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Era vicentino il fan più acceso di Verdi

Era un conte che diventò famoso in tutta Italia per la sua passione. Scriveva al maestro lettere piene di lodi e d’affetto al punto che Verdi commentava: “È diventato tutto matto”

Quando un personaggio – artista, letterato o politico – raggiunge le vette della notorietà, si vede giocoforza proiettato in un mondo in cui il consenso del pubblico assume non di rado i contorni di un certo fanatismo. Ciò avviene oggi; ma accadeva con una certa frequenza anche nell’Ottocento. Lo sapeva bene Giuseppe Verdi, compositore fra i più amati di tutti i tempie a tutte le latitudini, che nel corso della sua lunga e gloriosa carriera – al di là dei consensi dai connotati esplicitamente politici – si trovò circondato da ammiratori quantomeno originali. Uno di questi, forse il più noto, era proprio un conte vicentino. Si chiamava Andrea Zorzi. Discendente di un’antica famiglia di chiare origini veneziane, aveva maturato nel corso degli anni una passione sfrenata per la musica del maestro bussetano; passione che aveva reso visibile permezzo di un oggetto, un bastone, che portava sempre con sé alle prime rappresentazioni del maestro, cui puntualmente presenziava.

Sul manico d’argento –come raccontava il suo amico Filippo Filippi, critico musicale fra i più rinomati del tempo – “ha cominciato con incidere il nome di Ernani, quando lo si rappresentò a Venezia nel 1843, e poi vi pose tutte le altre opere, in modo che ha dovuto allungare successivamente il manico del bastone, ed il Zorzi spera di arrivare fino al puntale”. Il prezioso cimelio, non si sa per quali vie oggi conservato alla Musashino Academia Musicae di Tokyo, divenne presto popolare nell’ambiente teatrale dell’epoca. Arrigo Boito, librettista delle ultime due opere di Verdi, ne scriveva divertito a quest’ultimo sul finire del 1890, quando si delineava all’orizzonte quella che sarebbe stata l’ultima opera del vegliar- do maestro, il Falstaff: “Bisogna incominciare l’anno sorridendo ed è perciò che le mando una lettera del buon Zorzi di Vicenza, ricevuta stamane, dove m’annuncia che lo storico bastone è già all’ordine”. E Verdi, di rimando, il giorno dopo: “Ridiamo pure! Quel povero Zorzi è decisamente matto!

E considera il Pancione (il Falstaff, appunto) come cosafatta, da metterlo su quel suo bastone, che deve es- sere a quest’ora completamente tarmato!”

L’eccesso e la stravaganza del conte vicentino suscitò comunque sempre l’amorevole benevolenza di Verdi, che quasi sempre apostrofava bonariamente il suo più accanito sostenitore per quello che lui riteneva un eccessivo entusiasmo: “Felice voi, ancora tanto giovane da entusiasmarvi di povere e vecchie cose!”, gli scriveva, ad esempio, in occasione dell’esecuzione della Messa da Requiem avvenuta all’Eretenio di Vicenza dopo che Zorzi gli aveva mandato un telegramma carico di entusiasmo e di lodi.

Ma... a proposito di esecuzioni vicentine: memorabile la rappresentazione della seconda versione de “La forza del destino”, avvenuta nell’estate del 1869, sempre nella splendida cornice del teatro Eretenio. L’opera, nella sua nuova veste, era stata data una sola volta in Italia, in quello che era ed è tuttora il tempio sacro della lirica: La Scala di Milano. L’aspettativa, dunque,era enorme in tutto il Veneto, anche in funzione del fatto che il cast ingaggiato era veramente stellare: Teresa Stolz, Gaetano Fraschini e Virginio Collini (come dire, alcune delle voci più belle d’Europa), dirette dalla bacchetta del celebre Angelo Mariani.

Le rappresentazioni totali in cartellone furono dodici, con un teatro che si presentò sempre affollato anche di forestieri.

All’evento, ovviamente, non poteva mancare Andrea Zorzi che, manco a dirlo, rimase folgorato dall’esecuzione e dalla musica. “È diventato matto affatto affatto!” – commentava per lettera Verdi ad un suo amico che aveva raccolto le esternazioni emozionate del vicentino – “I pezzi a solo e i duetti fra Collini, Stolz, Fraschini gli sono andati al cervello, e finiranno col metterlo all’ospedale”. Quella che si dice: la sana malattia del melomane.

Oreste Palmiero

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