanto più numerosi sono i contatti. E i creduloni, pronti a ritwittare con rabbia che la Boschi va al funerale di Riina o che il figlio della Boldrini percepisce stipendi milionari dallo Stato, sono tanti. Troppi. Il settore food non è immune dagli attacchi delle false news, anzi è il terreno più fertile in assoluto, tale da spingere i consumatori a scelte alimentari spesso insensate e pericolose. A tutti è capitato di leggere che l’ananas brucia i grassi, che le bacche di Goji bloccano l’invecchiamento, che lo zucchero di canna non fa ingrassare, che il latte e la farina sono veleni bianchi, ma il pericolo maggiore arriva da chi strumentalizza con informazioni manovrate la fragilità delle persone per spietati obiettivi di arricchimento. Uno dei casi più recenti riguarda il santone della macrobiotica Mario Pianesi, tuttora indagato, che ha costruito un impero con un giro d’affari di milioni di euro, inducendo migliaia di persone a “curare” gravi patologie fisiche e psichiche mediante l’imposizione di regole alimentari e comportamentali al limite dello schiavismo. Insomma, se su certe bufale si può anche sorridere, sulla mistificazione in tema alimentare non si scherza. Ce lo confermano nelle prossime pagine anche alcuni grandi chef e opinionisti che denunciano forme di alterazione della verità sia nelle troppe trasmissioni culinarie televisive, sia nella comunicazione disinvolta di oggi.
ME
LACULTURADELBENESSERE
a cura di
Primo Vercilli Medico Dietologo
I NEMICI DELLA SALUTE:
ANCORA QUALCHE NOTIZIA SULLO ZUCCHERO Nello scorso numero avevo cominciato ad accennare come lo zucchero fosse uno dei principali nemici della salute. Vorrei spendere ancora qualche parola su questo, non tanto per parlarne da un punto di vista di rischio sanitario (abbiamo ben tutti presente quanto un eccessivo consumo di zuccheri ci esponga ad obesità e diabete), ma piuttosto per farvi riflettere su alcuni aspetti pratici. Nell’articolo precedente spiegavo come non bisognerebbe superare i 75 grammi di zuccheri semplici al giorno (in una persona adulta!). Qualcuno potrebbe pensare che 75 grammi sono tanti e che difficilmente li raggiungiamo nel corso della giornata. È proprio su questa mancanza di consapevolezza che vorrei insistere. Vi faccio solo alcuni esempi: una crostatina da 42 grammi (venduta come merendina confezionata da diverse aziende alimentari) contiene mediamente 15 grammi di zuccheri semplici. Se a questo si abbina una lattina di Coca Cola o di aranciata arriviamo già a 50 grammi (mediamente una lattina di bibita zuccherata contiene 35-40 grammi di zuccheri semplici!). A questo punto bastano 2 caffè con zucchero per raggiungere la nostra quota limite. Ripeto: parlo di introito in una persona adulta, in quanto per i ragazzi la quota è decisamente più ridotta. Tra l’altro è anche importante il momento della giornata in cui si consumano tali
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prodotti. Ad esempio, assumere bibite gassate zuccherate durante il giorno è peggio rispetto ad assumerle in un solo momento, magari durante il pasto. Questo perché, nel primo caso, il pancreas sarà costantemente stimolato a produrre insulina per difendersi dagli zuccheri e quindi non avrà un attimo di tregua. La situazione non migliora se sostituiamo le bibite zuccherate con i succhi di frutta. Un brik da 200 ml contiene mediamente 25 grammi di zuccheri derivati dalla frutta. Con apprensione segnalo che ci sono addirittura campagne pubblicitarie che recitano slogan “Mamme tranquille, bimbi felici” che invitano all’acquisto di bevande per bambini con 28 grammi di zuccheri a porzione! Care mamme, pensate al povero pancreas di vostro figlio quando acquistate prodotti simili. Ma non è tutto: lo zucchero può essere abbondante anche in alimenti considerati sani, come i cereali per la prima colazione e gli yogurt; infatti, una porzione da 30 grammi di corn flakes contiene mediamente 5 grammi di zuccheri semplici, ma la quantità raddoppia quasi (9-10 grammi) se si preferiscono altri tipi di cereali più elaborati. A proposito degli yogurt, ricordate che non tutti gli yogurt sono uguali: ci sono prodotti che contengono quasi 21 g di zucchero a vasetto! Gli yogurt contengono naturalmente zuccheri semplici, che in un vasetto preparato con latte intero ar-
LACULTURADELBENESSERE
rivano a circa 5g. Se però nel vasetto c’è anche la frutta la quantità aumenta, non tanto per gli zuccheri naturalmente contenuti nella frutta, ma perché lo yogurt viene zuccherato. C’è un altro elemento da considerare. La frutta viene aggiunta quasi sempre sotto forma di semilavorati che assomigliano un po’ a una marmellata. Ma le sorprese non finiscono qui, anzi aumentano se pensiamo che lo zucchero si trova in moltissimi prodotti….salati! e non bisogna essere dei nutrizionisti per saperlo: basta leggere con attenzione le etichette dei prodotti. Infatti, possiamo scoprire che zuccheri semplici si trovano anche in tanti prodotti “insospettabili”: c’è sempre un po’ di zucchero nel pane per hambuger; alcuni pani morbidi contengono oltre 4 grammi di zuccheri per 100 grammi di prodotti e addirittura molti tipi di crackers raggiungono gli 8 grammi. Un po’ di zucchero si trova anche nei salumi, in particolare nel prosciutto cotto e negli affettati di tacchino, come anche nelle minestre pronte, nelle creme di verdure e nei minestroni pronti. Purtroppo l’elenco non è ancora completo: 100 grammi di Ketchup contengono 21 grammi di zuccheri, mentre la stessa quantità di salsa barbecue ne contiene 32! Attenzione anche agli alimenti “light”. A volte per alleggerire l’apporto di grassi mantenendo un gusto apprezzabile, viene aggiunto zucchero. E comunque fate sempre molta attenzione alle bevande light! Molti studi stanno cominciando ad evidenziare possibili legami con diversi problemi di salute per i consumatori abituali di bevande light! Nel 2014 un ampio studio, condotto su 320 mila persone, ha osservato che chi beve quattro o più lattine di bibite light al giorno ha il 30% di probabilità in più di ricevere una diagnosi di depressione rispetto a chi non ne beve (o ne beve meno). Infine, uno studio pubblicato sullo Stroke Journal dell’American Heart Association nell’aprile 2017 e condotto su 4.400 persone al di sopra dei 45 anni, collega queste bevande a infarti, ictus, obesità e diabete di tipo 2. Secondo la ricerca, chi beve quotidianamente una o più bibite con dolcificanti andrebbe incontro a un rischio triplo di avere un ictus rispetto a chi si limita a bere acqua. A questo punto potrebbe venirvi lo sconforto: ma allora cosa fare? Intanto imparate a dissetarvi con l’acqua e leggete con molta attenzione le etichette dei prodotti che acquistate; non fidatevi delle diciture light e consumate qualcosa di dolce solo a colazione e una volta a settimana come extra. Ma soprattutto: affidatevi a qualcuno che sia più esperto e non giudicate da voi quello che fate; abbiate sempre un occhio critico nei confronti di quello che leggete sul web e non fidatevi mai dei proclami miracolistici. Ci sarà pure un motivo se per diventare dietologi occorrono 6 anni di università (Medicina) e 4 anni di specializzazione (Scienza dell’Alimentazione)! Pensate veramente che si possa semplicemente leggere poche baggianate sul web per essere in grado di fare una dieta seria?
LA SCELTA VEGANA
a cura di
Silvia Bianco testimonial di cucina vegana
LA COLAZIONE VEGANA Al mattino dobbiamo dare al nostro corpo il carburante giusto con una colazione energetica, non necessariamente ipercalorica, ma che sia soprattutto equilibrata, evitando alimenti pesanti ed abbinamenti poco graditi al nostro apparato digestivo. La colazione al bar o in pasticceria con un cappuccio di latte vegetale e brioche con la crema, seppur vegetale, è un concentrato calorico di zuccheri e grassi che non fornisce il carburante idoneo al nostro corpo, ma fa impennare i livelli di glicemia nel corpo per poi ricadere dopo un’oretta o poco più, facendoci sentire un senso di fame; se troppo grassa, appesantisce per tutta la mattina con risvolti negativi sulle nostre attività. Certamente, ogni tanto possiamo concedercelo, ma non è un tipo di colazione che si può fare tutti i giorni: zuccheri o grassi, seppur vegetali, sono dannosi se assunti in elevate quantità rispetto al nostro fabbisogno e per tempi prolungati.
COSA MANGIANO I VEGANI A COLAZIONE? La maggior parte dei cibi che vengono consumati normalmente a colazione sono vegani: i cereali, le fette biscottate, le marmellate, etc… Ideare una colazione vegana è, quindi, davvero semplice. Latte e yogurt vaccino trovano la loro alternativa in bevande e yogurt vegetali come soia, riso, mandorla, cocco, avena, farro, nocciola, noci, canapa, etc… Chi è abituato a mangiare i biscotti a colazione, torte, crostate, crepes, pancakes vegani può orientarsi
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verso i prodotti senza latte, burro, uova e miele: sugli scaffali dei supermercati ne troviamo per tutti i gusti, ma potete prepararli in casa, anzi è meglio, usando farine senza glutine, integrali, ideandoli senza zuccheri o utilizzando dolcificanti a basso indice glicemico come lo sciroppo di yacon, la stevia, oppure dolcificandoli con purea di mela, banane o pasta di datteri in quantità a secondo dei vostri bisogni…insomma la colazione dei vegani non è affatto povera!
COME IMPOSTARE LA COLAZIONE VEGANA TRADIZIONALE PERFETTA In generale, al mattino l’ideale è bere a digiuno un bicchiere di acqua tiepida: favorisce la digestione, risvegliando il nostro corpo dolcemente e reidratandolo. Poi si può procedere con la preparazione della colazione. Vediamo alcuni esempi di colazioni vegane ed equilibrate e più “tradizionali” da cui si può trarre spunto e creare la propria colazione, regolandosi con le quantità per ciascun alimento in base al proprio fabbisogno: • colazione vegan semplice ed integrale, con latte vegetale, pane di segale, confettura senza zuccheri aggiunti (meglio se fatta in casa) frutta secca o semi e frutta fresca; • colazione vegan sana, energetica ma gustosa: frullato di frutta e verdura di stagione, latte vegetale, cereali integrali come avena e grano saraceno, frutta secca o semi;
COLAZIONEVEGANA
• colazione vegan dolce e golosa: spremuta fresca, yogurt vegetale al naturale, fette biscottate integrali, crema ai semi di sesamo o nocciole vegana (l’ideale è farsela in casa senza aggiunta di olio e zucchero); • Colazione vegan sana e ipocalorica: yogurt di soia al naturale, frutta di stagione, frutta secca o semi e cereali integrali; • colazione vegana proteica latte di soia, cocco o mandorle, cereali integrali, olio di cocco extravergine o mandorle, o semi di lino, o semi di chia (o un mix), frutti rossi. Per gli sportivi o chi necessita di un fabbisogno proteico maggiore, si possono aggiungere proteine vegetali in polvere; • colazione vegana ipercalorica con un porridge di fiocchi d’avena, latte vegetale a scelta, frutta fresca come una banana, una pera o delle fragole, una manciata di frutta essiccata come uvetta o frutti rossi, cioccolato extra fondente a scaglie e mix di semi come sesamo o lino o frutta secca (mandorle, noci di macadamia, etc.) Le idee per creare una colazione vegana sono tante e tutte gustose e possiamo personalizzarle scegliendo combinazioni diverse, sperimentandone di nuove, gustose e completamente cruelty free. Con un po’ di fantasia, possiamo creare dei veri e propri pasti a cui non poter rinunciare, proprio perché sono gustosissimi!
olio extravergine di cocco da coltivazioni sostenibili e controllate, o semi di chia, semi di lino, semi di sesamo, girasole e zucca, etc.. La parola d’ordine rimane la semplicità e, con soli 3 o 4 ingredienti, si possono ottenere delle breakfast bowls deliziose e nutrienti, leggere e digeribili. Gli Smoothie Bowls, sono uno degli ultimi trend in termini di colazioni salutari e molto gustose. Sono esattamente dei frullati, ma in ciotole, proprio come avviene per le breakfast bowls. Le origini degli smoothie bowls sono presumibilmente molto legate alle Açaí bowls che provengono dal Brasile che, nella regione amazzonica, è l’unico posto al mondo in cui la bacca di açaí è in grado di crescere. Questo frutto dalla polpa viola brillante è alla base della dieta brasiliana, soprattutto per le famiglie più povere, che per tradizione raccolgono l’açaí arrampicandosi sugli alberi e, dopo aver fatto cadere i grappoli, estraggono il frutto e lo ammollano per diverse ore in acqua per ammorbidire sia la pelle che la polpa. E’ un frutto che viene consumato da solo, in zuppa, oppure in accompagnamento ad altri piatti come pesce o carni; ha una consistenza molto cremosa e un sapore quasi di terra, con sentori di cioccolato. Sino ai primi anni del 2000, l’Açaí era praticamente sconosciuto al di fuori del Brasile; fu grazie a due fratelli ed un loro amico del Sud della California i quali lo esportarono negli Stati Uniti a seguito di un loro viaggio in Brasile, che divenne famoso in tutto il mondo.
BREAKFAST E SMOOTHIE BOWLS Con l’arrivo della bella stagione possiamo sbizzarrirci ancora di più, creando delle vere e proprie delizie al palato ed agli occhi. Che ne dite quindi di preparare delle squisite e colorate breakfast bowls, oppure degli smoothie bowls? La Breakfast Bowl è il nome inglese per identificare le ricette per la colazione in scodella, generalmente sono colazioni sane, nutrienti ed energetiche con ingredienti selezionati, prediligendo quelli più naturali possibili. Per creare la vostra breakfast bowl servirà una base liquida, come una bevanda o yogurt vegetale a scelta tra soia, mandorle, canapa, semi di lino, cocco, a cui aggiungere cereali integrali, scartando quelli raffinati e zuccherati da supermercato e prediligendo quelli a basso indice e carico glicemico e senza glutine come il grano saraceno, l’avena, il miglio, la quinoa, il teff, l’amaranto e della frutta fresca, (anche qui meglio a basso indice glicemico) come mirtilli, fragole, lamponi. A piacere si possono aggiungere i “super alimenti”, in piccole dosi, come lo sciroppo di Yacon che è un dolcificante naturale a basso indice glicemico ed è un prebiotico, la spirulina in polvere, la maca in polvere, camu camu in polvere, bacche di goji, baobab, curcuma, zenzero, cardamomo in polvere, etc.. e poi
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LA SCELTA VEGANA
Da allora il frutto è considerato un super alimento ed è diventato tanto popolare da essere visto come miracoloso per le sue proprietà antiossidanti ed antitumorali. Le Açaí Bowls sono nate grazie ad una famiglia, i Gracies, le cui radici erano proprio dell’amazzonia. I Gracies erano esperti di arti marziali e praticavano jujitsu ed avevano ideato una dieta speciale a base di Acai, proprio per i combattenti delle loro palestre di jujitsu che si erano diffuse negli anni 80 in tutto il Brasile, fino a sud, nelle città di Rio e San Paulo. I Gracies promuovevano l’Açaí come un potente energetico, povero in zuccheri e molto digeribile e fu così che altri sportivi, come surfisti e giocatori di pallavolo iniziarono a mangiare il frutto sulle spiagge brasiliane. La polpa di açaí è molto delicata e si degrada velocemente, per questo motivo veniva congelata prima di essere spedita dall’Amazzonia verso sud e così sulle spiaggie di Rio e San Paolo veniva servita in coppette contenenti l’Açaí surgelato, come se fosse un sorbetto: fu così che nacquero le Açaí bowls! La grande differenza tra gli smoothie bowls e l’Açaí bowls è molto semplice: le prime hanno una consistenza molto più liquida, mentre le seconde hanno una consistenza simil sorbetto, densa e cremosa e servita molto fredda. Inoltre la Açaí bowls tradizionali sono molto semplici e costituite unicamente da polpa di Açaí per i puristi, mentre altri preferiscono aggiungere sciroppo di guaranà o agave ed eventualmente un altro frutto come le banane. Con le smoothie bowls si è invece più creativi: sono in genere costituite da diversi ingredienti sapientemente uniti tra loro (polpa di Açaí inclusa), da personalizzare a proprio gusto. Nello specifico, gli smoothie bowls sono un’alternativa per chi ama i frullati, ma preferisce “masticarli”
e goderseli più come un pasto e quindi con un cucchiaio, invece di berlo con cannucce di plastica che, peraltro, deteriorandosi in microplastiche si disperdono nell’ambiente contribuendo così a disastri ambientali e sono altamente dannose per gli animali (soprattutto marini) che si ritrovano ad ingurgitare pezzi grandi ed infinitesimamente piccoli di plastica galleggianti nei nostri mari. Gli smoothie bowls sono un’opzione per assaporare il rito della colazione, in maniera sana, equilibrata ma con gusto. Le loro realizzazione richiede solo 10 minuti (o anche meno) e sono completamente personalizzabili. L’idea di base è quella di preparare un frullato corposo di frutta tagliata a tocchetti e congelata in precedenza, creando un composto più sostanzioso a livello nutrizionale in base alla scelta di ingredienti come avocado, burro di noci o semi, latte di cocco e completandolo con altri ingredienti come cacao, caffè, cannella, zenzero curcuma, polvere di bacche di goji, cocco in pezzi o scaglie, semi di canapa o altri semi, frutti rossi e bacche, granola, burro di arachidi e persino biscottini o tortine al cioccolato autoprodotte e sbriciolati come topping finale. In pratica, qualsiasi cosa abbiate in dispensa, si può rivelare nel perfetto ingrediente che vi porterà a creare colazioni sublimi e volendo molto sostanziose. Il segreto per rendere queste bowls interessanti al palato è quello di frullare la frutta congelata come banane e frutti di bosco, utilizzando il comando a bassa velocità e frullando per poco tempo, in modo tale da ottenere un composto denso, simil liquido, ma con pezzetti di frutta. Dopodichè spazio alla fantasia aggiungendo ciò che più vi aggrada come ad esempio un buon latte di cocco che conferisce cremosità e sostanza. Volendo creare una bowl più leggera, si può sostitui-
Silvia e gli esperti rispondono...
Inviate le vostre domande a: lamadia@lamadia.com
Sono vegana e mi piacerebbe avere un consiglio su come rendere proteica, o meglio bilanciata, la mia colazione, perché mi rendo conto che contiene solo carboidrati; con cosa posso integrare le proteine? Ida - Bergamo È importante precisare che la colazione in generale deve essere di tipo normoproteico, non sono quindi necessarie grosse quantità di proteine, basta scegliere quelle più complete, composte da tutti gli amminoacidi, di cui alcuni essenziali per i nostri fabbisogni. La famiglia dei semi oleosi offre una ampia gamma di varianti che forniscono un buon apporto proteico, come i semi di zucca e pinoli (circa 30 grammi per 100 grammi di prodotto) poi le noci, nocciole, pistacchi e mandorle. L’importante è scegliere prodotti non tostati e non salati. Un’ottima soluzione per la nostra colazione è assumere una manciata di un mix di semi e noci cosparsi sul nostro porridge d’avena. L’assunzione di cereali e legumi, durante l’arco delle 24/48 ore, andrà a sopperire alle carenze dell’amminoacido essenziale “lisina” nei cereali e della “metionina” nei legumi. Utilizzando gli pseudo-cereali come i fiocchi di quinoa a colazione, si avrà invece un buon apporto di lisina normalmente carente nei cereali. Un’altra valida alternativa sono i fiocchi di soia altamente proteici e ricchi di amminoacidi, oppure per chi ha esigenze sportive particolari - come avviene già per gli sportivi onnivori - si può optare per l’integrazione con proteine in polvere vegetali da miscelare alla bevanda o yogurt vegetale. In commercio se ne trovano di vario tipo, anche crudiste; si consigliano i blend di proteine provenienti da più alimenti come il riso, pisello, soia, avena, quinoa, etc... poiché nutrizionalmente più complete rispetto a quelle costituite da un solo alimento.
