Periodico Periodico d’informazione d’informazione locale locale - Anno - Anno II n.4 II n.4
APRILE 2022 APRILE APRILE 2022 2022
Pace per l'Ucraina Pace per l'Ucraina Pace per l'Ucraina
Notiziario delle 8:30
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LA PROVVEDITRICE LA PROVVEDITRICE
Quintuplicati Quintuplicati ii ragazzi ragazzi che che lasciano lasciano la la scuola scuola VITTORINO BISSON VITTORINO BISSON
Auto Auto elettrica elettrica un futuro un futuro ancora ancora frenato frenato
Notiziario delle 11:30
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LE SCOMMESSE DI RUCCO SUL FUTURO TRA STAZIONE E CULTURA
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Truffe & raggiri, un aiuto ai cittadini Nicola Stievano >direttore@givemotions.it< Futuro Futuro anteriore anteriore Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<
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iorno dopo giorno le cronache riferiscono di Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it <
truffe e raggiri di vario genere, ai danni di perchiaro che il futuro offre grandi opportunità; è ansone chiaro sole e che anziane, maoffre anche degliopportunità; utenti del web. il futuro grandi è anche disseminato di trabocchetti; il trucco consiste A parte più eclatanti che sfociano in episodi di chei casi disseminato di trabocchetti; il trucco consiste nell’evitare i trabocchetti, prendere al balzo le opportunità violenza, ifino alle conseguenze estreme come nell’evitare trabocchetti, prendere alpiù balzo le opportunità e rientrare a casa per l’ora di cena”. Woody Allen, dall’alto vistodianche recente nel dall’alto nostro epurtroppo rientrare a abbiamo casa per l’ora cena”.di Woody Allen, della sua ironica saggezza, sintetizza così la spinta all’impeVeneto, il più saggezza, delle volte le notizie date in della sua ironica sintetizza cosìvengono la spinta all’impegno per dare strategia e prospettive alla quotidianità con la poche righe. Eppureeilprospettive problemaalla esiste ed è diffuso. gno per dare strategia quotidianità con la prudenza di saper vivere con i piedi per terra. Concetti che prudenza di saper vivere con i piedi per terra. Concetti che un altro grande personaggio come Albert Einstein, esprisegue a pag 5 un altro grande personaggio come Albert Einstein, esprimeva con un diverso aforisma: “Impara dal passato, vivi meva con un diverso aforisma: “Impara dal passato, vivi nel presente, spera nel futuro. L’importante è non smettere nel presente, spera nel futuro. L’importante è non smettere mai di farsi delle domande”. segue a pag 5 mai di farsi delle domande”. segue a pag 5
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Facciamo il punto
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In missione per salvare gli ucraini
Futuro anteriore Antonio Di Lorenzo >redazione@givemotions.it<
I
n missione per salvare un gruppo di ucraini. È l’iniziativa cui spontaneamente ha dato vita un gruppo di amici di Vicenza: si sono recati Polonia, vicino alla frontiera con l’Ucraina, per riportare a Vicenza otto profughi, che poi hanno trovato varie sistemazioni nelle famiglie della città ma anche a Este. Il gruppo di quattro vicentini era formato da Claudio Cibic, ingegnere, Paolo De Munari, Nicola Vilella e Silvano Maistro, veterinario. Hanno guidato due pullmini sino a Przemysl, in Polonia, percorrendo qualcosa come tremila chilometri tra andata e ritorno. Przemysl è la città diventata famosa in Italia anche per la visita di Matteo Salvini che voleva portare solidarietà ai profughi, ma al quale il sindaco polacco Wojciech Bukan ha rinfacciato la sua t shirt filo Putin di qualche anno fa. Anche il gruppo vicentino ha incontrato il sindaco Bukan e l’incontro è stato di tutt’altro tono, assai amichevole. Presentandosi con un cartello alla stazione della città polacca, meta dei treni della salvezza dall’Ucraina, il gruppo s’è offerto di portare i profughi a Vicenza. Naturalmente qualcuno, diffidente, s’è informato se ci fosse da pagare, ma è stato tranquillizzato. A motivare il gesto dei volontari vicentini c’era solo la disponibilità ad aiutare la popolazione che scappava dalla guerra. Con tre vicentini sono quindi tornati nove ucraini. In Italia sono così tornati, tra loro, una madre con due figli di 16 e 17 anni e una bimba di sei mesi. Di uomini neanche l’ombra, perché sono tutti al fronte. Uno dei vicentini, Paolo De Munari, figlio del sindaco di Bolzano Vicentino, ha deciso di restare in Polonia a lavorare. De Munari ha 28 anni e ha una vasta esperienza internazionale: ha lavorato in molti Paesi e conosce otto lingue, tra cui appunto il russo e l’ucraino.
è un marchio proprietà di
Il gruppo vicentino assieme ai profughi ucraini raccolti nella città di Przemysl in Polonia. Nella foto piccola, il sindaco polacco assieme a Claudio Cibic
È un periodico formato da 23 edizioni locali mensilmente recapitato a 506.187 famiglie del Veneto. Questa edizione raggiunge la città di Vicenza per un numero complessivo di 43.000 copie. Iscrizione testata al Tribunale di Vicenza n. 4194/2020 V.G. del 23.11.2020; R.S. 17/2020; numero iscrizione ROC 32199
Srl
Chiuso in redazione l’8 aprile 2022
Direzione, Amministrazione e Concessionaria di Pubblicità Locale: via Lisbona, 10 · 35127 Padova tel. 049 8704884 · fax 049 6988054 >redazione@givemotions.it< >www.ilvicenza.com<
Vicenza ha sempre preferito impegnarsi più nella quotidianità che progettare organicamente il futuro. Con un’immagine, Vicenza ha spesso preferito vivere di futuro anteriore. Ma in questo periodo si stanno materializzando alcune prospettive di lungo periodo, che corrispondono a due scommesse che sta giocando l’amministrazione Rucco. La prima è quella di palazzo Thiene: prosegue il dibattito su come utilizzare gli spazi e sulla gestione del palazzo, di cui si dà conto più avanti nel giornale. La seconda è quella dell’alta velocità, con il progetto – a complemento degli immensi lavori – per la nuova stazione ferroviaria. È un progetto importante, dall’indubbio fascino, che segnerà una svolta per la città perché si inquadra nel grande ridisegno della zona di viale Roma e Campo Marzo. Saprà condurlo in porto il sindaco e la sua giunta? Dipende da lui, certamente, ma anche dalla città. Il Comune dovrà gestire la realizzazione delle idee e dei progetti che da qui a dieci anni sventreranno la città. Non sarà semplice, tutt’altro. Alla fine sarà consegnata a figli e nipoti una Vicenza completamente nuova. Ma dovranno essere anche i vicentini a volerlo. Ci saranno difficoltà e pure tante. Va bene i dibattiti, ma speriamo che non arrivino i soliti bastoni fra le ruote, tanti quanti gli sgambetti e gli accoltellamenti alle spalle. La triste storia del teatro, che è stato ricostruito dopo 60 anni soprattutto per le invidie infinite tra i vicentini (che armavano la mano e facevano intervenire i killer da Roma) e non tanto per le colpe degli amministratori, rivela il carattere di questa città, troppo spesso litigiosa e dispettosa. Auguriamoci che anche Vicenza sia cambiata e sia all’altezza dei tempi che sono diversi da quando, oltre 70 anni fa, la stazione ferroviaria fu costruita. Erano gli anni in cui regnava la locomotiva a vapore, l’elettricità sulla Milano Venezia sarebbe arrivata nel 1957. Adesso parliamo del supertreno “hyperloop” che percorre la tratta VeneziaTrieste in sedici minuti. Speriamo che Vicenza non lo perda un’altra volta. Il tempo, ma neanche il treno. Quello del futuro.
Redazione: Direttore responsabile Nicola Stievano >direttore@givemotions.it< Antonio Di Lorenzo >antonio.dilorenzo@givemotions.it<
CENTRO STAMPA QUOTIDIANI S.p.A. Via dell'Industria, 52 - 25030 Erbusco (BS) Tel: +39.030.7725594 Periodico fondato nel 1994 da Giuseppe Bergantin
Attualità
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Parla la provveditrice. Nicoletta Morbioli spiega che dopo la pandemia è aumentato di cinque volte chi s’è ritirato da scuola
E ora bimbi e ragazzi fanno scuola a casa Da 79 che erano nel 2018 sono diventati 447 coloro che studiano per conto proprio. Impossibile verificare i criteri di insegnamento privati. Di loro si occupano “associazioni” che però non sono scuole private autorizzate
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eno studenti vicentini nelle aule specie delle elementari. Si affidano sempre più all’istruzione parentale. L’allarme è lanciato da Nicoletta Morbioli, provveditrice agli studi di Vicenza fresca di nomina, che segnala dati in forte crescita dal 2018 ad oggi. Morbioli, già insegnante e dirigente scolastica veronese, a 51 anni ha iniziato questa nuova esperienza professionale. È alla guida del provveditorato dal 14 febbraio ma i problemi da affrontare non mancano. Dati alla mano, per l’anno scolastico 2018-19 gli studenti che non hanno frequentato le lezioni, dall’asilo alle superiori, sono stati 79 in tutta la provincia. Due anni scolastici più tardi, dopo una pandemia e le restrizioni che ne sono conseguite, i disertori sono stati 447: quasi sei volte di più. Ma come funziona l’istruzione parentale? Per attivarla va comunicato agli uffici della provincia e all’istituto di appartenenza che il proprio figlio non parteciperà alle lezioni per quel singolo anno scolastico e la comunicazione va data all’inizio di ogni anno. Per poter accedere all’anno successivo bisogna comunque superare un esame alla fine di ogni anno e la maturità si consegue come qualunque altro studente, iscrivendosi ad un istituto superiore e svolgendo le prove d’esame da privatista. “Le giustificazioni che la maggior parte delle famiglie portano per tenere a casa i propri figli alle aule – spiega Morbioli – sono legate alle restrizioni dovute alla pandemia con le quali i genitori non concordano oppure alle opinioni personali in merito al carico di studio e alle ore ritenuti eccessivi”. Tuttavia, per rimuovere il proprio figlio da un’aula scolastica non è sufficiente comunicare le proprie intenzioni alle istituzioni. Le famiglie dovrebbero dimostrare di possedere i mezzi culturali ed economici basilari per istruire il ragazzo. Questi controlli però sono a discrezione dei dirigenti scolastici e quando li operano, si limitano a chiedere ad un genitore un diploma di maturità. “Per quanto riguarda i mezzi economici - prosegue il provveditore - non c’è verso di poter accedere alle dichiarazioni dei redditi di queste famiglie. Questo significa che non si tratta nemmeno di una richiesta di rimozione del figlio dalla scuola: è una comunicazione e basta”. L’istruzione parentale si chiama così perché teoricamente dovrebbe essere presa in carico dai genitori dello studente ma ultimamente questo sembra non accadere. Morbioli rivela infatti che molti degli studenti sottratti alle scuole non studiano a casa. Le famiglie li affidano, pagando, ad associazioni si definiscono scuole ma che scuole non sono. Anche in questo caso la provveditrice ha da ridire: “Per poter essere definiti scuole bisognerebbe aver richiesto e ottenuto i permessi all’ufficio scolastico regionale, essere stati attentamente valutati secondo gli standard e, infine, autorizzati. Un’associazione non è una
Nicoletta Morbioli, 51 anni, da febbraio provveditrice agli studi di Vicenza. Veronese, è la prima donna a rivestire questo incarico a Vicenza
scuola”. Inoltre, come e cosa venga insegnato all’interno di queste associazioni non è ancora chiaro. Per questo motivo il provveditore sta cercando di avviare le investigazioni della sua amministrazione nel tentativo di arginare la diffusione del fenomeno e, possibilmente, ridurlo. Morbioli, almeno per i tre anni di mandato, prende il po-
sto di Carlo Alberto Formaggio alla direzione e al coordinamento delle scuole di tutta la provincia. Il mandato del nuovo provveditore di Vicenza inizia però con una sfida importante: riportare quanti più alunni nelle aule delle scuole, quelle vere però. Roberto Meneghini
Intanto per i problemi legati alla pandemia sono aumentati del 60% i ricoveri alla neuropsichiatria infantile del San Bortolo Sono 414 i giovanissimi cui nel 2021, la neuropsichiatria infantile dell’ospedale di Vicenza ha certificato disturbi emotivi e difficoltà comportamentali. Inoltre, aggiunge lo psicologo Stefano De Carli dell’Ulss 8, cento sono addirittura stati ricoverati nel reparto. È un aumento del 60% rispetto ai numeri dell’anno precedente ed è dovuto sostanzialmente alle restrizioni causate dalla pandemia che hanno isolato centinaia di ragazzi. L’assessore all’istruzione Cristina Tolio, la delegata del provveditorato di Vicenza Claudia Munaro e il presidente della federazione italiana scuole materne (Fism) Marco Lago, lo psicologo Andrea Gonella e la coordinatrice pedagogico-didattica delle 17 scuole dell’infanzia del Comune di Vicenza, Antonella Carretta, hanno annunciato una campagna informativa diretta a offrire strumenti per affrontare il fenomeno. “L’obiettivo – sottolinea Carretta – è quello di creare una rete di protezione attorno ai ragazzi in difficoltà”. Si è partiti con un convegno online “Dalla riflessione all’azione. Strumenti per un intervento precoce e coordinato”. “Insieme ce la possiamo fare” commenta Cristina Tolio, evidenziando che si tratta di un lavoro di squadra che coinvolge tanto le famiglie, quanto le Ulss e le scuole. E prosegue: “Vogliamo far sapere alle famiglie, alle scuole e anche ai ragazzi che ci sono molte porte cui bussare e che queste comunicano tra di loro, possiamo e vogliamo aiutare”. I disturbi internalizzanti, come si chiamano tec-
nicamente, sono definiti come difficoltà emotive e comportamentali che bambini e ragazzi fino ai 16 anni non sempre manifestano chiudendosi in sé stessi. I sintomi più comuni sono ansia, insicurezza e depressione ma anche disturbi del sonno, alimentari o nelle relazioni. Per quanto preoccupanti possano apparire i sintomi dei disturbi in questione, possono essere arginati con successo: “Diventa però fondamentale intervenire con tempestività – spiega Gonella – Si hanno generalmente dai tre ai sei mesi di tempo per intervenire. Abbiamo personale formato per rapportarsi a tutte le fasce d’età”. (ro. me.)
Attualità
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Il futuro del fabbricato palladiano. Il consigliere di opposizione, Sandro Pupillo, contesta la presenza di uffici nell’immobile
“Quel palazzo non può avere due anime” L’esponente di “Da adesso in poi” accusa l’amministrazione di non avere idee chiare e di non aver discusso dell’argomento neanche nella Commissione apposita. Mette in guardia dai possibili guai giudiziari e spiega che arte e uffici non possono coesistere
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ulla gestione di palazzo Thiene l’opposizione in Consiglio comunale resta critica, come conferma Sandro Pupillo, capogruppo di “Da adesso in poi”: “Manca totalmente chiarezza. Anche recentemente in Commissione durante la discussione sul bilancio consuntivo 2021 è stato solo ribadito che il palazzo è stato acquistato dal Comune, che è entrato a far parte del circuito museale cittadino e che la gestione della parte museale verrà fatta in house, cioè direttamente dal Comune; nulla di concreto ancora sulle modalità di gestione previste e sulla possibilità o meno di aprirvi degli uffici”. Secondo Pupillo uno dei grossi nodi irrisolti da sciogliere resta quella del vincolo pertinenziale sulle collezioni del palazzo: “Il Consiglio di Stato deve ancora esprimersi, ci attendiamo una probabile decisione entro fine anno. Se il vincolo dovesse rimanere, le opere delle diverse collezioni presenti nel palazzo dovrebbero di fatto rimanere dove sono e non verrebbero sposate, ma
se invece il vincolo dovesse decadere, cosa succederebbe? Ad oggi non ci risulta che il Comune stia pensando a piani alternativi”. Altra criticità sottolineata dall’opposizione riguarda la gestione in house del palazzo: “Non ci convince del tutto la gestione diretta a carico del Comune, esistono diversi punti deboli, banalmente anche solo di orario, come vediamo ad esempio nella gestione del teatro Olimpico. L’amministrazione si è sempre detta favorevole a un modello di gestione pubblico/privato, che vada a coinvolgere enti culturalmente rilevanti e attivi come la Fondazione Roi, Fai o Cisa, ma secondo il sindaco al momento non sono arrivate proposte concrete al tavolo. L’amministrazione deve percorrere questa strada”. Un’altra partita che non convince Pupillo è quella della presenza di uffici nel palazzo: “Come si pensa di far dialogare due mondi con necessità così diverse come una parte museale ed una parte adibita ad uffici?
Al momento in mano non abbiamo nulla di concreto, il Comune ha solo ipotizzato l’installazione negli ex uffici della Popolare di Vicenza di alcuni uffici comunali, piuttosto che uffici di rappresentanza di enti pubblici o privati. E’ chiaro a tutti che l’attività museale e quella lavorativa non vanno di pari passo, che hanno delle direttive differenti; anche su questo tema non vediamo una strategia a lungo termine, così come sulla gestione delle opere; ci sembra più una gestione alla giornata, del tipo intanto facciamo così, poi vedremo”. (al.fe.)
