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La rappresentanza all’alba di un mondo nuovo

Angelo Panebianco, politologo e professore ordinario all’Università di Bologna, è intervenuto al nostro Congresso generale per fornire un quadro sulla situazione mondiale

Il mondo come lo abbiamo conosciuto è frutto del pensiero occidentale. La libertà di commercio, i diritti individuali, la rule of law, sono frutto della civiltà liberale ed è quest’ultima che ha favorito la crescita economica che ha contraddistinto l’epoca in cui viviamo. Ma cosa succede se al posto di democrazie liberali si sostituiscono potenze autoritarie e illiberali? In occasione del XXI Congresso Lapam lo abbiamo chiesto ad Angelo Panebianco, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, editorialista del Corriere della Sera e presidente del comitato editoriale della casa editrice “il Mulino”, per cui ha pubblicato vari saggi. Secondo Panebianco il mondo sta attraversando un periodo in cui le relazioni tra gli Stati diventano sempre più imprevedibili. I difficili rapporti tra USA e Cina, o tra USA e Russia, l’instabilità del Medio Oriente e di vaste zone dell’Africa, pensiamo alla Libia, al Sudan o alla Siria e più recentemente al Libano e all’Afghanistan - che Panebianco definisce aree “machiavelliane”, dove cioè non esiste un ordine politico interno - si sono moltiplicate e a farne le spese sono le potenze liberali. Secondo l’autore di “Persone e Mondi” (Il Mulino 2018) l’aumento dell’instabilità e la conseguente perdita di un primato occidentale, comporta la scomparsa di un ordine internazionale e l’affermazione di un mondo multipolare, dove non esiste un egemone e dove viene meno una componente essenziale della crescita economica: la prevedibilità. Ma crescita e sviluppo economico sono davvero stimolati da unità politica e ordine internazionale, oppure prosperano anche in una situazione di frammentarietà e multipolarismo? A questa domanda non c’è, secondo Panebianco, una risposta univoca e definitiva. L’Europa rinascimentale era divisa in stati in lotta tra loro, eppure la civiltà della tecnica prosperò dando forma e sostanza ad innovazioni tecnologiche e commerciali che hanno reso possibile lo sviluppo dell’Occidente. Al contrario e per lunghi secoli in Cina il dominio delle grandi dinastie garantì pace e prosperità, ma non un altrettanto rapido sviluppo. Ma per quale motivo l’egemone della nostra epoca, gli Stati Uniti garanti dell’ordine internazionale dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi, stanno rinunciando al ruolo di enforcer dei valori della civiltà liberale? Panebianco cita alcune teorie secondo cui nel momento in cui una potenza egemone viene sfidata da un nuovo rivale, come la Cina odierna, viene anche meno la sua volontà di difendere l’apertura dei mercati. Si torna quindi a una condizione dominata dai protezionismi e da una riduzione dei commerci e degli scambi mondiali. In questo senso gli orientamenti dell’opinione pubblica assumono maggior peso nelle scelte dei governanti. Gli statunitensi in particolare sono meno disposti a difendere i valori di libertà ed egualitarismo per cui i loro nonni hanno combattuto nei due conflitti mondiali del XX secolo. E l’Europa? Panebianco sostiene che l’Unione Europea è, ad oggi, una potenza immaginaria. Un’unione di stati che hanno potuto disinteressarsi di quanto avveniva nel mondo perché difesi dagli USA in cambio di fedeltà e riconoscimento di leadership. Ma questa “tutela”, spiega Panebianco, è sempre più debole e l’Unione dovrebbe prenderne atto, impegnandosi a costruire una vera forza comune di difesa e una maggiore integrazione politica. Aspetti questi che non devono essere disgiunti da un’altra importante considerazione avanzata dallo studioso. La rivoluzione nelle comunicazioni, introdotta dall’avvento di internet e dalla globalizzazione del secondo millennio, hanno favorito lo spostamento di know-how verso l’Asia. Questa “convergenza” di conoscenze e saperi ha appianato le disparità tra Occidente e Oriente, contribuendo a ridurre la quota di prodotto industriale mondiale in mano ai paesi occidentali. Ecco che l’odierna crisi delle catene globali del valore, la carenza di semiconduttori e microchip per l’industria europea, assumono contorni più definiti e allo stesso tempo problematici. Ma quale ruolo dovrebbe giocare l’Italia, paese trasformatore ed esportatore, in questo scenario? Secondo Panebianco per contrastare le spinte centrifughe delle forze politiche più populiste ed estremiste sarebbe necessaria una forza liberale di area centrista, capace di dar voce alle istanze del mondo produttivo e della società civile più equilibrata. Allo stesso tempo, sul fronte della rappresentanza, i cosiddetti corpi intermedi e in particolare le associazioni datoriali, possono giocare un ruolo di facilitatori verso i propri iscritti. Da una parte contribuendo al trasferimento delle loro istanze verso i policy makers e dall’altra accelerando l’acquisizione di processi innovativi, capaci di rispondere alle trasformazioni in atto. Un fattore competitivo dunque, rispetto a paesi in cui le decisioni di politica industriale ed economica non vengono mediate, ma assunte unilateralmente.

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