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COLAZIONEVEGANA
BANANA BREAD INGREDIENTI
re il latte con acqua, oppure fare metà bevanda vegetale e metà acqua e per chi vuole una colazione più proteica si possono aggiungere uno o due cucchiai di proteine in polvere crudiste. Come vedete, le opzioni per comporre la smoothie bowl sono infinite, abbinando sapori che più vi piacciono e si adattano alla stagione: in inverno pere, cannella e noci, oppure arance con cioccolato e datteri; in primavera fragole con mandorle e semi di chia; in estate albicocche , curcuma e semi di zucca, oppure ciliegie e pesche con chiodi di garofano e noci di macadamia; in autunno fichi, mandorle e cioccolato.
COLAZIONI SALATE VEGANE PER TUTTI I GUSTI! Per gli amanti delle colazioni salate, ci sono numerose opzioni che ci permettono di variare la colazione ogni giorno: 1. Frittatine di ceci, perfette per una colazione nutriente, a base di farina di ceci, sale Kala Namak, che conferisce il tipico sapore di zolfo, unito a erba cipollina, cipollotti, basilico è perfetta per essere divorata “on-the-go” oppure su un toast con fettine di avocado. 2. Involtini di piadine morbide, o tortillas, imbottiti con tofu saltato con tamari, “nastrini” di carote, e guacamole, oppure involtini con hummus alternato a strati di zucca saltata con cipolla con un cuore di lattuga e pomodorini secchi, oppure avocado e pomodorini freschi e secchi con olive taggiasche e con una crema di semi di girasole . 3. Panini e toast ripieni di hummus di fagioli di soia edamame, una crema di aglio e carote arrostite, oppure un ottimo patè di funghi, oppure ancora una crema di salsa d’aglio con una spolverata di Za’taar. 4. Pancakes, in versione salata con base di farina, cremor tartaro e acqua o bevanda vegetale, serviti con verdura come cipolle e zucchine saltate, maionese vegana, e tofu, oppure nella loro versione dolce si possono gustare con frutta, marmellate, cioccolata o creme di semi e noci! Dunque, dal punto di vista delle possibili varianti a nostra disposizione e del gusto, l’alimentazione vegana a colazione non ne risente rispetto alla colazione onnivora, anzi, oltre ad utilizzare degli alimenti vegetali molto gustosi, si può scegliere di fare dei pasti leggeri o più sostanziosi ad altissima digeribilità. Vi lascio la mia ricetta del Banana bread, che preparo quando ho voglia di coccolarmi con qualcosa di veramente goloso, ma sano, con ingredienti che scelgo accuratamente, naturalmente senza glutine e con un basso indice glicemico (o quasi! Una volta ogni tanto ci sta!).
2 cucchiaini di semi di chia ridotta in polvere (oppure semi di lino, oppure fibra di psillo) mescolati con 2 cucchiai d’acqua e lasciati a riposare 10 minuti affinché il composto diventi gelatinoso, 3 o 4 banane ben mature
ridotte a purea, ml. 150 di latte vegetale, ml. 100 di olio di cocco extraver-
gine, g. 80/100 di zucchero integrale mascobado o di cocco, g. 130 di farina di grano saraceno (o altra senza glutine), g. 40 di farina di riso, g. 30 di Maizena o tapioca, bicarbonato di sodio, cremor tartaro, sale marino fine, g. 100 di cioccolato fondente 80% tritato, nocciole tritate. PREPARAZIONE
Mischiare tutti gli ingredienti secchi ad eccezione di cioccolato e nocciole) in una ciotola. In un’altra ciotola unire le banane schiacciate, il latte
vegetale, l’olio di cocco extravergine, lo zucchero ed il composto gelatinoso di semi di chia e mescolare bene.
Setacciare gli ingredienti secchi e miscelarli a quelli umidi, un poco per
volta. Riscaldare il forno a 175°C ed ungere uno stampo con olio di cocco ed una spolverata di pan grattato.
Mescolare per bene tutti gli ingredienti ed in ultimo aggiungere il cioccolato fondente, le nocciole tritate grossolanamente e tenere da parte una
manciata di entrambi per la decorazione finale. Trasferire il composto nello stampo da plumcake e cospargere la parte superiore con nocciole,
cioccolato ed eventualmente fettine sottili di banana tagliate per la lunghezza. Cuocere in un forno preriscaldato per circa 65-70 minuti.
Far raffreddare prima di rimuovere dallo stampo. Servire con una bella tazza di cappuccio di mandorle.
Gala teo ASSAGGI DI
a cura di
Fabio Ferrantino Docente di Galateo presso Bon Ton Academy Professore di Enogastronomia IPSSAR Piobbico
“COME VOLETE GOVERNARE UN PAESE OVE ESISTONO 246 VARIETÀ DI FORMAGGIO?” Questa citazione, attribuita con diversi numeri a Charles de Gaulle, fa ben comprendere quanto tale alimento identifichi un popolo e le sue innumerevoli sfaccettature. Figurarsi in Italia, dove le nostre DOP, legate alla produzione casearia, hanno superato da qualche anno quelle francesi. D’altronde, nel nostro Paese, con il primato di prodotti a marchio di qualità, ben si inserisce l’affermazione di Paul Bocuse, modernizzatore della cucina d’oltralpe, scomparso qualche mese fa, che sentenziava: “L’egemonia della cucina francese durerà sino a quando gli chef italiani capiranno l’enorme patrimonio che hanno a disposizione, sia per quanto riguarda le materie prime, che per il ricco patrimonio di tradizioni”. Il formaggio è un alimento straordinariamente eccezionale, un complesso concepimento culturale, nato dall’esigenza di conservare una materia prima preziosa: il latte. Un cibo talmente complesso che, nel medioevo, anche i più grandi medici di allora dimostravano diffidenza nei suoi confronti. «Caseus est sanus quem dat avara manus», recitava un aforisma attribuito alla Scuola salernitana. Dunque, “Fa bene quel formaggio servito da una mano avara” si traduce, nel significato che solo il formaggio mangiato a piccole dosi, non fa male alla salute. Un articolo, come un libro, non basterebbe per illustrate tutti i criteri di classificazione e i fattori fisico-chimici che intervengono durante la produzione di ogni formaggio; è fondamentale però comprendere alcuni elementi per proporre al meglio questa portata, per raccontarla e preservarla, restituendogli il ruolo che merita. Come già accennato, il formaggio è un alimento vivo, per questo bisogna conservarlo in un determinato ambiente e ricoprirlo adeguatamente per sfavorire la sua ossidazione e la creazione
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di elementi sgradevoli che ne contrastano la sua salubrità e qualità, come le muffe improprie. A livello di temperatura, i formaggi freschi vanno collocati nella parte più fredda del frigo tra 2 e 4°C, i formaggi stagionati nella parte meno fredda del frigo tra gli 8 e i 10°C mentre tutti gli altri nello scomparto a temperatura compresa tra i 6 e gli 8°C. Nella fattispecie dei formaggi più o meno stagionati a pasta semidura, la soluzione migliore è conservarli in fogli di carta alimentare. La carta, essendo porosa, protegge il formaggio dall’esposizione all’aria, ma gli consente allo stesso tempo di respirare. È bene sostituire la carta quotidianamente o ogni due giorni. Affinché il formaggio preservi tutto il suo sapore, è necessario toglierlo dal frigo una o due ore prima di servirlo, riportandolo a temperatura ambiente. Spesso, su questo prodotto si effettua la pratica del sottovuoto, una tecnica non adeguata, in quanto non ne permette la sua respirazione, causando una diminuzione di aromaticità e persistenza dei sapori, anche se ne aumenta la conservazione. Durante il mantenimento, le diverse tipologie di formaggio non devono mai stare a contatto fra loro, meglio se conservate in contenitori separati, sempre rispettando la giusta areazione. Sovente fra i dessert, in Francia, sono enunciati anche i formaggi: la cultura gastronomica francese, infatti, considera il formaggio un elemento irrinunciabile che può essere servito come antipasto, come contorno della portata principale o come dessert: secondo la tradizione, un pasto degno di questo nome deve terminare con del formaggio accompagnato da ottimo vino. Un buon ristorante dovrebbe offrire e valorizzare i formaggi locali, disponendo anche di una selezione di produzioni nazionali.
ASSAGGIDIGALATEO
Compito dell’operatore di sala è consigliare all’ospite la tipologia o le tipologie più indicate secondo il menu. Per farlo, occorre innanzitutto conoscere i formaggi che si hanno in casa, rispettare la scala dei sapori e quindi servire dal formaggio più delicato a quello più forte. Inoltre, la scelta deve essere in armonia con le portate servite prima, per non creare distonie con esse e con i vini gustati. Per facilitare la scelta del cliente, bisogna saper trasmettere per ogni formaggio, oltre le sue caratteristiche essenziali: tipologia di latte, stagionatura, note fondamentali; anche la sua storia ed eventuali curiosità ad essa collegate. Il servizio è consigliabile svolgerlo tramite una composizione già realizzata nel piatto in base alle scelte del commensale o tramite il guéridon da formaggi con piatto composto dal cameriere dinanzi al cliente, il quale suggerisce i formaggi che gradisce. La mise en place corretta avviene disponendo un coltellino e una forchettina, il primo sulla destra del piattino e la seconda alla sua sinistra. La porzione complessiva dei formaggi come dessert non dovrà superare i 100 grammi, mentre i pezzetti di formaggio (all’incirca 20 grammi ciascuno) saranno disposti sul piatto in senso orario, partendo dai formaggi più freschi per proseguire con i mezzani e i più stagionati, saporiti e piccanti, e concludendo con gli erborinati. Una perfetta porzione di formaggio è quella formata dal cuore della pasta fino alla crosta in modo da poter distribuire in ogni porzione, equamente, le diverse caratteristiche organolettiche del prodotto. Ad ogni tipologia di formaggio il suo taglio.
Il formaggio permette di scoprire accordi insoliti, ma armoniosi: può essere abbinato a diversi ingredienti. Il miglior matrimonio si consuma con il pane di differenti varietà, da proporre sempre nel momento del servizio di questa portata. Ottimi sono gli abbinamenti con il miele; lo stesso vale per le confetture, le gelatine e le mostarde. Anche il vino e la birra si abbinano bene con i formaggi, tenendo presente che la struttura e la sapidità di entrambi devono andare di pari passo con quelle dei formaggi.
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IL MENU ENGINEERING
a cura di
Lorenzo Ferrari Direttore Marketing di RistoratoreTop
“COS’È UN MENU INGEGNERIZZATO?” Per chi si avvicina per la prima volta all’universo del Metodo MENUENGINE o del Menu Engineering, cioè a quelle affascinanti materie che hanno lo scopo di ottimizzare i profitti dei ristoranti modificando il contenuto e la forma del menu, quella del titolo è una domanda davvero frequente, lecita e intelligente. La risposta migliore che chi scrive potrebbe fornire è la seguente: Un menu ingegnerizzato è uno strumento di vendita in grado di aumentare i profitti di un ristorante rispetto ad un menu tradizionale. Rispetto ad un menu tradizionale? Perché, c’è anche la versione “innovativa” di un menu? Beh, sì. E questa versione innovativa si chiama proprio menu ingegnerizzato. La differenza tra un menu ingegnerizzato e un menu tradizionale. L’appellativo “ingegnerizzato” si riferisce al fatto che dietro a questa particolare tipologia di menu ci sono una analisi, uno studio e una progettazione totalmente differenti rispetto ai menu tradizionali. Visivamente e fisicamente, un menu ingegnerizzato e un menu tradizionale potrebbero essere confusi, in quanto davvero simili (almeno ad un occhio non esperto, come quello del cliente che si trova ad utilizzarli per scegliere cosa mangiare!) Ciò che li differenzia non è la forma, ma il contenuto, e il perché di quel contenuto e del modo nel quale viene presentato. Infatti, di norma, un menu tradizionale viene creato dall’unione delle menti del titolare e dello chef, sulla base dei loro gusti culinari o di quelli che sperano saranno i gusti della loro clientela. Questo non è sbagliato, anzi, è semplicemente una visione limitata e limitante. E il fatto che lo facciano tutti o si sia sempre fatto così non costituiscono buone ragioni per non cambiare l’approccio. Ciò che chi scrive consiglia di fare, invece, è creare un menu (oppure analizzarne uno esistente) non solo dal punto di vista culinario, ma anche dal punto di vista ingegneristico. Ed ecco perché, quando ci si riferisce al termine “menu”, non si dovrà pensare SOLO ai piatti che lo compongono, alle tecniche utilizzate per trasformarli e cucinarli oppure agli abbinamenti tra una pietanza e l’altra - tutti elementi associabili al punto di vista culinario.
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Ma si dovrà pensare al tuo menu come ad un elenco di piatti ai quali sono associati dei numeri, che identificheranno la loro profittabilità, la loro popolarità e la loro velocità di preparazione e servizio. Cioè al punto di vista ingegneristico. Un menu ingegnerizzato è un menu realizzato tenendo conto anche di queste variabili, e considerandole di pari importanza con il gusto, l’inpiattamento e il servizio di un piatto. Perché fino ad oggi non si è analizzato il menu anche dal punto di vista ingegneristico? Perché, fino ad oggi, complici televisioni, radio, giornali e “chef superstar” non si parla di altro che di “cucina”. E quindi, quando si pensa ad un menu, si parla di quanto i piatti siano incredibilmente belli, gli abbinamenti con vino e birra incredibilmente ricercati, delle ricette così incredibilmente elaborate e degli inpiattamenti così incredibilmente degni di un posto in una galleria d’arte contemporanea. Cucina, cucina, cucina. Ma il menu non è solamente un “listino” che elenca i piatti disponibili e i loro relativi prezzi. Menu ingegnerizzato = strumento di vendita. Il menu, a parere di chi scrive, è prima di ogni altra cosa uno strumento di vendita. Questo non dovrebbe stupire chi legge: ogni euro guadagnato da un ristorante, prima di entrare nel cassetto, è prima uscito dalle tasche del cliente il quale ha scelto come spendere il proprio denaro dal… …Menu. Infatti un piatto, prima di essere preparato dalla cucina, prima di essere servito in sala, prima di essere assaporato prima con gli occhi e poi con la bocca, deve essere SCELTO. E questa scelta si compie dal menu. Un Menu Ingegnerizzato, a differenza di un menu realizzato utilizzando un approccio tradizionale, indirizza, facilita e direziona quella scelta, verso i piatti più profittevoli, popolari e semplici da preparare e servire per il ristoratore. Ecco perché il menu può essere il più importante strumento di vendita che si ha a disposizione. Si inizi a considerarlo tale.
a cura di
Cristiano Giliberti The Foodie Fighter thefoodiefighter.wordpress.com
DIALOGO SEMISERIO TRA UN VENDITORE DI GUIDE E UN PASSEGGERE (CON TANTE SCUSE A GIACOMO LEOPARDI) VENDITORE: Guide, Guide nuove; La Guida Rossa, la Guida del Caffè, la Guida con la Lumaca e quella del Vermiglio Crostaceo!!! Abbiamo la Guida delle Succulente Vanità e quella del Sodalizio Italico del Turismo, bisognano, signori, di Guide Gastronomiche? PASSEGGERE: Guide per l’anno nuovo? VENDITORE: sì signore. PASSEGGERE: differenti da quelle dell’anno precedente? VENDITORE: oh illustrissimo sì, certo. PASSEGGERE: e da quello precedente ancora? VENDITORE: più più assai. PASSEGGERE: come quello di là? VENDITORE: più più, illustrissimo. PASSEGGERE: e più più che cosa, di grazia? Forse che nelle guide di quest’anno non son più presenti le stesse bettole dell’anno passato? O che le trattorie dell’anno a venire saranno migliori di quello passato? di questi anni ultimi? VENDITORE: Signor no, non mi piacerebbe, né piacerebbe manco a voi, le Guide dell’Anno che Verrà son sempre diverse da quelle che le hanno precedute, altrimenti a che servirebbero? PASSEGGERE: quanti anni nuovi sono passati da che voi vendete Guide? VENDITORE: saranno cinquant’anni, illustrissimo. PASSEGGERE: e a memoria vostra ricordate un’annata di que-
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sti vent’anni in cui le Guide che vendete non fossero migliori o peggiori dell’anno precedente ? a quelle di quale anno vorreste che somigliassero le guide dell’anno venturo? VENDITORE: io? non saprei. PASSEGGERE: non vi ricordate di nessuno anno in particolare, che vi paresse migliore? VENDITORE: no in verità, illustrissimo. PASSEGGERE: e pure godersi la vita seduti con le gambe sotto la tavola è invero una cosa bella. Non è vero? VENDITORE: cotesto si sa. PASSEGGERE: non tornereste voi a rivivere l’annata duemilaediciassette, così da poter avvisar l’incauti che alla famosa Locanda meneghina concessero il riconoscimento della Sacra Margherita che tanto un asterisco rammenta, del fatto che la stavano appuntando sul petto di una giacca che stava per abbandonare la meneghina Locanda di cui sopra, gettando sulla Guida conferente lo sdegno e l’onta di nascer di già vetusta? VENDITORE: eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse. PASSEGGERE: non piacerebbe a voi che nel momento in cui le Guide vengono impresse sulla carta il tempo si cristallizzasse fino all’anno successivo, che non cambiasse nulla, che i cucinanti non cambiasser di casacca, che ciascun ristorante scolpisse a nel marmo il suo menù, così che le Guide potessero rimaner fedeli a se stesse per tutta l’annata?
VENDITORE: cotesto non vorrei. PASSEGGERE: oh, bella, e perché mai? VENDITORE: lo ben comprendete, messere, perché così facendo ciascuna Guida rimarrebbe identica a quella della passata edizione, ed io resterei senza lavoro, ho una famiglia da mandare avanti, sapete? PASSEGGERE: lo ben comprendo, amico mio, era solo un pensiero vaneggiante per assurdo, il mio. Ma dunque, ditemi, non vi urta che tra padelle catodiche, sussurri e grida, possa in qualsiasi momento giungere al vostro cospetto un irriverente pischello a farsi gioco di voi, smartofono alla mano, a dirvi che le Guide che voi andate vendendo contengono informazioni sbagliate o peggio, mendaci? VENDITORE: signore mio, son canuto di pelo e di capelli, davvero credete che un giovinastro qualsiasi possa minare in qualche modo la mia pacata autorevolezza di venditor di Guide? In fin dei conti è così che va la vita, un giorno ci siamo con le gambe sotto la tavola, il giorno dopo non ci siamo più noi, o la tavola, o il cucinante, o l’allegra servetta che ci conduce i piatti e il coppiere che ci versa il vino. E questo non lo può prevedere nemmeno lo smartofono decimo della Mela. Il compito mio è quello di vender dagherrotipi, immagini, cogliere l’istante e rendervene conto, né più né meno, sono un venditore, mica un veggente.
PASSEGGERE: parole sagge, mio caro, ma quindi dite, che Guida vorreste vendere l’anno venturo? VENDITORE: vorrei una Guida così, come Dio me la mandasse, senza altri patti. PASSEGGERE: una Guida a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo? VENDITORE: appunto. Certo, se mi si evitassero contrattempi come quello della meneghina locanda, o di iscriver nelle Guide tavole prestigiose prima ancor che s’imbandiscano, questo agevolerebbe molto il mio lavoro di venditore. Ma tant’è: siamo umani, non melafonini, qualche topica la possiamo ben tollerare. PASSEGGERE: per carità, siamo umani, dite bene. VENDITORE: appunto. PASSEGGERE: vorreste perciò voi una Guida identica a quella dell’anno passato, ma allo stesso tempo differente, incurante di ciò che accadrà da qui all’anno successivo e certa di essere a sua volta genitrice di un’altra uguale e differente da se stessa, da allineare nella libreria insieme alle altre? VENDITORE: è ciò a cui aspiro, di anno in anno. PASSEGGERE: dunque mostratemi la Guida più bella che avete. VENDITORE: ecco, illustrissimo. Cotesta vale trenta soldi. PASSEGGERE: ecco trenta soldi. VENDITORE: grazie, illustrissimo; a rivederla. Guide, Guide nuove; lunari nuovi…
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GOLAVAGANDO
NEL RIMINESE
I TRE RE ESPRIME IN CUCINA IL SUO PATTO CON IL TERRITORIO IN UN AMBIENTE RICCO DI FASCINO di
Alessia Pellegrini - foto di Giovanni Mastropasqua
La bellezza della natura, il patrimonio storico-artistico e la tradizione enogastronomica fanno dell’entroterra riminese un territorio inatteso, tutto da scoprire. A Poggio Berni, in un’antica torre di avvistamento malatestiana, il bello si sposa al buono della cucina romagnola. Lo storico ristorante I Tre Re, infatti, propone atmosfere e sapori tipici della zona, rielaborati con gusto ricercato dallo chef Maurizio Salvigni. Una cucina curatissima dal punto di vista della tecnica e della presentazione, prodotti selezionati da piccole produzioni di qualità acquistati nella giusta stagione e serviti freschi.
