Anno XXXIII N. 4 Giugno / Luglio 2012 Euro 2,00 Testimonianze
Alphonse De Lamartine
Mostre - Jean
Marie Manzoni Protagonisti gli uccelli
Forio e la festa di San Vito descritte da A. Kannengiesser
Rassegna Libri
Capua il Museo della memoria
Il sarcofago paleocristiano
Fonti archivistiche
a Napoli, Procida e Casamicciola (II)
Duomo di Monte Vico
Carta geologica - Guida e Itinerari geologico-ambientali Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Dir. responsabile Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia Anno XXXIII - N. 4 Giugno / Luglioo 2012 Euro 2,00 Periodico di ricerche e di temi turistici, culturali, politici e sportivi Editore e Direttore responsabile : Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia Via IV novembre 25 - 80076 Lacco Ameno (NA) Registrazione Tribunale di Napoli n. 2907 del 16.02.1980 Iscritto al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 8661.
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Sommario 3 Motivi
4 Lacco Ameno Convegno di studi sullo sviluppo possibile 6 Ex libris
12 Testimonianze Il sarcofago paleocristiano d’Ischia 18 Alphonse De Lamartine - II 22 Procida - Mostra di A. Righi
24 Mostra ai Giardini Ravino di Forio Jean Marie Manzoni 28 Carta geologica dell’isola d’Ischia 29 Guida geologico-ambientale 34 Religiosa Archiviorum Custodia
36 Cinema La kryptonite nella borsa 37 Premio Ischia Internazionale di Giornalismo 38 Capua : il Museo della memoria
42 Fonti archivistiche (Sant’Angelo) 46 “Le due Italie” - L’unificazione....... 49 Rassegna Libri 51 Forio e la festa di San Vito 53 Premio Ischia di Architettura 54 Ischia Film Festival
Eventi giugno/luglio 2012 Dal 22 al 29 giugno a Forio seconda edizione della manifestazione Torri in festa - Torri in luce. Il 29 e 30 giugno si svolgerà la XXXIII edizione del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo; il 29 presso l’Hotel Regina Isabella di Lacco Ameno dibattito sul tema “La comunicazione ai tempi di Twitter” ed inoltre il vincitore del Premio incontra la stampa italiana – Il 30 giugno al Pazzale del Soccorso di Forio consegna dei premi con una cerimonia ufficiale condotta da Tiberio Tiberi e da Nancy Brilli che poi andrà in onda su RAIUNO sabato 7 luglio, alle ore 22.45. Dal 30 giugno al 7 luglio si svolgerà la X edizione dell’Ischia Film Festival, concorso cinematografico internazionale dedicato alle opere che abbiano valorizzato il territorio attraverso la scelta delle location. All’interno della manifestazione sono previsti anche convegni e mercato dedicati alle location cinematografiche. Dall’8 al 15 luglio si svolgerà l’Ischia Global Fest, dedicato quest’anno al cantautore recentemente scomparso Lucio Dalla. Protagonista della decima edizione sarà anche Liz Taylor con una mostra fotografica di Richard Young. Dei due notissiimi personaggi sarà ricordata la loro carriera ricca di successi. Dal 22 al 26 luglio Festa a Mare agli Scogli di Sant’Anna e Palio dei Comuni. Lo spettacolo che si tiene agli scogli di Sant’Anna ad Ischia Ponte ha un fascino intramontabile, unico al mondo per suggestione e bellezza della cornice paesaggistica. La sfida per il Palio, la magia dell’incendio del Castello Aragonese ed i fuochi d’artificio richiamano migliaia di spettatori che ogni anno assistono ammirati da terra, sugli scogli, in mare, dalle case sulle colline. Le opinioni espresse dagli autori non impegnano la rivista La collaborazione ospitata s’intende offerta gratuitamente - Manoscritti, fotografie ed altro (anche se non pubblicati), libri e giornali non si restituiscono - La Direzione ha facoltà di condensare, secondo le esigenze di impaginazione e di spazio e senza alterarne la sostanza, gli scritti a disposizione. conto corrente postale n. 29034808 intestato a Raffaele Castagna - Via IV novembre 25 80076 Lacco Ameno (NA) www.larassegnadischia.i www.ischiainsula.eu info@larassegnadischia.it rassegna@alice.it
MOTIVI Non c’è informazione senza la trasparenza - La Federazione Nazionale della Stampa Italiana ha lanciato il 14 maggio 2012 un appello affinché il Parlamento italiano approvi una legge sulla versione del “Freedom of Information Act”, la legge sul diritto d’accesso ai dati della pubblica amministrazione istituita in Svezia e in Finlandia dopo la seconda guerra mondiale, adottata dagli Stati Uniti nel 1966 ed ora diffusa in oltre settanta paesi. Gli obiettivi di questa “vera” legge sul diritto all’accesso agli atti della Pubblica Amministrazione sono stati illustrati con estrema chiarezza da Giovanni Valentini, sottoscrittore dell’appello, sulla Repubblica di sabato 12 maggio. Si tratta di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di un rapporto paritario tra cittadino e pubblica amministrazione e di impegnarsi per una revisione della legge sul diritto all’accesso che risale al 1990 (n.241) e che è stata “in pratica vanificata ed elusa”. La legge 241 del 1990 prevedeva che ogni Comune, ogni Pubblica Amministrazione, costituisse un Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP), dove ogni cittadino poteva recarsi per sapere cosa fa la pubblica amministrazione, per avere copia degli atti pubblici entro 30 giorni dalla domanda. L’URP doveva essere l’ufficio della Comunicazione e poteva anche unificarsi con quello dell’Informazione, cioè l’Ufficio Stampa diretto da un giornalista con alta professionalità nel settore. Ma la legge è stata “vanificata ed elusa”. Infatti non prevede una sanzione penale per il sindaco che non risponde nei 30 giorni alla richiesta del cittadino. Una riforma mancata. Ma una completa legge sulla trasparenza, sul diritto all’accesso agli atti, è fondamentale per i giornalisti per “scrivere bene” le loro note. I giornalisti trovano un “muro di gomma” per conoscere i dati, i numeri, non solo negli amministratori ma anche nei funzionari e così la riforma o la completa applicazione della legge 241/90 si inquadra nella ultra pro-
Raffaele Castagna pagandata efficienza della Pubblica Amministrazione. Giovanni Valentini conclude il suo articolo sostenendo che, “se la democrazia si fonda sulla libertà d’informazione, questa a sua volta si deve fondare sulla massima trasparenza” (Giuseppe Mazzella). Ischiacard con nuovi servizi e promozioni - IschiaCard è la carta multiservizi dell’isola d’Ischia, compagna irrinunciabile per chiunque voglia trascorrere un piacevole soggiorno ad Ischia, coccolato da tutti gli incredibili vantaggi e dalle fantastiche promozioni previste dalla card. Ma non si tratta solo di sconti: ogni struttura o servizio convenzionato con Ischiacard è fornito sotto la stretta supervisione della struttura a ciò delegata e deve rispondere a precisi standard di qualità/prezzo. Ischiacard mette a disposizione un numero verde 081 333 02 57, disponibile tutti i giorni, a cui tutti gli associati possono richiedere informazioni di ogni tipo sull’isola d’Ischia, e non solo su pacchetti e convenzioni. I titolari della IschiaCard hanno quindi la possibilità di migliorare decisamente la propria vacanza nella nostra isola accedendo ad una serie di servizi ed opzioni fin dalla partenza da qualsiasi località nel mondo. Per maggiori info e dettagli visitate il sito www.ischiacard.it Museo Pithecusae - La storia di Ischia dalla preistoria all’età romana è racchiusa tra le mura dell’edificio principale del complesso di Villa Arbusto che ospita il museo. La villa è un particolare edificio di fine settecento adesso di proprietà del Comune di Lacco Ameno. Tre le sezioni principali che espongono i reperti delle diverse epoche rinvenuti sull’isola: la Preistorica con oggetti del neolitico, età del bronzo e del ferro composta per lo più da materiali ceramici e litici. Il periodo greco che raccoglie la corposa collezione dei reperti della colonia greca di Pithecusae. Così chiamarono Ischia gli Eubei che vi si insediarono nel VII sec. a.c., per alcuni isola delle scimmie (i malefici Cercopi abitanti delle terre vulcaniche), per altri l’isola dei
vasi. Una parte è dedicata agli oggetti che testimoniano le prolifiche attività commerciali di Pithecusae con Oriente, Grecia, Spagna Puglia e Sardegna. Un’altra alla raccolta di corredi funerari provenienti dalla Necropoli di San Montano, di cui fanno parte i più importanti i vasi pitecusani, come la famosa tazza da Rodi sulla quale è inciso, in alfabeto euboico, un epigramma che allude alla celebre coppa di Nestore descritta nell’Iliade. Il periodo romano, di cui fanno parte i rilievi votivi in marmo dal santuario delle Ninfe, presso Nitrodi (Barano), e dei lingotti in piombo e stagno della fonderia sommersa di Carta Romana. Buona parte di questo patrimonio archeologico di inestimabile valore ha ritrovato la luce grazie agli scavi effettuati da Buchner a partire dal 1952 (dal sito della Regione Campania).
Museo Angelo Rizzoli - Agli inizi degli anni 50 Angelo Rizzoli, fondatore della nota casa editrice, visita per la prima volta Ischia e subito se ne innamora. Nell’arco di circa dieci anni vi costruisce alberghi, terme, un ospedale e altre opere trasformando un’isola di pescatori e contadini in una località turistica di richiamo internazionale. Il museo dedicato all’imprenditore ha sede presso Villa Arbusto a Lacco Ameno. L’intero complesso della collina dell’Arbusto fu acquistato e ristrutturato dall’imprenditore nel 1952, che lo fece diventare luogo di incontro per tantissimi personaggi celebri italiani ed internazionali. Oggi Villa Arbusto è stata acquistata dal Comune di Lacco Ameno ed è sede del Museo Archeologico di Pithekoussai e del Museo Angelo Rizzoli che comprende sezioni dedicate alla vita, all’opera e alle attività editoriale e cinematografica dell’industriale milanese. Oltre cinquecento immagini documentano il periodo in cui si concretizzò il suo impegno. Grazie a lui l’isola d’Ischia divenne meta di personalità della politica, del cinema, del giornalismo, dell’economia e delle scienze (dal sito della Regione
Campania).