Sandro Pupillo, consigliere comunale di opposizione e un’immagine del cortile di palazzo Thiene
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Attualità
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Il futuro del fabbricato palladiano. L’assessore alla Cultura illustra l’ipotesi di tenerlo aperto il più possibile per le visite
Palazzo Thiene, museo con settimana lunga Ma anche spazi per gli uffici della Cultura Si punta all’apertura per sei giorni alla settimana per poter ammirare le collezioni d’arte e le oselle. C’è anche l’ipotesi di trasferire nel nuovo palazzo comunale gli uffici di palazzo del Territorio. Cortile interno come luogo per gli spettacoli estivi
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ettimana lunga per il nuovo museo di Vicenza. Avrà sei giorni di apertura, segno che il Comune vuole scommettere, e parecchio, su questa nuova struttura culturale. Mentre la mostra in basilica è prorogata sino all’8 maggio (con ingressi che lasciano soddisfatti gli organizzatori), negli uffici del palazzo del Territorio si lavora al nuovo museo della città, quello che ha sede a palazzo Thiene. L’immobile palladiano, acquistato a settembre per quattro milioni e 300 mila euro, dallo scorso mese di gennaio è tornato a essere visitabile al pubblico dopo cinque anni di chiusura, e con le ultime decisioni è entrato a far parte a pieno titolo del circuito museale cittadino. Esprime tutta la sua soddisfazione l’assessore alla Cultura Comune Simona Siotto, intervistata anche da TvA: “Finalmente palazzo Thiene torna ad essere un vero e proprio museo a disposizione della cittadinanza, riscoprendo alcuni veri e propri tesori nascosti. Esce dal caveau del palazzo e viene messa in mostra la collezione principe delle oselle veneziane, 296 monete celebrative che la Repubblica di Venezia forgiava e consegnava a personalità illustri; le oselle non saranno più esposte nelle sale ipogee ma sistemate ai piani superiori. Stiamo studiando assieme alla Sovrintendenza un riallineamento scientifico di tutte le opere del palazzo, in modo da creare un vero e proprio percorso espositivo.” Oltre alle oselle, le collezioni di palazzo Thiene comprendono numerosi altri pezzi di numismatica veneziana e soprattutto collezioni artistiche, vale a dire dipinti, tra i quali opere di maestri veneti come Giandomenico Tiepolo e Jacopo Bassano, sculture di Antonio Martini e le straordinarie stampe dei Remondini di Bassano. In prospettiva, torneranno a palazzo Thiene anche le statue di Nereo Quagliato, riacquistate dalla società che gestisce il fallimento della Banca popolare da Armando Peressoni. Al momento il palazzo è aperto quattro giorni la settimana, ma secondo Siotto si può fare di più: “Puntiamo ad aprire il pa-
Un interno di palazzo Thiene durante una mostra allestita tempo fa e un primo piano dell’assessore alla Cultura del Comune, Simona Siotto
lazzo magari sei giorni la settimana, un giorno di chiusura è doveroso per le opere di manutenzione e pulizia di cui ogni museo necessita. Palazzo Thiene è forse il luogo culturalmente più ricco e vario di Vicenza, vogliamo quindi farlo diventare un posto attivo: entrerà nel circuito della didattica museale come tutti gli altri musei vicentini, e vorremmo diventasse sede della stagione culturale estiva”. “Stiamo pensando di installare delle mostre temporanee, oltre alla sala dedicata alle opere di Quagliato, e ad organizzarvi dei concerti; un luogo dove si possa godere della cultura a 360 gradi”. Rimane aperta la partita sugli ex uffici della Banca Popolare di Vicenza: “È sul tavolo l’ipotesi che siano spostati alcuni uffici del Comune, ad esempio proprio quelli dell’assessorato alla Cultura che al momento deve operare in spazi purtroppo ristretti. Non dimentichiamoci che Vicenza rappresenta una delle reti museali più grandi d’Italia, potrebbero essere utili a noi maggiore spazio così da avere un maggior controllo”. Alvise Ferronato
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Le grandi opere
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Alta velocità: il progetto complementare. Un lavoro da 15-20 milioni che contribuisce a ridisegnare tutta la zona
Così cambierà la stazione Fs: arriverà anche il sospirato sottopasso pedonale
Nei piani del Comune la nuova stazione completerà il volto nuovo di tutta la zona, con la trasformazione di Campo Marzo e piazzale De Gasperi, con viale Roma pedonale e il bus elettrico
È
un bel progetto quello per la nuova stazione di Vicenza che è stato presentato in sala Stucchi a palazzo Trissino dall’ingegnera Susanna Borelli, responsabile della direzione stazioni di Rfi, presenti il sindaco Rucco e il vicesindaco Celebron. Fuori dalle fascinazioni dei rendering, che possono far sembrare un giardino anche Arrakis di Dune, l’idea è interessante per un paio di scelte di prospettiva. Prima di tutto si risolve il problema del sottopasso pedonale, che è una vergogna non più perdonabile nel XXI secolo. Oggi quel passaggio a raso è anche un pericolo continuo per chi attraversa. In secondo luogo, nel progetto c’è un tocco di contemporaneità, con superfici aeree levigate e curve aerodinamiche delle coperture. Un segno di architettura contemporanea che ci vuole. In terzo luogo, anche se resterà il traffico tra stazione e Campo Marzo, viale Roma sarà pedonalizzato, s’inserisce una pista ciclabile nonché si dà spazio al metrobus elettrico, altra innovazione che speriamo arrivi presto. Ci sarà anche una piazza sotterranea che avrà il compito di collegare i vari livelli e mezzi all’alta velocità. Questa è un’idea logicamente più abbozzata che vedremo come sarà sviluppata. L’opera, che si inserisce nel complesso dei lavori per l’alta velocità, costerà dai 15 ai 20 milioni di euro. Si prevede che il cantiere durerà un paio d’anni, con inevitabili problemi visto che la stazione è
meta ogni giorno di diecimila persone, senza parlare del traffico che percorre viale Milano e viale Venezia. Dal canto suo, ha aggiunto l’amministrazione, il Comune sta recuperando piazzale De Gasperi e Campo Marzo: da qui a pochi anni, Vicenza avrà nella zona di viale Roma una faccia completamente nuova. E concediamoglielo. Nella storia del dopoguerra sono stati così pochi i tentativi di dare prospettiva meditata e organica a questa città che si deve dare fiducia al progetto di Rfi e Comune. Di solito i progetti urbanistici sono finiti male, come testimoniano quello firmati Gino Valle per le ex aree d’oro di viale Mazzini, quello targato Renzo Piano per la Basilica, e gli stessi piani particolareggiati degli anni Sessanta e Settanta, uno dei quali, il Pp 5, riguardava proprio quella zona. Ora, non tutto è meraviglioso, intendiamoci: l’idea di recuperare la (brutta) facciata della stazione del 1948 sarà anche filologica ma non è esattamente la Gioconda. Forse in un afflato di spese, di progetti e appalti si poteva trovare il coraggio di fare qualcosa di radicalmente nuovo. A Torino, a Parma per l’alta velocità hanno ridisegnato o progettato ex novo le stazioni. Sotterranee. Nei disegni del progetto di Rfi non c’è traccia del maxi monumento degli alpini alto sei metri che è stato pensato proprio davanti alla stazione e che ha già suscitato polemiche.
Alcune immagini del progetto per la nuova stazione ferroviaria presentato da Rfi. Si nota la copertura del nuovo sottopasso pedonale e la piazza sotterranea che servirà a collegare la stazione ai treni ad alta velocità
L’analisi
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Parla Paolo Scaroni. Il vicentino, manager internazionale, ha il suo punto di vista sull’attuale crisi internazionale
“I problemi energetici sono il frutto di tanti anni di “no” a ogni alternativa” “Gli italiani hanno rifiutato il nucleare, i rigassificatori, le ricerche nell’Adriatico – ha detto anche Scaroni – Peraltro Gazprom ha sempre onorato i suoi contratti: considera inviolabile mantenere la parola data. Tant’è che continua a fornire gas anche all’Ucraina nonostante la guerra”
A
bbassare di quattro gradi la temperatura in casa, contingentare le aziende energivore, far ripartire al massimo le centrali a carbone. È lo scenario più fosco che potrebbe essere dietro l’angolo se le cose in tema di forniture energetiche non si raddrizzano. Questo scenario, che evoca un drastico cambiamento di abitudini, lo dipinge il vicentino Paolo Scaroni, 75 anni, tra il 2002 e il 2014 amministratore delegato prima di Enel e quindi di Eni: in questa veste ha firmato l’accordo italo russo per la fornitura del gas. È uno dei pochi italiani che ha incontrato e parlato con Putin. Attualmente Scaroni è vicepresidente della banca d’investimento Rothschild & co. A Vicenza è presidente della Fondazione di storia dal 2016, ma per un breve periodo tra il 1997 e il 1998, ai tempi della Pilkington e della Enic fu presidente anche del Vicenza calcio. Qualche settimana fa il manager è intervenuto sul tema della guerra
russo-ucraina e dei riflessi sull’economia. E le sue dichiarazioni hanno avuto parecchio risalto. Nella sua analisi, Scaroni ricorda anche che la Gazprom continua a fornire il gas a tutti, perfino all’Ucraina con cui è in guerra la Russia. E questo perché ritengono che mantenere la parola (e la firma) in un contratto sia una priorità indiscutibile. Tant’è che in cinquant’anni non sono mai venuti meno a un contratto. Sono più di trent’anni che l’Europa importa dalla Russia una quantità importante di gas: 150 miliardi di metri cubi all’anno, 29 dei quali finiscono in Italia. “Siamo in un guaio ciclopico - ha dichiarato Scaroni al Sole 24 ore, ripreso da Affari italiani, parlando dei rifornimenti energetici – costo e reperibilità diventeranno un problema. È il risultato di 30 anni di no a tutto da parte degli italiani. Non dei governi che si sono succeduti, ma proprio dei cittadini, che con il loro voto e loro prese di posizione hanno detto
no al nucleare, no ai rigassificatori, no allo sfruttamento delle nostre risorse nel mare Adriatico. Un’opposizione continua, che si è rivolta anche contro il solare e l’eolico, di cui ora raccogliamo i frutti”. E infatti, all’Italia servirebbero subito almeno altri due o tre rigassificatori per rimpinguare le reti con il gas delle navi metaniere che arriveranno dagli Usa. Sempre ammesso che i produttori americani siano in grado di aumentare la loro produzione, considerato che il loro livello è già ai massimi da tempo. E poi, questo gas compresso fino a 600 volte rispetto a quello trasportato via tubo, costerà certamente di più proprio a causa delle lavorazioni supplementari richieste per farlo viaggiare a bordo di navi da un continente all’altro. Il presidente americano Biden e la presidente della Ue, Ursula von der Leyen, hanno annunciato un accordo per forniture aggiuntive di gas naturale liquefatto da 15 miliardi di metri
Paolo Scaroni, attualmente vicepresidente della banca d’investimenti Rothschild & co.
cubi entro l’anno, con l’obiettivo di arrivare a 50 miliardi di metri cubi in più entro il 2030. Praticamente, un decimo del nostro fabbisogno per il prossimo inverno, un terzo entro 8 anni. Non molto rassicurante come prospettiva. Anche perché, ai tre rigassificatori già operativi in Italia, bisognerà affiancare almeno altre due navi che svolgano la stessa funzione, ma saranno
disponibili e operative però non prima di un anno, se si trovano e se tutto va bene. È stato anche profetico Scaroni: “Siamo in un guaio ciclopico per le forniture di gas”, commentò all’inizio della guerra. Con quello che è accaduto dopo, con i prezzi impazziti e la richiesta all’Europa di pagare in rubli, non aveva ancora visto tutto. Silvio Scacco
Nove anni fa su “Limes” il questore Sartori aveva previsto la crisi Russia-Ucraina Il nuovo questore di Vicenza aveva previsto la crisi internazionale nove anni fa su “Limes” la rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo alla quale Paolo Sartori collabora da tempo. “Limes”, fondata nel 1993 dallo stesso Caracciolo, con la guerra tra Russia e Ucraina e la presenza quasi quotidiana di Caracciolo a “Otto e mezzo” su La 7 ha acquistato in questi mesi un’alta visibilità: Caracciolo si dimostra un osservatore equilibrato e profondo. Come detto, il questore di Vi-
cenza ha maturato nella sua carriera una vasta esperienza sulle questioni legate a quel pezzo di mondo, visti i suoi compiti in Romania, come dirigente dell’Ufficio di coordinamento italiano per l’Est Europeo. Una sorta di Interpol alla quale s’è dedicato per quasi 17 anni, con sede all’ambasciata italiana a Bucarest. Sull’ultimo numero di “Limes” il questore ha scritto un saggio sul tema del traffico di esseri umani nei Balcani e il caporalato in Puglia. Ma la sua collaborazione dura
da vent’anni, più o meno quando Sartori fu nominato a Bucarest. E in un suo articolo su “Limes” del 2013, intitolato “L’insostenibile evanescenza della frontiera orientale”, Sartori iniziava il pezzo con una citazione di Viorel Cibotaru, direttore del “Moldova institute of euro integration e political studies” assai illuminante. Eccola: “Il Cremlino sta attualmnte promuovendo la super idea del presidente Vladimir Putin, il quale si ritiene un collezionista di territori nell’ex spazio sovietico.
Nel mirino della leadership russa vi sono Repubblica Moldova, Transnistria e Paesi del Caucaso, ma anche Ucraina e Stati baltici. L’essenza di questa politica è la seguente: opponendosi in tutti i modi possibili alla loro integrazione nell’Unione Europea, Mosca aspira a ricongiungere i territori dell’ex Unione Sovietica, mettendoli sotto il protettorato della Russia. Per promuovere questa “integrazione”, nell’immediato sono stati stanziati 60 milioni di dollari”. Sembra scritto oggi.
Il questore scrittore Paolo Sartori
L’analisi
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L’analisi dell’esperto. Le imprese e gli stessi dipendenti devono poter contare su sostegni pubblici per non essere travolti
Servono importanti aiuti dello Stato per far uscire l’economia dall’impasse Non siamo in una “economia di guerra”, ma il sistema è fortemente scosso. Il rischio è che le aziende non ce la facciano da sole. Siamo alla terza grande crisi mondiale a partire dal 2008
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e vicende internazionali e qualche dichiarazione incauta di politici e opinionisti hanno portato il pubblico a chiedersi: “Stiamo entrando in un’economia di guerra?”. Cercherò di rispondere chiaramente. L’economia di guerra è la sospensione o il forte restringimento dell’economia di mercato con conseguente sostituzione della stessa con un’economia fortemente pianificata dallo Stato il quale decide, in pratica, cosa si produce e cosa no. È un’economia, insomma, nella quale gran parte delle risorse (materie prime, processi, energia, capitale umano) sono impiegate a sostenere lo sforzo bellico di un Paese. Ciò comporta di solito un progressivo razionamento di beni e servizi in logica dipendenza con la necessità di assicurare il massimo sostegno allo scenario bellico. In sintesi, in un’economia di guerra si compie una ristrutturazione industriale a largo spettro, nella quale, con la stabile comparsa di un dirigismo centralizzato, il governo limita o espande, sceglie o abbandona le produzioni in ragione di un’unica finalità: sostenere (e se possibile vincere) la guerra intrapresa. Oggi l’Italia non è in un’economia di guerra (non essendo parte in prima persona di eventi bellici) e il suo mercato non risulta né indirizzato, né diretto centralmente. Tuttavia, è verissimo, il nostro Paese soffre lo shock esterno derivante da un vicino scenario di guerra. E, come avvenuto per la crisi petrolifera del 1973, per la crisi finanziaria del 2008, per la crisi sanitaria del covid, per la grande tempesta dei rincari generalizzati del 2021/2022, in Italia tale impatto potrà causare effetti distortivi importanti: razionamenti di beni e servizi, difficoltà di reperimento di particolari tipologie di beni, rincari generalizzati, eccetera. Tuttavia il tema vero è come affronteremo in concreto questo ennesimo shock e come sarà il volto sociale ed economico dell’Italia a conclusione del conflitto apertosi tra Russia e Ucraina. In particolare a preoccupare è la nostra dipendenza dal gas russo. Per diversificare le fonti di approvvigionamento, applicando come sempre il “senno del poi”,
occorre tempo. E il tempo è l’unica cosa di cui non disponiamo. La previsione condivisa da molti analisti è che nel frattempo molte imprese saranno costrette a stop momentanei (o definitivi) per gli alti costi dell’energia uniti a quelli delle materie prime. Per mantenere la tenuta sociale e preservare l’esistenza stessa delle imprese occorreranno misure concrete e massicce di assistenza ai lavorato-
• Chi è Giuseppe de Concini
Padovano con studio a Vicenza, laurea in giurisprudenza, importante esperienza nel mondo bancario, ora è consulente aziendale
ri dipendenti e alle imprese. Inoltre, fulcro dell’azione del governo per un’economia che potremmo definire non di guerra ma “di scorte” sarà il tema dello stoccaggio di energia, che vuol dire gas, ma anche grano e altre materie fondamentali le cui forniture estere potrebbero andare in sofferenza. Non è escluso possano esserci razionamenti e per questo vanno scoraggiati accaparramenti ingiustificati e/o aumenti dei prezzi fuori controllo. Winston Churchill sosteneva: “Gli italiani perdono le partite di calcio come fossero guerre e perdono le guerre come fossero partite di calcio”. Salvo, aggiungo io, piangerne le conseguenze come fossero inevitabili. E non lo sono. Ho una speranza: che l’Italia esca da questa ennesima prova più lucida nell’analisi e più coraggiosa nel definire ciò che è necessario fare, senza inutili ideologismi che ottundono il giudizio e mettono in pericolo il destino di tutti. “In guerra non devi riuscire simpatico, devi soltanto avere ragione” spiegava sempre sir Winston. Giuseppe de Concini
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Il mercato automotive
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Parla il presidente dei concessionari. “I costi restano proibitivi e le città storiche molto fragili non spingono all’acquisto”
Bisson: “L’auto elettrica è il futuro ma ci sono ancora molti ostacoli” Vittorino Bisson: “Abbiamo bisogno del supporto statale per eliminare il divario tra l’acquisto di vetture normali ed elettriche, che per ora è del 2%. Il governo ha promesso questi aiuti”. Il mercato dell’auto anche nel Vicentino è in diminuzione del 30%
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’auto elettrica è una strada obbligata. Tra sette-otto anni tutto il mercato dell’auto si sarà spostato in questo settore. Non c’è futuro per l’idrogeno. Anche se, comunque, acquistare un’auto elettrica resta costoso. Per l’Italia, in più, c’è un altro problema: le città storiche molto fragili. Il che significa presenza di molte (sacrosante) zone pedonali che allungheranno i tempi di questa transizione all’elettrico. A parlare è Vittorino Bisson, 54 anni, sposato, due figli, grande appassionato di corsa, al timone del gruppo di famiglia e presidente dei 20 concessionari d’auto dell’Ascom. Nato nel 1990 con il papà Gianfranco (dopo una lunga esperienza dell’azienda nella vendita dei trattori) il gruppo Bisson auto ha dieci sedi, molte nel Vicentino ma anche a Padova, Rovigo e Chioggia, un fatturato di 140 milioni e 250 dipendenti. Oltre allo storico marchio Ford, Bisson è anche concessionario di Mazda e Volvo. Nel gruppo, oltre al primogenito Vittorino (che porta il nome del nonno, fondatore dell’azienda, di cui ha il ritratto in ufficio assieme a quello del papà) lavorano anche i fratelli Luigi e Francesco. Il settore auto vive anche a Vicenza un cambiamento di prospettiva: da un lato vive una contrazione del mercato valutabile in un -30% di vendite, dall’altro le previsioni stanno disegnando un futuro tutto spostato verso le auto elettriche. Ma entrambi questi fronti soffrono per ulteriori problemi. Iniziamo dal mercato. La mancanza ormai cronica dei semiconduttori ritarda la produzione di vetture: “Il risultato è che i tempi di consegna delle auto si sono allungati parecchio, anche sette mesi – prosegue Bisson – e non vediamo via d’uscita”. Porta l’esempio della sua concessionaria: al 31 dicembre dell’anno scorso aveva 1000 Ford vendute e da consegnare quando in passato erano 300. Ma questa situazione, sottolinea Bisson, porta anche un’altra conseguenza. Cita la sua azienda: su 4500 auto vendute in un anno, 1500 sono già assegnate anche se i tempi di consegna sono lunghi. Il che si trasforma in un vantaggio per le case produttrici: mentre i concessionari sono alle prese con molti problemi e una propensione all’acquisto di auto drasticamente diminuita nel pubblico (i Cid, ossia i modelli della constatazione amichevole distribuiti dalle assicurazioni a chi acquista un’auto sono scesi del 40%) il fatto di avere molte auto già vendute e un capitale potenzialmente già incassato ha fatto lievitare il valore delle case automobilistiche in Borsa, che è schizzato verso l’alto. La situazione paradossale: i concessionari soffrono e i produttori stanno bene. Può ripartire il mercato? Bisson allarga le braccia: “Se riprenderà, vuol dire che sarà una ripresa vera – risponde - mentre se non risalirà significa che il ceto medio ha preso una bastonata strutturale, tra la pandemia prima e la crisi di oggi. È il ceto medio, ricordiamolo, che fa crescere il Paese. E secondo me sta soffrendo per un’inflazio-
ne reale che è al dieci per cento, altro che quattro o cinque come si dice”. Anche sul fronte della mobilità esistono molte contraddizioni, puntualizza Bisson. Tutte le case automobilistiche progettano con convinzione la transizione verso l’auto elettrica nel giro di pochi anni. I Paesi nordici prevedono che il passaggio sarà completato nel 2030, data su cui concorda la stessa Ford che entro otto anni, quindi, progetta di produrre solo auto elettriche. Sarà. Ma il mercato dei veicoli elettrici, per ora, è appena il 2 per cento delle vendite. Del resto, sottolinea Bisson, l’acquisto di un’auto elettrica porta vantaggi limitati: si risparmia in bollo, assicurazione, manutenzione, ma la vettura costa molto di più. In più, come accennato sopra, a complicare le cose in Italia c’è una situazione urbanistica assai più delicata che nel resto d’Europa. La soluzione è una sola: “Serve un supporto statale – spiega Bisson – per abbassare il divario tra acquisto di un’auto normale e una elettrica. Bisogna renderle meno costose”. Questi incentivi sono stati promessi dal governo: 800 milioni quest’anno e 1 miliardo all’anno per l’immediato futuro.