LA STORIA La cucina è una storia d’amore: ci si innamora di un territorio, dei suoi prodotti e di chi li sa cucinare. Maurizio Salvigni, Executive Chef del ristorante I Tre Re, lavora nella ristorazione dall’età di 14 anni. Quando, a 19 anni, arriva il momento di scegliere a quale professione dedicarsi, Maurizio non ha dubbi: nel 1982 con coraggio, ambizione e un pizzico di sfrontatezza e con l’aiuto di sua moglie e alcuni amici, decide di aprire questo splendido locale. Studioso appassionato di tradizioni culinarie a partire dal Medioevo, Maurizio riceve in brevissimo tempo le tanto desiderate gratificazioni: già negli anni ‘90 il locale era segnalato, con buonissime valutazioni, su tutte le guide - nazionali ed internazionali - e le sue tavole erano meta di molti ospiti incuriositi dalle proposte innovative. Purtroppo nel 1996 Maurizio, a malincuore, è costretto a lasciare l’azienda. Per 17 anni collabora con prestigiose strutture: dal Castello
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di Montegridolfo di Rimini alla deliziosa Locanda San Leone passando per lo storico ristorante Casali di Cesena. Ma Maurizio ha in testa solo una cosa: ritornare ai Tre Re. Ci torna nel 2013 con un suo progetto di cucina che coinvolge anche i suoi affetti più cari, la moglie ed i figli. Luca ha 28 anni e in questo ristorante ci è praticamente nato. La mamma gli ricorda spesso che aveva circa 5 anni quando ha fatto il suo primo servizio. La cucina è stata un approdo naturale nel quale ha trovato profonda gratificazione. I compiti, come in tutte le famiglie, sono equamente divisi. Luca guida il ristorante mentre sua sorella Guendalina si occupa della gestione del Relais. Maurizio propone una cucina
RISO
nero biologico gioiello con tagliatelle di seppia e asparagi INGREDIENTI
g. 320 di riso gioiello nero dell’azienda Risi Preziosi, 1 mazzo di asparagi
di g. 300, 1 seppia, olio evo, pepe, sale.
PREPARAZIONE
Cuocere la seppia in acqua salata e tenerla a parte. Nell’acqua di cottu-
ra della seppia versare il riso; cuo-
cerlo per 50 minuti circa. Pulire gli asparagi e, con un pelapatate, fare
delle tagliatelle e metterle in acqua
gelata. Tagliare a cubetti i rimanenti asparagi, passarli velocemente in
padella con olio evo e una spolverata di pepe. Passarli al mixer. Scola-
re il riso e tenere l’acqua di cottura che servirà per terminare la cottu-
ra del risotto, mantecarlo con la cre-
ma di asparagi ottenuta,ottimizzare la cottura del riso mantenendolo al dente,correggere di sale e pepe. Ta-
gliare a tagliatella sottilissima la seppia; aiutandosi con un ring montare
il piatto: risotto, taliatelle di seppia,
gourmet legata al territorio e alle sue materie prime provenienti da piccole aziende locali che si distinguono per una produzione “virtuosa”. Niente fenomenalismi ma cura e selezione degli ingredienti, una ricerca continua nel panorama dei sapori. Luca si occupa della cantina, “una cantina in movimento” così la chiama, richiamando proprio tutto l’entusiasmo che si porta nella professione quando si ha un’età giovane come la sua. La filosofia è quella di papà, a partire dal territorio, alla ricerca delle eccellenze nascoste. La proposta gastronomica è una proposta di altissima qualità, dal pane ai dolci. Piadine, focacce e grissini sono preparati in casa dalla mamma e dallo Chef Giorgio, come pure le paste fresche ed i dolci secchi. Mora romagnola dagli allevamenti locali, pesce dal mercato del fresco, ortaggi, verdura e frutta da produttori locali, salumi dal territorio e formaggi da tutta Europa, olio EVO prodotto a Poggio Berni. I piatti proposti in menu, come ad esempio i tortelli ripieni con battuto di verdure e fonduta di parmigiano vacche rosse o l’agnello in crosta di pistacchi, accolgono in modo raffinato la tradizione romagnola, la celebrano nella sua espressione più elevata, con abbinamenti ricercati che incuriosiscono e soddisfano il palato.
tagliatelle di asparagi. Sfilare il ring.
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GOLAVAGANDO
TORTELLONI
di verdure alla crema di parmigiano e gocce di saba INGREDIENTI
1 zucchina, 1 carota, 1 piccola cipolla rossa, g. 150 di crema di latte,
piccole erbe aromatiche o fiori di rosmarino, saba, sfoglia per pasta
fresca, sale, pepe, olio evo q.b., g. 100 di mascarpone, g. 200 di parmigiano Vacche Rosse. PREPARAZIONE
Cubettare finemente le verdure, saltarle singolarmente in una padella
antiaderente con un filo di olio evo. Metterle a raffreddare, unire 100
grammi di mascarpone, 100 di parmigiano e le verdure raffreddate. Con il composto ottenuto formare dei grossi tortelli (quadri cm. 8x8), cuocerli
in abbondante acqua salata, scolarli e mantecarli con la crema di latte e il rimanente parmigiano.
L’AMBIENTE Un’antica torre di avvistamento malatestiana non può che conferire all’ambiente una spiccata tipicità ed un’atmosfera dai toni unici. Il colpo d’occhio è forte: il locale si presenta curatissimo ed elegante, il panorama intorno è quello rigoglioso delle colline della Valmarecchia. Una location davvero suggestiva che si presta bene a pranzi di famiglia, cene intime e celebrazione di grandi eventi. Le sale interne si fregiano di antiche pareti in pietra e soffitti con travi a vista; l’ambiente importante è dominato dal grande camino che ben si accorda con la scelta del bianco dei tavoli e delle sedute, in stile moderno. Il locale vanta una grande cantina con antichi tavoli in legno e botti per il vino, ed una terrazza panoramica perfetta per le giornate di sole.
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FARAONA ai pistacchi in giardino di verdure INGREDIENTI
2 petti di faraona, g. 100 di pistacchi,
verdure, raffreddarle immediatamente, frullare le
Per le verdure: carote, broccoli, aspa-
di sale.
olio evo, pepe, sale
ragi, cime di rapa, cavolo romano. PREPARAZIONE
Aprire i petti di faraona, tritare i pistacchi e farcire i petti, salare e pepare, arrotolarli, avvolgerli con carta
da forno ben stretti (aiutarsi con rete
da arrosto), metterli in forno a 180°C per 10 minuti, abbassare a 140°C per
altri venti. Passare a vapore tutte le
carote con un filo d’olio evo, correggere Per il montaggio del piatto: dopo aver rigenerato tutte le verdure, disporre la crema di carote con decorazione a piacere, sempre a piacere secondo il proprio estro comporre
le verdure; al centro del piatto la faraona.
LA DEGUSTAZIONE La nostra degustazione dal menu di carne si apre con un antipasto di salume che ripercorre la Via Emilia, da Rimini a Piacenza, con le prelibatezze locali accompagnate da piadina, focaccia e grissini fatti in casa. I primi piatti proposti sono risotto alle verdure di stagione con polvere di pomodoro essiccato e gnocchi di patata viola al fossa di Talamello. A seguire, petto di faraona alla birra rossa e filetto di mora romagnola con contorno di verdure di stagione. Il dolce è un quadro di biscotto con variazione di consistenza al cioccolato. La nostra degustazione dal menu di pesce si apre con un antipasto a base di tonno al coltello, germogli e misticanze. Il primo piatto proposto è una crema di ceci, rana pescatrice, acqua di ceci montata ed olio con carbone di cipolla dorata di Sant’Arcangelo. Il secondo, a seguire: polpo laccato al ristretto di balsamico e miele con polentina. Il dolce servito è un cestino friabile con crema e fragole.
RISTORANTE I TRE RE
Via Fratelli Cervi, 1 - 47824 Poggio Berni (RN) Tel. 0541 687918 - Fax 0541 688187 www.itrere.net - info@itrere.net
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GOLAVAGANDO
BATTIPALO TRA LUNA E L’ACQUA DEL LAGO MAGGIORE di
Camilla Rocca
“Battipalo” prende nome da una delle invenzioni di Leonardo Da Vinci: inventò l’attrezzo per piantare dei pali in agricoltura, successivamente adattato anche per i pali del lago, predisposti sulle chiatte. Il ristorante Battipalo è così, sospeso tra le acque del Lago Maggiore, contenuto tra ampie vetrate che fanno spaziare lo sguardo; accanto all’attracco del battello gira il Lago e attracca a Lesa, un porto minore e tranquillo della parte piemontese del lago, fermata a richiesta. 45 minuti da Milano: quasi invisibile dalla strada provinciale, ex biglietteria per i battelli, basta girare attorno all’edificio per rimanere sbalorditi dal contrasto avanti/retro: il locale è stato totalmente ristrutturato recentemente per diventare un vero ristorante gourmet per 40 coperti, tra le location più belle e romantiche del lago Maggiore a pochi chilometri dalla Rocca di Arona, da Stresa, dalle isole Borromee e da S. Caterina del Sasso, un antico eremo scavato nella roccia.
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RISTORANTEBATTIPALO
LA STORIA Simona Benedetti e Gabriele Boggio: compagni di scuola alle elementari e una grande passione per la cucina, per lei, per il buon vino, per lui. Lei venditrice di occhiali, lui responsabile commerciale spesso all’estero; si sono reincontrati, sposati, hanno mollato tutto e ora vivono per il Battipalo. Lei timida e materna, ma di saldo polso in cucina, nel suo regno, ama esprimersi attraverso i suoi piatti; lui uomo di sala fatto e finito, ha fatto dell’accoglienza la sua arte e della ricerca di vini e champagne di nicchia la sua forza. Hanno aperto il loro Battipalo nel 2009 e successivamente Simona, per rafforzare la propria conoscenza nel mondo della carne, ha lavorato presso il ristorante stellato Damini&Affini di Arzignano (VI), da Enrico Bartolini e da Al Caminetto in Val d’Aosta, sotto la guida dello chef Stefano Zonca.
LA CUCINA Ingredienti del territorio, che in questa ala del Piemonte abbondano: pesci di lago stagionali (agoni, anguille, lucioperca, persico e lavarello) da valorizzare in modo meno scontato e classico; i formaggi di Ossola e Valsesia; le erbe spontanee raccolte da Simona stessa, appassionata raccoglitrice (nei suoi piatti troviamo spesso tarassaco, dente di leone, piantaggine), la verdura invece è raccolta quasi interamente nell’orto di casa; il pane del
LUMACHE INGREDIENTI
36 lumache già spurgate sgusciate e cotte, g. 200 di farina di grano saraceno, g. 50 di burro, g. 250 di radici di prezze-
molo, brodo vegetale, 6 spicchi d’aglio nero, g. 20 di salsa di soia, acqua gasata molto fredda, olio di vinacciolo, mix di
erbe spontanee (piantaggine, crescione, portulaca, nasturzio, tarassaco tenero, achillea), olio di arachidi per friggere. PREPARAZIONE
Cuocere le radici di prezzemolo nel burro, coperte dal brodo vegetale; frullare il tutto.
Frullare l’aglio nero con la soia e l’olio di vinacciolo. Rea-
lizzare una pastella fluida con la farina di grano saraceno e
acqua gasata molto fredda. Portare l’olio ad un temperatura di 180°C e friggervi le lumache pastellate. Mettere sul piatto la salsa di radici di prezzemolo e quella di aglio nero, appog-
giarvi le lumache fritte e salate insieme alle insalatine selvatiche mescolate e lucidate con un filo di olio.
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GOLAVAGANDO
maestro culinario Eugenio Pol; pasta esclusivamente fatta in casa con farine di grani antichi e lievito madre per i lievitati; carne esclusivamente piemontese da un allevatore selezionato e lumache di allevamento bio. I piatti must del Battipalo sono: la tartare di fassona; la tempura di pesce di acqua dolce da intingere in una salsa che richiama il ketchup con wasabi e zenzero; le lumache fritte nella farina di grano saraceno con l’humus di sottobosco che viene rappre-
TORTELLINI DI PATATE in brodo di bucce arrostite, trota e fave INGREDIENTI
Per la pasta per i tortellini: g. 250 di farina bio 0, 1 uovo intero, g. 200 di tuorli, olio evo q.b.
Impastare e far riposare 4 patate medie, 4 fili di erba cipollina, 1 cucchiaio di pecorino grattugiato, 1 spicchio d’aglio, l. 1 di brodo vegetale, 4 fette di trota marinata, fave fresche.
PREPARAZIONE
Lavare bene le patate, sbucciarle e cuocerle al vapore. Mettere in una
pentola le bucce con un filo d’olio e lo spicchio di aglio schiacciato; far
rosolare le bucce, togliere lo spicchio d’aglio, aggiungere 1 litro di brodo vegetale e continuare a far sobbollire. Schiacciare le patate, unire 1
cucchiaio di pecorino, 4 fili di erba cipollina; condire con sale e olio. Inserire in un sac a poche e far raffreddare. Stendere molto sottile la pasta e formare i tortellini utilizzando il ripieno di patate raffreddato.
Filtrare il brodo che si sarà ridotto della metà e regolare di sale.
Cuocere in acqua salata i tortellini, scolarli, porli nel piatto con la trota marinata, le fave private della pellicina e versarvi sopra i brodo bollente.
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TONNO DI CONIGLIO
RISTORANTEBATTIPALO
piccole carote, peperone e polvere di olive INGREDIENTI
2 cosce di coniglio, 2 spalle di coniglio, 1 gambo di sedano,
1/2 cipolla, 4 foglie di salvia, 2 foglie di alloro, 1 limone, 1 bicchiere di vino bianco, 4 piccole carote, 1 porro, 1 peperone rosso, 1 spicchio d’aglio, 1 filetto di acciuga sottolio, olio evo q.b., pepe e sale q.b., polvere di olive nere. PREPARAZIONE
Preparare un brodo con sedano, cipolla, scorza di limone, 2 fo-
glie di salvia, 1 foglia di alloro e sale. Quando bolle, immergervi il coniglio e far sobbollire per 20 minuti. Fare raffreddare immer-
so nel brodo. Disossare il coniglio, metterlo in un contenitore con 2 foglie di salvia, 1 di alloro; coprirlo di olio evo. Fare riposare per almeno 20 minuti.
Per la salsa al peperone: rosolare mezzo spicchio d’aglio nell’olio e l’acciuga; appena l’olio profuma, aggiungere il peperone a
spicchi, porri e acqua e portare a cottura. Regolare di sale, se necessario e filtrare ( se necessario setacciare).
Rosolare le piccole carote nel burro. Servire il coniglio ben sgocciolato con le carotine, la salsa di peperone e la polvere di olive.
sentato dal sedano rapa, il soncino, topinambur e rapanello con aglio nero fermentato; le linguine di farro e orzo con lavarello sotto sale croccante; i tortellini di farina di riso ripieni di crema ai piselli con brodo di prosciutto, menta e gamberi rossi (gluten free); per dolce impareggiabile lo zabaione.
LA CARTA DEI VINI Gabriele ha tanta Francia e ovviamente Italia nella sua carta, con oltre 40 etichette di soli piccoli produttori biodinamici di champagne ad un ottimo rapporto qualità/prezzo, con bottiglie dalla Borgogna di piccoli e ricercati produttori, motivo per cui gli appassionati fanno chilometri per degustarli: la clientela proviene da tutta Italia oltre che dall’estero.
BATTIPALO
Viale Vittorio Veneto, 2 - 28040 Lesa (NO) Tel. 0322 76069
Aperti a pranzo mercoledì
e dal venerdì alla domenica
Aperti a cena da martedì a domenica
Chiusi tutto lunedì, martedì e giovedì a pranzo
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GOLAVAGANDO
NASCE
CRETA OSTERIA CONTEMPORANEA A CORTONA di
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Creta è un luogo in cui si amalgamano cucina, pensiero e ricerca. Nasce nel marzo scorso dall’incontro di Tenimenti d’Alessandro - azienda vitivinicola portatrice di sperimentazione e valorizzazione del territorio di Cortona - con Luigi Nastri (foto qui sopra), cuoco di talento e sensibilità. Creta è un’osteria che parte dalla Toscana per allargare gli orizzonti al Mediterraneo e all’Oriente. Luigi Nastri propone qui la sua idea di cucina, maturata in anni di viaggi: equilibrio del piatto e mescolanze d’ingredienti, con richiami anche al Giappone e al Meridione d’Italia. È la stagionalità a dettare l’alternarsi dei menu, con una proposta creativa ma solida: pasta fatta a mano, piatti di terra e di mare... La carta è composta da una selezione di vini da molte regioni d’Europa; vini rari ed espressivi, senza compromessi e prodotti in piccole quantità, frutto del pensiero del vigneron e al servizio alla saporosità delle preparazioni.
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CRETA
Località Manzano, 15 - Cortona (AR) Tel. (+39) 0575 618667 - 618427 www.cretaosteria.it info@cretaosteria.it
facebook: Creta osteria
instragram: Creta_osteria Orari di apertura
Martedì 19.00 – 22.30 Mercoledì/domenica
12.30 –15.00 / 19:00 – 22.30 Lunedì chiuso
Buone Nuove
le novità del mese
I PROFUMI DI CASA MARRAZZO
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Sanno di sole del Sud e di rispetto per la natura e per le tradizioni i prodotti di Casa Marrazzo, azienda familiare che ha sempre cercato di riscoprire i gusti dei prodotti tipici dell’Agro Nocerino Sarnese, come il pomodoro San Marzano Dop e il pomodorino Corbarino, coltivati con metodi biologici. Con sapori naturali i friarielli, i ceci e i peperoni, ma anche le pesche, grazie alla qualità della materia prima nella sua perfetta stagionalità.
Casa Marrazzo Via Madonna di Fatima, 34 - 84016 Pagani (SA) www.casamarrazzo.it
RED BULL LANCIA LE ORGANICS
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Red Bull sorprende con una novità assoluta nel proprio portfolio, inserendo per la prima volta un prodotto che non è un energy drink: Organics by Red Bull è infatti la nuova gamma di Soft drink effervescenti disponibili in 4 varianti di gusto: Simply Cola, gusto unico e iconico, Bitter Lemon, nota bitter mixata al succo concentrato di limone proveniente da agricoltura biologica, Ginger Ale, colore ambrato e gusto speziato grazie all’estratto di zenzero e al succo concentrato di limone da agricoltura biologica, Tonic Water, caratterizzata da una miscela armonica di limone e lime.
DALLA PUGLIA, IL NEGROAMARO
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È il Negroamaro (insieme agli altrettando autoctoni Primitivo e Malvasia) il vitigno attorno al quale ruota la principale produzione della storica Azienda Salentina Duca Carlo Guarini, ed è interamente biologico il sistema di coltivazione nei 700 ettari tra Lecce e Brindisi. Accanto al Campo di Mare IGT Rosé Salento, al Taersìa vinificato in bianco e all’intenso Nativo, la gamma si arricchisce di “Piccole Bolle” bianche e rosé, spumantizzate con metodo Martinotti.
www.ducacarloguarini.it
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TENDENZE
RIFLESSIONI D’AUTORE IN COSTIERA AMALFITANA
FAKE NEWS E CIBO QUANDO LE FALSE NOTIZIE DIVENTANO PERICOLOSE
LE CONSIDERAZIONI DI UN PARTERRE D’ECCEZIONE CON PERSONALITÀ INTERNAZIONALI di redazione
La Madia Travelfood
Da sinistra, Oriol Balaguer, Umberto Bombana, Gianfranco Vissani, Xavier Pellicer
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RIFLESSIONID’AUTORE
Un momento di autocoscienza su verità e falsità: questo il progetto social culturale del contenitore EticaEstetica ideato e sviluppato da Enzo Caldarelli.
