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Baracca solo di nome, la frittura è chic

Si chiama “Baracca” ma lo è solo di nome perché la cucina è classica, con piatti ben eseguiti e di gusto. La frittura poi, il pezzo forte del locale, situato a Borgo Casale dopo il cavalcavia sull’autostrada, è davvero chic: asciutta, croccante e digeribile. Ma anche un piatto come i tagliolini ai piselli e asparagi è assolutamente corretto. Interessanti anche le carni. Non ci si deve meravigliare di questi risultati perché alle spalle ci sono oltre 70 anni di esperienza. Il locale è nato infatti nel 1950 grazie a Luigia Bertuzzo che acquistò quella che allora era davvero una baracca dismessa. Diventò presto un ritrovo sia come dopolavoro che per le famiglie. I piatti allora celebri, che comunque sono arrivati fino ad oggi, sono proprio quelli della tradizione fluviale vicentina: l’anguilla in umido, la famosa “bisàta”, e la frittura di “pesce popolo” vale a dire il pescetto.

La caratteristica della Baracca è un’ambientazione davvero affascinante: il locale si trova sull’ansa del Bacchiglione e d’estate è particolarmente d’effetto mangiare all’aperto sotto i grandi alberi con la vista su quel fiume che è stato cantato perfino da Dante, anche se lui ne parlava per sanguinose vicende militari e a motivo di vescovi gay trasferiti.

Il figlio della signora Luigia, Umberto Merlo prende in mano la gestione del locale negli anni Ottanta quando la baracca si trasforma in una vera trattoria. Umberto aveva un fratello di nome Orfeo. Adesso siamo alla terza generazione: la titolare del locale è la moglie di Umberto, vale a dire Maria Lidia ed è ancora lei che spesso cucina la famosa frittura. Il responsabile della cucina è Danilo Minuzzo, ma la gestione della trattoria è affidata a Debora Merlo (proprio così, senza l’acca) secondogenita, assieme ai fratelli Carla e Massimo.

È proprio la passione che motiva i fratelli Merlo a lavorare nella trattoria di famiglia: Carla è infatti avvocata in uno studio a Torri di Quartesolo mentre Debora fino a tre anni fa ha lavorato come responsabile commerciale per l’estero per la Sitland di Nanto che produce sedie. Questo non le ha impedito di occuparsi contemporaneamente di vivande e vini. Vale la pena andare ad assaggiare i loro piatti tenendo conto anche di un favorevole rapporto tra qualità e prezzo. Meglio prenotare qualche giorno prima perché il locale è sempre affollato.

Antonio Di Lorenzo

Quandonel novembre 2007 il sindacato degli sceneggiatori americani incrociò le braccia - per cento giorni - interrompendo le produzioni di film e serie nel pieno della stagione, furono molti i titoli a non riprendersi più dal crollo.

Serie come “Heroes” e “Prison Break” non furono più in grado di ritrovare la via per il cuore del pubblico che - soltanto dodici mesi prima - le aveva incoronate rivelazioni dell’anno. Da inizio maggio, la Writers Guild of America sta protestando per ottenere un contratto più equo rispetto a quanto lo scenario mediale sia cambiato rispetto all’ultima protesta di quindici anni fa.

Non esiste intelligenza artificiale che tenga: “ChatGPT non ha traumi dall’infanzia”, si leggeva su un cartellone che campeggiava tra i picchetti fuori dagli studios di Los Angeles. Sono momenti come questo che pongono l’accento sull’importanza della scrittura, che è come la cucina: quando è buona, tutti se ne accorgono. È anche il caso di “Silo”, ambiziosa produzione disponibile su Apple TV+.

Tratta dai romanzi di fantascienza di Hugh Howey, la serie con protagonista Rebecca Ferguson - anche produttrice - racconta la storia di un gruppo di supersititi che, per scampare a un mondo funestato dall’aria incompatibile con la vita, si è rifugiato sottoterra, vivendo in enormi silo. Qui la società segue regole ben precise volte a tutelare quel poco di umanità che è rimasta.

Serie distopiche ne abbiamo viste tante negli ultimi anni ma “Silo” è in grado, con una scrittura avvincente, di presentare uno spettacolo che trova in “Lost” un paragone più che meritato.

La struttura narrativa è salda e si regge su temi attualizzati - come gli autoritarismi e i diritti riproduttivi - che non vengono mai banalizzati dall’elemento fantascientifico.

Con “Silo” Apple alza l’asticella delle proprie produzioni originali confermando - non che ce ne fosse bisogno - di giocare in un campionato tutto suo. A riprova che quando si investe nelle storie e in chi le sa raccontare, i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

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