Vittorino Bisson, 54 anni, è al timone del gruppo di famiglia che ha 10 sedi nel Veneto, 250 dipendenti e fattura 140 milioni l’anno
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Attualità
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L’Archivio di Stato. Riguardano tutti i Comuni del Vicentino, iniziano dal 1806 e sono disponibili gratis on line
Stato civile, ecco 1.317.000 documenti per cercare gli antenati della famiglia Gli atti di nascita, matrimoni e morte sono da poco consultabili da ogni computer nel “Portale antenati”. Un grande lavoro dei Mormoni. Anche il calciatore Jorginho ha trovato all’archivio di Vicenza i documenti che gli hanno fatto avere la cittadinanza italiana
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e c’è riuscito Jorginho, che li ha sfruttati per ottenere la cittadinanza italiana, possono essere utili davvero a tutti. Sono i documenti di stato civile conservati all’Archivio di Stato di Vicenza che – al termine di un lavoro di molti anni – adesso sono stati messi on line, quindi a disposizione di tutti, comodamente consultabili da un qualsiasi computer. È una mole di atti importante: si tratta di 17.102 registri che contengono 1.317.005 atti anagrafici relativi a tutti i Comuni del Vicentino, anzi perfino qualcuno di più perché si ricomprende l’antico dipartimento del Brenta. Questi atti coprono un arco di tempo che va dallo stato civile napoleonico, quindi fra il 1806 e il 1815 allo stato civile italiano, che va dal 1871 e arriva fino al 1909 per il distretto di Vicenza,
mentre per la circoscrizione bassanese i documenti disponibili arrivano addirittura fino al 1950. Come si è arrivati a questo risultato? Fabio Bortoluzzi, direttore dell’Archivio di Stato, ricapitola i passaggi. Nel corso di oltre duecento anni, all’archivio (inteso nei suoi uffici del capoluogo e di Bassano) è stata riversata una mole enorme di registri di nascita, morte e matrimoni, quelli che la legge prevedeva dovessero essere tenuti in duplice originale, una per il Comune e l’altra per il tribunale. Proprio dagli uffici giudiziari questi atti sono arrivati all’archivio di Stato, perché questa branca del ministero della Cultura, conserva i documenti prodotti dagli uffici degli Stati preunitari e poi dallo Stato italiano. Nei primi anni Duemila, il ministero decise di creare il “portale
degli antenati” per favorire le ricerche anagrafiche e genealogiche finalizzate alla ricostruzione della storia di famiglie e persone. Ma anche per offrire i documenti utili a ottenere la cittadinanza italiana agli emigrati, come previsto da una legge del 1992. Il portale è stato inaugurato nel 2011 e, mano a mano, sono affluiti i documenti. La digitalizzazione degli stati civili e la loro pubblicazione nel portale è stata resa possibile dall’accordo siglato fra la direzione generale degli archivi del ministero e “Family Search”, braccio operativo della Genealogical Society of Utah fondata nel 1894 dalla Chiesa di
Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, meglio conosciuta come la chiesa dei mormoni, dal “Libro di Mormon” il profeta che li ispira da quasi due secoli. Interessati a ricostruire i percorsi familiari, come portato del loro credo, i mormoni hanno il merito di essersi sobbarcati (gratuitamente) un lavoro notevole, perché hanno realizzato la riproduzione digitale dei registri dello stato civile dei vari Comuni e li hanno corredati dei metadati identificativi necessari alla loro consultazione. Questo lavoro adesso è disponibile per Vicenza. E, come si diceva all’inizio, a suo tempo dei documenti vicentini approfittò
Fabio Bortoluzzi, direttore dell’Archivio di Stato di Vicenza e Jorginho, il cui bisnonno era di Lusiana, con la Coppa dell’Europeo l’anno scorso
anche Jorge Luiz Frello Filho, meglio noto appunto come Jorginho, calciatore nato da emigrati vicentini trasferitisi in Brasile. Il bisnonno, infatti, si chiamava Frello, che era un cognome diffuso a Lusiana. La famiglia richiese a Vicenza gli antichi documenti dello stato civile, che furono trovati e spediti in Brasile. Il che ha permesso a Jorginho di ottenere la cittadinanza italiana e di giocare nella nazionale di calcio italiana.
Il personaggio
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In corso Fogazzaro. Ha aperto la sua bottega di casalinghi nel 1958, quando aveva 28 anni. Ed è ancora nel suo negozio
Dal Santo, razza d’altri tempi: a 92 anni vende con entusiasmo piatti e pentole A
l civico 120 di corso Fogazzaro, poco dopo l’incrocio con Pedemuro San Biagio, c’è un negozio aperto da 64 anni che non ha mai cambiato titolare. Si tratta della bottega storica (ha anche la targa che gli riconosce questa qualifica) di casalinghi, nella quale si trova veramente di tutto, che Antonio Dal Santo aprì nel 1958 quando aveva 28 anni. Oggi ha 92 anni ma non è assolutamente intenzionato a ritirarsi, anzi. Nel corso della sua vita, Dal Santo ha visto cambiare il mondo molte volte e, naturalmente, anche Vicenza e i vicentini. Racconta di aver passato la vita in mezzo alla gente, di aver conosciuto molte persone, dalla politica al mondo dello sport che lo ha tenuto impegnato per ben 45 anni e confessa che un po’ di fiducia l’ha persa. Sia nelle persone e anche nella parola data che – sostiene – un tempo valeva molto, al contrario di oggi. Antonio, tra l’altro, è il fratello minore di Giuseppina Dal Santo, primo presidente donna della Provincia di Vicenza nel 1993 e una delle prime consigliere regionali del Veneto. Qual è il suo elisir di lunga vita? “Vivere bene. In vita mia ho sempre fatto sport e non ho mai bevuto o fumato. Abito qui vicino, nei pressi di porta Santa Croce e ne approfitto per venire sempre al lavoro in bici.” In 65 anni di attività non ha mai pensato di vendere? “No, il lavoro mi ha sempre tenuto attivo e indipendente. Non ho intenzione di cominciare a passare le giornate seduto davanti alla televisione guardando i programmi scadenti di oggi”. Perché ha aperto un negozio di articoli per la casa? “Sembra scontato dirlo, ma 64 anni fa non c’erano supermercati o centri commerciali che vendessero pentole e piatti. A Vicenza praticamente nessuno vendeva quello che vendo io. Oggi, con Internet o con la grande distribuzione la gente ha tutto ciò di cui necessita e da me compra un accessorio o un coperchio per la pentola a pressione. Anni fa le casalinghe mi compravano intere batterie di pentole, articoli di valore e pregio che duravano nel tempo e che sì, costavano, ma non avevano nulla da spartire con la ferraglia che si trova oggi in giro”. Gli affari come vanno? “Insomma, la pandemia ha
Ha trascorso una vita nel commercio ma anche nello sport: per 45 anni è stato dirigente della Fiamma. È il fratello minore di Giuseppina, prima donna presidente della Provincia. Usa la bicicletta per andare al lavoro
dato ai negozi una mazzata non da poco. È una situazione difficile.” La clientela com’è? “Ahimè, non è affidabile come in passato. Oggi la parola data non vale nulla e capita che alcuni clienti entrino in negozio e una volta in cassa, accorgendosi di non avere soldi, chiedono credito mettendoci poi molto tempo a saldarlo… quando lo saldano. Pensi che un anno e mezzo fa ho addirittura dovuto rincorrere un ladro che aveva approfittato di un mio momento di distrazione.” Oltre al negozio, di cosa si è occupato? “Mi è sempre piaciuto stare in mezzo alla gente ma il negozio è limitante. La passione per il calcio mi ha fatto dirigere ed allenare per 45 anni nella società Fiamma. Ci allenavamo nel campo da calcio di fianco al campo da atletica
Un’immagine di Antonio Dal Santo nella sua bottega di casalinghi di corso Fogazzaro e l’esterno del suo negozio. È il fratello minore di Giuseppina, indimenticata esponente politica della Democrazia Cristiana
di via Rosmini. Ho avuto anche un’esperienza in politica, come consigliere comunale durante il primo mandato di Enrico Hüllweck ma la politica non faceva per me e per il secondo mandato ho ceduto il passo ad altri.” Come vede il futuro per i suoi colleghi negozianti? “Purtroppo non lo vedo bene. Ci sono sempre più spese da sostenere e tasse da pagare. I prezzi nei negozi sono più alti anche e soprattutto per questo. Ho paura che siamo tutti destinati a chiudere bottega.” Roberto Meneghini
La memoria
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La donazione. I loro libri ora si trovano nella biblioteca di Isola Vicentina e in quelle di Crespadoro e di Agugliaro
Fatima e Lorenzo, vicentini da ricordare La Terzo e il marito Bernardi sono stati una presenza importante a Vicenza in campi diversi: lei ha promosso per trent’anni la cultura a Vicenza. Lui, docente all’università, animò l’esperienza del circolo “L’albero della libertà” nel post Tangentopoli
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libri dei coniugi Fatima Terzo e Lorenzo Bernardi, rispettivamente a 13 e a 8 anni dalla loro scomparsa, sono stati donati dai figli Anna Valentina e Giulio alle biblioteche di Isola Vicentina (in massima parte) e a quelle di Crespadoro e Agugliaro. La donazione è stata celebrata di recente con una cerimonia nella sede di villa Cerchiari, sede della biblioteca intitolata a Romano Guardini, dal sindaco di Isola, Francesco Gonzo. All’incontro erano presenti molti amici dei coniugi Bernardi, da Ilvo Diamanti a Matto Salin, da Giuseppe Pupillo a Mario Plebani. Riportiamo l’intervento di Antonio Di Lorenzo che ha ricordato nell’incontro di Isola i coniugi assai noti non solo a Vicenza.
Fatima e Renzo Hanno tre caratteristiche che li accomunano: erano persone di eleganza, laicità e spirito civico. Che poi, vedremo, sono tre facce della stessa realtà. L’ELEGANZA. Eleganza è sinonimo di cultura. Balzac diceva: ricchi si può diventare, ma eleganti si nasce. Questi seicento libri, dei 1500 usciti dalla loro casa, lo testimoniano. Eleganza vuol dire misura, rispetto, profondità di pensiero e tolleranza. Tutte qualità che l’uno e l’altra esemplificavano. Quando un gruppo di amici, capitanati da Fernando Rigon, regalarono un antico lampadario al museo diocesano per ricordare Fatima, proprio Rigon la ricordò così: “Persona rara nella vita professionale che privata, con spiccati tratti distintivi di riservatezza e di intensa partecipazione, insieme, in ogni aspetto del suo lavoro, delle sue amicizie, dei suoi rapporti con la famiglia”. Aveva recitato a teatro da giovane a Schio, dopo di che sotto i riflettori ha sempre messo gli altri. E sono tantissimi a Vicenza che le devono riconoscenza: guide turistiche, attori, musicisti, teatranti, lo stesso Cisa, e anche la banca perché senza di lei chissà se sarebbe stata la stessa. Non è un modo di dire, perché la sua domanda di assunzione nel 1978 fu respinta all’allora Banca Cattolica: capisce solo d’arte e cultura – dissero – non possiamo impiegarla come ragioniera. Segno che non fu facile per lei entrare in
quel mondo. Però fu lei a inventare le “Gallerie di palazzo Leoni Montanari”: sfruttò un pegno di icone per un debito non pagato, ma poi incrementò il patrimonio con acquisti importanti e intelligenti. Il loro legame era così forte che uno dei motivi per cui Fatima è ricordata, ossia la rassegna “Restituzioni” è frutto di un nome che Lorenzo le aveva suggerito. Del resto in fatto di titoli lui aveva una dote particolare. Vorrei ricordare la ricerca, una specie di apripista, sulla scuola a Vicenza nel 1989 che volle chiamare “Attimi fuggenti”, a citazione del film con Robin Williams proprio sulla scuola. Era un’indicazione di metodo e non solo una “captatio” di attenzione. Anche il nome Poster, l’istituto che fondò assieme a un isolano illustre, Ilvo Diamanti, è un esempio di questa attitudine. A Renzo piaceva il colore rosso e diceva che voleva tre cose nella vita rosse: il partito, l’auto e la donna. Con Fatima non gli è riuscito, e neanche con l’amata Inter. Ma era contento di entrambe lo stesso. LA LAICITÀ. La laicità è un valore che hanno vissuto profondamente, a iniziare dal loro matrimonio, celebrato in Comune a Schio dal sindaco di Milano, Aldo Aniasi, che fu un laico militante, successore di Ferruccio Parri alla guida del Cln milanese e poi sindaco di Milano. Essere laici significa avere una mentalità aperta, sfuggire
Un’immagine felice di Lorenzo Bernardi e della moglie Fatima Terzo durante una gita. Bernardi è stato pro-rettore vicario dell’università di Padova con Giovanni Marchesini. Per Fatima Terzo non fu semplice essere assunta in banca: quando presentò la domanda, fu respinta perché non era una ragioniera
all’integralismo, ai dogmatismi. E solo noi vicentini sappiamo quanto in questa terra ce ne fosse bisogno. L’onestà intellettuale l’hanno sempre praticata. Ed è sempre una lezione di libertà quando si incontrano persone di questo tipo. Sia chiaro, si può essere profondamente laici anche essendo indubitabilmente credenti. Lo dimostra proprio Romano Guardini, al quale si ispirarono i ragazzi della Rosa Bianca uccisi dal nazismo, che nel dopoguerra si preoccupava di “restituire alla nostra gioventù l’inquietudine dello Spirito. Questa la salverà dal nichilismo”. Quella stesa inquietudine Lorenzo voleva suscitarla nei giovani: professore di statistica, preside due volte della facoltà, pro rettore vicario dell’università con Giovanni Marchesini, affascinava gli studenti per la passione che trasmetteva, perché sapeva insegnare a leggere significati dietro i numeri. Costruiva significati, non faceva aritmetica. Ricordo come lui, statistico, si arrabbiava quando noi giornalisti usavamo il tragico luogo comune citando che qualcuno “dà i numeri”. Aveva ragione. L’IMPEGNO CIVICO. Laicità, abbiamo detto, significa essere persone di valori che trova-
no fondamento nell’uomo e non nell’ultraterreno. Talvolta è ancora più difficile che essere credenti. Ma quando si è persone di valori si è anche aperti al dialogo e generosi. Lorenzo e Fatima lo erano oltremisura. Qui s’innesta la loro sensibilità e il loro impegno civico, che sono una conseguenza pratica di questi atteggiamenti. Da un lato l’impegno di Fatima, “una bellissima donna che ha dedicato alla bellezza tutta la vita” (così l’ha ricordata Stefano Ferrio quando è mancata) per trent’anni si è identificata con uno straordinario impegno per la promozione della cultura a Vicenza. Non solo cultura “alta”, sia chiaro. Nessuno di loro due ha mai avuto la puzza sotto il naso. Ricordo solo che nel 1987 la cerimonia di riapertura del teatro Olimpico fu trasmessa con un megaschermo in piazza dei Signori. Era la prima volta che si usava all’aperto. Mi ricordava il dirigente di allora dell’assessorato, Bruno Lucatello, che questo fu possibile per merito suo. Intelligenza è anche capire come divulgare nel modo migliore al grande pubblico. A proposito di impegno civico, Lorenzo Bernardi fu protagonista di una stagione indimenticabile nel post-Tangentopoli a Vicenza, quando assieme a Ugo Dal Lago e
Fernando Bandini, tanto per citare due nomi, animò il circolo “L’albero della libertà”, un ricordo e un nome rivoluzionario per fare ripartire la politica dopo quella bufera. Sognavano una società civile che contaminasse la politica, che fu più forte della loro buona volontà. Professore e pro-rettore l’uno, immersa nelle mostre e nella cultura Fatima, erano però anche persone scherzose e brillanti. Ricordo che avevano l’abitudine di scattare una foto di famiglia e di un viaggio ogni anno, così come Renzo era abilissimo nei cocktail e nel “foraccio” specialità che praticava al bar dalla Flavia a Vicenza. Quando Fatima mancò, cominciò di fatto a stare male anche lui. Le malattie non arrivano mai per caso. Nel giro di pochi anni se ne andrà anche Lorenzo. Quando era mancata Fatima al funerale aveva commentato al suo addio: “Non eravamo d’accordo così”. E adesso questo vostro gesto di accogliere i loro riprende, fatalità, il titolo del giornalino studentesco che Lorenzo Bernardi aveva fondato nel 1965-1966 alla facoltà di sociologia che frequentava: “Ut vivat” lo aveva intitolato. E anche oggi questa donazione ha lo stesso scotpo: perché viva. La loro bella anima.