Heinz Beck
La tematica affrontata è stata ampia e ha riguardato altre discipline, ma il confronto si è basato anche su concetti di alimentazione salutare, su come la psiche umana viene influenzata dall’ossessione per il cibo, e sui danni delle cattive abitudini nutrizionali, spesso influenzate da una cattiva o errata informazione. Caldarelli, da sempre attento alla filosofia naturalistica, ha riunito personalità internazionali per chiedere dove è finita la verità nell’era del falso e della falsificazione nella comunicazione. Questi, in estrema sintesi, i commenti di alcuni cuochi presenti, che si sono espressi senza il velo dell’ipocrisia:
“
La falsità ha preso il sopravvento sulla verità. In cucina si sono generati falsi miti che hanno prodotto molti danni facendoci credere cose che non esistono. Noi cuochi ci dobbiamo assumere le nostre responsabilità per quello che sta accadendo. Gianfranco Vissani
”
Lo chef Beck, più pacato, nel suo stile sobrio:
“
Mi sono sempre impegnato per un’alimentazione proiettata verso il sano e naturale, ossia regalare piacere al cliente, ma anche realizzare piatti buoni che facciano bene alla salute. Heinz Beck
” 37
TENDENZE
Da sinistra, Patrick Henriroux, Franck Giovannini, William Ledeuil, René Meilleur, Bart De Pooter
Umberto Bombana
Per Bombana è fondamentale riflettere seriamente per correggere gli errori in atto.
“
Sono d’accordo circa l’utilità di ridurre drasticamente nel quotidiano il consumo dei famosi 4 bianchi (sale, farine raffinate, zuccheri raffinati, latte e derivati). Umberto Bombana
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”
RIFLESSIONID’AUTORE
Emmanuel Renaut
Mauro Colagraco (a sinistra) e Mathias Dahlgren
“
Franck Giovannini, che ha sostituito Violier nel regno del celebre Girardet, sostiene:
Alla gastronomia bisogna dare un contributo veritiero nei fatti e non solo nella propaganda.
”
Franck Giovannini
Oriol Balaguer (a sinistra) e Oscar Velasco
Franck Giovannini
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TENDENZE
Xavier Pellicer
Il catalano Pellicer, forte della sua tecnica culinaria, sostiene:
“
Il prodotto di qualità sta alla base di una cucina sana; bisogna eliminare l’utilizzo di materie discutibili e spingere gli ingredienti più salutari. L’importante è mantenere la propria identità per tracciare un cammino autonomo, senza condizionamenti esterni. Xavier Pellicer
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”
William Ledeuil
RIFLESSIONID’AUTORE
Il savoiardo Renè Meilleur sostiene di essere molto contento per la partecipazione a questo entusiasmante progetto.
“
Mi sono arricchito nella riflessione con illustri colleghi. I principi che sono stati argomentati vanno applicati nella vita quotidiana. Dobbiamo avere più rispetto per la natura: il futuro sarà incentrato sul fattore salute e sull’equilibrio armonioso dell’ambiente. René Meilleur
”
René Meilleur
Quasi tutto il bello dell’alimentazione tradizionale che ha segnato le nostre vite non ci appartiene più; questa è stata minata dalle intrusioni delle multinazionali, nonché della cattiva industria alimentare proveniente soprattutto dalla Cina. La verità non è ancora alla nostra portata malgrado sia stata inseguita con tutti i mezzi. Lo spazio di discussione rimane aperto...
foto
© eticaestetica - wnt ph L. De Zubiria
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TENDENZE
LE FALSITÀ CI DROGANO LA VITA?
OPINIONI CON GLI INTERPRETI DEL CAMMINO DI AUTOCOSCIENZA FIRMATO ENZO CALDARELLI PER ETICAESTETICA
“Le fake news servono per confermare i nostri pregiudizi!” Antonio Padellaro Ho l’impressione che le fake news costituiscano una piccola parte delle notizie effettivamente false che condizionano la percezione dei fatti. Poi c’è una parte che legge e condivide le fake news per avere la conferma dei propri pregiudizi. Il mio plauso a Enzo Caldarelli che mi ha fatto vivere una notevole esperienza. Etica ed estetica hanno la loro sintesi possibile nella parola: autenticità. Autentico è ciò che la nostra umanità esprime, la nostra forza, le nostre debolezze. Energia e fragilità. Ma è soprattutto ciò che decidiamo di trasmettere all’esterno, al nostro prossimo, in una sforzo di empatia con cui diciamo al mondo: io sono questo, accettami o rifiutami, ma io non metterò la maschera per mostrare ciò che non mi appartiene. Cosa c’è di più etico? E se nel concetto di estetica è contenuto il bello cosa c’è di più bello che dichiarare: siamo umani, restiamolo.
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RIFLESSIONID’AUTORE
“L’amore per la verità è una grande virtù” Marcello Veneziani La verità assoluta non è degli uomini. La passione per la verità lo è. A differenza di molti scettici, però, io credo che la verità esista, ma che nessuno di noi ne detiene la chiave. Detto questo, la passione per la verità ti porta sempre a ricercare una sorta di “etica della notizia”.
“La verità sta spesso nel nome della persona che ha scritto la notizia” Milena Gabanelli Anche il pubblico ha la sua fetta di responsabilità nella diffusione delle fake news: quando vuoi tutto gratis, nel gratis c’è anche la bufala. È fondamentale verificare la fonte, la credibilità del giornalista. Quello che consiglio al lettore che ha voglia di non farsi confondere le idee è di far sempre riferimento alla certificazione.
“L’onestà viene prima di ogni cosa” Maria Cuffaro Con le fake news in realtà si convive da millenni. Anche l’Iliade e l’Odissea erano fake, la differenza è che oggi non abbiamo tempo di reazione. La storia ci insegna che si fa politica con le fake news. Sono stata spesso nei teatri di guerra. E la guerra fa la storia; in guerra è facile perché tutte le parti mentono. Sempre e da sempre! Le fake news non si possono accantonare. Ognuno di noi ha una opinione. La neutralità forse non esiste. Quello che pretendo da me stessa è l’onesta! Non bisogna modificare i fatti, e questo è compito di ogni giornalista. Sono sempre intrigata a partecipare alle performance culturali disegnate da Caldarelli. Enzo rende tutto più umano. E per un giorno, come chi pratica un digiuno religioso, si esce più leggeri.
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TENDENZE
“Le fake news non sono una novità del nostro tempo” Francesco Giorgino
“L’onestà di percepire la realtà, da parte di chi scrive, porta giovamento al lettore.” Franco Bechis La verità assoluta è difficile da definire perché è sempre filtrata da chi scrive. L’importante è riconoscere l’autore e capirlo. Credo che il patto di onestà sia chiarito nel modo in cui si guarda la realtà. Sul web non c’è una gerarchia, e di ora in ora va aggiornata ogni informazione; ne consegue che talvolta la qualità può risentirne.
“Il bacio è un attestato di verità” Pietrangelo Buttafuoco Un bacio è un attestato che trascende la realtà. Il bacio suggella una verità definitiva, certifica un atto ulteriore.
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Le fake news non sono una novità assoluta. Sul finire degli anni ‘30 del secolo scorso, infatti, Orson Wells sperimentò con “La guerra dei due mondi”, rappresentata in radio, cosa significasse diffondere una notizia falsa (l’invasione dei marziani) allo scopo di dimostrare il potere dei media e l’effetto del panico diffuso. Si ebbe già allora la riprova di come la bugia tenda a moltiplicarsi come in una sorta di reticolo. Ricordare questo episodio non significa sminuire né ergere un muro contro le dinamiche orizzontali del web, o chiudersi in una difesa corporativa della professione, della serie: “Noi giornalisti siamo il bene”. Significa, invece, riconoscere che verità e falsità rappresentano l’opportunità di riflettere tra quella oscillazione inevitabile che c’è nella rappresentazione della realtà. Ci sono due modi di usare le fake news: per fini politici o per fini commerciali. E qui ha ragione Baricco: è più vera una cosa inesatta ma capace di circolare velocemente, più che una cosa esatta che si muove con lentezza.
RIFLESSIONID’AUTORE foto
© eticaestetica
L’opera di Nespolo realizzata per l’autocoscienza su verità e falsità
“Il paradosso più grande? Lo sterminio degli ebrei” Ennio Fantastichini L’idea del falso è fortemente storicizzata. Allora ogni volta che arriva una notizia si pensa: sarà vero? E’ un falso volontario? C’è un gioco sottile tra le due parole! Molte persone, ahimè, nel corso degli anni se ne sono approfittate. Penso sempre alla storia. Ci sono delle cose incredibili... però questa questione mi fa pensare alla shoah, alle persone che dicevano che questa notizia non fosse vera. Penso soprattutto al dolore delle persone che ancora portano sul corpo i segni, i numeri di serie dei campi di sterminio. Questo mi sembra il paradosso più grande della storia.. Penso a quello che è stato fatto a un popolo... e poi al relativismo; comincio a pensare che le verità assolute siano molte pericolose.. così come le bugie!
Elena Sofia Ricci e Giovanni Esposito
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© Federico Nero
LA CONVERSIONE DEI
12 APOSTOLI
FILIPPO GIOCO E MAURO BUFFO: QUANDO LA CLASSICITÀ È CONTEMPORANEA di
Alessandra Meldolesi
Tempo di retromania, tempo di revival delle grandi maison: Del Cambio a Torino, resuscitata da un imprenditore illuminato, Gustavo Denegri; ma anche i leggendari Balzi Rossi di Pina Beglia, brillantissimi sotto la regia di Enrico Marmo, e i 12 Apostoli di Verona, anch’essi in piena continuità familiare grazie alla famiglia Gioco. Dal fondatore Antonio al figlio Giorgio, chef che raggiunse le due stelle, passando per un altro Antonio e per il giovane Filippo, tutti appoggiati a solide spalle femminili, il rinnovamento ha da poco bussato alle porte: la quarta generazione non è quella esiziale dei Buddenbrook di Thomas Mann, ma segna il momento della ripartenza per una maison caduta lungamente in letargo.
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12APOSTOLI © Federico Nero
Fino al 1990 sono state due le stelle sotto cui transitavano salmoni in bellavista, nel loro sarcofago di pasta dorata, carrelli fumanti e un’imperdibile pasta e fagioli. “Tanto che a proposito della scomparsa di Marchesi, mi è tornata in mente una singolar tenzone che lo ha visto contrapposto a mio padre a Sanremo, nella disfida fra ‘vecchia’ e ‘nuova’ cucina. Segnò la svolta: i più accreditati giornalisti gastronomici italiani decretarono vincitori i piatti del primo, anche se i nostri tornavano ben puliti in cucina. E prima che questo accadesse un flash: sono fermo, affiancato da una macchina uguale alla mia sulla strada, guardo dentro e vedo Marchesi che saluta. Identiche le vetture, opposte le direzioni per la ristorazione italiana”, racconta oggi Antonio. L’ambiente in tutto questo è rimasto praticamente invariato, a parte la sapiente regia delle luci e i separé velati fra i tavoli rotondi. I prodromi del ristorante, ai tempi locanda con cucina, risalgono al 1700, ma le mura sono quelle trecentesche di un palazzo affacciato su un vicolo del centro storico. Atmosfere ripescate dagli affreschi non originali, forse per questo ancor più suggestivi: sono firmati da Pino Casarini, scenografo teatrale dell’Arena di Verona, che sulla mura scabrose ha riprodotto le scene di un’edizione di Romeo e Giulietta datata 1947. Ne risulta un concentrato di veronesità: negli anni ’70 i 12 Apostoli sono stati all’avanguardia nella riscoperta delle tradizioni venete e perfino rinascimentali grazie alla biblioteca sterminata di Giorgio, affiancato nello studio da Angelo Berti della Taverna degli Artisti di Revere. Spessori che sprofondano ulteriormente nel tempo grazie alla scoperta casuale di reperti archeologici, avvenuta ristrutturando una scala.
CAMMINARE SULLA STORIA A spese della famiglia Gioco è stata così riportata alla luce della cantina una strada romana fra robusti basamenti. Cosicché l’impressione è quella di camminare sulla storia. Sono le pietre fra le quali ogni anno una giuria prestigiosa conferisce il premio 12 apostoli a un giornalista che si è distinto: l’ultima volta, la quarantesima, a Massimo Recalcati. Mentre in sala si discetta di D’Annunzio e Sandro Penna, Zanzotto e Pascoli. “Cambiare per restare se stessi”, potrebbe essere l’ultimo motto da affrescare alle pareti fra le scene amorose di Casarini. La conversione alla contemporaneità dei 12 Apostoli è caduta due anni fa a opera di Filippo: è stato
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lui, terminati gli studi in antropologia, a chiamare all’opera uno dei talenti misconosciuti della cucina italiana, Mauro Buffo, nome familiare sulle bocche di tanti colleghi. Il curriculum è dei migliori: prima l’Albereta di Gualtiero Marchesi, Crippa e Lopriore, seguiti da Berton; poi 3 anni alle Calandre da un genio chiamato Massimilaino Alajmo e altrettanti in Spagna, presso elBulli di Ferran Adrià. “Volevo partire da un’esperienza di cucina classica, quindi Marchesi è capitato all’uopo. Poi, prima dell’avanguardia, sono passato per una via di mezzo: un italiano, ma eclettico e moderno. È successo che una sera a Rubano è venuto a cena Adrià, che conoscevo da qualche corso, e mi ha detto che avrebbe avuto posto a marzo. Così ho completato la strada che intendevo percorrere”.
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MISTERO BUFFO: CLASSICITÀ CONTEMPORANEA Soprattutto Buffo è veneto fino all’ultimo ottavo, capace come nessuno di contemporaneizzare i sapori di sempre, costruendo un piano sopraelevato sull’architettura già stratificata della casa e una passerella con la clientela storica del ristorante. La sua è una cucina comfort evoluta, dall’eleganza tutta classica e della malizia tecnica nascosta. L’uomo giusto al posto giusto, farà grandi cose. In stagione è imperdibile la selvaggina, per esempio la lepre, che Buffo serve in salmì con chips di polenta, gelatina di mela verde e salsa al foie gras oppure interamente transustanziata in un consommé, addizionato di whisky e aromatizzato all’arancia, insieme a uno strepitoso sandwich di pandispezie alla caccia con gelatina di Recioto. Un boccone regale, classico nel suo gioco di rimandi eppure moderno nella fruizione finger & ballon, più che un predessert un “postsalato” che scivola verso le lusinghe del fine pasto. La preparazione è complessa: “Il selvatico viene marinato come un salmì classico, poi lo passiamo sottovuoto per una notte e raccogliamo i succhi che rilascia. A questo punto lo rosoliamo nuovamente e prepariamo un consommé con il liquido precedente, che chiarifichiamo con altra polpa di lepre. Il risultato è un doppio consommé con passaggio di una notte sottovuoto”. La cacciagione arriva se possibile dal circondario, come i piccioni; ma le materie locali percorrono sempre una corsia preferenziale. “Cerco di usare eccellenze italiane, oltre che venete, senza andare all’estero per scelta. I latticini arrivano dai monti Lessini, mentre le erbe spontanee sono quelle dell’orto botanico del Monte Baldo, dove si raccolgono levistico e fiori di topinambur, resine e germogli. Il pesce è adriatico o sardo, le farine e la frutta del Veronese, le lumache di Sant’Andrea”. Ne risultano tre menu degustazione: quello dedicato ai piatti storici dei 12 apostoli, appena svecchiati, con le sue 6 corse a 60 euro; il degustazione d’autore, passibile di variazioni quotidiane, che ne conta 7 a 80 euro come l’italiano, dedicato a evergreen reinterpretati, fra cui il vitel tonné. La carta dei vini è imprevedibilmente succinta ma non priva di lusinghe.
12APOSTOLI © Giovanni Panarotto
PICCIONE
cipollotto ed erbette del Monte Baldo INGREDIENTI
che potrebbe risultare fibroso al masticare. Lavare in acqua e
1 rametto di timo, g. 15 di burro, 3 bacche di ginepro, g. 100 di
per 300 di cipollotti. Unire l’olio evo, sigillare e cucinare in forno a
2 piccioni di g. 400/500, 2 cipollotti di Tropea, 1 spicchio d’aglio, salsa di piccione, ml. 500 di fondo bruno, sale q.b., sale Maldon,
anice stellato, g. 100 di erbe miste selvatiche del Monte Baldo (tra cui levistico, tannaceto, ...), g. 100 di lardo, g. 100 di pane in cassetta.
Per il sale bilanciato: g. 30 di sale,g. 10 di zucchero, g. 1 di acido
citrico, ml. 20 di olio evo, g. 100 di fave pulite sbianchite e sbucciate, 4 foglie di cumino.
mettere in sacchetti sottovuoto con 5 grammi di sale bilanciato vapore per 5-8 minuti o fino a consistenza desiderata. Raffreddare in acqua e ghiaccio.
Per la crosta morbida di erbette selvatiche: frullare le erbe lavate al cutter con un cubetto di ghiaccio, aggiungere il lardo a pez-
zettini e, quando avremo un composto omogeneo, aggiungere il
pane in cassetta. Frullare per qualche minuto ancora e stendere poi tra due fogli di cartaforno. Mettere in frigo.
PREPARAZIONE
IMPIATTAMENTO
dividere i petti dalle zampe, pulendogli l’osso finale. Rompere
medio. Infornare a 140°C, mezza potenza e 20% di umidità per 2
Per la salsa di piccioni: fiammeggiare i piccioni, starnarli e
le carcasse e rosolarle. Una volta dorate, sfumare con del vino rosso Valpolicella Superiore. Dopo qualche minuto aggiungere il
fondo bruno e ridurre a piacere. Aromatizzare con l’aglio, il timo,
l’anice stellato e le bacche di ginepro. Quando pronto, filtrare all’etamina.
Per la crocchetta di interiora di piccioni (opzionale): cuocere
le cosce in olio di semi di girasole in forno per 25 minuti a 120°C; farle raffreddare e spolparle. Tritarle assieme ai fegati e ai cuori,
aggiustare di sapore e aromatizzare a piacimento, anice stellato in
polvere, sale , pepe, poco parmigiano grattugiato. Formare delle palline di 8-10 grammi e congelare. Impanare.
Per i cipollotti: pulire i cipollotti privandoli dello strato esterno
Rosolare i petti in olio dalla parte della pelle per 2 minuti a fuoco minuti. Togliere dal forno e lasciare riposare per 4 minuti. Ripetere l’operazione per tre volte. Nel frattempo friggere la crocchetta
semi scongelata. Scolare la crocchetta e aggiustare di sale. Riscaldare i cipollotti che avremo tagliato a losanghe di 3-4 centimetri e disporli sul piatto a distanza.
Spadellare velocemente le fave con poco burro e acqua, aggiusta-
re di sale e spargerle per il piatto. Coprire il petto di piccione con un sottile strato di crosta morbida della stessa forma del petto di
piccione. Aggiungere la crocchetta di frattaglie e cosce. Gratinare
leggermente in salamandra e tagliare a metà il petto, disporlo sul piatto e finire con le foglie di cumino, la salsa di piccione e una riduzione di Valpolicella superiore e glucosio.
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© Giovanni Panarotto
LUMACHE in salsa verde INGREDIENTI
continuando a mescolare con una spatola di gomma e versare su
1 scalogno, g. 100 di quinoa bianca, 1 mazzo di prezzemolo, g. 50
25-30 minuti. Recuperare con un cucchiaio la parte solida rimasta
20 lumache stufate, 1 spicchio d’aglio, 1 ciuffetto di erba cipollina, di olio evo, 1 cucchiaino di senape, 1 cucchiaio di aceto, sale q.b., 5 ciuffi di dragoncello, rosa di Gorizia.
Per l’agrodolce: ml. 100 di aceto di vino bianco, ml. 300 di acqua, g. 200 di zucchero.
Erbette selvatiche primaverili, 1 mazzo di rucola selvatica, g. 10 di
aceto di vino bianco, g. 20 di cetrioli freschi, g. 20 di scalogno tritato, 2 acciughe sott’olio, g. 20 di pinoli tostati. PREPARAZIONE
Per la quinoa: cuocere 3/4 di quinoa in abbondante acqua leggermente salata per 6 minuti. Scolarla e raffreddarla, asciugandola
su un canovaccio. Il restante quarto cuocerlo per altri 5-8 minuti finché non perderà l’anima bianca. Quindi scolarla e seccarla per
una notte in un luogo asciutto, sgranandola bene in una placca con carta da forno. Quando secca, soffiarla in olio di semi di gira-
un’etamina con dei cubetti di ghiaccio. Lasciare gocciolare per sull’etamina , frullarla al mini pimer.
Per le lumache: stufare dolcemente le lumache con un soffritto di
scalogno e un aglio in camicia; togliere dal fuoco e mantecare con
poco burro e poca clorofilla. Aggiungere l’erba cipollina, aggiustare di sale, pepe e poco succo di limone.
Per il radicchio preservato: mondare il radicchio e lavarlo in
acqua fredda. Asciugarlo e metterlo sottovuoto con lo sciroppo
agrodolce a freddo, sale e il ciuffetto di dragoncello. Conservare in frigorifero. Fare riposare almeno tre giorni.
Per la salsa verde di rucola: sbianchire la rucola lavata in acqua
bollente. Raffreddare con acqua e ghiaccio, scolarla e strizzarla leggermente, frullarla al Bimby con un cubetto di ghiaccio, un pizzico di Xantana ed emulsionare con olio evo. Amalgamare a mano la brunoise di cetrioli freschi, l’erba cipollina tritata, le acciughe
tritate, la senape e aggiustare di acidità con l’aceto di vino bianco, il sale e poco pepe macinato.
sole a 190-200°C, cercando di farla rimanere bianca.
IMPIATTAMENTO
re al Bimby con acqua fino a coprire a velocità forte per 4-5 minuti.
prirle con una foglia di radicchio preservato. Versare a gocce la
Per la clorofilla: sfogliare il prezzemolo e lavarlo in acqua. FrullaPassare ad uno chinoise fine premendo energicamente per estrarre la maggiore quantità di liquido. Portare il liquido verde a 58°C
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Intiepidire le lumache e disporle in ordine sparso sul piatto, co-
salsa verde di rucola, i pinoli tostati tritati e finire con la quinoa soffiata. Decorare con le erbette selvatiche.
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I PIATTI, IN ULTIMA ANALISI Fra i classici di Giorgio, appena alleggeriti, risaltano gli straccetti di pasta con la pastissada di cavallo, la pearà, icona cittadina in sineddoche con le sue carni (cotechino avvolto nella fesa di vitello al vapore, cappello del prete brasato, punta di petto di vitello arrosto) e la pasta e fagioli classica, fra le più celebrate d’Italia, con tanti odori e in luogo dei ritagli il Vinappeso, “culatello” di maiale del Monte Baldo marinato nell’Amarone. Gli antipasti d’autore pescano nella memoria gustativa, variando le presentazioni. Vedi la frittatina sifonata (foto sotto, a destra) e finita in forno, parallelepipedo spumoso servito con tartufo estivo e coulis di aglio orsino, entrambi del Monte Baldo. A conferirle corpo e struttura, profumi e acidità è la salsa sempre al Vinappeso, sobbollito fino a ottenere un brodo e poi un ristretto, addizionato al Bimby di panna e Parmigiano. Oppure le lumache, stufate e spadellate con il
© Giovanni Panarotto
classico complemento di burro e clorofilla di prezzemolo, più succo di limone, erba cipollina e scalogno crudo; su ciascuna di esse è adagiato un petalo di rosa di Gorizia in agrodolce, più pesto di rucola alla senape montato all’olio, tipo maionese, cubetti di Monte Veronese, pinoli tostati, foglie di romice sanguineo e cumino selvatico. E ancora il salmerino del lago di Garda (foto qui sopra), marinato e leggermente affumicato come se fosse salmone, servito a bâtonnet con citronette, uova di salmerino fresche e scaldate, frullate e montate come una maionese all’olio, cialda di pelle croccante. 100% salmerino, o quasi, contrastato nella grassezza e nella sapidi-
tà da una cascata di acetosella. Riprendono un formato della casa, ripassato per la trafila marchesiana, gli straccetti di pasta all’uovo, mantecati con burro e parmigiano. Sono conditi con uova embrionali di gallina grigia di Verona, passate leggermente in salamoia e al vapore, per una consistenza più soda, una zuppetta di asparagi bianchi di Verona ottenuta dalla purea allungata con il centrifugato e una salsa spumeggiante del centrifugato stesso, cannella e noce moscata. Un matrimonio indissolubile eppure costantemente rinnovato fra testure vischiose e grassezze. Il piccione è approntato secondo la tecnica Buffo: la carcassa con i petti è rosolata con burro, aglio e timo, poi passata in forno a 140 °C per un minuto e mezzo, a tre riprese, inframezzate da riposi altrettanto brevi. In questo modo l’esito è intermedio fra Roner e classica arrostitura, con la pelle croccante, il gusto caramellato di arrosto e la polpa rosa; segue la gratinatura con una crosta di erbe del Monte Baldo, lardo e pane in cassetta. Completano il piatto la polpettina impa-
© Giovanni Panarotto
nata e fritta delle coscette cotte a parte con le rigaglie crude, la riduzione di vino rosso e anice stellato, le fave, il fondo di piccione e il cipollotto di Tropea cotto col sale bilanciato. Chiude la bavarese al caramello salato con liquore d’erbe del Monte Baldo, gelato di zucca di Nogara, chips di Isomalto e kumquat confit, in equilibrio fra dolcezza, sapidità, amaro e note agumate. RISTORANTE 12 APOSTOLI
Vicolo Corticella San Marco 3, Verona - Tel. 045 596999 www.12apostoli.com
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Puglia fashion
Sole, mare, masserie storiche, distese di ulivi, cibo spettacolare: la Puglia negli ultimi anni ha saputo riqualificare la propria offerta per attrarre un turismo in grado di amare e rispettare un ambiente unico al mondo per bellezza, tradizioni, stile di vita. Che qualcuno ha cercato di riprodurre, con successo, anche fuori da questa regione...
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WINE RESORT
VINILIA
UN CASTELLO CHE OSPITA I VINI E LA CUCINA DEL SALENTO di
Teresa Cremona
Siamo nel Salento settentrionale, nel territorio del Primitivo, vino di antica origine, morbido e austero, che non è ancora diventato quell’attrattore turistico che potrebbe rappresentare. Quindi la creazione di un Wine Resort di lusso in una dimora storica di grande carattere, accende l’attenzione ed è un impulso alle potenzialità che questa parte della Puglia può esprimere. Vinilia Wine Resort è nella campagna di Manduria, equidistante da Taranto, Brindisi, Lecce. Ospitato in un edificio costruito all’inizio del ‘900 da un architetto romano che lo progettò nello stile neo-eclettico, tipico della scuola romana di quel periodo, si presenta come un vero Castello, con torre e torrette, merli, logge e feritorie, circondato da vigneti e da un giardino all’italiana. Nel parco, la piscina è al centro delle costruzione destinate, a breve, ad ospitare la Spa, dove è prevista anche una piscina interna e quindi l’albergo sarà vivibile tutto l’anno, offrendo leisure, benessere e relax oltra a esperienze e approfondimenti enologici.
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VINILIAWINERESORT
Puglia fashion
Il Castello, costruito in origine dalla famiglia Schiavone, abbandonato e in rovina, è stato acquistato da Pietro Lacaita, imprenditore affermato nel settore metalmeccanico, che ha impiegato 6 anni a completare i lavori di restauro. Imponente nell’architettura esterna, ha interni accoglienti, luminosi, colorati. Un susseguirsi di spazi piacevoli e vivibili, dove gli arredi di modernariato si mescolano ai mobili antichi e a quelli dove il ferro è protagonista, realizzati su disegno, nell’azienda della famiglia Lacaita. I colori vivaci sono esaltati dalla luce che attraversa le ampie vetrate e crea una continuità fluida tra interni ed esterni.
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GOURMETFOOD
Le Camere sono ampie, alcune hanno più ambienti, negli arredi convivono stili di epoche diverse, oggetti, libri, dettagli che sembrano ricordi personali e che raccontano anche storie del territorio. Ma quello che fa la differenza a Vinilia è l’accoglienza della famiglia Lacaita. La conduzione dell’hotel è seguita da Simona Lacaita, che si occupa dei clienti e da sua sorella Marika, che segue l’amministrazione. C’è una naturale gentilezza nel loro approccio al mondo dell’ospitalità. Spontanei, cordiali, danno un’impronta personale di simpatia, di calore e di casa, un valore impagabile e non imitabile. Il Ristorante Casamatta, avviato con la consulenza di Valeria Piccini, ha ora uno chef pugliese. Pietro Penna (foto a lato), tornato nella sua terra dopo un lungo periodo con Sergio Mei in giro per l’Europa, e dopo essere stato, primo italiano, nelle cucine del ristorante Le Cinq con Eric Briffard.
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Pietro Penna, dopo i molti anni trascorsi all’estero, ha dovuto riappropriarsi dei piatti della sua infanzia, e così racconta che talvolta deve chiamare la sua mamma per rinfrescare il ricordo di alcune ricette. In cucina, ortaggi e frutta arrivano dall’orto biologico della Masseria Trullo di Pezza, l’azienda agricola di proprietà della famiglia Lacaita, che fu acquistata nel 2012. L’azienda si estende su 100 ettari, è coltivata per metà a ulivi, a alberi da frutta e ortaggi, e ha 50 ettari vitati che producono, sotto la guida dell’enologo Benedetto Lorusso, circa 60 mila bottiglia. 5 le etichette: i rossi: Scarfoglio Aglianico Salento Igp, Mezza Pezza Primitivo Salento Igp e Licurti Primitivo di Manduria DOP. I bianchi: Dieci Grana Fiano Salento IGP. I rosati: Speziale. Negroamaro Rosato Salento IGP. Nel menu degustazione del ristorante Casamatta, è il territorio, fra mare e campagna e orto, che fa da guida:
VINILIAWINERESORT
Puglia fashion
polpo marinato, stracciatella, puntarelle, olive; fave e foglie selvatiche cotica croccante (foto in alto a destra); tubettino aglio, olio, peperoncino cima di rapa e gambero bianco; pesce azzurro verza, caviale di melanzana, zenzero; cioccolato bianco yogurt e bosco.
WINE RESORT VINILIA
Contrada Scrasciosa - 74024 Manduria Taranto
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Telefono: 099 990 80 13 www.viniliaresort.com
MASSERIA TRULLO DI PEZZA S.P. Torricella-Lizzano 74020 Torricella (Ta) tel. 099 9872011
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GOLAVAGANDO
Puglia fashion NEL LECCESE
B&B LE 6 CONCHE RECUPERA CON GUSTO UN ANTICO CASOLARE di
Teresa Cremona
Gemini, a pochi chilometri da Specchia, è un minuscolo paesino del Salento che nel ‘500 divenne rifugio dei vescovi in fuga da Ugento, assalita dai Turchi. Nella piazza principale, la Chiesa di San Francesco d’Assisi e il Palazzo Macrì del XVI secolo, con un bel portale settecentesco. A Gemini ha da poco aperto il B&B le 6 Conche, un indirizzo da segnalare, un indirizzo da ricordare. Ospitato in una casa antica: la stalla e il granaio risalgono all’inizio dell’800, l’abitazione al 1881 e la lamia sul terrazzo ai primi del ‘900. Antico casolare su tre livelli, ha quattro camere che conservano la volta a stella tipica della tradizionale salentina, naturalmente abbellite da camini, nicchie, mura in pietra leccese. Ogni dettaglio è stato recuperato con un attento restauro, che ha messo in risalto la bellezza degli ambienti. Gli spazi rimodulati e reinterpretati in chiave contemporanea, hanno uno stile semplice, essenziale, che custodisce la tradizione, ma la rivisita con oggetti e complementi di arredo originali. L’atmosfera è intima, soffusa, rilassante. Dalla hall, una comoda scalinata scende nell’ex cantina, con volta a botte, interamente scavata nella roccia.
In questo spazio un tempo si conservavano gli alimenti, si imbottigliava il vino, si custodiva l’olio. Lungo una delle pareti si aprono sei concavità, che servivano a contenere le “capase” (anfore in terracotta) : da qui l’dea delle ‘Sei Conche’. Oggi è un open space, una zona living con smart tv e angolo cucina, dove si fa la colazione al mattino, dove ci si può preparare un thè o un caffè o una bibita fresca al ritorno dalle escursioni o dal mare che dista solo pochi chilometri. Sul mare, a Torre San Giovanni, nel Parco Litorale di Ugento, Tiziana Mauro, Graziano e Matteo dell’Accantera conduttori del B&B le & Conche attraverso la Cooperativa Impegno Popolare, gestiscono anche il Lido Pineta. LE SEI CONCHE BED & BREAKFAST
Via Chiesa, 12 - 73059 Gemini - Ugento (LE) - Tel. +39 334 313 0040 www.leseiconche.it - www.lidopineta.it
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GOURMETFOOD
Puglia fashion
NEL BARESE
MASSERIA IL MELOGRANO E IL SUO LEGAME INDISSOLUBILE CON IL TERRITORIO di
Teresa Cremona
Fu in assoluto la prima, la prima Masseria pugliese trasformata da luogo di lavoro agricolo, in luogo di ospitalità e delize. A farlo fu Camillo Guerra, antiquario barese, e gentiluomo immaginifico, che completò la sua opera con arredi d’epoca che diedero al complesso un tono di lusso intimo, avvolgente, molto personalizzato, ricco di un carattere originale e non riproducibile. Il successo fu immediato, e ci furono, e continuano ad esserci, molti epigoni. La struttura conserva, nell’aspetto possente, la storia delle sue origini di vera masseria. La costruzione risale al XVII secolo, ma probabilmente in alcune sue parti si può datarla all’anno 1000. Ha muri spessi anche 1 metro; gli antichi camini – tuttora funzionanti – sono monumentali, i pavimenti sono a ‘chianche’, lastre di pietra calcarea patinate dall’uso che hanno acquistato toni caldi e burrosi. E’ circondata da ulivi millenari con tronchi che sono sculture. Due di questi ulivi sono stati lasciati all’interno delle sale: un decoro naturale che racconta il legame stretto, indissolubile fra il territorio e questi spazi di abitazione. Nei cinque ettari che la circondano, oltre alle
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GOURMETFOOD
coltivazioni di ulivi, ci sono carrubi e boschetti di agrumi, e in modo che sembra spontaneo, crescono anche bouganville, gelsomini, agavi e piante fiorite e aromatiche di giardino mediterraneo. L’albergo creato dall’antiquario Guerra, nel trascorrere degli anni aveva perso il suo smalto iniziale, ma il Melograno è un simbolo importante dell’ospitalità dell’Alta Murgia e di recente è stato acquistato da una famiglia di imprenditori pugliesi, attivi nel settore delle costruzioni, che sta portando avanti la completa ristrutturazione della Masseria come anche della Peschiera: il piccolo, esclusivo, raffinato 5 stelle con sole 13 camere fronte mare e pied dans l’eau, realizzato negli spazi che furono di un’antica piscicultura borbonica.
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MASSERIAILMELOGRANO
Puglia fashion
TAGLIOLINI
all’uovo con coniglio di Masseria INGREDIENTI
Per i tagliolini all’uovo: uovo, farina 00, acqua (1 uovo per 100 grammi di farina), carote di Poglinano, cipolla bianca nostrana, pomodoro ramato, vino bianco, olio evo, sale.
PREPARAZIONE
Per la sfoglia: per realizzare la pasta fresca versare poco meno di 400 grammi di farina in una ciotola (meglio tenerne un po’ da parte da aggiungere in caso di bisogno) o direttamente su una spianatoia di legno per la sua porosità.
Creare un incavo al centro e aggiungere le uova intere, con la forchetta; mescolare e contemporaneamente iniziare ad incorporare la farina.
Una volta che la parte liquida sarà stata assorbita, iniziare a impastare a mano: trasfe-
rire sulla spianatoia o su un piano di legno e lavorare l’impasto per circa 10 minuti, con il palmo e in maniera energica, tirandolo in tutte le direzioni.
Una volta che l’impasto risulterà liscio, avvolgerlo nella pellicola e lasciare 30 minuti di riposo.
Stendere, ricavare la sfoglia e tagliare i tagliolini. Tagliare carote e cipolle alla julienne, farle appassire in olio evo per circa 20 minuti, aggiungere il coniglio disossato e tagliato a tocchetti.
Sfumare con vino bianco; una volta evaporato il vino abbassare la fiamma, aggiungere il pomodoro ramato a tocchetti e lasciar cuocere a fiamma bassa per circa 1 ora. Cuocere i taglioni in acqua salata, saltare in padella e servire.
Al Melograno i lavori di ammodernamento e di restauro hanno aggiunto freschezza e funzionalità senza alterare le pecularietà della struttura e senza dissolvere, negli interni, quel sapore di accoglienza intima e privata. Tutte le camere sono diverse, ognuna ha un suo racconto. Quasi sempre sono composte di più ambienti, talvolta le finestre hanno la vista del mare come linea di orizzonte, sempre l’affaccio è sul verde degli ulivi che risalta sugli intonaci imbiancati a calce. I mobili rimangono quelli scelti dall’esperienza dell’antiquario Guerra, e conservano la loro bella patina antica, aggiungendo carattere e calore. Ovunque colpisce l’ampiezza e il numero degli ambienti, nati per usi di vita agrico-
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GOURMETFOOD
la, ora adibiti a bar, salotti, sale da pranzo e salette colazioni, in un continuo susseguirsi di sale piccole, sale grandi, salette intime o monumentali. Tutte hanno dimensioni armoniose, talvolta i soffitti sono a volta, talvolta ci sono camini che si aprono su due fronti, in ognuna ci sono dettagli costruttivi che trasformano la funzionalità in estetica, pilastri di sostegno, archi, lesene, scale, gradini, dislivelli. La struttura è cresciuta nel tempo per rispondere a esigenze sia abitative che di lavoro, fu ampliata nei secoli con una sapienza estetica innata e oggi si adatta all’ospitalità di lusso con eleganza e fascino. La cucina è affidata a Vito Casulli, executive chef sia del ristorante Mùmmolo alla Masseria Il Melograno, sia del Ristorante Sale Blu della Peschiera. L’Olio EVO, come gli orticoli, sono prodotti della Masseria, il resto è quasi tutto e per quanto possibile, del luogo. Vito Casulli è giova-
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MASSERIAILMELOGRANO
Puglia fashion
ne e pugliese, e guida i suoi ospiti alla scoperta dei sapori e dei vini regionali. Nei suoi piatti ritroviamo una cultura locale, arricchita di variazioni e personalizzata. Molte delle sue preparazioni hanno di base le tradizionali ricette della Puglia, ma interpretate secondo criteri modermi per una cucina di sapori e di salute. Nel suo menu al Ristorante Mùmmolo: rivisitazione della tiella barese; purea di fave e cicorie con olio extravergine della Masseria e chips di pane di altamura; strascinate di grano duro del Senatore Cappelli con pomodoro dolce fiaschetto di Torre Guaceto e petali di cacioricotta; millefoglie di melanzane alle mandorle, con scampi, fior di bufala e corallo; parmigiana pugliese in coccio; frittura di paranza e pescato del giorno, dalle barche dei pescatori. Ci piace ricordare i suoi tortelli ripieni di fave e cicoria con cuore di baccalà: tradzione, territorio, memoria, un’esperienza di profumi e di gusto, in un piacevole gioco di texture contrastanti.