Economia
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Le statistiche. Secondo Confartigianato sono cresciute sia le donne titolari di impresa sia quelle che sono amministratrici
Aumentano le donne di potere in azienda Le titolari di attività imprenditoriali nel 2021 sono cresciute dell’1.4% rispetto all’anno precedente, mentre le amministratrici sono aumentate di quasi il 4%. Un decreto stanzia 40milioni di euro per le imprese al femminile
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uove politiche a sostegno del welfare femminile e percorsi di formazione per inserire i giovani nelle aziende grazie ai fondi regionali e del Pnrr. Questi sono solo alcuni dei temi con cui artigiane e imprenditrici del territorio si sono confrontate in questi mesi durante gli incontri realizzati dal Movimento donne di Confartigianato Vicenza con l’ente di formazione Cesar, nel corso di un progetto, finanziato dalla Regione, che ha coinvolto 76 aziende e 100 partecipanti in percorsi per l’aggiornamento e l’incremento di competenze digitali e trasversali. Un’occasione di riflessione e dialogo in cui è stato presentato anche il recente decreto ministeriale per il biennio 2021 e il 2022 con il fondo di 40 milioni di euro a sostegno dell’impresa femminile. Un’opportunità anche per il nostro territorio descritta da Confartigianato durante il workshop “Storie che ispirano – Donne di successo”. Dalle analisi dell’Ufficio studi e statistiche di Confartigianato, infatti, è emerso che il tasso di occupazione nel 2020 in Veneto ha visto quella femminile al 56,5% e quella maschile al 75,3% con Vicenza che, in entrambi i casi, va oltre toccando rispettivamente il 59,5% e 77%. Numeri che, se messi a confronto con quelli analoghi del 2019, registrano un calo di 1,7 punti percentuali nell’occupazione femminile berica (a fronte di un -2,3% regionale) e un calo di 1,3 punti percentuali in quella maschile (-0,8 nel Veneto). Quanto alle imprenditrici artigiane, in
riferimento al 2021, a Vicenza se ne contano 7.239 pari al 23,2% sul totale, un punto percentuale in più rispetto alla media veneta. Nel dettaglio poi, si nota una crescita del 3,7% (2021 su 2020) delle donne che all’intero dell’azienda rivestono la carica di amministratore che lo scorso anno hanno quindi toccato un 23,1% del totale. Alta anche la percentuale delle titolari, che si assesta al 42,8% (un +1,4% rispetto al 2020). Quanto ai settori, il numero maggiore di titolari (63,4%) si registra in quello dei servizi alla persona, seguito dalla manifattura (20%) e dai servizi alle imprese (13,6%). “Questi dati consentono alcune riflessioni – commenta Paola Zanotto, presidente del Movimento donne impresa di Confartigianato – La prima è che la crescita delle donne amministratrici può essere letta con una maggiore strutturazione delle stesse imprese in un’ottica di consolidamento e crescita. In un momento delicato delle aziende quale può essere il passaggio generazionale, la presenza femminile può determinare la continuità d’impresa”. Tra i problemi, invece, emerge il fatto che serve un welfare che tenga conto delle incombenze familiari che spesso gravano sulle donne e un maggior coinvolgimento delle ragazze nelle materie Stem: “Con i dati demografici poco incoraggianti diffusi in questi mesi, è quanto mai necessario e urgente studiare e pianificare politiche del welfare a sostegno dell’occu-
Paola Zanotto, del Movimento donne di Confartigianato: crescono le donne con ruoli di responsabilità nel sistema Vicenza
pazione femminile e per questo, accanto al welfare, è importante anche il tema della conciliazione tra tempo di vita e di lavoro – continua Zanotto – Un’attenzione particolare va dedicata ai giovani, alla loro formazione tecnica e a offrire loro opportunità di occupazione futura. In questo contesto il Movimento e Confartigianato possono fare molto: esistono forme di sostegno all’imprenditoria femminile, ultimo è il recente bando regionale. Risorse che vanno intercettate così come quelle che potranno arrivare con il Pnrr”. Sara Panizzon
Sanità
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Le nomine. Al reparto di nefrologia dell’Ulss 7, dopo il primario di 41 anni nel 2019 arriva il coordinatore di Santorso di 37
Camici bianchi, la rivoluzione dei giovani Antonino Previti è stato nominato dal dg Bramezza al ruolo di coordinatore di nefrologia all’ospedale Alto Vicentino. È siciliano come Paolo Luca Lentini, il primario del reparto. Il primo di Trapani, il secondo di Catania. “Il reparto deve diventare un punto di riferimento nel Veneto”
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edico per vocazione, nefrologo per scelta e bassanese d’adozione: a 37 anni il medico trapanese Antonino Previti diventa il nuovo responsabile dell’Unità operativa semplice di nefrologia e dialisi dell’ospedale di Santorso. Il giovane medico siciliano s’è laureato all’università di Palermo e specializzato in nefrologia all’università di Modena e Reggio Emilia: qualche settimana fa è stato nominato dal dg Carlo Bramezza coordinatore degli ambulatori dedicati alla cura delle nefropatie, cioè di tutte le patologie che riguardano i reni, nell’ospedale di Santorso. Previti dal 2019 lavora nell’unità operativa semplice che ora è chiamato a coordinare. Sposato, è padre di due figli di 5 e 2 anni. Abita a Bassano e ora, come dice, pensa al futuro tra onori e oneri. Com’è nato il suo interesse per la medicina? “La passione me l’ha trasmessa mio padre, medico internista. Da lì è iniziato il percorso di studi che mi ha portato a laurearmi e specializzarmi”. Perché ha scelto proprio in nefrologia? Avevo iniziato a seguire con interesse le attività di pneumologia, ma l’idea di trovare pazienti vincolati ai macchinari dell’ossigeno non riuscivo umanamente a tollerarla. Così mi sono avvicinato alla nefrologia trovando l’opportunità di esprimere al meglio il mio potenziale come medico. Dopo la specializzazione si è trasferito in Veneto, a Belluno: com’è stato vivere in montagna? “Nei tre anni a Belluno ho trovato un ambiente di lavoro accogliente, umano e professionale che mi ha dato l’opportunità di comprendere meglio le collaborazioni interregionali tra ospedali per lo scambio di conoscenze e competenze.” Quale è stato l’impatto con il territorio? “Costruttivo, in quanto lavorare in un ospedale di montagna mi ha fatto riflettere su alcuni aspetti come l’organizzazione della logistica al fine di garantire le cure necessarie a tutti i pazienti, compresi quelli dei piccoli centri. Competenze che mi sono utili anche qui nel Vicentino”. Il vostro reparto segue pazienti di Santorso, Bassano e Asiago in modo integrato… “Il dialogo con i colleghi del San Bassiano, maturato in piena epoca pandemica e completato nella recente riorganizzazione, ci aiuta ad ampliare le competenze e
l’offerta ai cittadini. Santorso ha un ospedale nuovo, concepito in modo moderno e la rete assistenziale è ben integrata nel territorio in quanto ogni struttura si coordina con l’altra al fine di garantire le migliori cure”. Cosa significa per lei la nuova nomina? “Un grande onore, che comporta grandi oneri. Insieme al primario Lentini abbiamo l’obiettivo di potenziare l’ambulatorio per la cura delle malattie glomerulari e proseguire le migliorie sin qui apportate a beneficio dei pazienti in trattamento dialitico peritoneale.” Quando non è in ospedale a
cosa si dedica? “Ho due figli piccoli e faccio il papà. Mi piace vivere a Bassano, è una città a misura d’uomo dove ho trovato un grande senso di orgoglio comunitario soprattutto per la valorizzazione del ponte degli alpini”. Della Sicilia quali tradizioni ha portato nel vicentino e viceversa? “La cucina! Ricette come la frittata con gli asparagi selvatici di Sicilia, molto diversi da quelli bassanesi e i dolci della tradizione siciliana. Del Veneto invece apprezzo molto il radicchio tardivo gustato con speck e formaggio”. Sara Panizzon
Antonino Previti, coordinatore di nefrologia all’ospedale dell’Alto Vicentino di Santorso e sotto, il primario Paolo Luca Lentini
Professionalità e umanità per un servizio importante e delicato
Oltre a Previti c’è un altro siciliano nel reparto ed è il primario, Paolo Luca Lentini, 43 anni, nominato al vertice dell’unità complessa di nefrologia dell’Ulss 7 nel 2020. La filosofia della nuova nomina è creare un’equipe medica giovane e un reparto innovativo. Lentini s’è laureato con il massimo dei voti all’università di Catania: qui ha conseguito la specializzazione in Nefrologia. Appassionato di basket, il primario lavora nell’Ulss 7 dal 2009, ha così commentato la nomina del giovane collega: “Il collega Previti ha dimostrato professionalità e umanità in questi anni di lavoro a Santorso – sottolinea il primario - ma intendiamo creare un’equipe di giovani professionisti che, con le loro competenze, rafforzino la rete assistenziale presente nelle strutture ospedaliere di Bassano, Santorso, Asiago e facciano diventare il nostro reparto un punto di riferimento in Regione”.
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La Vicenza d’un tempo
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La memoria. Era una ragazza venuta ad abitare con la famiglia in piazza delle Poste. Fu un sogno proibito per (quasi) tutti
Quando la “francesina” sbarazzina affascinava i ragazzi del centro città N
ei primi giorni di una frizzante primavera, a creare fermento tra gli adolescenti di metà anni Cinquanta del centro, fu la notizia dell’arrivo di una ragazza dalla Francia. La sua famiglia era venuta ad abitare l’appartamento al primo piano all’angolo tra contrà Muscheria e Frasche del Gambero. La comparsa della “francesina” si divulgò per le contrade mediante il passa parola e in particolare coinvolse tutti quei ragazzi che avevano come punto d’incontro le ringhiere dei bagni pubblici interrati di piazza delle Poste sostituiti in tempi recenti dalla “fontana dei bimbi” con sculture di Nereo Quagliato. Il luogo era strategico perché ubicato proprio di fronte al poggiolo dove spesso si affacciava la “francesina”. Per i giovani c’era un bel da fare per prevedere abitudini e tempi della ragazzina al fine di essere presenti quando usciva sul terrazzino a concedere qualche parola, ma, soprattutto, a mostrare, disinvoltamente, due magnifiche gambe ai sottostanti. Il momento era topico perché ognuno era convinto di essere lui il Romeo. Molti erano certi di aver visto anche quello che non si vedeva, frutto soltanto di una fervida immaginazione. Di fatto, il suo parlare con la erre arrotolata e il fare disinvolto di una ragazza con due occhi scintillanti in uno splendido viso maliziosamente sorridente aveva affascinato tutti, e tutti erano innamorati della “francesina”. In qualsiasi occasione d’incontro, in canonica, al gioco del pallone, prima e dopo la scuola, al cinema domenicale non si parlava d’altro e la domanda ricorrente era: hai visto la “francesina”? e le risposte erano: l’ho vista parlare con Italo, io l’ho vista con Franco. Mi ha fatto vedere le gambe e ho visto anche le mutandine. Beato te! Già, perché in quegli anni alle nostre coetanee, che senza alcun dubbio erano carine altrettanto, non era permesso
uscire da sole e dovevano indossare i calzettoni bianchi e gonne al di sotto delle ginocchia; non era permesso il trucco, né vestiti scollacciati. Immaginiamoci se le giovinette potevano fare conversazione con dei ragazzi sporgendosi dal poggiolo con ringhiera a vista. Tutt’al più alla domenica era concesso loro qualche “sgarro” e cioè agghindarsi con vestitini più aderenti ma pur sempre accompagnate dai genitori o dal fratello o sorella maggiore. Per noi maschietti invece c’era grande libertà ed ecco che i più emancipati e intraprendenti organizzavano festini domenicali in abitazioni private dove qualche genitore, di larghe vedute, riteneva, con queste concessioni, di poter mantenere sotto controllo la situazione promiscua dei giovani adolescenti. Il festino era un’occasione per i primi incontri e tutto veniva preparato nei minimi particolari. C’era chi procurava il giradischi “Lesa”, con la puntina a chiodo, che bisognava calare delicatamente sul disco di vinile al fine di non strisciarlo; c’era chi acquistava, dopo una colletta tra i partecipanti, il “vermut”, le pastine e i biscotti e anche l’omaggio floreale per la padrona di casa. Le ragazze si accomodavano sulle sedie ai bordi della stanza, mentre il tavolo veniva spostato a lato per far posto alle danze. I ragazzi a crocchio sbirciavano le ragazze per stabilire le priorità di scelta senza capire che essi stessi erano già stati scelti: Giovanni prova con Rosetta, Renzo ha già adocchiato Maria, Italo sa già che Gabry è sua e così via. C’era sempre qualcuno che non si accoppiava, sia per esubero, sia per timidezza e allora quest’ultimo fungeva da disk jokey assaporando la sigaretta Giubek con filtro, la cicca della domenica. Ad un certo punto tra un ballo e l’altro si preparavano i lenti, e allora si spegnevano le luci e mentre
• Chi è Enrico Rossi
Era uno dei “ragazzi del duomo” del dopoguerra, è stato comandante dei vigili a Vicenza e poi a Bologna. È un cultore e narratore della Vicenza d’un tempo. Nel fotomontaggio, la ragazza dei sogni dei teen ager vicentini negli anni che appariva loro leggiadra come una ballerina
Quando si affacciava al balconcino che dava sui vecchi bagni della piazza, le sue gambe erano oggetto di ammirazione. E alle prime feste della domenica sfoggiava delle peccaminose calze di nylon con la riga si vedevano soltanto le braci delle sigarette accese si stringeva forte la compagna e poteva scapparci un primo bacio…. Ma sul più bello si riaccendevano le luci perché il “palo” s’era accorto dell’arrivo dei genitori allarmati dall’oscurità. Subito dopo si scatenava il rock and roll o l’hully gully. Un altro tentativo a luci spente sarebbe stato fatto più tardi. Momenti magici e rituali della domenica che erano oggetto di rivisitazioni immaginarie in ognuno di noi nonché di anelanti propositi per la prossima domenica. A casa di Mariella, in corso Fogazzaro, quella domenica si sarebbe svolto un bel festino. Erano sempre fantastici i festini a casa di Mariella perché aveva una grande stanza e, soprattutto, i genitori
quasi sempre assenti, almeno nel primo pomeriggio. C’eravamo tutti, mancava soltanto Italo. La festa era bella che incominciata quando ecco comparire Italo con la “francesina”. Eravamo ammutoliti e gli sguardi anche delle ragazze erano concentrati sulla bellezza d’oltralpe. Era stupenda e raggiante con il suo sorriso. Il suo vestitino a gonna corta era nulla al confronto delle calze color carne con riga che fasciavano due meravigliose gambe. Tutti i ragazzi facevano a gara per poter parlare con lei mentre le altre ragazze si sentivano escluse e relegate a far da tappezzeria. Poi, il primo ballo e Italo l’avvolge tra le sue braccia. Non c’era nessuna speranza per gli altri. Dopo poco Italo e la “francesina” se ne van-
no. È stata un’apparizione fugace come fulmine a ciel sereno. La Francesina non è più di tutti: ha tradito tutti. Passano i giorni e nell’ultima settimana di un autunno rosso e giallo più che mai, in una serata con tramonto di fuoco si sparge la voce che la “francesina” se n’era ritornata in Francia. Infatti da alcuni giorni i balconi al primo piano dell’appartamento all’angolo di Frasche del Gambero e via Muschieria sono chiusi. I ragazzi seduti sulla ringhiera dei bagni pubblici chiacchierano aspettando invano l’affacciarsi della “francesina”. Neppure dieci mesi era durato l’incanto, ora tutto era finito nell’oblio. A distanza di oltre cinquant’anni qualcuno di noi chiede: “Ti ricordi della francesina?” Molti annuiscono, altri guardano con occhi spenti nel vuoto, altri ancora sussurrano “Che bella quella ragazza”. Si visualizza un ricordo d’altri tempi, forse un sogno, un’infatuazione di giovani cuori, di certo una piacevole rimembranza sfumata dal tempo. Enrico Rossi
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Protagonista del cinema
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L’anniversario. I cento anni del grande attore rappresentano l’occasione per ricordare il suo legame con la nostra città
Tognazzi bambino visse a Vicenza Era compagno di classe di Menti Abitava con la famiglia in corso San Felice e frequentava le elementari alla “Giusti”. Ricordò in un’intervista del 1987: “Accompagnavo Romeo al campo e si vedeva già allora che sarebbe diventato un campione”. Le cene da “Lovise” a Costabissara nel 1968 con la troupe del “Commissario Pepe”
I
cento anni di Ugo Tognazzi sono legati a ricordi ancora oggi impressi nella memoria dei vicentini. Tognazzi a Vicenza fu il protagonista di due film, il celebre “Commissario Pepe” di Ettore Scola girato nel 1968 tra Vicenza e Bassano e “Ultimo minuto” del 1987, firmato da Pupi Avati. Il “Commissario Pepe” è un film della maturità di Tognazzi, girato quando aveva 46 anni. Per decenni è stato la metafora di Vicenza, città bigotta che s’imbelletta di giorno, frequenta la chiesa, ma in realtà la notte vive un’altra morale assolutamente libertina. A quei tempi la grande trasgressione era il sesso, per cui il film è un valzer di amanti, bordelli e foto spinte, scattate naturalmente a Milano, lontano dalla città. Il commissario, più che sui delitti, indaga sulla doppia anima della città, ma alla fine anche lui ne resta vittima. Figura centrale del film è quella del paralitico Parigi, uno straordinario Giuseppe Maffioli, gastronomo che parlava la stessa lingua di Tognazzi. Dalla sua tana sotto il ponte degli Alpini a Bassano, Parigi emerge spingendo la sua carrozzella e grida alle orecchie dei concittadini (che lo ignorano) tutte le loro scomode verità. Altra figura indimenticabile del film è Virgilio Scapin, all’epoca 36enne, che impersona il conte Lancillotto alla guida di una Lamborghini Miura, auto celebre a quei tempi ma ancora oggi un mito. Tognazzi in una scena girata all’ex ristorante Dinosauro a Ponte Alto, allora famosissimo, fa sapere a Lancillotto che lui conosce perfettamente i suoi gusti sessuali, tutti orientati alle prostitute minorenni. Quel film è rimasto vivo nei ricordi di Sandra Cazzola della trattoria “Lovise” di Costabissara, mamma di Ilaria Lovise: al giovedì, turno di chiusura del locale, la signora Cazzola organizzava le cene per la troupe di Scola. Spesso era lo stesso Tognazzi che cucinava, specie i piatti di funghi che gli piacevano molto. Assieme a lui a quelle cene era presente anche la moglie, Franca Bettoja. La signora Cazzola ha ricordato Tognazzi qualche anno fa in un articolo definendolo “un gentiluomo”. “Ultimo minuto”, del 1987, è uno degli ultimi film di Tognazzi, che morirà nel 1990. Porta la firma di Pupi Avati e racconta la storia di Walter Ferroni, impersonato appunto da Tognazzi: è il direttore sportivo di una squadra di
Ugo Tognazzi assieme a un giovane Virgilio Scapin (aveva 36 anni) e un’immagine dell’attore assieme a Pupi Avati allo stadio 18 diciotto anni dopo. Un’immagine di Romeo Menti
calcio che sopravvive nella bassa classifica della serie A degli anni Ottanta, tra problemi finanziari, piccoli imbrogli e tanta passione. Molte scene del film furono girate allo stadio “Menti”. E infatti negli scatti sul set del fotografo Franco Dalla Pozza si vede il presidente del tempo, Romano Pigato e il vice Chilò. In quell’occasione ad Alberta Mantovani che poi scrisse un pezzo sul “Giornale di
Vicenza”, Ugo Tognazzi raccontò che da bambino aveva vissuto a Vicenza. Il padre, assicuratore, per un periodo lavorò nel Veneto e con la famiglia abitava in corso San Felice. Tognazzi ricordava un artigiano con bottega del rame che a piano terra faceva un baccano infernale. Stiamo parlando di un Ugo Tognazzi bambino, quindi siamo nella seconda metà degli anni Venti. Andava a scuola alle elementari di piazzale Giusti. Suo compagno di classe era Romeo Menti, che a quel tempo giocava con i “pulcini” biancorossi, mentre suo fratello più grande con gli allievi: “Qualche volta l’ho accompagnato al campo – ricordava nell’articolo Tognazzi – E si capiva fin da allora che sarebbe diventato un campione”.
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Spettacoli
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La rassegna. È la 26esima edizione che si svolgerà a maggio con un’appendice di quattro giorni a luglio. Molti i nomi celebri
Il festival jazz raddoppia a tutte stelle Il festival è dedicato a Charles Mingus. Saranno presenti Bill Frisell, John Scofield, i Doctor 3, Enrico Rava, Maria Pia De Vito, Joe Lovano. Ci sarà una serata scientifica con Mario Tozzi ed Enzo Favata
I
l festival jazz di Vicenza raddoppia. E nell’anno centenario di Charles Mingus, cui quest’anno il festival “New conversations” è dedicato, saranno oltre centro i concerti. Intanto dopo due anni di pandemia, il festival ritorna nella sua tradizionale collocazione, dall’11 al 22 maggio, con un programma artistico interesante per produzioni originali, omaggi mingusiani e grandi nomi: da Bill Frisell a John Scofield e Joe Lovano, Avishai Cohen, Richard Bona assieme ad Alfredo Rodriguez, David Murray, John Surman, il ritorno dei Doctor 3, Enrico Rava con Fred Hersch e Maria Pia De Vito. A luglio il festival raddoppia con una quattrogiorni resa possibile dell’impegno suppletivo del coproduttore Luca Trivellato che quest’anno per celebrare i cento anni della sua azienda ha deciso di raddoppiare i fondi al festival jazz, al teatro comunale e alla Società del Quartetto. Dal 14 al 17 luglio sono in programma appuntamenti di alto rilievo a parco Querini: il Cross Currents Trio (con Dave Holland, Zakir Hussain e Chris Potter), Kurt Elling, Vijay Iyer e una serata scientifico-musicale con Mario Tozzi ed Enzo Favata che lega la cultura musicale con quella della difesa dell’ambiente. Il festival, che ha la direzione artistica di Riccardo Brazzale, è promosso dal Comune di Vicenza in collaborazione con la Fondazione teatro comunale, in coproduzione con Trivellato Mercedes Benz, e con la partecipazione di Aquila corde
armoniche di Vicenza come sponsor e Acqua Recoaro come sponsor tecnico. Le prime due serate del festival ospiteranno la fase conclusiva dell’Olimpico jazz contest: le semifinali saranno l’11 maggio in trasferta all’auditorium Fonato di Thiene mentre le finali il 12 maggio al teatro di Vicenza. Il programma comprende anche i primi live dedicati a Mingus. L’11 il contrabbassista Furio Di Castri rispolvererà il suo storico progetto “Furious Mingus”, eseguendolo con un nuovo quintetto. Il 12 Di Castri affronterà la musica di Mingus da una ben diversa prospettiva: un solo di contrabbasso. È una produzione originale il quintetto del sassofonista David Murray che si terrà il 17 al teatro comunale. Tornano a Vicenza anche i “Doctor 3” (ovvero Danilo Rea, Enzo Pietropaoli e Fabrizio Sferra), una delle più famose band del jazz italiano degli ultimi venticinque anni. Anche loro inseriranno in scaletta musiche di Mingus, un terreno per loro inconsueto: saranno il 19 all’Olimpico, abbinati al trio “world” di Tigran Hamasyan, per una serata speciale dedicata alla formazione del piano trio. Il chitarrista Bill Frisell suonerà in trio all’Olimpico il 15 maggio, mentre il giorno prima toccherà al sassofonista Joe Lovano, assieme alla pianista Marilyn Crispell e alla batterista Carme Castaldi. Il 21 all’Olimpico sarà il turno di un altro chitarrista, John Scofield, che ha suonato con Miles Davis. Nelle foto: in alto Bill Frisell, i Doctor 3. A sinistra John Scofield, e Maria Pia De Vito
Da sottolineare altri appuntamenti: il bassista camerunense Richard Bona e il pianista cubano Alfredo Rodriguez suoneranno il 13 maggio, in trio, al teatro Comunale. John Surman suonerà con Vigleik Storaas il 18 maggio all’Olimpico con l’Earth trio. Infine, il trombettista Enrico Rava e il pianista Fred Hersch suoneranno il 20 maggio all’Olimpico con la voce di Maria Pia De Vito. Per la seconda parte del festival, da segnalare il 17 luglio Vijay Iyer, uno dei solisti che stanno definendo più chiaramente i contorni del pianoforte jazz contemporaneo. Suonerà in trio con il batterista Tyshawn Sorey e la contrabbassista Linda May Han Oh.
Spettacoli
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Il festival di musica classica. S’inizia il 25 aprile con il premio Lamberto Brunelli. Il 10 giugno c’è anche Paola Pitagora
Anche Pasolini e Paganini nel programma delle “Settimane musicali” all’Olimpico La rassegna diretta da Sonig Thackerian contiene proposte anche di musica & arte, come di concerti nei luoghi del centro storico, le “Variazioni Goldberg” al clavicembalo e Giuliana Musso che legge il poeta friulano. Terranno concerti anche i vincitori di prestigiosi premi nazionali
C
on l’undicesima edizione del concorso pianistico nazionale intitolato a Lamberto Brunelli dal 25 al 27 aprile, riprende la programmazione delle “Settimane musicali al teatro Olimpico” di Vicenza. La rassegna diretta da Sonig Tchakerian (che nel 2011 ha ricevuto il prestigioso riconoscimento del premio Franco Abbiati) quest’anno ha come motto “Prima il silenzio, poi il suono, o la parola”. Il primo appuntamento del festival è domenica 22 maggio con Mu.Vi. – Musica.Vicenza, evento che porta la musica in luoghi di particolare bellezza, da palazzo Chiericati a palazzo Trissino, dalla Loggia del Capitaniato a palazzo Leoni Montanari. Si prosegue venerdì 27 maggio a palazzo Chiericati con un concerto che rientra nell’ambito del “Progetto Giovani” del festival. Protagonista è il vincitore del X Premio Brunelli 2021, il pianista Kostandin Tashko. Sempre a palazzo Chiericati domenica 29 maggio l’appuntamento della matinée porta in scena il concerto “Lucrezia romana, il femminicidio nell’arte” con Giulia Bolcato, soprano, Federico Toffano, violoncello, Alberto Maron, clavicembalo e Sara Danese, storica dell’arte. È un originale progetto che vede la musica in dialogo con la pittura con i dipinti del Padovanino e brani di Barbara Strozzi, Georg Federich Händel e l’esecuzione, in prima assoluta, de “La tua voce nella mia” di Delilah Gutman. Si prosegue la sera del 29 all’Olimpico con il vincitore del Pre-
Sonig Thackerian, violinista e direttrice delle “Settimane musicali” all’Olimpico, rassegna giunta alla 31esima edizione
mio Paganini 2021, il violinista Giuseppe Gibboni con l’Orchestra di Padova e del Veneto. Nel centenario di Pasolini, il festival gli rende omaggio venerdì 3 giugno, con l’evento intitolato “Qualcosa di sacro” con protagonisti Giuliana Musso, voce recitante, Sonig Tchakerian, violino e Giovanni Sollima, violoncello. Lo spettacolo prevede la lettura di testi dai libri di Pasolini e citazioni tratte dai saggi critici dedicati al grande scrittore su musiche di Johann Sebastian Bach, di Giovanni Sollima. Il festival prosegue sabato 4 giugno a palazzo Chiericati con il concerto, nell’ambito del progetto giovani, di Elia Cecino, il pianista vincitore del XXXVI premio Venezia 2019. Domenica 5 giugno sarà protagonista Gabriele Melone, violoncellista vincitore della borsa di studio all’Accademia nazionale di Santa Cecilia. La sera del 5 giugno all’Olimpico suonano Sonig Tchakerian, violino, Enrico Dindo, violoncello e Pietro De Maria al pianoforte. Il 10 giugno al Teatro Olimpico concerto dedicato a Shéhérazade di Nikolaj Rimskij-Korsakov: in scena i pianisti Marco Sollini e Salvatore Barbatano e la voce recitante di Paola Pitagora. Sabato 11 a palazzo Chiericati sarà protagonista il pianista Davide Ranaldi, vincitore del XXXVII Premio Venezia 2021, infine domenica 12 giugno, sempre a palazzo Chiericati, l’esecuzione delle celeberrime Variazioni Goldberg BWV 988 con Roberto Loreggian al clavicembalo.
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L’anniversario
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Il ritratto. Giuseppe Apolloni, nato esattamente duecento anni fa, ebbe un successo travolgente negli stessi anni del maestro
Il genio vicentino concorrente di Verdi Accoglienze entusiastiche per la sua opera “L’ebreo”, rappresentata in tutti i continenti. Alla “Fenice” il debutto fu salutato dal silenzio dei vicentini: ci volle la polizia per farli applaudire. Diventò anche sindaco di Altavilla
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circa metà di contrà Apolloni, dall’ex tribunale a Pedemuro San Biagio, sorge una modesta casa sulla cui facciata si legge su una lapide: “In questa casa/visse e morì/Giuseppe Apolloni/il celebrato autore/dell’Ebreo/che in tempi di straniero dominio/alle ispirate melodie/liberi sensi/commise”. Questo musicista, che pochi ricordano, nacque a Vicenza l’8 aprile 1822: sono quindi duecento anni giusti. Provò sulla pelle l’ebbrezza di uno strabiliante successo che, seppur temporaneo, ne segnò indelebilmente la vita. Deciso a lasciarsi alle spalle la carriera avvocatizia per percorrere la via dell’arte, a lui più consona, Giuseppe Apolloni – come molte generazioni di musicisti vicentini – si era formato alla scuola di Francesco Canneti. Fu autore di romanze da camera, musica strumentale sacra e profana, di cantate e di cinque melodrammi, il secondo dei quali, l’Ebreo appunto, ottenne quel successo tanto agognato quanto insperato per le proporzioni. Raggiungere la celebrità, si badi bene, con un tal Giuseppe Verdi in circolazione, non era poi così scontato: l’Ebreo ci riuscì, iniziando il suo vittorioso cammino proprio da quel teatro che, pochi anni prima, aveva battezzato due delle opere immortali dei Cigno di Busseto, Rigoletto e Traviata. Il 23 gennaio 1855, infatti, alla “Fenice” di Venezia, con un cast stellare di cantanti, il melodramma di Apolloni andò per la prima volta in scena suscitando reazioni entusiastiche: il maestro fu chiamato sulla scena più di 20 volte e il pubblico, come riferiscono i cronisti dell’epoca, elargì applausi spontanei, iterati, talora entusiastici. In platea erano presenti anche un centinaio di concittadini dell’autore protagonisti, loro malgrado, di un divertente episodio: stabilito a priori di non applaudire per non dare adito ad accuse di favoritismo, i poveri vicentini avevano mantenuto fede all’accordo per tutta l’esecuzione. Gli altri spettatori, calato il sipario e constatato il persistente mutismo dei forestieri, iniziarono a insultarli, costringendo la polizia ad intervenire: quando fu chiarito l’equivoco – narra Giovanni Franceschini – si rise molto e si fraternizzò, ma i vicentini dovettero applaudire, ché il pubblico gridò che non era più
questione di campanile, ma di bellezza e di arte, e soprattutto d’una nuova gloria italiana. E i vicentini allora, commossi ed esultanti, applaudirono... più forte degli altri. Ma quali sono i numeri di questo successo? Si parla di più di 250 allestimenti (la maggior parte appena successivi al debutto) sparsi nei cinque continenti (in nazioni quali l’Argentina, l’Australia, il Brasile, Cuba, l’Egitto, le Filippine, la Russia, la Turchia oltre che nei Paesi europei) per la gioia di
Tito Ricordi cui Apolloni, grazie anche all’amico Francesco Maria Piave (uno dei librettisti di Verdi), aveva venduto i diritti del suo lavoro. L’entusiasmo tuttavia andò inevitabilmente ad esaurirsi nel giro di qualche anno: troppa la concorrenza sui palcoscenici e troppo superiore la genialità potentemente innovatrice di Giuseppe Verdi. Dopo altre infruttuose prove teatrali, Apolloni – che non aveva mai lasciato la sua Vicenza – abbandonò definitivamente ogni altra
Un’immagine di Giuseppe Apolloni e il frontespizio della sua opera “L’ebreo”
velleità operistica dandosi alla politica: fu infatti consigliere comunale a Vicenza e sindaco di Altavilla, dove pure possedeva una bella villa settecentesca, ancor oggi visibile percorrendo l’autostrada. Sempre affabile e cordiale, capitava spesso ai vicentini d’incontrarlo, con la sua testa candida e con la folta barba, a passeggio per le vie cittadine. Morirà nella sua casa natale il 30 dicembre 1889, comunque con la consapevolezza di aver vissuto un vero e proprio sogno artistico. Oreste Palmiero
• Chi è Oreste Palmiero
Oreste Palmiero è bibliotecario, archivista, musicista e storico della musica. Ha pubblicato diversi libri con l’Accademia Olimpica e lavora alla “Bertoliana”
Sport
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Il campione di sci. Davide Filippi, 22 anni, abita in città e ha svolto un ruolo importante nelle gare di febbraio a Pechino
Un vicentino apripista alle olimpiadi “In Cina il freddo arrivava a meno 47” Il comitato olimpico s’è rivolto a lui per collaudare le piste per lo slalom e la discesa libera. Ha molta esperienza alle spalle e allori sin da adolescente. Sta studiando per la laurea magistrale. È noto il panificio di famiglia in viale Sant’Agostino
L
a pista di sci alpino delle olimpiadi di Pechino l’ha collaudata lui, Davide Filippi. Vicentino di 22 anni, a giungo 2021 è stato contattato dal comitato olimpico per diventare l’apripista della discesa libera e dello slalom. Davide vive a Vicenza in zona Pomari, è laureato in scienze motorie e sta studiando per la laurea magistrale. Nel tempo libero ama trascorrere giornate in montagna con il suo Muffin, un labrador nero. Per essere chiamati a verificare e discutere delle condizioni di una pista di livello olimpico bisogna, in un certo senso, essere nati con gli sci ai piedi: l’esperienza è fondamentale e Davide ne ha tanta. Ha messo gli sci ad appena tre anni e non li ha più tolti almeno fino allo scorso agosto quando, dopo il quarto infortunio al ginocchio, si è detto che poteva bastare. Com’è andata in Cina? “Alla grande. Era la prima volta che facevo l’apripista ed è stata un’esperienza incredibile. Però, che freddo!” Temperatura minima? “-47 gradi. Tremendi”. Cosa fa un apripista? “Testa il tracciato riportando le condizioni della neve e le sue sensazioni in pista. I progettisti si affidano a noi per tracciare e modificare il percorso di gara e le motivazioni sono molte. Dalla sicurezza alle zone di luce e ombra che modificano la neve. Ah, diamo anche suggerimenti agli atleti”.
In che senso? Da soli non ce la fanno? “No, puoi essere forte quanto vuoi ma hai sempre bisogno di informazioni sulle traiettorie e sulla condizione della neve. Ma in particolare gli skiman hanno bisogno di noi per preparare al meglio gli sci. La neve non è tutta uguale”. E con chi ha parlato? “Con Christof Innerhofer, Elena Curtoni e le sorelle Nicol e Nadia Delago.” Sono serviti i suoi consigli? “Credo di si. Non voglio prendermi meriti, ma alle ragazze credo d’aver dato una mano. Rispetto agli uomini si mettono più in discussione e nello sci alpino, sul podio ci sono andate solo donne. Coincidenze? Chissà”. E lei come se la cava sugli sci? “Bene, fino allo scorso anno. Nel 2012 e nel 2013 sono anche stato campione nazionale di categoria rispettivamente di slalom gigante e super G e a livello mondiale sono arrivato quarto nel super G. Poi mi sono rotto il ginocchio per la quarta volta e ho capito che era tempo di smettere. Quando scendi a più di cento all’ora, se hai la testa sul ginocchio e non sulla pista fai fatica a giocartela”. Ma come ha fatto con la scuola? “Ho fatto. Le medie erano a posto, tutto sufficiente ma il liceo Lioy non mi ha più voluto perché passavo sei mesi qui e sei mesi a Cortina per gli allenamenti e le gare. Non ero abbastanza pre-
Un primo piano di Davide Filippi e uno scatto-ricordo della Cina
sente. Per fortuna al Baronio mi hanno lasciato i miei spazi. Tutto questo prima del decreto ministeriale 279 del 2018, quando si è stabilito che essere atleti di alto livello e allo stesso tempo studenti non fosse un’eresia”. Se non corri più che fa? “Mi annoio e continuo a studiare. Ho già una laurea in scienze motorie e sto preparando la magistrale”. Cosa vuol dire che si annoia? “Quando sciavo avevo un obiettivo e facevo di tutto per raggiungerlo. Senza obiettivi concreti la vita diventa un po’ più noiosa e banale, ma pazienza. Me ne farò una ragione e troverò altro da fare”. Ma scia ancora? “Naturalmente. Metto le ginocchiere e per farmi una giornata sugli sci non ci sono problemi. Ma correre è un’altra cosa”. Che progetti ha sul futuro? “Aspetto di vedere qualche proposta. Mi piacerebbe insegnare sci ma anche insegnare a scuola mi tenta. Però sono sereno, i miei hanno un panificio in viale Sant’Agostino. Andasse tutto per il verso sbagliato posso sempre fare il panettiere [ride]”. Roberto Meneghini
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RINNOVABILI. “Il Veneto è la sesta regione d’Italia per produzione di energia rinnovabile”. (Ecopolisnewsletter). Settimo, non rubare. O, come diceva Dario Fo: settimo, ruba un po’ meno. Anche l’energia. ENERGIA MENTALE. “Pnrr: ridurre il caro energia e investire sulle filiere industriali strategiche per limitare la vulnerabilità e per rilanciare lo sviluppo”. Risoluzione di Alberto Villanova: undici parole per spiegarla. Ma c’è chi (Venturini, Ostanel, Lorenzoni) ha fatto meglio arrivando anche a 17 parole. L’unica energia che non manca nel Veneto è quella mentale per i titoli. INDICE E MEDIO. “Saranno stabiliti indici di idoneità per individuare le aree più consone all’installazione degli impianti fotovoltaici”. Jonatan Montanariello, commentando il disegno di legge veneto sul
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#Regione Il Punto
Energie sprecate di Antonio Di Lorenzo
tema discusso in commissione. Giusto. Ma è il 126esimo indice che viene inventato in Italia, da quello dei libri a quello dell’ascolto Rai. Finché non è il dito medio, avanti popolo. A CIASCUNO LA SUA CROCE. “La variante di Cortina non sarà pronta per le olimpiadi”. Valerio Luigi Sant’Andrea, commissario per i giochi 2026. Delle due l’una: o facciamo indagare il commissario Montalbano per scoprire il colpevole, altrimenti non salterà mai fuori, o troviamo un altro santo per i miracoli. A Sant’Andrea una croce basta.
SULLE STRADE DEL FUTURO. “In ogni caso, anche se dopo il 2026, le opere saranno comunque completate e i territori avranno quelle strade”. Luca Zaia, governatore del Veneto. Quando si rade la mattina in bagno canticchia “Strada facendo” di Claudio Baglioni. Ma solo come training autogeno. LA RABBIA DELL’UCRAINA. “Allerta rischio rabbia per gli animali da Kiev”. Istituto zooprofilattico delle Venezie. La rabbia dei cani è davvero l’ultima di cui preoccuparsi in questi giorni in Ucraina.
CHI FALCIA E CHI MIETE. “Autonomia, la Regione si può tenere una fetta delle tasse raccolte”. Livia Salvini, coordinatrice della commissione al ministero. Se andiamo avanti così, sarà però un’autonomia raccogliticcia. SUPER INOX GIULIANO. “Amato ci dà ragione, l’autonomia è irrinunciabile. È proprio un grande costituzionalista”. Luca Zaia. Ci crediamo: lui studiava enologia a Conegliano quando Amato già dava ragione a Craxi a palazzo Chigi. C’è un tempo per ogni cosa: anche per il dottor Sottile. LA ROSSA MANUELA. “Le Ulss procederanno con la sostituzione del turn over del personale e solo in un secondo momento ce lo comunicheranno”. Manuela Lanzarin, assessore alla Sanità. Tutto più veloce nella sanità, quindi. Manu meglio delle “rosse”. Potremmo commentare: a quando, allora, le liste d’attesa sprint? Ma sarebbe ingiusto. O no?
La strategia. Intanto l’assessore Marcato spinge sul Pnrr
Il dibattito. Il disegno di legge in votazione a maggio
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Zaia: “le priorità sono Un freno al fotovoltaico cambiate, serve l’autonomia a terra, ma ci vorrà ancora energetica” del tempo
er superare la crisi energetica e far fronte ai rincari delle bollette e delle materie prime che pesano su cittadini e aziende la strategia della Regione si chiama “sovranità energetica e alimentare”. Da oltre un mese lo sta ribadendo in tutte le occasioni il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, sottolineando come il conflitto in Ucraina non abbia fatto che accelerare il processo per una nuova strategia sul fronte energetico in particolare, in modo da recuperare il terreno impegnando al meglio le risorse del Pnrr. “Le priorità sono cambiate - ricorda Zaia Ora è urgente puntare alla sovranità alimentare ed energetica. Mi auguro che in sede europea si abbia la determinazione di prendere atto di una crisi inattesa di costi che sono schizzati alle stelle sia alla produzione che al consumo e che rischiano di minare gli obbiettivi economici, di ripresa, di occupazione”. Zaia concorda con il governo Draghi sulla necessità di intervenire con le risorse europee per un cambio di rotta sul fronte energetico e dell’approvvigionamento delle risorse, a partire da quelle alimentari. “Di fatto siamo di fronte alla necessità di un vero e proprio Recovery Plan, che si concentri sull’autonomia alimentare ed energetica, aumentando le coltivazioni e diversificando le fonti di importazione”, specifica il governatore veneto. Sulla stessa linea d’onda si muove anche l’assessore regionale allo sviluppo economico Roberto Marcato che, intervenendo
ad un incontro sul Pnrr e le Reti Innovative Regionali promosso da Confindustria Verona, ha ribadito sia “del tutto evidente che il tema energetico assume oggi importanza vitale, non solo perché negli ultimi 50 anni non abbiamo fatto i compiti per casa, ma perché i tempi sono scaduti e non possiamo più permetterci di giocare con il nostro futuro. Per tutto questo le Reti innovative regionali diventano, quindi, uno strumento strategico per il nostro sviluppo nella nostra Regione nel dialogo con il Governo sul tema del Pnrr, una grande opportunità che non dobbiamo lasciarci sfuggire.Noi ci siamo mossi per tempo, perché nell’agosto 2020 ho incontrato tutte le associazioni di categoria e chiesto di indicarci quali fossero le traiettorie di sviluppo interessanti da proporre al governo per quanto riguarda il Pnrr. Secondo me il Pnrr dovrebbe essere la sommatoria dei Pnrr regionali e, anche se così non sarà, resto dell’avviso che dovrebbe essere profondamente modificato rispetto allo status quo, visto che contingenza obbliga tutti noi a rivedere quanto meno le linee strategiche di intervento”.
a una parte c’è “fame” di energia, per non essere sopraffatti dall’eccessiva dipendenza verso l’estero che spinge i prezzi verso l’altro, dall’altra però c’è anche la necessità di tutelare il territorio dal consumo di suolo che nell’ultimo biennio si concretizza anche con il sempre maggiore impiego di superfici agricole per l’installazione di pannelli fotovoltaici. Da più parti arriva la richiesta di mettere un freno alla proliferazione di mega impianti a terra da decine di ettari, come quelli già realizzati per lo più in provincia di Rovigo e programmati nel padovano e nel veneziano. I primi a chiedere una normativa chiara sono gli agricoltori, preoccupati per la progressiva perdita di terreno fertile, mai come in questo frangente necessario per le coltivazioni di prodotti alimentari, a partire dal grano, che invece siamo costretti ad importare a caro prezzo dall’estero. Ben venga il fotovoltaico, aggiungono, meglio se sui tetti di abitazioni e aziende. Dopo una lunga attesa fa un passo avanti il progetto di legge regionale che punta proprio a chiarire la normativa sulle installazioni di impianti fotovoltaici di grandi dimensioni. Il testo presentato dal consigliere leghista Roberto Bet ha superato il primo passaggio in seconda commissione consiliare, attraverso la lettura ma senza votazioni. Una volta ottenuti i pareri della terza commissione e del Consiglio delle autonomie locali tornerà in seconda commis-
sione e infine in Consiglio regionale per il voto definitivo, entro maggio, stando alle previsioni. Le principali disposizioni, sulle quali continuerà il confronto, riguardano il limite di un megawatt per gli impianti a terra, in modo da salvaguardare l’attività agricola che dovrà rimanere predominante. Oltre il megawatt di potenza il fotovoltaico sui terreni agricoli dovrà essere agrovoltaico e per ogni ettaro di terreno occupato dai pannelli il proprietario dovrà dimostrare di avere almeno altri 20 ettari disponibili per l’attività agricola. Toccherà poi alle Province individuare le aree di pregio sulle quali i pannelli a terra proprio non dovranno essere installati, mentre saranno definite fra le aree più consone quelle già destinate a cave e a discariche. Fra i consiglieri il dibattito è più aperto che mai e le posizioni rimangono assai diverse, fra chi teme una legge troppo restrittiva per le energie alternative, con il rischio di bocciature sul fronte costituzionale, e chi invece chiede di non perdere altro tempo prezioso e arrivare ad una maggiore tutela delle campagne.