MASSERIA IL MELOGRANO RISTORANTE MÙMMOLO
Contrada Torricella, 345 - Monopoli (BA) - Tel. 080 690 9030 www.melograno.com/it/ - www.peschierahotel.com/it/
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GOLAVAGANDO
A MILANO
RISTORANTE OLIO È DEDICATO ALLA PUGLIA E AL SUO PRODOTTO PRINCIPE di
Teresa Cremona
‘Olio’ è il nome di un ristorante aperto di recente a Milano, un locale di proprietà di una coppia pugliese, ispirato alla Puglia, e dedicato in primis all’olio che quindi diventa elemento fondante del racconto dei piatti di questa cucina, e del carattere e della cultura di un cibo regionale. Su ogni tavolo, in dotazione, una bottiglia da 50 ml di olio extravergine dell’Antico Frantoio Muraglia di Andria, frantoio da cinque generazioni di proprietà della stessa famiglia (alla fine del pasto la mini bottiglia può essere portata via dall’ospite: un ricordo, ma anche un suggerimento). L’olio non deve rimanere ad ossidarsi sui tavoli del ristorante, è un prodotto vivo, sano e salutare: una volta che il contenitore è stato aperto, deve essere consumato rapidamente. Nel menu del ristorante, proposte della tradizione pugliese: pescato e verdure del Salento, gamberi viola di Gallipoli; le orecchiette, fatte a mano, vengono da Bari; la carne e i latticini da Altamura. Secondo un vivace e seguito costume pugliese, c’è anche un’ottima selezione di ‘crudi’ e degustazione di ostriche. L’idea di un ristorante incentrato sull’olio è di Angelo Fusilli e di Paola Totaro. 31 anni lui, 29 anni lei, entrambi pugliesi. Angelo ha studiato Scienze della Comunicazione e poi ha seguito un master di food&wine, Paola invece ha studiato legge, ma ha lasciato la professione di avvocato e il concorso in magistratura, e segue tutta la parte organizzativa del ristorante. In cucina c’è Marco Misceo (31 anni), barese, che ha nel suo curriculum sia esperienze estere che all’Andana di Castiglion della Pescaia. Giampietro Romano è il sommelier.
Il locale è curato, piacevole, giovane, 40 posti, un dehors. Arredamento moderno, lineare con dettagli che si rifanno ai decori della Puglia, giocati con mano leggera. Entusiasmo, idee e cultura sono gli impalpabili elementi che aggiungono valore a questa iniziativa.
OLIO - CUCINA FRESCA Piazza Lavater 1, Milano Tel. 02 2052 0503
www.frantoiomuraglia.it
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GOLAVAGANDO
Puglia fashion MASSERIA
LE STANZÌE IMPERDIBILE META STORICA, ORA DEDICATA A PRODUZIONI QUALIFICATE E SPLENDIDA OSPITALITÀ di
Teresa Cremona
In Puglia, le Masserie convertite all’ospitalità, alla banchettistica, alla ristorazione, sono innumerevoli. Molte sono belle, ma la Masseria Le Stanzie è imperdibile. E’ un indirizzo che ha attraversato i millenni: fu una stazio romana nel percorso verso Brindisi, poi divenne luogo di accoglienza per pellegrini e viandanti, monastero, fattoria fortificata. Nelle sue mura, reperti messapici, frantoi ipogei, grotte basiliane e un lungo tratto di tracciato di strada romana, perfettamente visibile e perfettamente ristrutturato.
Il corpo di fabbrica è di incredibile imponenza. L’architettura cresciuta nei secoli, è monumentale, possente, assoluta. Ogni fabbricato aggiunto è stato integrato con naturale senso di armonia. Gli ambienti si susseguono in sequenza con archi, varchi, scalini e dislivelli. Grandi sale, salette intime, angoli più romantici, tavole preparate per gruppi, per ospiti individuali, per coppie. Oltre al ristorante, c’è la vendita dei prodotti, il forno di panificazione, i locali per la stagionatura formaggi, i frantoi. C’è Rusticità, carattere, estetica, senza cadere nel folclore. Tutto è stato ristrutturato con passione e infinita attenzione. La Masseria Le Stanzie dal 1980 è azienda agrituristica-agricola-zootecnica. Un’azienda che produce olio extravergine, vino, verdure, frutta, erbe aromatiche. Nell’allevamento, vacche e vitelli di razza Podolica e Marchigiana, maiali, galline, cavalli, asini, allevati con metodo naturale. Gli oltre 60 litri di latte vaccino, raccolti ogni giorno, sono utilizzati nel caseificio per produrre ricottine, giuncate, primo sale e formaggi stagionati. Un luogo da non perdere. MASSERIA LE STANZÌE
Strada Provinciale 362 Km 32,900 - Supersano (LE) Tel. 0833 632438 - Cell. 340 1088978 www.lestanzie.com
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foto di
Andrea Amadori
GOURMETFOOD
RAFFAELE LIUZZI
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DALLA PUGLIA ALLA ROMAGNA CON AMORE
Pugliese doc, da tempo trapiantato in Romagna, Raffaele Liuzzi - nella sua omonima locanda a Cattolica - ha saputo innestare i sapori della sua terra su quelli di una regione generosa e ospitale, aiutato da un estro e da una creativitĂ travolgenti.
RAFFAELELIUZZI
Puglia fashion
CALAMARETTO, ANICE E ACCIUGHE puntarelle, cocco, pellicola e spugna di rape rosse INGREDIENTI
PREPARAZIONE
anice fresco
il calamaro con olio evo, scalogno, anice
4 calamaretti nostrani scalogno olio evo
g. 120 di puntarelle tagliate a julienne g. 100 di estratto di rapa rossa g. 60 di isomalto
g. 20 di fecola di patate g. 50 di farina “00” 3 albumi
g. 100 di rapa rossa cotta g. 2 di glucosio secco
g. 100 di latte di cocco fresco g. 5 di wasaby
Pulire e mettere in una bustina sottovuoto
fresco e un pizzico di sale; cuocere nel roner a 60°C per 15 minuti circa. Unire l’estratto di rapa rossa con isomalto, albumi,
fecola e farina quindi frullare affinché l’impasto risulti omogeneo; inserire in un sifone con due cariche di gas e farlo riposare.
Cuocere negli stampini al microonde ad alta potenza per 45 secondi.
Frullare la rapa rossa con il glucosio e
stenderla sul silpat; lasciare in forno per 3
Frullare il latte di cocco con un po’ di pol-
pa e wasaby, aggiustando di sale e legare con Xantana.
Condire le puntarelle con della citronette
e metterle al centro del piatto: ad una estremità delle puntarelle mettere la spu-
gna di rapa rossa, mentre sopra le puntarelle e la spugna adagiare il calamaretto
cotto e sgocciolato; condirlo con la salsa di cocco e adagiarvi sopra la pellicola di
rapa rossa; guarnire come da foto con
gocce di rapa rossa, nero di seppia, latte di cocco e wasaby.
ore circa a 55°C.
sale e pepe Xantana
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PACCHERI CON BOTTARGA DI MOLETTI quinto quarto, insalata di mare e liquirizia INGREDIENTI
PREPARAZIONE
Fare disidratare la lattuga di mare per poi
g. 30 di lattuga di mare
lienne con le foglie di alloro, aggiungervi
Cuocere i paccheri per 10 minuti, scolarli,
16 paccheri napoletani
g. 10 di asparagi di mare nero di seppia
fegato di merluzzo uova di merluzzo
branchie di merluzzo
trippa di coda di rospo uova di moletti scalogno
foglia di alloro
fumetto di pesce olio evo e pepe
liquirizia naturale in polvere
Per la salsa: fare sudare lo scalogno a jula trippa di coda di rospo, le uova, il fegato e le branchie di merluzzo; sfumare con del
fumetto di pesce per poi frullare il tutto
ripassarli in padella con dello scalogno tritato, olio evo e fumetto.
con il minipimer eliminando le foglie di
IMPIATTAMENTO
sale e pepe.
disidratata, adagiarvi i paccheri e condirli
alloro; passare al setaccio e aggiustare di Marinare per due giorni le uova di moletti
in carta da forno formando dei salsicciotti;
coprirli di sale e zucchero in pari percen-
tuali; lavarli e asciugarli e conservarli in frigo avvolti nella pellicola a forma di salsicciotto ben stretto.
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ridurla in polvere.
Spolverare il piatto con la lattuga di mare
con la crema del quinto quarto di pesce; spolverare con della liquirizia; aggiungervi qualche scaglia di bottarga di moletti e gocce di nero di seppia. Guarnire con gli asparagi di mare come da foto.
RAFFAELELIUZZI
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TORTELLI COME UNA IMPEPATA DI COZZE e perle di aglio dolce INGREDIENTI
g. 500 di cozze aglio
vino bianco secco prezzemolo
olio evo e pepe g. 100 di farina “00” vino bianco q.b.
nero di seppia q.b. g. 18 di olio evo sale
g. 100 di acqua di cozze g. 30 di cozze
1 foglio di colla di pesce g. 2 di curcuma
g. 0,4 di gomma k pomodorini confit pomodorini
buccia di limone grattugiata zucchero di canna pepe sale
foglie di timo PREPARAZIONE
Pulire bene le cozze, metterle in una pen-
tola coperta con olio evo, aglio in camicia, gambi di prezzemolo, vino bianco e pepe
al mulinello. Appena iniziano ad aprirsi, disporle in una placca e farle raffreddare in abbattitore; sgusciarle e recuperare il
loro liquido. Filtrarlo bene e scaldarlo ag-
giungendovi alcune cozze, magari quelle piu piccole, per poi mettervi la gelatina
di pesce precedentemente ammollata;
frullare il tutto aggiustando di sale e pepe e versare neglli appositi stampini a sfera.
Conservare in frigo per 4 ore circa. A parte scaldare del fumetto di pesce e aggiun-
gervi la curcuma e la gomma k.
Quando le perle di acqua di
cozze si saranno rapprese, passarle alla
sicurando-
si che siano ben
gomma k; posizionare ognuna nei gusci
chiusi i tortelli per poi friggerli in abbon-
le in frigo. Impastare tutti assieme farina,
Per i pomodorini confit: sbollentare per
di cozze già pulite e lucidate e conservarvino bianco, nero di seppia e olio evo con un pizzico di sale; far riposare per 20
minuti circa e stenderla sottile. Appog-
giare le cozze ben distanziate tra loro e mettervi sopra un po’ di gelatina di acqua di cozze realizzata precedentemente. Co-
prire con un altro strato sottile di pasta e,
con l’aiuto di un coppapasta a forma di cozza stamparle. Ripassare ognuna as-
dante olio di arachidi a 175°C.
qualche secondo i pomodorini per poi raffreddarli; eliminare la pellicina e metterli
in una placca unta di olio evo; condirli con buccia di limone grattugiato, zucchero di canna, foglie di timo e un pizzico di sale. Infornare a 60°C per 3 ore circa.
Per l’impiattamento, regolarsi come da
foto con guarnizione di un mazzetto di prezzemolo capovolto.
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ANIMELLE DI VITELLO amarene e asparagi INGREDIENTI
PREPARAZIONE
20 amarene snocciolate
messe in busta sottovuoto con pepe in
47841 Cattolica (RN)
per 45 minuti circa a 68°C, poi raffred-
www.locandaliuzzi.com
g. 500 di animelle di vitello g. 300 di fondo bruno di vitello g. 80 di Sherry Pedro Ximenez 8 scalogni
8 asparagi
pepe in grani
mazzetto aromatico di verdure
Cuocere a bassa temperatura le animelle grani e mazzetto aromatico di verdure
darle, privarle della pellicina e tagliarle a scaloppe.
Pulire e far sudare lo scalogno intero in un
tegame con un goccio di olio evo, versarvi
lo Sherry, aggiungere il pepe in grani e le amarene denocciolate; far ridurre ad un
quarto ed unire il fondo bruno. Ridurre ancora ad un quarto, togliere le amarene e
lo scalogno e filtrare; montare la salsa con
del burro vergine, aggiustando di sale e pepe al mulinello.
Pulire e tagliare gli asparagi per la lunghezza, condirli con olio evo e sale. Impiattare come da foto.
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Tel. 0541 830 1000
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GOLAVAGANDO
LA MISSIONE DEL RISTORANTE
CIBUS
A CEGLIE MESSAPICA: RECUPERO FILOLOGICO DELLA PIÙ AUTENTICA TRADIZIONE di
Alessia Pellegrini - foto di Ezio D’Onghia
Ceglie Messapica è una suggestiva cittadina pugliese conosciuta nel mondo per essere città d’arte ma soprattutto terra di gastronomia. Bianca, con strade bianche, strette e pulite, Ceglie ospita uno di quei locali che restano nel cuore per il cibo e per le persone che lo portano in tavola: il ristorante Cibus. Cibus è molto più di un ottimo ristorante tipico pugliese. E’ un progetto di recupero e valorizzazione del patrimonio gastronomico locale che si completa nell’arte dell’accoglienza. Il menu racconta di antiche pietanze cegliesi e di piatti di famiglia realizzati con l’impiego di materie prime del territorio scelte con cura e lavorate con amore e dedizione; un locale dove si mangiano piatti che difficilmente compaiono nei menu turistici perché appartengono ad un passato quasi dimenticato. Qui potrete mangiare, ad esempio, la sagnapenta, una ricetta antica preparata con molliche di pane fritto, ricotta forte e ragù, quest’ultimo tradizionalmente privato della carne per motivi religiosi.
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Puglia fashion LA STORIA Ceglie Messapica è città d’arte e terra di gastronomia, una tra le cittadine più antiche della regione, fondata nel XV secolo a.c. Qui si trova un sorprendente patrimonio naturale e paesaggistico, storico ed archeologico immerso tra colline, oliveti e trulli. Ma è tra i vicoli di questa bellissima cittadina che si colloca il ristorante Cibus di Lillino Silibello e Angela Amico. Durante la nostra visita, è quest’ultima a sgranare i ricordi, uno ad uno, come fossero le perle di un rosario. “Non si poteva pensare ad un futuro diverso da que-
appartenuto, insegnando la misura del pugno e della mano. La generosità delle madri! Quando Lillino nel 1994 apre Cibus, il panorama culinario italiano è dominato da mode gastronomiche internazionali. Proporre una cucina del territorio, non accademica, fondata su un’economia di piccoli produttori ed allevatori, sembra la mossa azzardata di uno sciocco ottimista. Ma Cibus non è un’operazione commerciale avventata, Cibus è qualcosa di più. Cibus è il tentativo di Lillino di conservare e consegnare al domani la sua terra, i suoi frutti, le genti, i loro usi e costumi, le tradizioni. I piatti non vengono soltanto serviti a tavola, ma vengono narrati. La materia prima utilizzata nelle preparazioni è una materia prima scelta perché “conosciuta”. I rapporti con i fornitori sono rapporti rigorosamente improntati alla fiducia nella qualità e nei processi di lavorazione. Le carni di coniglio, agnello e mucca podolica vengono dagli allevamenti della zona; le verdure, gli ortaggi e la frutta vengono acquistati dai contadini locali, l’olio EVO è di produzione propria. Se ne occupa personalmente Angela che ha ricevuto in eredità da suo padre un oliveto e le istruzioni per farlo rendere. Le paste fatte in case vengono preparate con farina di grano Senatore Cappelli e con grani antichi che piccoli produttori agricoli, con coraggio, hanno deciso di recuperare affrontando la concorren-
sto, per Lillino, che è cresciuto nell’osteria dei suoi genitori, Camillo e Giovannina.” ci racconta Angela. Proprio Giovannina aveva raccontato ad Angela che Lillino, per arrivare alla mescita del vino e servirlo ai tavoli, avevano dovuto mettergli delle cassette di legno per rialzo. La cucina dell’osteria è una cucina della tradizione legata al territorio e alla reperibilità stagionale dei suoi prodotti. E’ una cucina di cui le donne conservano memoria e ne tramandano la pratica. Fino a quando è stata in vita, Giovannina ha abitato le cucine del ristorante di suo figlio facendo da ponte tra passato e presente, un arco teso verso un futuro che per vecchiaia neppure gli sarebbe
za del grande mercato. Il pane viene cucinato nel forno di pietra in tre varietà: integrale, con patate e casereccio. I dolci sono quelli della tradizione di casa come il biscotto cegliese a base di pasta di mandorle e marmellata di ciliegia o amarena. Quello di Lillino e sua moglie, quello di tutta la famiglia di Cibus, è un impegno così tenace che solo l’amore per le proprie origini ed il radicamento in esse lo giustifica. Un impegno che investe anche la passione per i formaggi ed il vino. Lillino, infatti, porta a compimento l’affinamento di formaggi nella sua casera e vanta una cantina preziosissima, scavata nella terra, una suggestiva grotta che ospita più di 500 etichette e che merita essere visitata.
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GOLAVAGANDO
SAGNAPENTA
con mollica di pane fritto, ricotta forte e sugo di pomodoro INGREDIENTI
g. 500 di farina Senatore Cappelli, acqua q.b., g. 100 di pane raffer-
mo grattugiato, g. 150 di ricotta forte, g. 600 di pomodoro fresco va-
rietà Regina, 1 spicchio d’aglio, sale q.b., 4 cucchiai di olio extravergine
d’oliva varietà Cellina di Nardo. PREPARAZIONE
Su una spianatoia porre la farina a fontanella e, con acqua tiepida, impastare fino a ricavarne un
panetto che a sua volta deve essere tirato a sfoglia non molto sottile, ricavando una sorta di tagliatella grossola-
na. Preparare il sugo di pomodoro mettendo in una pentola olio, aglio e il pomodoro; lasciar cuocere per circa 20 minuti. In una pentola
alta portare ad ebollizione dell’acqua nella quale, dopo salatura, verrà cotta la sagnapenta. Una volta scolata la pasta, aggiungerla al sugo con la ricotta forte e saltarla per alcuni minuti. Impiattare e servire con il pane grattugiato che sarà stato preventivamente passato in padella con mezzo cucchiaio di olio caldo.
LA DEGUSTAZIONE La nostra degustazione si apre con degli antipastini a base di insalatina di grano con scaglie di formaggio ricotta, stracciatella di mucca podolica e tartufo nero della Murgia; panzanella calda con verze e sformatino con ricotta e mandorle tostate. Li accompagna del rosato di Negramaro. I primi serviti sono la sagnapenta con molliche di pane fritto, ricotta forte e ragù, Maccheroncini impastati con olive mennelle serviti con pezzi di coniglio disossato e verdura e di stagione. Il vino che li accompagna è un Susumaniello, un vino locale da un antico vitigno autoctono. Il secondo proposto è una costata di vitello podolico con contorno di patate cotte nella cenere del forno a legna ed il vino che lo accompagna è un Primitivo di Manduria. Il dolce, infine, è una mousse di ricotta con cotto di fichi marinati nel liquore San Marzano. Il vino servito è un Moscato Passito del Salento.
L’AMBIENTE Il centro storico di Ceglie è un luogo di bellezza autentica come vuole il significato del termine greco da cui ha origine il nome della città, Kalos. Una passeggiata tra i vicoli del centro consente di perdersi in un’atmosfera quasi surreale che dal Medioevo ci trasporta fino alle origini della città. E’ proprio in questi vicoli, in un convento del XV secolo che si trova il locale. Le sale le incorniciano i muri in pietra e le arcate in calce. L’aspetto “caratteristico” non nuoce affat-
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CICERCHIA
con le bietole selvatiche INGREDIENTI
g. 400 di cicerchia, g. 200 di bietole, 1 cipolla, olio q.b., 1 carota,
1 gambo di sedano, 4-5 pomodorini, crostini di pane, 4 foglie di alloro.
PREPARAZIONE
Mettere a bagno la cicerchia la sera prima per 24 ore. In una pentola alta coprire la cicerchia di acqua aggiungendo una cipolla, la
carota, il gambo di sedano ed un manciata di pomodorini. Portare
lentamente a cottura. A parte lessare le bietole, scolarle e passarle
in un padellino con olio caldo e le foglie di alloro. Una volta ultimata la cottura della cicerchia, con un mestolo servire in una ciotola di verto, aggiungervi un po’ di bietole e i crostini.