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Dal Veneto all’Europa. Il presidente del Consiglio regionale all’Europarlamento
Ciambetti a Bruxelles rilancia il ruolo della famiglia e della solidarietà A Bruxelles il terzo incontro di tecnici e firmatari della Carta di Venezia nel progetto sviluppato con le Nazioni Unite: “pandemia e guerra hanno sconvolto il vecchio mondo”
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’impatto del Covid e quello della tragedia ucraina ma anche lo sguardo al futuro, alla città del domani e ai servizi per la famiglia e i più deboli, al centro dell’intervento con cui presidente del Consiglio regionale del Veneto, Roberto Ciambetti, ha inaugurato al Parlamento Europeo a Bruxelles il terzo incontro di esperti e firmatari della Carta di Venezia che si inserisce all’interno del Progetto “Città inclusive per Famiglie sostenibili” sviluppato con il dipartimento delle Nazioni Unite. “La tragedia umanitaria vissuta dalla popolazione ucraina mette in luce più che mai il ruolo chiave delle politiche a supporto delle famiglie – ha detto Ciambetti - La fuga dalla guerra ha portato alla divisione dei nuclei familiari contribuendo ad aggravare la vul-
nerabilità dei più deboli, anziani e donne. La solidarietà concreta per l’accoglienza delle famiglie è fondamentale. E’ un onore avere al mio fianco in questo tavolo il collega Marshall Piotr Franciszek Całbecki, presidente della regione Kujawsko-Pomorskie in Polonia impegnato in prima linea su questo fronte drammatico, e lanciare con lui un appello congiunto all’Europa per affrontare insieme queste sfide”. Entrando nel tema della città inclusive per famiglie sostenibili Ciambetti ha sottolineato che occorre “cogliere le opportunità di cambiamento ripensando al modo in cui vediamo e viviamo il mondo. La pandemia, come il recente conflitto europeo, hanno sconvolto il vecchio mondo facendo esplodere le contraddizioni che lo caratterizzava-
no. I maggiori impatti negativi di questo ritardo ricadono sulle persone più vulnerabili e deboli. Questo richiede un coinvolgimento attivo degli attori locali pubblici e privati per affrontare e guidare i cinque trend evidenziati dalle Nazioni Unite nel Rapporto per il 75° anniversario dell’ONU ‘Modellare le tendenze del nostro tempo’. Queste tendenze, cambiamento climatico, urbanizzazione, l’emergere di nuove tecnologie, cambiamento demografico e alle diseguaglianze, identificano una serie di politiche e interventi sulle quali propongo di lavorare assieme per contribuire a rimodellare le nostre città e territori. Dobbiamo re-inventare - ha aggiunto Ciambetti - un nuovo modello di cooperazione pubblico e privato: oggi dobbiamo
cogliere l’opportunità che viene data dal combinare assieme le esigenze sociali e culturali di tutela della famiglia con la tutela dell’ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici e le occasioni della nuova economia avanzata. La città ecosostenibile è una straordinaria occasione di rinnovamento. concludendo
la chiave sarà organizzare e costruire il nuovo non ricostruire il vecchio usando le macerie di un mondo che non esiste più. La nuova città deve vedere le famiglie consapevoli e protagoniste della difesa della qualità del vivere che passa soprattutto ora attraverso la difesa della pace e della solidarietà”
De Poli chiama a raccolta i giovani: “Apriamo la politica alle nuove generazioni” “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alle prossime generazioni. Le parole di Alcide De Gasperi, di cui quest’anno ricorrono i 141 anni dalla nascita, rappresentano la lezione più importante per tutti noi. Questo è il compito alto, direi più nobile, della politica”: con queste parole il senatore padovano Antonio De Poli, questore a Palazzo Madama, ha esordito aprendo la Spring School, scuola di formazione politica che si è svolta sull’altopiano di Asiago, a Gallio. “La politica è la bellezza di credere in un ideale, in un progetto per il bene della propria comunità. La vera sfida oggi - ha rimarcato De Poli - é far crescere un pensiero che ci faccia innamorare della politica, guardando al
futuro e alla crescita della nostra bellissima Nazione. La politica che non fa crescere le nuove generazioni, si chiude in se stessa e non ha prospettiva. Ecco perché è importante aprirsi alla novità e all’entusiasmo dei giovani. Se faremo questo, porremo le basi per una società migliore”, ha evidenziato De Poli. All’evento - dal titolo ‘Giovani e politica: si fa presto a dire ‘boomer’” hanno preso parte oltre 60 giovani partecipanti e 15 relatori che, in un weekend, hanno dato vita ad un percorso formativo con sessioni tematiche e lezioni frontali. Dal funzionamento dell’Ente comunale e delle principali istituzioni nazionali, a partire dal Parlamento, alla comunicazione social e al public speaking con gli
interventi di Roberto Inciocchi (Sky Tg24); Alex Orlowski (Social media intelligence) e Massimiliano Panarari (specialista comunicazione). Il weekend di formazione - con la regia organizzativa dei giovani Udc, Eric Pasqualon e Beatrice Biasia - si è concluso con la tavola rotonda e gli ospiti politici tra cui, oltre a De Poli, Anna Maria Bernini (Forza Italia), il presidente Pierferdinando Casini e Mario Conte (Anci Veneto). “Credo che al di là dei colori politici dobbiamo credere nella forza dei nostri giovani”, ha sottolineato ancora De Poli che ha ricordato, quindi, l’importanza della preparazione e della competenza per amministrare bene: “La formazione è essenziale. Dobbiamo ascoltare e soprattut-
to coinvolgere i giovani. La politica deve rinnovarsi e aprirsi alle nuove generazioni che, più di altre classi sociali, sono stanche di false promesse e slogan. Le battaglie per le quali si spendono le generazioni dei Millennials, spesso, non trovano riscontro nei partiti e per questo i giovani preferisco-
no scendere in piazza anziché conformarsi a un vecchio modo di fare politica. Ne è un esempio il successo di Fridays for Future, il movimento green che tutti abbiamo imparato a conoscere. Ecco perché oggi la politica è chiamata a rinnovarsi sì nel linguaggio ma soprattutto nei contenuti”.
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Verso il voto. Appuntamento con le amministrative per oltre un milione di veneti, ballottaggio il 26 giugno
Election day il 12 giugno, 86 Comuni alle urne S
i torna alla normalità anche per le elezioni. Dopo due anni di pandemia che hanno condizionato anche la data del voto, per il 2022 l’appuntamento con le urne ritrova la sua collocazione “naturale” alle soglie dell’estate. Quest’anno si voterà per le comunali e per i cinque referendum nell’election day fissato per 12 giugno, con l’eventuale ballottaggio per il secondo turno nei Comuni sopra i 15 mila abitanti il 26 giugno. In Veneto i numeri sono importanti: sono oltre un milione gli elettori chiamati a scegliere il proprio sindaco mentre tutti i cittadini sono chiamati al esprimersi sui referendum. Le elezioni amministrative si tengono in 86 comuni Veneti, 13 dei quali sopra i 15 mila abitanti, con la possibilità pertanto che sia necessario il doppio turno, fra questi tre sono i capoluoghi di provincia: Verona, Padova e Belluno. Sarà in queste tre città, pertanto che il voto assumerà anche una valenza che andrà oltre l’aspetto locale e rappresenterà un interessante test in
vista delle elezioni politiche del 2023. A Verona i riflettori sono puntati sul centrodestra: il sindaco uscente Federico Sboarina, Fratelli d’Italia, si ricandida con l’appoggio della Lega ma non di Forza Italia che invece si schiera con l’ex sindaco ed ex esponente del Carroccio Flavio Tosi. Ma la partita è ancora
Importanti test nei capoluoghi Verona, Padova e Belluno oltre che in altre dieci città sopra i 15 mila abitanti aperta perché se a livello locale gli “azzurri” sono orientati su Tosi la situazione potrebbe addirittura capovolgersi se sul fronte nazionale il tavolo del centrodestra troverà un’intesa che andrà a coinvolgere anche la città scaligera. Più chiaro il quadro nel centrosinistra che sostiene l’ex calciatore Damiano Tommasi. Anche a Padova invece il centrosinistra cerca
il più ampio consenso intorno alla ricandidatura del sindaco uscente Sergio Giordani che scommette sulla riconferma insieme alla sua squadra. Compatto il centrodestra al fianco di Francesco Peghin, imprenditore e già presidente di Confindustria Padova e ovviamente non mancano altre candidature che cercheranno di mettersi in evidenza fra i due big. Il centrodestra è unito anche a Belluno, dove sostiene il campione sportivo Oscar De Pellegrin mentre nel centrosinistra il confronto è ancora aperto e il Pd ha scelto di appoggiare Giuseppe Vignato. In provincia di Venezia le altre città chiave al voto sono Mira, Mirano, Jesolo, Marcon e Santa Maria di Sala. Nel padovano Abano Terme e Vigonza sono i Comuni sopra il 15 mila abitanti. In Polesine, appena sotto i 15 mila abitanti, troviamo Porto Viro. Nel vicentino il Comune maggiore è Thiene, seguito da Romano d’Ezzelino. Per la presentazione delle liste il tempo inizia a stringere, si chiude entro il 14 maggio.
IL PUNTO SUI REFERENDUM Cinque quesiti sulla giustizia, è necessario raggiungere il quorum Sono cinque i referendum sui quali gli elettori sono chiamati ad esprimersi il prossimo 12 giugno. I quesiti riguardano temi legati alla giustizia e sono stati promossi dalla Lega e dai Radicali. Ne erano stati proposti otto, poi la Corte Costituzionale ha ritenuto ammissibili i cinque relativi alla giustizia, sui quali ora la parola passai agli italiani. Uno di questi chiede di abrogare la legge Severino nella parte in cui prevede la sanzione accessoria dell’incandidabilità e del divieto di ricoprire cariche elettive e di governo dopo una condanna definitiva. C’è poi la richiesta di abolire la raccolta delle firme per presentare la candidatura al Consiglio Superiore della Magistratura. Un terzo quesito punta a ridurre i reati per cui è consentito il ricorso alle misure cautelari in carcere, e un altro chiede invece la separazione delle carriere dei magistrati: l’idea è obbligarli a scegliere all’inizio della loro carriera se percorrere la funzione giudicante o requirente, per poi mantenere quel ruolo durante tutta la vita professionale. Il quinto referendum vuole introdurre la possibilità che negli organi che hanno il compito di valutare l’operato dei magistrati possano votare anche i membri non togati, vale a dire gli avvocati. Come per tutti i referendum abrogativi è necessario che si presenti alle urne almeno il 50% più uno degli italiani. Se i votanti saranno meno della soglia del 50% più uno, i referendum verranno dichiarati nulli e non verrà apportato alcun tipo di cambiamento alle relative leggi.
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Il geoportale. Un progetto di Assindustria Venetocentro, Province, Camere di Commercio e Bim Piave
L’economia circolare dei capannoni Riqualificazione e zero consumo di suolo C
he il cuore produttivo del Nordest sia tappezzato di capannoni non è certo una novità. Oltre 92mila in tutto il Veneto, disseminati in 5.679 aree produttive, per un equivalente di 41.300 ettari di terreno pari al 18,4 per cento della superficie di suolo consumata. E molti – undicimila, il 12 per cento del totale – sono capannoni dismessi e inutilizzati. Partendo da questa fotografia e dopo due anni di gestazione, Assindustria Venetocentro assieme alle Province e alle Camere di Commercio di Padova e Treviso oltre che grazie all’esperienza del consorzio Bim Piave ha lanciato un geoportale finalizzato alla ricognizione capillare, alla mappatura e alla ricerca online delle aree e degli edifici produttivi attivi o dismessi. Si chiama “Capannoni On/Off”, per il momento censisce solo il territorio padovano e trevigiano (fatto di 32mila capannoni industriali) e ha l’obiettivo di evitare nuovo consumo di suolo proprio attraverso la trasformazione e la rigenerazione dell’esistente. “Riqualificare e rigenerare è una scelta di sostenibilità”, spiega Paola Carron, vicepresidente di Assindustria Venetocentro. Una linea di pensiero e azioni sposata in pieno da Francesco Calzavara, assessore regionale al patrimonio e all’innovazione digitale, secondo il quale il percorso avviato a Padova e Treviso deve essere allargato a tutto il Veneto. “È uno strumento che, anche in ottica di economia circolare, in un territorio regionale in cui è già stato consumato tanto suolo, ci aiuterà a comprendere come utilizzare bene quello che c’è ed è disponibile. Con dati veri e la possibilità di lettura in tempo reale si pongono le condi-
zioni per avere la mappatura e una ricognizione di centinaia di migliaia di edifici a destinazione produttiva, favorendo anche l’incontro fra domanda e offerta, capace di dare vita a nuovi progetti di recupero edilizio nell’asse Padova-Treviso, motore dell’economia Made in Veneto”. Calzavara, sottolineando come i veneti fatichino a demolire anche un solo metro cubo, definisce l’operazione “Capannoni On/Off” come “economia circolare del costruito”, oltre che “un modello vincente per non consumare più suolo in una pianificazione su area vasta e non più per singolo comune”. Il portale, già operativo al sito www.capannonionoff.it, regala in modo facile un inedito Big Data fatto di una grande massa di dati e di informazioni che per la prima volta sono connessi fra loro, normalizzati e disponibili. Le banche dati di pubbliche amministrazioni, enti e multiutilities (Catasto, Agenzia delle Entrate, Comuni, Province, registro camerale delle imprese, gestori di rete telefonica, AcegasApsAmga, Ascopiave, Etra, Contarina) sono in dialogo fra loro e le informazioni vengono aggiornate costantemente. “Cervello tecnico” dell’operazione è il consorzio Bim Piave di Treviso e Belluno. “Già nel 2021 i nostri Comuni hanno creato una piattaforma per la condivisione e la gestione dei dati in modo integrato e questo adesso consente di averli disponibili in modo immediato, evoluto e aggiornato. Con il nuovo geoportale – spiega Cristina Da Soller, presidente del consorzio – potranno essere ulteriormente valorizzate le forme di collaborazione territoriale, l’integrazione di nuove classi di dati, la
Alcuni momenti della presentazione del progetto a Palazzo Giacomelli di Treviso, sede di rappresentanza di Assindustria Venetocentro
possibilità di programmare lo sviluppo del territorio con logiche di area vasta”. Il risultato è che chi è alla ricerca di un capannone nell’area di Padova e Treviso, nel portale oggi ha a disposizione la mappatura di circa duemila ettari di aree produttive (su 14.200) con 12.376 capannoni profilati (6.451 nella Marca e 5.925 nel padovano). Un motore che offre la ricognizione capillare, la mappatura e la ricerca online non solo dei capannoni attivi o dismessi e da riqualificare, ma consegna a chi effettua la ricerca tutte le informazioni utili: stato, annessi sottoservizi, infrastrutture materiali e digitali, piani urbanistici. Il portale è a disposizione sia della programmazione territoriale, sia di imprese, progettisti e operatori delle costruzioni per il recupero e il riuso degli edifici dismessi. Ma anche, come sottolinea il direttore generale di Assindustria Venetocentro, “uno strumento di marketing territoriale per attrarre i grossi investitori internazionali”. Sara Salin
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Inquinamento marino. Il padovano Stefano Germani si è unito all’operazione di “Ocean to Ocean”
I-Tronik in missione per salvare gli oceani L’azienda di Vigonza a caccia di microplastiche Dopo aver sostenuto economicamente il progetto e fornito le provette per effettuare i campionamenti l’imprenditore ha raggiunto il comandante Davì per supportarlo fino a Panama nell’operazione
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’è un’azienda padovana che si è unita a “Ocean to Ocean RIB Adventure”, missione nata per studiare l’inquinamento degli oceani. È la I-Tronik di Vigonza, specializzata in soluzioni tecnologiche nel settore elettronico industriale. Oltre ad aver scelto di supportare economicamente il progetto e aver fornito le provette necessarie per analizzare la presenza di microplastiche e metalli pesanti nell’acqua, il mese scorso ha deciso di fare di più. Stefano Germani, socio della I-Tronik, ha raggiunto a Cartagena de Indias il comandante Sergio Davì, partito il 21 novembre scorso da Palermo per un viaggio quasi sempre in solitaria, a bordo di un gommone. Oltre diecimila miglia nautiche di navigazione attraverso Spagna, Capo Verde, Guyana Francese, Trinidad, Tobago, Venezuela, Caraibi, Colombia,
Panama, Messico e Stati Uniti d’America. L’imprenditore padovano ha supportato Davì nel raggiungimento di Panama City e nel prelevamento dei campioni d’acqua da analizzare. “L’inquinamento marino da plastica sta diventando sempre più grave. Ogni anno – afferma Stefano Germani – si stima che finiscano in mare dai 4,8 ai 12,7 milioni di tonnellate di rifiuti plastici e pare che nei mari siano già finiti complessivamente almeno 86 milioni di tonnellate di plastica, di cui una buona parte si è depositata sui fondali. Oltre a sostenere la spedizione come sponsor, abbiamo deciso si partecipare attivamente a una parte del viaggio per fornire un apporto sotto l’aspetto scientifico”. Germani ha effettuato cinque campionamenti tra Cartagena, prima la parte atlantica e poi la parte pacifica di Panama. Cam-
pioni d’acqua che verranno analizzati dall’Istituto zoo profilattico di Palermo, dal Cretam e dall’Aten Center dell’Università di Palermo per verificare quanto sono inquinate le acque dei nostri oceani. In programma c’è anche il prelevamento di campioni dalle acque del Parco nazionale di Coiba, area naturale protetta che sorge sull’omonima isola di fronte alle coste panamensi. “Negli oceani esistono ormai stabilmente, da almeno quarant’anni, le cosiddette isole di plastica, microplastiche soprattutto, che si adagiano sui fondali marini. Essere parte attiva della ricerca sul loro stato di salute – spiega il socio di I-Tronik – è sicuramente un’esortazione. Prima di tutto a noi stessi e poi anche ad altre aziende a praticare l’attività d’impresa nel rispetto del luogo in cui viviamo”. (s.s.)
Confcommercio lancia “Imprendigreen” Per sensibilizzare, formare e accompagnare le imprese nella transizione da un’economia lineare a un’economia circolare, ma anche per aiutarle a cogliere tutte le opportunità che i programmi e i fondi europei e nazionali metteranno in campo nei prossimi anni, Confcommercio Imprese per l’Italia lancia “Imprendigreen”. Un progetto e allo stesso tempo un riconoscimento: grazie alla
compilazione di un questionario – elaborato e certificato dalla Scuola Universitaria Superiore Sant’Anna di Pisa – le imprese acquisiscono il marchio confederale di sostenibilità, per il quale l’associazione ha già avviato l’iter di accreditamento presso il MiTE (Ministero della Transizione Ecologica), così che possa essere utilizzato dalle imprese certificate come elemento premiale nell’accesso ai
bandi pubblici che prevedono come elemento preferenziale comportamenti improntati alla sostenibilità. Il questionario è realizzato tenendo conto dei più importanti standard internazionali in tema di comportamenti e pratiche volontarie che si traducono in benefici significativi per l’ambiente e che contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Onu con l’Agenda 2030.
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L’iniziativa. Al via la nuova attività informativa in collaborazione con le Questure
Despar e Polizia di Stato: campagna per prevenire le truffe con La Piazza Alle casse dei supermercati Despar e in allegato a 470mila copie del mensile La Piazza saranno distribuiti volantini per sensibilizzare i cittadini su come difendersi e tutelarsi
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rosegue l’impegno di Aspiag Service, concessionaria dei marchi Despar, Eurospar ed Interspar per il Triveneto, Emilia-Romagna e Lombardia insieme alle Questure Provinciali per diffondere in modo sempre più capillare in tutto il territorio del Veneto, campagne di sensibilizzazione e informazione su temi e problemi sempre più presenti nella nostra società. Il progetto ha preso avvio nel 2021 con la campagna informativa sulla violenza di genere “La violenza non è un atto d’amore – Non sei sola” e successivamente “Stop Bullismo”, per sensibilizzare i cittadini del Veneto e della provincia di Padova su due fenomeni – la violenza sulle donne e il bullismo – con l’obiettivo di creare consapevolezza, promuovere la prevenzione, far conoscere gli strumenti per denunciare queste forme di violenza fisica e psicologica che colpiscono in modo sempre più frequente donne e adolescenti. L’iniziativa ha l’obiettivo di eliminare gli stereotipi, promuovere la prevenzione e costruire un filo diretto con le forze dell’ordine.
COME PREVENIRE LE TRUFFE Il nuovo anno si è aperto con il lancio della campagna informativa che riguarda le “Truffe. Impariamo a riconoscere il problema per agire in sicurezza!”. Fingersi un tecnico venuto per una riparazione oppure un operatore di un call center, fornitore di gas o simili, che contatta il cittadino per proporre di cambiare operatore; richiedere un pagamento per il ritiro di
un pacco postale, sono solo alcune delle modalità con cui un truffatore può avvicinarsi alle persone per poi cadere vittima della stessa trappola. Un problema che riguarda in particolar modo le persone più fragili. Un fenomeno sempre più diffuso, specialmente anche dopo questo periodo di isolamento delle persone e in linea con le precedenti campagne informative. ASPIAG, OBIETTIVO CREARE LEGAMI SEMPRE PIÙ FORTI CON LE COMUNITÀ Queste iniziative si inseriscono nell’ambito delle azioni di responsabilità sociale che Aspiag Service mette in campo nelle regioni in cui è presente, con l’obiettivo di creare legami sempre più forti con le comunità. “Siamo orgogliosi di essere ancora una volta al fianco della Polizia di Stato e delle Questure del Veneto – commenta Giovanni Taliana, Direttore Regionale Aspiag Service per il Veneto – per contribuire a dare voce a questa campagna di prevenzione alle truffe verso le persone più fragili, che spesso rimangono traumatizzati in maniera grave anche a livello psicologico.Questo progetto rappresenta un altro importante passo all’interno di un percorso che abbiamo scelto di intraprendere insieme alle istituzioni dei territori in cui siamo presenti, con l’obiettivo di portare avanti azioni e progetti di pubblica utilità a sostegno delle comunità. Crediamo che la Polizia di Stato oggi abbia anche la necessità di avere interlocutori che possono arriva-
Giovanni Taliana
re direttamente ai cittadini, in mododa far fruire alla maggior parte dei cittadini queste informazioni. Grazie alla nostra presenza capillare sul territorio, i nostri punti vendita saranno un ulteriore amplificatore di questo importante messaggio per contribuire a rendere le persone più attente e consapevoli”. INDICAZIONI PRATICHE E I NUMERI UTILI A CUI RIVOLGERSI Più di 75 mila opuscoli informativi sono stati messi a disposizione in tutti i 165 punti vendita Despar, Eurospar e Interspar del Veneto per le precedenti campagne. I volantini hanno il compito di for-
nire alle persone indicazioni pratiche e ricordare i numeri utili a cui rivolgersi per denunciare episodi di violenza. Per questa nuova campagna da aprile, saranno distribuiti opuscoli anche direttamente nella casa di cittadini, grazie alla diffusione capillare del mensile la Piazza con 470.000 copie su tutto il circuito veneto. Sarà un’operazione che a differenza delle altre, amplierà la sua proposta. Grazie, infatti, alla collaborazione con le Questure Provinciali di Padova, gli uomini in divisa saranno presenti nei punti vendita per dare maggiori dettagli e informazioni ai consumatori. Sara Busato
L’intervista. Il questore di Vicenza Paolo Sartori
“Un reato odioso a danno di indifesi” I
l questore di Vicenza, Paolo Sartori, approfondisce il fenomeno delle truffe nel territorio. Le truffe agli anziani sono un problema ricorrente. Cosa dicono i dati? C’è un aumento? “Si tratta, purtroppo, di un reato particolarmente odioso, che vede persone per lo più indifese, in età avanzata, cadere vittima di individui senza scrupoli, i quali non hanno alcun ritegno nel prendersi gioco della loro buona fede. Pur essendo difficile puntualizzare, al riguardo, dati numerici e statistici, si può tranquillamente affermare che tipologie delinquenziali di questo genere sono tutt’altro che occasionali. A tal proposito è necessario evidenziare come esista purtroppo un sommerso, un numero indefinito di casi mai giunti a conoscenza delle Forze dell’Ordine. Questo rappresenta un aspetto assai preoccupante, ed è dovuto sostanzialmente al senso di vergogna nei
confronti dei propri familiari che spesso attanaglia gli anziani truffati e che spinge molti di loro a non denunciare. Su questo aspetto è necessario intervenire il prima possibile” Il Covid ha influenzato il fenomeno? “Non abbiamo dati specifici al riguardo. Certamente i lunghi periodi di lockdownsono coincisi con un aumento esponenziale delle truffe online, a danno però di vittime di ogni genere ed età”. Come possono proteggersi gli anziani? “Seguendo gli accorgimenti che vengono suggeriti dalle Forze dell’Ordine, ripresi dalle campagne di informazione che sistematicamente vengono realizzate da Enti ed Associazioni che si occupano di assistenza alle persone in età avanzata. Ad esempio, non è opportuno far accedere nelle proprie abitazioni soggetti che si qualificano come funzionari di società di distribuzione di energia senza che
vi siano stati preventivi contatti ufficiali con l’Ente, così come non bisogna dar corso a richieste telefoniche di denaro formulate da soggetti che si qualificano come Avvocati ovvero appartenenti alle Forze dell’Ordine. La vendita di oggetti tra privati, inoltre, crea spesso i presupposti per pratiche illegali: il consiglio è di acquistare la merce soltanto sui siti dell’e-commerce più conosciuti”. Come è nata la collaborazione con ASPIAG e perché? “La collaborazione con “Aspiag Service”nasce con lo scopo di promuovere campagne di sensibilizzazione e informazione per diffondere in modo capillare importanti messaggi a sfondo sociale contro soprusi e fenomeni di discriminazione, come la violenza di genere, il bullismo e, da ultimo, le truffe agli anziani. Le brochure diffuse nei punti vendita Despar hanno il compito di fornire informazioni, dare indicazioni pra-
tiche e fornire i recapiti utili a cui rivolgersi per denunciare episodi di violenza o discriminazione. In esse viene inoltre menzionata YouPol, l’APP della Polizia di Stato che permette a vittime e testimoni di atti di violenza e di reati in generale di chiedere aiuto tramite un contatto diretto con la Centrale Operativa della Questura, anche in forma anonima”. Giorgia Gay
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APRILE APRILE2022 2022
on-line:
Salute Dal 1° aprile
Covid, è finito lo stato di emergenza
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Green pass, mascherine, vaccini: si cambia
a fine dello stato d’emergenza, lo scorso 31 marzo, comporta l’entrata in vigore, per tappe, delle nuove regole contro la diffusione del Coronavirus che guideranno il nostro comportamento nei prossimi mesi fino ad un graduale ritorno alla normalità, anche se naturalmente il buon senso e una certa dose di precauzione inducono a considerare il fatto che non si tratta di un “liberi tutti”. Una tabella di marcia, fino al prossimo 30 giugno, scandisce i vari passaggi. Dal 1° aprile per gli over 50 non è più obbligatorio il super green pass sul luogo di lavoro. E’ richiesto solo il certificato di base. L’obbligo del Green pass, di base o rafforzato, cade anche per hotel, strutture ricettive e servizi alla persona, e pure per viaggiare sui mezzi di trasporto pubblico locale. Se l’obbligo vaccinale resta in vigore fino a fine anno per il personale sanitario e delle Rsa, per le altre categorie lavorative è confermato invece fino al prossimo 15 giugno (compresi i docenti). Sono abolite le quarantene da contatto. Va in isolamento, infatti, solo chi risulta positivo, a prescindere dallo stato vaccinale. Prosegue alla pag. seguente
Salute
44 Aprile mese della prevenzione alcologica
I danni che provoca l’uso e l’abuso di alcol sui giovani
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Dal 1° aprile
Covid, è finito lo stato di emergenza
A
prile è il mese della prevenzione alcologica. L’alcol è uno dei principali fattori di rischio di malattia, disabilità e mortalità prematura. Rappresenta la prima sostanza induttrice di dipendenza con alto impatto sociale e come sostanza tossica, cancerogena, calorica, e spesso associata ad altre dipendenze da sostanze e da comportamenti. A mettere in primo piano il tema è l’azienda Ulss 5 Polesana che ha voluto concentrare l’attenzione sui giovani e le conseguenze che l’abuso di alcol provoca su di loro, mettendo a fuoco, per nodi tematici, i punti fondamentali. Quali sono dunque gli effetti dell’alcool sui giovani? CHI HA MENO DI 18 ANNI NON DOVREBBE MAI ASSUMERE MAI BEVANDE ALCOLICHE. Nell’adolescenza, l’enzima che serve a metabolizzare l’alcol non si è ancora sviluppato nell’organismo e quantità anche molto piccole possono diventare subito tossiche. Ciò comporta che l’assunzione e l’abuso di alcol possono causare problemi di salute ai futuri adulti. DANNI CEREBRALI. Lo sviluppo cerebrale si completa intorno ai 25 anni e l’uso eccessivo di alcol può interferire con il processo di maturazione. Di conseguenza, i giovani che bevono rischiano di avere più difficoltà intellettuali, di orientamento e di memoria rispetto ai coetanei che non assumono alcol. DANNI AGLI ORGANI INTERNI. L’abuso di alcol può portare alla steatosi epatica, conosciuta anche come “fegato grasso”, che può causare in seguito altri segni di sofferenza epatica fino alla necrosi delle cellule. È inoltre responsabile di danni a molti altri organi, come cervello, cuore, stomaco e mammella. Eccesso di calorie. L’alcol ha un
I giovani che bevono rischiano di avere conseguenze sulla qualità della vita futura a livello cerebrale, ma anche agli organi interni e, per i maschi, alla salute sessuale e riproduttiva elevato contenuto calorico, di conseguenza un eccessivo consumo è associato a un aumento del grasso corporeo e in larga misura al deposito di grasso. SALUTE SESSUALE. L’alcol può essere particolarmente dannoso per la salute sessuale e riproduttiva degli adolescenti di sesso maschile, proprio perché in una fase delicata di sviluppo dell’apparato riproduttivo. RISCHIO DI DIPENDENZA. In fase adolescenziale è più facile che l’assunzione di alcol crei una dipendenza rispetto a quanto accade negli adulti. PERDITA DI CONTROLLO. L’alcol altera il comportamento
e spesso porta alla perdita di controllo, con l’assunzione di rischi che possono avere conseguenze molto gravi per se stessi e per gli altri. Per sensibilizzare i giovani a comportamenti consapevoli l’Ulss 5 Polesana insieme con la Conferenza dei Sindaci hanno promosso un progetto, “Strada facendo”, che vede gli operatori di strada impegnati direttamente sul territorio, nei luoghi di aggregazione e di consumo di bevande alcoliche per incontrare i giovani e informarli sull’uso e l’abuso di sostanze alcoliche. Attraverso i Dipartimento per le Dipendenze (SerD), l’azienda si rivolge alle scuole primarie e secondarie della provincia di Rovigo con progetti di prevenzione per gli studenti e le loro famiglie.
A scuola, quindi, si continua a fare ricorso alla didattica a distanza ma solo per chi è stato contagiato. Gli stadi tornano ad una capienza del 100 per cento e si accede con il Green pass base. E’ finito anche il ricorso al sistema delle regioni a colori. Il 30 aprile, invece, sarà il giorno in cui terminerà l’uso obbligatorio delle mascherine al chiuso. Il 1° maggio quello in cui non sarà più necessario esibire il Green pass. L’obbligo vaccinale per gli over 50 terminerà infine il 15 giugno prossimo. Le nuove regole a scuola. Con la cessazione dello stato di emergenza ci si muove in modo diverso anche nelle scuole, con una nuova revisione del protocollo adottato fino a fine marzo. I docenti non vaccinati potranno tornare a scuola, facendo un tampone, ma non possono stare a contatto con gli studenti. Resta l’obbligo di utilizzare le mascherine chirurgiche, ad eccezione dei bambini fino a sei anni d’età e dei soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso delle mascherine. Fino al 30 aprile le mascherine di tipo Ffp2 vanno comunque indossate sui mezzi di trasporto scolastici, ma non sono previste durante le attività sportive. Si raccomanda di mantenere il rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro, a meno che le condizioni logistiche non lo consentano. Tornano le uscite didattiche e i viaggi d’istruzione, comprese le partecipazioni alle manifestazioni sportive. Fino a tre casi positivi in classe per tutti gli studenti è prevista la frequenza con obbligo di mascherina chirurgica, se i casi sono almeno 4 tra gli alunni, le attività proseguono in presenza ma per docenti ed educatori e per gli stessi alunni che hanno un’età superiore ai sei anni è previsto l’uso di mascherine di tipo Ffp2 per dieci giorni dall’ultimo contatto con positivo. Nel caso si manifestassero sintomi è obbligatorio effettuare un test antigenico o molecolare. Basta contagi. Finisce lo stato di emergenza ma rimane la necessità di un comportamento responsabile e corretto al fine di ridurre il rischio dei contagi. “Basta contagi”: è un auspicio condiviso un po’ da tutti ma soprattutto una richiesta che viene dai più piccoli. Colpisce dunque il disegno, tra i tanti, che alcune settimane fa sono stati portati dal sindaco di Padova Sergio Giordani e dall’assessore all’Istruzione Cristina Piva al direttore generale dell’azienda Ulss 6 Euganea, Paolo Fortuna. Sono stati realizzati dagli studenti delle scuole di ogni ordine e grado della città. Rappresentazioni, con tecniche e linguaggi differenti, di cosa è stato il Covid per loro, come hanno vissuto la pandemia. Sono disegni realizzati per ringraziare il personale sanitario. Immagini che raccontano il virus, la paura, i vaccini, i tamponi e soprattutto la stanchezza generata da questa situazione. “Basta contagi”: è l’esclamazione che forte e chiara si legge in uno di questi disegni. E non si può deludere la richiesta così sensata di un bambino.
Salute Salute
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La ricerca. Il professor Emanuele Cozzi spiega l’importanza dell’innovativa scoperta
Le valvole cardiache biologiche che non si deteriorano, una nuova risorsa Un team di ricercatori internazionale guidato dall’Università di Padova scopre come evitare la risposta anticorpale che porta alla degenerazione dei tessuti delle valvole biologiche
L
e valvole cardiache biologiche ottenute da donatori animali ingegnerizzati possono evitare quella risposta anticorpale diretta verso le molecole zuccherine - normalmente presenti in valvole animali - che induce danni alla valvola impiantata e ne determina una sua degenerazione. E’ ciò che ha scoperto un team internazionale di ricercatori, coordinati dall’immunologo clinico Emanuele Cozzi, docente del dipartimento di Scienze cardio-toraco-vascolari e Sanità pubblica dell’Università di Padova. La ricerca è stata condotta nel contesto del Progetto Europeo TransLink, finanziato con un budget di 6 milioni di euro dal Settimo Programma Quadro della UE e ha coinvolto 14 partner appartenenti a 4 Paesi dell’Unione Europea (Italia, Spagna, Francia, Svezia), l’Inghilterra, gli Stati Uniti, il Canada ed Israele. Il risultato è stato pubblico sulla vista
scientifica “Nature medicine” col titolo “The role of antibody responses against glycans in bioprosthetic heart valve calcification and deterioration”. Nel mondo sono circa 400.000 i pazienti che, ogni anno, hanno bisogno della sostituzione di una valvola cardiaca. Per questi malati le valvole biologiche – ovvero le valvole di derivazione animale – sono le più idonee in quanto biocompatibili e, contrariamente alle valvole meccaniche, non necessitano di terapia anticoagulante. “Le valvole biologiche, usate per circa il 60% delle sostituzioni valvolari, presentano alcuni inconvenienti derivati soprattutto dal fatto che queste contengono degli antigeni zuccherini che invece non sono presenti nelle valvole umane – spiega il professor Cozzi -. Questi antigeni inducono una risposta immunitaria che aggredisce il tessuto delle valvole stesse e ne causa
A fianco il professore Emanuele Cozzi
un precoce deterioramento, soprattutto in soggetti giovani con un sistema immunitario efficiente. Per scongiurare questo pericolo i pazienti giovani ricevono valvole meccaniche che però necessitano di terapia anticoagulante: questo impone al paziente stili di vita e di lavoro con notevoli limitazioni, evitando tutto ciò che può causare traumi e conseguenti emorragie difficilmente contenibili”. I ricercatori hanno esaminato per un arco di 5 anni 1668 pazienti che hanno
ricevuto valvole biologiche presso i centri di cardiochirurgia dell’Ospedale Bellvitge di Barcellona, dell’Ospedale Universitario Vall d’Hebron di Barcellona, dell’Ospedale Universitario di Manitoba, dell’Ospedale Universitario di Nantes e dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, cercando di chiarire se la risposta anticorpale diretta contro le molecole di zuccheri presenti sulle valvole di derivazione animale potesse portare a un deterioramento valvolare precoce attraverso un processo di calcificazione.
“Il nostro studio ha dimostrato che, dal primo mese successivo all’impianto di valvole biologiche, il livello degli anticorpi diretti contro le molecole zuccherine aumenta significativamente – prosegue il professor Cozzi -. In un modello animale abbiamo visto come effettivamente la presenza di questi anticorpi sia in grado in un mese di causare depositi di calcio nelle valvole biologiche e quindi di determinarne il deterioramento. Al contrario, se impiantiamo valvole provenienti da animali ingegnerizzati in modo da non produrre le molecole zuccherine, gli anticorpi non “aggrediscono” la valvola e non inducono la calcificazione dei tessuti. Avremo così valvole biologiche che, da un lato, hanno una vita più lunga e, dall’altro, possono essere impiantate anche in pazienti giovani garantendo loro sicurezza e una migliore qualità di vita rispetto alla valvola meccanica”.