Puglia fashion
RISTORANTE CIBUS
Via Chianche di Scarano, 7
72013 Ceglie Messapica (BR) Tel. 0831 388980
www.ristorantecibus.it
to, come spesso accade, all’eleganza dell’ambiente che risulta rurale ma chic. La semplicità dei materiali impiegati ed i colori lo nobilitano ed invitano a sentirsi a proprio agio. Tutto trasmette una sensazione di intimità e di vivacità al tempo stesso. Il locale profuma di buono, visto l’alternarsi tra le sale delle stanze dei salumi e dei formaggi.
PERCHÉ FARVI VISITA Perché è un ristorante che resta nel cuore e perché è condotto da persone che restano nel cuore, come Lillino Silibello, grande appassionato di cibo e vino, affinatore di formaggi e ristoratore autentico, capace di dare voce alla tradizioni gastronomiche locali, e Angela, affabile padrona di casa, sempre impegnata – con il marito – a garantire agli ospiti la migliore permanenza possibile.
MELANZANA
ripiena di pasta con ragù di vitello podolico, formaggio e basilico INGREDIENTI
qua bollente; strizzarle in un cano-
sta tipo orecchiette fresche, g. 500
Lessare le orecchiette in abbon-
2 grosse melanzane, g. 300 di pa-
di ragu preparato con trito di vitello podolico, pomodoro, sedano,
carote, cipolla, g. 200 di formaggio vaccino, 4 foglie di basilico. PREPARAZIONE
Tagliare in due le melanzane; con
un cucchiaio svuotarle della polpa;
passarle per qualche minuto in ac-
vaccio pulito.
dante acqua salata, scolarle, ag-
giungervi la polpa delle melanzane, il ragu e un po’ di formaggio ed amalgamare bene. Con un cucchiaio riempire le metà delle
melanzane, spolverare con altro formaggio e ragu.
Infornare per circa mezz’ora. Servire con una foglia di basilico.
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EVENTI
ORGANIZZATO DA
PATROCINATO DA
Comune di Pesaro
Il Festival della Cucina Italiana diventa maggiorenne e omaggia un grande della musica mondiale: Gioacchino Rossini. Sarà il grande compositore a 150 anni dalla scomparsa, il fil rouge di uno degli appuntamenti enogastronomici più rilevanti del Paese, con il meglio del cibo, del vino e della cultura agroalimentare. Centro di gravità dell’evento, Pesaro, la città natale del compositore, per tre giorni “battezzata” Rossini Food Festival (14-17 giugno 2018). Un incontro, Rossini-cibo, che non nasce a caso, per le testimonianze che hanno dipinto il musicista quale raffinato ed esigente gourmet, con una speciale caratteristica: ad ogni tipo di regalo, la preferenza per gli omaggi di natura enogastronomica provenienti da tutte le parti d’Italia e dall’estero. E su questa scia le Mariette fedeli custodi delle ricette Artusiane e gli chef dell’Accademia Nazionale Italcuochi, coordinata da Gianfranco Vissani, prepareranno piatti tipici delle varie regioni italiane declinati secondo lo stile Rossini. Tutto questo in pieno centro storico, nello splendido giardino occupato dal Festival (Largo Aldo Moro) a un prezzo conveniente. Il Festival è coordinato da La Madia Travelfood, oggi inserita nel contesto di Cose Belle d’Italia. (www.cosebelleditalia.com).
LE PASSIONI DI ROSSINI: COSE BUONE D’ITALIA E’ un fatto risaputo che Rossini si facesse spedire gorgonzola dall’omonima città, da Milano il panettone, da Napoli i maccheroni, dall’Emilia mortadella e zamponi, da Ascoli i tartufi... Ogni struttura ospiterà un’eccellenza italiana, dai tartufi agli insaccati, dalle paste artigianali ai formaggi, declinando in versione popolare le passioni del grande Maestro. Ma anche la tradizione dei grandi sigari italiani, simbolo del bon vivre, sarà esaltata in un esclusivo dehors con abbinamento a Brandy e Rhum.
ROSSINI IN BOLLA Rossini era esigente in fatto enologico tanto da creare curiosi abbinamenti di vini ai piatti: il Madera sui salumi, il Bordeaux sul fritto, il Reno sul pasticcio freddo, l’Alicante e la Lacrima
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su frutta e formaggio, lo Champagne sull’arrosto. Le più grandi bolle italiane, unite a quelle francesi tanto amate dal Maestro e le realtà del vino marchigiane saranno protagoniste assolute dell’evento, in una panoramica il più possibile esaustiva.
CENE ESCLUSIVE IN CASA ROSSINI All’ultimo piano di Casa Rossini sono proposte cene esclusive con chef stellati: i posti limitati, la musica dal vivo, le mura storiche, l’elegante mise en place, renderanno ancora più importante l’esperienza enogastronomica. Gli chef stellati, uno diverso per ogni sera, realizzeranno unicamente ricette rossiniane: dal celebre Tournedos alla Rossini, ai famosi “Spaghetti alla Scala”, con tartufo bianco della vicina Acqualagna, oppure i noti “Cannelloni alla Rossini”, senza dimenticare uno dei dolci più cari a Rossini, che il compositore stesso amava definire come “Péché de vieillesse” (“Peccato di gola”), il “Gioachino”, un delizioso cioccolatino di squisita pasticceria, a base di gianduia e tartufo, con una spolverata d’oro e l’iniziale del famoso compositore Gioachino Rossini: una creazione delicata che si rifà ai gusti e alle ricette del famoso compositore. Il tutto accompagnato da champagne e dai vini pregiati che lui amava.
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EVENTI
PREMIO NAZIONALE GALVANINA La sala comunale di Pesaro ospiterà il 17 giugno alle ore 11,30 il Premio Nazionale Galvanina, che anche quest’anno vedrà premiati nomi di grande spicco, che abbiamo già individuato e che verranno comunicati nel mese di maggio. Quest’anno, oltre ai premi alla Cultura, al Giornalismo, alla Cucina, all’Imprenditoria e al Premio del Cuore, si aggiungerà il premio Miglior Produttore vino. Si riconferma il Premio WEB Chef dedicato al ristorante che ha meglio saputo comunicare la propria attività attraverso internet.
PARTNERS
18° FESTIVAL DELLA CUCINA ITALIANA 14/17 GIUGNO 2018 - PESARO - LARGO ALDO MORO
TUTTI I GIORNI dalle ore 18 alle ore 24 - INGRESSO GRATUITO WWW.FESTIVALDELLACUCINAITALIANA.IT
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EVENTI
5 RICETTE PER 5 RISTORANTI Il 18° Festival della Cucina Italiana vivrà in concomitanza con iniziative realizzate dagli operatori della città: il presidente dei ristoratori di Pesaro, lo chef Mario Di Remigio del ristorante Pasta Polo & Pizza, ha realizzato, insieme agli chef dei ristoranti Nostrano, Settima Fila, Lo Scudiero, ‘59 Restaurant, un “piatto rossiniano” da tenere in carta. Ogni chef dei ristoranti aderenti spiegherà la propria ricetta sul palco del Festival in prima serata.
NOSTRANO Chef: Stefano Ciotti
Maccheroni alla Rossini Ecco la ricetta per due persone scritta sotto dettatura di Rossini il
no più acqua; li si tiene da parte prima di essere sistemati a strati.
cheroni, occorre innanzitutto avere dei tegami adeguati. I piatti di
2. La preparazione della salsa
terre del Vesuvio”.
200 grammi di maccheroni si metteranno: g. 50 di burro, g. 50 di
26 dicembre 1866: “Per essere sicuri di poter fare dei buoni maccui io mi servo vengono da Napoli e si vendono sotto il nome di
Sempre in un tegame di terracotta, ecco come va eseguita. Per
parmigiano grattugiato, dl. 5 di brodo, g. 10 di funghi secchi, 2
La preparazione dei maccheroni si divide in quattro parti.
tartufi tritati, g. 100 di prosciutto magro tritato, 1 pizzico di quattro
1. La cottura della pasta
La cottura è una delle operazioni più importanti e occorre riser-
varle la più grande cura. Si comincia col versare la pasta in un brodo in piena ebollizione precedentemente preparato; il brodo deve essere stato passato e filtrato; si fa
spezie, 1 mazzetto di odori, 1 pomodoro, dl. 1 di panna, 2 bicchieri di champagne.
Lasciar cuocere a fuoco basso per un’ora circa; passare al colino cinese e serbare a bagnomaria.
allora cuocere la pasta su un fuoco bas-
3. La preparazione a strati
centilitri di panna e un piz-
Vesuvio. Dopo aver leggermente ingrassato con burro chiarificato
É a questo punto che si rende necessario il tegame in terra del
so dopo avervi aggiunto alcuni
e raffreddato il tegame, vi si versa uno strato di salsa, poi uno di
zico di arancia ama-
maccheroni, che va ricoperto da uno strato di parmigiano e di gru-
ra. Quando i mac-
cheroni
hanno preso
un colore traspa-
rente per il grado di
cottura, vengono tolti im-
mediatamente dal fuoco e sco-
lati sino a quando non contenga-
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viera grattugiati e di burro; poi un altro strato di maccheroni che si
ricopre nello stesso modo; il tutto bagnato dalla salsa; poi all’ultimo strato si aggiunge un po’ di pangrattato e di burro e si mette il tegame da parte per la gratinatura. 4. La gratinatura
Il difficile è far dorare il piatto per il momento in cui dovrà essere mangiato.
‘59 RESTAURANT Chef: Gianni Castellana - Pasticcere: Ludovico Serafini
Insalata con tartufi Angelica Nel 1816, la prima rappresentazione del Barbiere di Siviglia al Teatro Argentina di Roma fu un grande insuccesso per malevolezze ed invidie del mondo musicale. Le repliche furono, invece, molto applaudite. Comunicando l’accaduto al suo grande amore, la cantante
Isabella Angelica Colbran, tenne a precisare: “…ma ciò che mi interessa ben altrimenti che la musica, cara Angela, è la scoperta che ho fatto di una nuova insalata, della quale mi affretto ad inviarti la ricetta…”. Alessandro Procacci, poeta dialettale pesarese, ha scritto questo sonetto in lingua italiana su indicazioni di Rossini: “Angelica ti porto a conoscenza
della scoperta fatta in questo mese, un’insalata che può avere pretese
di non temere alcuna concorrenza. Devi prendere olio di Provenza,
al quale aggiungerai senape inglese, una spruzzata di aceto francese,
olio, pepe, lattuga e con prudenza del succo di limone. Indi tagliato
un buon tartufo aggiungere dovrai, il tutto ben sbattuto e lavorato.
Il nostro cardinale che ha gustato
questo superbo piatto come mai, la sua benedizione m’ha inviato”.
SETTIMA FILA Chef: Stefano Bragina - Sous-chef: Michele Bracceschi
Tacchino farcito con tartufi Non è un caso che Rossini abbia confessato di aver pianto soltanto tre volte nel corso della sua vita, cioè dopo i fischi indirizzati alla sua
prima opera, quando ascoltò il violino di Paganini e dopo la caduta di un tacchino farcito con i tartufi mentre era in
barca per una gita. Una volta che Rossini era a Bologna, Caréme, forse per nostalgia di un così fine intenditore, gli inviò per corriere diplomatico
un pasticcio di fagiano ai tartufi accompagnato dal messaggio: «Da Caréme a Rossini».
II Maestro rispose con una composizio-
ne musicale indirizzata: «Da Rossini a
Caréme».
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LO SCUDIERO Chef: Daniele Patti
Tournedos Rossini Ingredienti: cuore di filetto a fette rotonde, pancarré senza crosta della stessa forma della carne, foie-gras, tartufo, burro, Madera, farina, sale, pepe.
Preparazione: far dorare in una padella
delle fette di pancarré con il burro; toglierle dal fuoco e tenerle in caldo.
Infarinare i filetti di carne e rosolarli a fuoco vivo
da ambo le parti; salare e pepare solo al termine della cottura.
Sistemare le fette di pane nei piatti di portata e adagiare su ciascuna un filetto, una fetta di foie gras e una lamella di tartufo.
Nella padella di cottura aggiungere a fuoco vivo il Madera; lavorare bene fino ad ottenere un composto semidenso; pepare e distribuire la salsa sui piatti.
Informazione: è uno dei termini gastronomici dall’etimologia incerta, dato che la parola francese scomposta: “tournez” e “dos” vuol dire letteralmente fondo schiena. Per alcuni sarebbe stato il maggiordomo di Rossini a determinare il nome del taglio, perché al fine di mante-
nerne segreta la procedura, conferiva le sue finiture voltando sempre la schiena agli invitati. Per altri la nascita del termine sarebbe avvenuta durante un pranzo fatto al café des Anglais di Parigi. Qui Rossini, consigliando la ricetta allo chef e ricevendo delle sentite rimostran-
ze, fu costretto a rispondere: “Et alors, tournez le dos!” (allora, voltate la schiena). Infine un’ulteriore versione indicherebbe che la ricetta sarebbe stata creata da Caréme in onore del Maestro.
POLO PASTA & PIZZA Chef: Mario Di Remigio
Barbajata
Domenico Barbaia nacque a Milano nel 1778; di poverissima famiglia, cominciò presto a lavorare come garzone di caffè. La sua fortuna ebbe inizio quando pensò di unire la panna, il caffè e la cioccolata, creando la bevanda cui fu dato il nome di “barbajata”. Questa inven-
zione gli procurò lauti guadagni e segnò il primo passo di una lunga carriera, nella quale il talento
commerciale si unì all’intuito artistico. Nel 1809 fu chiamato a Napoli, dove gli fu affidata l’impresa dei Teatri Reali fino al 1840. Contemporaneamente ebbe incarichi a Vienna ed ebbe l’appalto della Scala di Milano. Il suo nome è però soprattutto legato a quello di
Gioachino Rossini. Egli fece venire a Napoli il compositore pesarese, allora ventitreenne,
con un contratto che impegnava il musicista a comporre due opere l’anno e ad assumere
la direzione musicale del Teatro San Carlo. Nella città partenopea furono rappresentate
fra il 1815 e il 1822: Elisabetta Regina d’Inghilterra, Armida, Mosè in Egitto, Ricciardo e Zoraide, Ermione, La donna del lago, Maometto II, Zelmi-
ra e l’Otello. I rapporti fra l’impresario e il compositore subirono un raffreddamento quando, nel 1822, la celebre cantante
spagnola Isabella Colbran, che era stata per parecchi anni l’amante del Barbaia, si sposò con Rossini.
Ingredienti: cremina di zucchero, caffè, cioccolata calda e
panna montata.
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EVENTI
AI BLOCCHI DI PARTENZA
RISTOGOLF 2018 Giunto alla sesta edizione, il 16 maggio torna il Circuito Ristogolf 2018 by KitchenAid & Estra, l’evento itinerante che unisce l’eccellenza del golf al mondo dell’alta ristorazione, nato nel 2012 dal desiderio di incrementare e sviluppare il gioco del golf fra ristoratori, albergatori e operatori del settore food&beverage. Ogni anno è una sorpresa e il circuito non finisce mai di rinnovarsi. Ideato dall’Associazione Ristoratori Albergatori & Co. Golfisti, fondata dagli chef stellati Enrico Cerea, Giancarlo Morelli, Davide Scabin, Norbert Niederkofler e guidata dal direttore Dario Colloi, golf professional e golf manager, Ristogolf cresce grazie agli Sponsor, Soci, Golf Club, Chef e Media. Grandi nomi della ristorazione provenienti da cucine prestigiose sono intervenuti in queste edizioni rendendo Ristogolf un circuito d’eccellenza accompagnato da speciali showcooking. Quest’anno il Circuito Ristogolf 2018 by KitchenAid & Estra partirà dal Piemonte e precisamente dal Golf Club Castelconturbia, in provincia di Novara, dove il 16 maggio si svolgerà la prima tappa. Il 6 giugno la sfida si sposterà a Como, al Golf Club La Pinetina, per proseguire, il 27 giugno, in Emilia Romagna al Golf Club Bologna, dove i “ristogolfisti” si sfideranno in un paesaggio collinare ricco di vegetazione. La quarta tappa si svolgerà il 18 luglio in Veneto, nell’altopiano di Asiago
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RISTOGOLF2018
al Golf Club Asiago, per poi tornare in Lombardia, al Golf Club Villa d’Este per l’ultima tappa del 5 settembre. All’interno di queste affascinanti location immerse nel verde, saranno previste diverse “buvette”, postazioni gourmet sui green per offrire degustazioni durante le gare e punti dove ristorarsi tra una buca e l’altra con assaggi preparati dagli chef in abbinamento ad eccellenti etichette. Al termine di ogni gara inoltre ci sarà uno showcooking in compagnia degli chef ospiti, a seguire una cerimonia di premiazione per tutti i partecipanti alla gara e, per terminare in grande stile, il gourmet party. Questa edizione vedrà la partecipazione degli chef Enrico Cerea, presidente dell’associazione, Giancarlo Morelli, vicepresidente, Norbert Niederkofler e Davide Scabin, consiglieri, Claudio Sadler, presidente dell’Associazione Le Soste, Enrico Bartolini e Davide Oldani e altri numerosi chef che saranno ospiti agli showcooking e in campo. I grandi chef presenti all’edizione di quest’anno potranno inoltre avvalersi della collaborazione degli allievi dell’Istituto Professionale Alberghiero Carlo Porta di Milano, che potranno vivere un’esperienza di formazione e istruzione in un contesto di eccellenza come Ristogolf. A conclusione del circuito, l’evento finale del 5-6-7 ottobre porterà gli appassionati di golf e buon cibo in Sicilia a Il Picciolo Etna Golf Resort & Spa, all’interno del suggestivo Parco dell’Etna. In una cornice spettacolare ed esclusiva, i giocatori si divertiranno tra noccioleti, gruppi di ginestre, forsizie e ciuffi di margherite, fino ad arrivare alla zona dove il terreno vulcanico diventa protagonista. Come di consueto, Ristogolf riserva anche per questo 2018 un gran finale che si preannuncia ricco di emozioni. La cena di gala dell’evento conclusivo sarà a cura dell’Associazione Le Soste di Ulisse, insieme a cinque chef dell’alta cucina siciliana. Ma “giocare a golf, mangiare bene, bere
bene e divertirsi” non sono gli unici scopi di Ristogolf, che ogni anno decide di sostenere un’associazione benefica. Il Circuito Ristogolf 2018 by KitchenAid & Estra quest’anno dedica il suo impegno alla Fondazione Theodora Onlus, che con l’ascolto, il gioco e il sorriso dei Dottor Sogni aiuta i bambini e le loro famiglie ad affrontare la difficile prova del ricovero ospedaliero. Il sorriso, il gioco, l’allegria non devono mancare nella quotidianità dei bambini, soprattutto quando si trovano in ospedale. Fondazione Theodora Onlus opera a titolo completamente gratuito per le strutture ospedaliere e, naturalmente, per le famiglie dei piccoli pazienti, sostenendo la propria attività esclusivamente grazie alla generosità di privati e aziende. www.ristogolf.com
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ILFOCUSDIALESSANDROROSSI
a cura di
Alessandro Rossi esperto di vino, bon vivant, fondatore del Premio “Dire Fare Sognare”
MAXIPROCESSO ALLA SOLFOROSA
UN PROCESSO ANNOSO E MAI CONCLUSO
Il “Maxiprocesso” è il soprannome che fu dato a livello giornalistico al più grande processo penale della storia italiana e mondiale celebrato a Palermo per crimini di mafia, chiamato così per le sue enormi proporzioni. Fu un processo veramente lungo: durò dal 10 febbraio 1986 al 30 gennaio 1992, coinvolse 475 imputati e 200 avvocati difensori per un totale di 2.665 anni di reclusione. Ora, vi starete sicuramene chiedendo cosa c’entri il Maxiprocesso di Palermo con l’anidride solforosa utilizzata nel vino. Ovviamente non c’entra, ma offre delle similitudini perché il processo alla solforosa è di certo il processo al vino più lungo della storia, ha coinvolto tantissime persone e sembra non avere fine. Partiamo dall’inizio: perché viene utilizzata l’anidride solforosa in enologia?
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Principalmente per i seguenti motivi, ma molto dipende dal tipo di uva e dalle sue caratteristiche: 1) Azione solvente: utilizzata nel mosto, sia per i vini bianchi che per quelli rossi, per arrestare inizialmente la prima fermentazione ovvero quella alcolica e per favorire l’estrazione del colore. 2) Azione antiossidante: per limitare il contatto con l’ossigeno ed evitare l’eventuale processo di ossidazione. 3) Azione antisettica e antimicrobica: per impedire il proliferare della flora batterica che potrebbe deteriorare il prodotto. Ma cos’è è esattamente l’anidride solforosa? Che delitti atroci ha commesso? Perché questo Maxiprocesso? Andiamo per gradi: L’anidride solforosa è un componente fondamentale per l’enologia - quella moderna e non - e forse il più
ILFOCUSDIALESSANDROROSSI
utilizzato, ma è al centro di accese discussioni da oramai più di un decennio. Se si analizzasse l’anidride solforosa esclusivamente come componente chimico (SO2) altro che processo! Andrebbe al gabbio per giudizio direttissimo... L’anidride solforosa è un gas che, in quantità eccessive, può essere molto pericoloso per la salute dell’uomo. E’ irritante, pericoloso per il tratto respiratorio e in dosi massicce può provocare addirittura la morte.
Andiamo avanti: va inoltre detto nell’esposizione dei fatti che una parte di questa sostanza si combina con una serie di componenti presenti nel mosto e nel vino, mentre una parte viene chiamata libera, ovvero la parte che svolge l’opera antiossidante. Meno si combina, meno è dannosa considerando che la libera viene chiamata così perché volatile. Comunque libera + combinata = solforosa totale. La difesa scricchiola a questo punto, ma un momento... Obiezione vostro onore! (Silenzio in aula)
Quindi? Subito ergastolo, no? Attenzione però: questo processo può avere risvolti più complessi, perché l’anidride solforosa è utilizzata comunemente nell’industria agroalimentare. Come tutti i composti chimici antiossidanti è possibile che possa provocare reazioni allergiche in soggetti predisposti, ma questo vale anche per tanti altri elementi presenti in natura o derivanti da processi chimici. Ma torniamo a noi. Perché questo Maxiprocesso al vino? La solforosa è ovunque, non solo nel vino. Bene, stavamo dicendo che l’anidride solforosa è fondamentale per la sua azione antiossidante e antisettica ma, se utilizzata in grandi quantità, può essere dannosa per l’uomo e per la sua salute, pur essendo considerato un elemento molto importante per preservare alcune caratteristiche fondamentali del vino. Quando si parla di salute, tutto deve essere regolamentato da parametri di massima. Le dosi massime di anidride solforosa da aggiungere nel vino variano a seconda delle normative dei singoli Paesi. La legge italiana stabilisce la quantità massima di solfiti ammessa in aggiunta al vino: nei vini rossi il limite è 150 mg/l, nei vini bianchi 200 mg/l, nei vini dolci 250 mg/l, nei vini passiti e muffati 400 mg/l. Alcune nazioni hanno introdotto delle modifiche a questa Legge, per esempio in alcune il limite si può elevare a 40 mg in più durante annate negative. A tale proposito è opportuno ricordare che nei soggetti predisposti e sensibili all’anidride solforosa, questa può essere motivo di emicranie o di altri disturbi come crisi allergiche, o almeno così si è sempre detto. Dunque, sempre di più questo processo sta prendendo una brutta piega per gli avvocati difensori. Oltretutto l’anidride solforosa può anche conferire al vino sentori non del tutto gradevoli. Peggio di così! Considerando che se vogliamo essere precisi l’anidride solforosa non è presente allo stato naturale ma è prodotta da alcuni lieviti durante la fermentazione, come va classificata? Prodotto naturale? Mah, anche qui la faccenda inizia a farsi complicata.
Prosegue la difesa: “Vostro Onore, a questo punto avrei alcune prove schiaccianti che possono determinare l’innocenza e l’assoluzione immediata del mio cliente!” - Ma l’anidride solforosa non preserva i sapori e gli aromi nei vini? Senza di questa i vini non sarebbero come li beviamo oggi. - Non è per caso vero che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha esaminato i livelli di Anidride Solforosa accettati dall’organismo, stabilendo che la dose massima giornaliera è di 0,7 mg per 1 kg di peso; mentre quella letale è di 1,5 g/kg, somma di tutta l’anidride solforosa presente negli alimenti e ingerita quotidianamente? - Vostro onore, non è per caso vero che il vino è considerato uno degli alimenti che contiene meno anidride solforosa? (Vedi tabella a pagina 94). - Non è considerata da tutti, e ripeto tutti, indispensabile per la conservazione del vino preservandolo dall’ossidazione? - Non è per caso vero che senza la solforosa non esiste una perfetta stabilizzazione del prodotto che potrebbe indurre ad una rifermentazione e quindi ad un’alterazione qualitativa del prodotto? - Non è per caso vero che recenti studi hanno scagionato i solfiti dalle responsabilità del famoso “mal di testa” che alcune persone provano dopo aver bevuto qualche bicchiere di vino e queste responsabilità sono dovute alle “ammine biogene”, sostanze che si creano durante la vinificazione ad opera di batteri lattici in grado di produrre composti negativi per la nostra salute? - Non è per caso vero che vini a cui viene data la possibilità di svolgere un maggiore affinamento in bottiglia assorbono e smaltiscono l’anidride solforosa? - Non è per caso vero che un’opportuna ossigenazione prima del consumo - operazione che può anche essere svolta facendo roteare il calice - libera circa il 30-40% dell’anidride solforosa contenuta nel vino? Silenzio in aula. Il Maxiprocesso di Palermo fu veramente lungo, tanto lungo ma
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necessario per portare ordine, una reazione importante dello Stato. L’omertà, ma soprattutto la leggerezza, permisero l’espandersi di Cosa Nostra in ogni dove. Questo processo sarà molto più lungo, continuerà a coinvolgere tante altre persone e nessuno finirà in galera perché la solforosa nel vino non ha mai ammazzato nessuno a differenza della Mafia. Ma è giusto fare chiarezza una volta per tutte su un argomento che continua a dividere non solo l’Italia ma il mondo intero. Signori della Corte, è ancora troppo presto per ritirarsi a deliberare. Potrei dire che, secondo me, l’imputato è assolto per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste o perché il fatto non costituisce reato. Ma io non sono un giudice e non sono coinvolto quindi, come tutti voi, ascolto e leggo. Tutto qui.
Gli effetti dell’anidride solforosa possono essere raggruppati in quattro categorie: antiossidante, stabilizzante, solvente e modificatore del gusto. Nel mosto e nel vino sono presenti diverse sostanze che tendono a ossidarsi, modificando sia l’aspetto sia il gusto. L’impiego dell’anidride solforosa previene l’ossidazione di queste sostanze e in particolare delle sostanze coloranti, dei tannini, degli aromi, dell’alcol e del ferro. I rischi dell’ossidazione durante la produzione del vino sono piuttosto alti, un processo che inizia sin dal momento in cui il grappolo è raccolto dalla vite e trasportato in cantina. Inoltre, ogni volta che si compiono delle operazioni sul vino, la possibilità di contatti con l’ossigeno è sempre molto elevata, un rischio che aumenta ulteriormente nel caso in cui il mosto o il vino sia ricco di enzimi e muffe - come la Botrytis Cinerea - e metalli catalizzatori, come ferro e rame. Per questi motivi, l’impiego dell’anidride solforosa può limitare gli effetti dell’ossidazione, assicurando quindi una maggiore qualità e conservazione del vino. L’azione stabilizzante e antisettica dell’anidride solforosa è molto
TABELLARE DEGLI ELEMENTI CONTENENTI ANIDRIDE SOLFOROSA E QUANTITÀ • albicocche, pesche, uva, prugne e fichi secchi - 2000 • frutta secca come agente di ricopertura - 2000 • surrogati di carne, pesce, crostacei e cefalopodi e formaggio a base di proteine - 2000 • surrogati di carne, pesce, crostacei e cefalopodi - 2000 • succo d’uva concentrato per la produzione casalinga di vino - 2000 • banane secche - 1000 • mele e pere secche - 600 • frutta a guscio e frutta secca - 500 • peperoni gialli in salamoia - 500 • la senape di Digione - 500 • prodotti a base di patate disidratati - 400 • succo di lime e limone - 350 • polpa di cipolla, aglio e scalogno - 300 • vini di frutta e vino di grado alcolico ridotto - 260 • limone affettato, in barattolo - 250 • vino - 200 • prodotti analcolici - 200 • pomodori secchi - 200 • aceto di fermentazione - 170 • cannella (Cinnamomum ceylanicum) - 150 • zenzero secco - 150
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• funghi secchi - 100 • patate congelate e surgelate - 100 • mais dolce confezionato sotto vuoto - 100 • ciliegie a polpa bianca in barattolo - 100 • frutta secca reidratata e litchi, mostarda di frutta - 100 • confetture, gelatine e marmelades prodotte con frutta trattata con solfiti - 100 • ortofrutticoli, angelica e scorze di agrumi canditi, cristallizzati o glassati - 100 • ortaggi bianchi, inclusi i funghi e i legumi bianchi - 50 • patate sbucciate - 50 • crostacei e cefalopodi cotti - 50 • amidi e fecole. Tranne gli amidi per gli alimenti destinati ai lattanti, gli alimenti di proseguimento, gli alimenti a base di cereali e gli altri alimenti destinati ai lattanti e ai bambini nella prima infanzia - 50 • biscotti secchi - 50 • birra con una seconda fermentazione in fusto - 50 • snack a base di cereali e patate - 50 • gelatina - 50 • sago e orzo perlato - 30 • uve da tavola, litchi freschi (misurati nelle parti commestibili) e mirtilli (Vaccinium corymbosum) - 10
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importante e contribuisce alla migliore conservazione del vino. L’effetto stabilizzante si utilizza anche nel mosto ottenuto dalle uve bianche, poiché ritardando l’avviamento della fermentazione, consente la decantazione delle parti solide favorendo l’illimpidimento del mosto. L’anidride solforosa distrugge o blocca momentaneamente lo sviluppo dei batteri della fermentazione malolattica (generalmente evitata nei vini bianchi) e quelli che provocano malattie gravi del vino, come l’acescenza e lo spunto lattico. Importante è inoltre l’azione selettiva svolta dall’anidride solforosa nei ceppi dei lieviti naturalmente presenti nel mosto. Ogni tipo di lievito risponde a delle caratteristiche proprie e si comporta in modo diverso durante la fermentazione. Con lo scopo di assicurare una migliore e più omogenea fermentazione, l’anidride solforosa risulta utile anche in questo caso. Alcuni lieviti e molti batteri sono particolarmente sensibili agli effetti dell’anidride solforosa che svolgerà quindi un’opportuna operazione di selezione. Alcuni ceppi di lieviti, poco attivi nella fermentazione e che producono sostanze secondarie indesiderate ai fini della qualità del vino, sono fortunatamente più sensibili agli effetti dell’anidride solforosa, mentre altri che svolgono un’azione benefica durante la fermentazione - e in particolare il Saccharomyces Cerevisiae - sono più resistenti. Grazie all’anidride solforosa è pertanto possibile eliminare i lieviti e i batteri indesiderati, mantenendo invece i lieviti considerati positivi ai fini della fermentazione alcolica. L’anidride solforosa svolge un effetto solvente favorendo l’estrazione di certe sostanze presenti nelle bucce dell’uva. Durante la macerazione delle bucce di uve rosse nel mosto, l’anidride solforosa favorisce il passaggio in soluzione delle sostanze coloranti e dei tannini. Per questo motivo è sempre preferibile evitare il solfitaggio delle uve bianche poiché questo porterebbe all’ingiallimento del mosto e
all’arricchimento di tannini. Nei mosti di uve bianche, l’aggiunta di anidride solforosa è sempre effettuata dopo la separazione delle parti solide, cioè dopo la sgrondatura. Fra gli altri effetti solventi, l’anidride solforosa favorisce l’estrazione delle sostanze minerali e degli acidi. L’anidride solforosa svolge anche un’azione positiva sul gusto e sugli aromi del vino. Dal punto di vista organolettico, evita l’ossidazione degli aromi, in particolare quelli fruttati tipici nei vini giovani, elimina il cosiddetto “gusto di svanito”, attenua i gusti di marcio e di muffa. Per ottenere questi effetti positivi, l’anidride solforosa deve essere aggiunta quando la fermentazione alcolica è terminata completamente. Qualora si aggiunga troppo presto rispetto alla fine della fermentazione (cioè quando la temperatura del vino è ancora troppo elevata), si possono sviluppare aromi e gusti sgradevoli di anidride solforosa, di mercaptano e di uova marce. L’anidride solforosa svolge infine una blanda azione chiarificante, poiché favorisce la coagulazione delle sostanze colloidali presenti nel vino e nel mosto, favorendo quindi la spontanea precipitazione delle fecce. L’anidride solforosa, aggiunta in quantità elevate nel mosto, è utilizzata per ottenere il cosiddetto “mosto muto”, cioè non fermentescibile, a causa del blocco dell’attività dei lieviti. Nonostante gli effetti dell’anidride solforosa in enologia siano indispensabili e importanti, è comunque e sempre opportuno limitare il suo uso e impiegare le dosi minori possibili, soprattutto per limitare gli effetti nella salute dei soggetti particolarmente sensibili a questo gas. Tale precauzione è particolarmente importante nella produzione di vini che richiedono dosi elevate di anidride solforosa, in particolare nei vini dolci o comunque con un residuo di zuccheri elevato, vini nei quali si possono utilizzare, anche secondo i termini di legge, quantità maggiori di SO2. In ogni caso, dopo l’aggiunta di anidride solforosa, è sempre opportuno mescolare il vino o il mosto in modo molto omogeneo, cercando di essere il più precisi possibile nella preparazione della dose: sempre e comunque il minimo indispensabile. Infine, è opportuno ricordare che è sempre preferibile aggiungere anidride solforosa il meno spesso possibile anche se a dosi più elevate. L’aggiunta frequente e ripetuta di piccole dosi determina infatti una aumento della quantità di anidride solforosa totale. Gli effetti antiossidanti e stabilizzanti nel vino e nel mosto - è bene ricordarlo - sono unicamente svolti dall’anidride solforosa libera e non da quella combinata.
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VINARIA
PODERI FIORINI
LAMBRUSCO GRASPAROSSA DI CASTELVETRO ‘LE GHIARELLE’ di
Antonietta Mazzeo
Per merito della Cantina Fiorini di Savignano sul Panaro da qualche tempo si è tornato a parlare di vigna a piede franco, un termine curioso che nasconde una storia terribile quasi dimenticata: nel 1866 le viti della Francia iniziarono misteriosamente a morire, i grappoli rinsecchivano, le radici marcivano. Jules Emile Planchon capo del dipartimento di botanica dell’Università di Montpellier, riuscì a scoprire l’origine della devastazione, analizzando le radici delle piante che, pur apparendo sane, brulicavano di minuscoli insetti gialli mai visti prima. Nessuno credette a Planchon e 83 milioni di ettolitri di vino francese si ridussero a 24; mentre si discuteva, questa terribile “peste” si abbatté con violenza in ogni vigneto distruggendo praticamente l’apparato
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radicale di ogni vite, vennero colpite prima Italia, Spagna e Germania e poi tutto il resto del mondo. Planchon continuò le sue ricerche finché non trovò il rimedio, scoprendo che l’insetto, la Philloxera (che in Europa succhiava linfa vitale dalle radici) in America viveva solo sulle foglie. Si innestarono allora viti europee sulle radici di viti americane (barbatelle) perché nelle Americhe, continente originario della Philloxera, la vitis selvatica americana aveva imparato a difendersi da questo insetto. Per ragioni allora sconosciute, alcuni minuscoli vigneti in Francia, Portogallo e Italia riuscirono a sfuggire alla pestilenza e ci si rese conto che c’erano delle piccole zone delimitate dove la Philloxera non riusciva ad attaccare l’apparato
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radicale: queste zone presentavano spesso suoli sabbiosi oppure erano naturalmente isolate. Queste “viti dal piede franco, che ancora prosperano sulle loro radici” si trovano in Italia in diverse aree con particolari caratteristiche: terreni vulcanici abbastanza acidi, suoli sabbiosi, vigneti in altitudine, sopra i 1200 mt., in quanto il freddo uccide la fillossera. Gli ardenti promotori delle vigne a piede franco affermano che i porta innesti operano come un filtro tra il suolo e l’uva, e i vini perdono una parte della loro identità; il vino prodotto dalle vigne pre-fillossera era nettamente migliore, con peculiarità autentiche e antiche, aromi e profumi interessanti; mentre altri sostengono che innesto non significa incrocio. Ma allora perché non reimpiantare i nostri vigneti con queste viti pre-fillossera? Semplicemente perché la fillossera è ancora presente: piantare questo tipo di vigne, in zone prive delle necessarie caratteristiche, è ad alto rischio. L’impianto di una vigna non innestata potrebbe riuscire, soprattutto, nei primi anni di vita, ma potrebbe anche fare aumentare la popolazione di fillossera. Se il vigneto rimane isolato va bene, ma se i vari vigneti di questo tipo si moltiplicano, c’è il serio rischio dell’aumento dell’afide con seri danni per tutti i vigneti. A distanza di secoli dalla sua prima apparizione, il problema Philloxera non ha ancora una soluzione. Grazie alla Cantina Fiorini di Savignano sul Panaro, anche in Emilia, da qualche tempo, si sente nuovamente parlare di vigna a piede franco. Per la presentazione del Lambrusco Grasparossa di Castelvetro “Le Ghiarelle”di Poderi Fiorini - prodotto dalle uve di un vitigno a piede franco, impiantato dalla famiglia Plessi nel lontano 1932, su un podere di duemila metri di terreno ghiaioso, in località Garofano, sul letto del fiume Panaro - Alberto e Cristina Fiorini di Poderi Fiorini (principali fautori dell’opera di recupero di questo antico vitigno modenese) hanno organizzato una degustazione unica di confronto e conoscenza di questo grande patrimonio, selezionando sei vini a piede franco, provenienti da varie regioni italiane. La degustazione è stata guidata dal giornalista enogastronomico Giorgio Melandri, con la partecipazione di AlbertoFiorini, Fabio Giavedoni (curatore della Guida Slow Food Wine) e di Carlo Pietrasanta, Presidente nazionale Movimento Turismo del Vino.
LA DEGUSTAZIONE • Lambrusco Grasparossa di Castelvetro - Le Ghiarelle 2016 - Poderi Fiorini (MO) • Priè Blanc - Extreme 2014 - Cave Mont Blanc de Morgex e de la Salle (Morgex - AO) • Carignano del Sulcis Riserva - Is Arenas 2014 - Sardus Pater (Sant’Antioco - CI) • Lambrusco a foglia frastagliata - Perciso 2013 - I Dolomitici (Mezzolombardo - TN) • Etna Rosso - Aetneus 2010 - I custodi delle vigne dell’Etna (Castiglione di Sicilia - CT) • Barolo - Otin Fiorin 2012 - Cappellano (Serralunga d’Alba - CN)
PODERE FIORINI Via Puglie, 4 Savignano sul Panaro (MO) www.poderifiorini.com fiorini@poderifiorini.com
Podere Fiorini, realtà vitivinicola a carattere familiare attiva da tre generazioni, fin dal 1919 si dedica alla valorizzazione etica e responsabile dei vitigni classici del territorio modenese, espressione di una viticoltura antica. Questa passione per la viticoltura si traduce oggi nella produzione di uno dei prodotti tra più tipici ed autentici del luogo: Il Lambrusco Grasparossa di Castelvetro “Le Ghiarelle”di Poderi Fiorini, un vino che valorizza la pur ricca viticoltura modenese e ci consente uno straordinario tuffo nel passato: “un vino di grande interesse, più profumato e di acidità più elevata rispetto al tradizionale Grasparossa, più vicino al Sorbara”. Purtroppo sono pochissime le bottiglie prodotte da questo vigneto: tremila lo scorso anno e nel 2017, a causa della grande siccità, solo un migliaio.
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EDITORE La Madia srl Sede legale: Via E. De Amicis, 53 - 20123 Milano (MI) Sede operativa: Via Pacchioni, 365 - 47521 Cesena (FC) Tel. 0547 23821 - Fax 0547 25809 Internet: www.lamadia.com - E-mail: lamadia@lamadia.com
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