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Stili di vita
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La quotidianità presa con humor. I ricordi dello studente di allora che grazie alle Ferrovie dello Stato nei vagoni poteva finire lessato o in freezer
Chi andava in treno negli anni Ottanta viveva già gli impazzimenti del clima Quarant’anni fa la tratta Vicenza - Venezia offriva nei vagoni temperature che variavano dal tropico al polo. E poteva accadere che, in preda ai tormenti intestinali, si cercasse il bagno ma inutilmente. Ci si sentiva braccati come Cary Grant sul treno di “Intrigo internazionale”
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li impazzimenti climatici esistevano anche una volta: un mattino di gennaio del 1981, sveglia alle sei meno dieci e fuoriuscita dal piumone termobarico con passaggio shock da quaranta a dieci gradi, ma meno due percepiti. Si sopravviveva in modo semplice e intuitivo, ovvero tenendo su il pigiama verde salvia di maglia e infilandovi sopra pantaloni, calzini, camicia e maglione (mutanda e canotta già calzate sotto il pigiama, perché, si sa, uno studente universitario deve essere sempre operativo in sessanta luridi secondi). Quel mattino faceva un freddo così boia che dalle calotte dei lampioni erano scese aguzze stalagtiti di ghiaccio, robe che adesso si vedono solo nel Trono di Spade. Mio fratello Toni, matricola a Padova, ma in quanto precoce insegnante di musica, già automunito, mi disse serio: “Stamattina, andiamo in stazione in macchina”. Di solito ognuno si arrangiava per conto suo, autobus, bici, Lambretta. Ma quel mattino sapeva troppo da ritirata sul Don e accettai volentieri. Dopo una sbrigativa colazione prendemmo posto sui sedili in polietilenclorofenolato (pelle sintetica di caprone) della Fiat 850 blu inchiostro parcheggiata in strada. Fu come appoggiare le chiappe sulla banchisa polare calzando solo un paio di collant. Al binario due, insieme a una moltitudine di studenti in apparenza ciccioni, ma nella realtà tutti in triplo strato di pigiama, abiti e giacconi salimmo sul leggendario locale delle 6 e ventinove, più che un treno un viaggio nel tempo con gli scompartimenti in boiserie di castagno, lampade liberty e tende damascate. Sopra i poggiatesta le foto di Lerici, Sanremo, Gradara, Portofino, sotto i sedili invece, un soffione boracifero a trecento gradi che arrostiva i polpacci e lessava il fondoschiena. Questa alternanza di sbalzi estremi, dal polonord dell’8 e 50 al tropico delle 6 e 29, cominciarono a dare i loro nefasti effetti appena lasciata Padova e salutato Toni. Avevo ancora davanti a me il rosario di fermate Ponte di Brenta, Vigonza-Pianiga, Dolo, Mira, e Mestre, ma poco prima di Vigonza compresi che la mia pancia era qualcosa di altro da me e mi trovai a correre
sul corridoio verso la toilette in fondo al vagone. Chiusa. Corsi a quella del vagone successivo, chiusa. Andavo solo all’università e mi ritrovavo in un film di Hitchcock. In preda a spasmi inenarrabili, mi catapultai giù dal treno in ripartenza da Vigonza e entrai nel bar della stazionci-
na latrando “Una lemonsoda!”, nel mentre mi fiondavo ai servizi. Tornato alla vita, mi alzai dalla tazza grato e sorridente, ma fu questione di un attimo. Niente carta, niente sapone, niente di niente. Io, il cesso e la catenella penzolante dello sciacquone. Sacrificai le mutande e un calUn’immagine di Cary Grant nel film di Hitchcock “Intrigo internazionale” nella sequenza del treno
zino alle divinità Igiene e Profilassi, ma poi sorse il dilemma: buttarli nel cesso intasando le tubature fino a Marghera o metterli in cartella, contaminando libri e quaderni? Salii sulla tazza e riposi l’orrendo fagotto nella vaschetta dell’acqua in alto. Al banco, il barista mi indicò la Lemonsoda già sedimentata con una denudante alzata di sopracciglio. La ingollai d’un fiato, era da frigo e sicuramente non mi avrebbe fatto bene. Appena fuori arrivò quasi miracolosamente subito un diretto per Venezia, ma poi all’università un secondo attacco termointestinale mi portò via il secondo calzino e la maglia del pigiama (carta zero anche nei bagni dell’istituto). E tutto questo solo per spiegare perché, ogni volta che sento parlare di sconvolgimenti climatici, a me viene sempre in mente il barista della stazione di Vigonza Pianiga, cui vorrei sempre dare una stretta di mano. Ben igienizzata. Alberto Graziani
• Chi è Alberto Graziani
Vicentino, è giornalista, scrittore, disegnatore, vignettista. Collabora con testate nazionali, da “Il Fatto” ad “Avvenire”. E con “Il Vicenza”
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Libri
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L’ultimo libro dello studioso. È uscito “Qualche inverno prima” edito da Skira, che è molto più di un’indagine sulle raffigurazioni del periodo
Arte, natura e clima: ecco come le stagioni diventano un racconto grazie a Rigon Forte
L’inverno è indicato anticamente come un uomo che va a caccia nelle paludi perché quando la natura tace l’uomo torna preistorico e cacciatore. Però custodisce i semi in attesa del risveglio di Proserpina a primavera. Non tutti gli inverni furono uguali: i cambiamenti climatici dell’antichità favorirono le epidemie. Queste due furono le concause della caduta dell’impero romano
F
ernando Rigon Forte è uno studioso di altissimo livello e di conoscenze sterminate. L’arte è la sua specialità ed è il settore d’interesse per il quale è conosciuto, non solo in Italia; ma lui è anche un poeta, come confermano i suoi pregevoli volumetti pubblicati da Einaudi, ed è anche un profondo conoscitore di cinema e un appassionato di equitazione. Insomma, lui guarda il mondo a 360 gradi. Il suo valore di storico dell’arte è testimoniato dalla carica che riveste attualmente, quella di vicepresidente del consiglio scientifico del Centro internazionale di architettura “Andrea Palladio”. In passato, è stato direttore dei musei di Bassano negli anni Settanta e di quelli di Vicenza negli anni Ottanta, passaggio che fotografa con uno dei suoi folgoranti aforismi: “Sono passato da Yves Saint Laurent a madre Teresa di Calcutta”. Rigon è celebre per frustare il carattere dei vicentini, ma c’è da dire che quando arrivò lui, nel 1983, usò anche parole peggiori della metafora del lazzaretto. È persona di profonde conoscenze ma anche di vivace humor, è amico personale di moltissimi artisti (ricordiamo Federico Bonaldi, uno per tutti), di colleghi studiosi, di scrittori come Roberto Calasso, che voleva solo lui per spiegare cosa fosse il “rosa Tiepolo”; ma anche di architetti come Renzo Piano che ha conosciuto negli anni Settanta in Sardegna dalla comune amica Giulia Maria Crespi. L’ultimo suo libro voleva intitolarlo “Etimologie iconografiche”, perché – spiega – le forme hanno una loro etimologia come le parole. Poi ha ripiegato su un titolo più poetico e per Skira è uscito “Qualche inverno prima” che ha come sottotitolo “Iconografia delle stagioni”. Sono 350 pagine dense di notizie con ottocento (diconsi ottocento!) note. Se gli chiedete quanto ci ha messo a scriverlo, vi risponderà con una citazione di Jorge Luis Borges riferita al pittore James Whistler: “Quando gli chiesero quanto aveva impiegato a dipingere i suoi famosi Notturni, rispose: tutta la vita”. IN effetti, è così. Aggiunge che il capitolo più importante è l’ultimo, dedicato alla “Rinascita palladiana”. La ricerca di Rigon Forte sulle stagioni, anzi sulla loro rappresentazione, è minuziosa. Spiega che solo nel secondo secolo dopo Cristo, hanno ottenuto una codificazione: la primavera è individuata con i fiori, l’estate con le spighe, l’autunno con i frutti. E l’inverno? Le prime tre sono stagioni civili, quelle dell’agricoltura e del giardinaggio. L’inverno è più misterioso. La sua raffigurazione più significativa è quella della Villa del Falconiere ad Argo, in Grecia: l’inverno ha il volto di un uomo, ci sono un giunco, pesci e anatre. Perché? “Perché quanto tutto tace l’uomo torna preistorico – risponde Rigon Forte – cioè torna cacciatore. E l’habitat della caccia sono le paludi e le anatre”. L’inverno, anche in quella raffigurazione, ha il capo coperto, metà adombrato e metà umile. Spiega l’autore: “È l’atteggiamento protettivo di chi custodisce i semi nell’attesa che a primavera Proserpina risorga dagli inferi, come vuole il mito”. Non tutti gli inverni sono stati uguali, sia chiaro. Il cambiamento climatico che viviamo oggi è solo l’ultimo di una serie che provocò
La copertina del libro di Fernando Rigon Forte edito da Skira, che vediamo nell’altra immagine. Rigon è stato indimenticato direttore dei musei civici a Vicenza
effetti devastanti. Tant’è vero che, secondo Kyle Harper, nell’antichità romana il mutamento del clima si accompagnò, anzi favorì una pandemia devastante (forse una proto Ebola) e cambiamenti climatici assieme all’epidemia furono le vere concause della caduta dell’impero romano. La conferma arriva anche dall’iconografia, perché nel quinto secolo, quello appunto della caduta di Roma, le stagioni erano raffigurate vestite: insomma, faceva freddo. Proseguendo in equilibrio fra arte, natura e paesaggio, vale la pena di annotare qualche altro aforisma di Fernando Rigon Forte, così come esce dalla conversazione con lui, sempre piena di riferimenti. Volete sapere cosa pensa dell’attualità? “Abbiamo ridotto la Val Padana in una grande vasca da bagno dove tutti mettono i piedi senza mai cambiare l’acqua”. Ma l’allarme, come la campana citata da Hemingway, suona per pochi: “Bisogna levare di mano il Veneto ai veneti – frusta Rigon – perché non hanno coscienza d’aver ereditato non un paesaggio naturale, ma storico”. A proposito dell’arte e delle sue raffigurazioni: “Tiziano non ha rifatto la natura – spiega Rigon – bensì ha creato come fa la natura e questa capacità l’ha passata direttamente a Van Gogh. Che è stato un grandissimo becchino. Con lui l’arte, così com’era concepita, è morta. E poi arriverà Duchamp”. (a.d.l.)
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Enogastronomia
Il piatto tipico. La coltivazione dell’ortaggio, diffusa in tutto il Veneto, trova in questa zona uno dei risultati più apprezzati
Gli asparagi bassanesi, veri re della tavola Celebrati da Hemingway, la tradizione racconta che li portò a Bassano sant’Antonio. Ma non è vero. Da Giovanni Verga a Marcel Proust, da Maupassant e Le Carré sono molti i letterati che hanno inserito gli asparagi nei loro lavori
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essun altro prodotto del Veneto ha ricevuto una benedizione letteraria più illustre: di asparagi parla “Dì là dal fiume e tra gli alberi”, pubblicato da Ernest Hemingway nel 1950 e scritto fra Cuba, Cortina e Venezia. Arrigo Cipriani, neanche ventenne al tempo, se lo ricorda bene il vecchio Ernest che al tavolino nella “Stanza”, come lui chiama l’Harry’s bar, scriveva e prendeva appunti. Lo scrittore, che di lì a qualche anno riceverà il Pulitzer e il Nobel, è solo l’ultimo di una schiera di personaggi illustri che l’asparago ha incrociato nella sua millenaria vita. Tanto per ricordare qualche nome, ricordato da Giandomenico Cortese in un suo lavoro, c’è Guy de Maupassant che li cita in “Bel Ami”, Giovanni Verga nelle sue “Novelle Rusticane”, mentre Marcel Proust resta “rapito davanti agli asparagi, aspersi d’oltremare e di rosa”. Anche John Le Carrè in un suo racconto, “Single & single”, mette in tavola gli asparagi maturati nell’orto. L’asparago è patrimonio dell’umanità, d’accordo, ma nel Nordest è particolarmente di casa. I piatti legati a questo prodotto sono diventati tradizione: uova e asparagi alla bassanese, tanto per citare il più caratteristico, oppure il risotto o le fettuccine agli asparagi, la zuppa primavera, la crema di asparagi, il pasticcio oppure i bigoli agli asparagi, la frittata agli asparagi o quelli fritti in pastella… La materia prima arriva da 1800 ettari coltivati nel Veneto che
producono 10mila tonnellate di asparagi bianchi e verdi: si va dalle tremila tonnellate l’anno del Padovano, soprattutto concentrate a Pernumia, ai mille quintali ciascuno delle zone di Bassano e Cimadolmo; Arcole e il Veronese producono altre tremila tonnellate, ma vanno ricordate anche le coltivazioni Badoere, del Rodigino e del Veneziano. Seguendo le zone d’acqua, la produzione si allarga al vicino Friuli, in particolare alla zona di Tavagnacco: 250 gli ettari coltivati, 150 le aziende coinvolte e mille le tonnellate di asparagi prodotte.
Se il Friuli fa risalire la produzione a tre secoli fa, il Veneto ha perso la memoria di quanto antica sia la coltivazione, tant’è che parla di sant’Antonio da Padova come padrino del prodotto: non è assolutamente vero, perché il santo a Bassano aveva ben altro cui pensare che agli asparagi. Tuonava nelle chiese contro il vero peccato del tempo, che era l’usura dei banchieri. Oddio, anche oggi avrebbe da ridire… Però resta nella mente di tutti che la stagione degli asparagi va da san Giuseppe a sant’Antonio, dal 19 marzo al 13 giugno. Un retaggio
del tempo in cui i contadini erano analfabeti e misuravano le stagioni con il calendario della canonica. Il Veneto è il secondo produttore in Italia di asparagi, dopo la Puglia. Ma deve guardarsi da una consistente invasione, ormai in atto da parecchi anni, che è quella degli asparagi peruviani, una marea a buon mercato che sta conquistando spazio ovunque nei negozi e supermercati. Del resto il Perù è il secondo produttore al mondo: il primo, naturalmente, è la Cina. Siete avvisati. Antonio Di Lorenzo
Un piatto di tagliatelle agli asparagi bassanesi e uova & asparagi alla bassanese. Sono piatti classici della gastronomia di primavera
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Film e serie tv visti da vicino
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a cura di Paolo Di Lorenzo
Zingaretti: “Questo re riesce a sorprendere in qualsiasi momento” N
el 1791, il filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham mise a punto il Panopticon. Si trattava di una progettazione carceraria ideale imperniata su una torre centrale all’interno della quale un unico sorvegliante poteva tenere d’occhio tutti i detenuti della sua struttura senza che questi potessero avere la certezza di essere guardati a vista. Il nome arrivava da Argo Panoptes, il gigante della mitologia greca dotato di centinaia di occhi che facevano di lui un ottimo guardiano. Questo modello fu poi lo spunto per “1984” di George Orwell. Al Panopticon si ispirò anche il filosofo francese Michel Foucault, che nel suo saggio “Sorvegliare e punire” si rifece al modello di Bentham per rappresentare l’evoluzione del modello del potere. Secondo Foucault, nella società contemporanea il controllo non è più esercitato dall’alto verso il basso bensì è pervasivo, e si articola attraverso fitte relazioni che si intrecciano a formare il tessuto societario. Il Panopticon de “Il Re” un “prison drama” targato Sky, è senz’altro Bruno Testori, demiurgico direttore del carcere San Michele di Trieste. È una figura che ricorda il colonnelo Kurtz di “Apocalpyse Now”, ma Tesori sembra avere perfezionato un modello di ordine e presidio affidandosi ad un codice morale che si piega ai chiaroscuri del suo animo. “È un uomo smarrito, e in quanto tale compie delle azioni orribili, ma non mi sento nella posizione di poterlo giudicare”, sottolinea il suo interprete, Luca Zingaretti. Bruno sa essere al contempo spietato e misericordioso, a seconda dei propri scopi. Conosce a menadito le vite dei detenuti del San Michele – o così crede – ed è al corrente di ogni affare più o meno lecito che avviene tra le mura del carcere. Quando un duplice omicidio – prima quello del comandante e suo migliore amico, poi quello di un ergastolano, principale alleato di Bruno tra i detenuti – rischia di mettere a rischio il suo dominio e di compromettere il “metodo Testori”, il direttore sarà pronto a tutto pur di difendere il proprio regno dalle minacce interne ed esterne che lo insidiano. “Spero che Bruno piaccia per la sua capacità di sorprendere – commenta – il suo interprete, che aggiunge: “Ogni qualvolta si pensa di aver intuito la sua prossima mossa, Bruno fa l’impensabile e ti lascia sbalordito”. Il tema della giustizia fai-da-te trova una certa risonanza nelle attuali vicende internazionali: “Non c’è antidoto a chi pensa di essere sempre dalla parte del giusto. Bisogna sempre uscire da noi stessi per assicurarci che la nostra morale sia adeguata ai tempi, altrimenti ci rinchiudiamo in un soliloquio” afferma Luca Zingaretti.
Richelmy di “Portofino”: “Noi attori italiani siamo all’altezza degli stranieri” C
’è molta Italia in “Hotel Portofino”, co-produzione inglese targata Bbc e Itv ambientata nella Portofino degli anni Venti. La serie è un “period drama” inglese in piena regola, formula resa celebre nella storia contemporanea televisiva dal fenomeno “Downton Abbey”. È a Julian Fellowes – che è tornato, sempre su Sky Serie, con la sua nuova creatura “The Gilded Age” – che si deve la rifioritura di un genere ormai considerato cliché, con recenti successi come Bridgerton, Sanditon, Poldark e Belgravia. Hotel Portofino appartenente al filone dell’ “Upstairs Downstairs”, sottogenere delle serie in costume che prende il nome da una sit-com britannica degli anni Settanta che raccontava le vite dei nobili del piano di sopra e della loro servitù relegata al piano inferiore. Hotel Portofino racconta la storia di Bella Ainsworth (Natascha McElhone), la figlia di un ricco industriale britannico che si trasferisce a Portofino per aprire un hotel in puro stile british. Bella ambisce all’indipendenza economica e cerca di lasciarsi alle spalle il trauma della Grande Guerra che ha devastato la sua famiglia. Oltre agli ospiti internazionali che popolano l’hotel, fra gli avventori ci sono anche alcuni italiani. Tra loro il conte Carlo Albani (Daniele Pecci, visto recentemente in “Cuori”) con il figlio Roberto (Lorenzo Richelmy, “Marco Polo”), mentre Rocco Fasano (SKAM Italia) veste i panni di Gianluca Bruzzone, un giovane attivista antifascista di Portofino. “Il mio personaggio, Roberto, è molto distante da me, rappresenta il tipico dandy inglese di quegli anni - ha raccontato Lorenzo Richelmy a Tvserial.it - È stato divertente interpretare una persona così lontana dalla società da non avere alcun tipo di pregiudizio nei confronti delle persone che incontra”. Rispetto all’esperienza di “Marco Polo”, la serie in onda per due stagioni su Netflix prima di essere cancellata, Richelmy sottolinea: “Sul set di Marco Polo avevo il terrore di non essere all’altezza degli attori americani e inglesi con cui recitavo. Poi mi sono reso conto che fa parte del nostro retaggio culturale, di provincialismo”. L’attore ha le idee molto chiare sulla rivoluzione in atto nel settore audiovisivo italiano: “Tendiamo a sentirci sempre più piccoli di quello che stiamo in realtà. La nuova generazione di attori under-35 sarà in grado di portare all’estero qualcosa che agli stranieri manca e che gli italiani non sapevo nemmeno di avere”.