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Lacco Ameno
Convegno di studio sullo sviluppo possibile
Si è svolto a Lacco Ameno, nell’Auditorium del Grand Hotel delle Terme di Augusto, il 21 aprile 2012, un convegno nazionale di studio organizzato dall’Osservatorio sui fenomeni socio-economici dell’isola d’Ischia (OSIS), dal Movimento per la Riscossa Civile di Casamicciola, dall’Associazione Nazionale delle Società di trasformazione Urbana (ASTUR) con il seguente tema: Lo Sviluppo possibile: una società di trasformazione urbana (STU) per la coesione economica e sociale dell’isola d’Ischia con un Piano di Recupero ed un Piano per il Lavoro. Relatori al convegno sono stati il giornalista Giuseppe Mazzella, segretario dell’OSIS, l’avv. Antonio Carotenuto, presidente del Movimento “Riscossa per Casamicciola”, l’ avv. Renato Perticarari, presidente dell’Associazione delle Società di Trasformazioe Urbana (ASTUR), il prof. Stefano Stanghellini, professo-
re ordinario IUAV di Venezia, l’avv. Vanessa Boato dello Studio Legale DLA Piper di Roma, il dottor Franco Borgogna, presidente dell’OSIS. Hanno partecipato tecnici, urbanisti, amministratori locali, ed una delegazioni di studenti dell’ultimo anno dell’Istituto Tecnico per ragionieri e geometri “Enrico Mattei” di Casamicciola.
Nell’isola d’Ischia l’espansione economica legata al turismo è nata nel secondo dopoguerra sulla scia della realizzazione dei grandi alberghi a Lacco Ameno di Angelo Rizzoli (1888-1970), ma non sono mai state avviate una Programmazione Economica né una Pianificazione Territoriale, tanto che soltanto nel 1995 è stato approvato un Piano Paesistico da parte dell’allora Ministro ai Beni Culturali, Antonio Paolucci, ai sensi della Legge Galasso del 1984 dopo undici anni di inadempienza legislativa della Regione Campania. Il piano Paolucci impe-
Da sinistra Franco Borgogna, Antonio Carotenuto, Giuseppe Mazzella, Vanessa Boato, Stefano Stanghellini, Renato Perticarari
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disce qualsiasi nuova costruzione. Si stima che i vani abusivamente realizzati dal 1970 ad oggi siano oltre 100mila, mentre deve ancora essere approvato dai Comuni, con il parere vincolante della Soprintendenza ai Beni Ambientali, un piano di dettaglio dei due condoni edilizi del 1985 e del 1995 con circa 20mila pratiche. L’isola d’Ischia è esclusa dall’applicazione del terzo condono edilizio del 2003. Si può avviare nell’isola d’Ischia una Programmazione realistica, pur in presenza di un Piano Paesistico o urbanistico-territoriale che vieta ogni nuova costruzione? È praticabile uno sviluppo possibile per consolidare una crescita economica che appare ipermatura, capace di dare nuova occupazione soprattutto giovanile in considerazione che nell’isola ci sono oltre tremila studenti delle superiori con quindici indirizzi di studio che producono ogni anno almeno 500 diplomati? Ci sono aree industriali legate all’antica economia termale dismesse che possono essere utilizzate per uno sviluppo più ordinato capace di creare nuova occupazione? Queste aree possono essere recuperate con l’applicazione dell’art. 120 del Testo Unico sugli Enti Locali che prevede la possibilità per i Comuni di costituire Società di Trasformazione Urbana che possono espropriare o ottenere consensualmente gli immobili fatiscenti a prezzo di mercato? Come avviare una finanza di territorio ed un marketing territoriale in piena recessione economica? È stato spiegato che l’innovazione normativa che ha introdotto le Società di Trasformazione Urbana (STU) risale al 1997, ed è contenuta nella legge 127/1997 (la cosiddetta “Bassanini-bis”), che al comma 59 dell’articolo 17 disciplinava, in modo piuttosto scarno, le modalità di costituzione e di funzionamento di tali società e, caso inusitato, fissava in pratica lo stesso oggetto so-
ciale delle future S.T.U.: «progettare e realizzare (quindi commercializzare) interventi di trasformazione urbana in attuazione degli strumenti urbanistici vigenti».Tale disposizione è stata poi integralmente recepita nell’articolo 120 del nuovo testo unico degli enti locali ed ha trovato una sua parziale fonte interpretativa nella Circolare del Ministero LL. PP. dell’11.12.2000. Ciò evidentemente consente che i privati coinvolti quali partner imprenditoriali possano fin dall’inizio partecipare attivamente alle scelte progettuali che determinano l’individuazione dei limiti e delle condizioni dell’intervento. Questo aspetto, peraltro, è destinato ad assumere sempre maggiore rilievo con il diffondersi di un modello di pianificazione urbanistica che tende a individuare nel piano regolatore generale lo strumento per la definizione delle scelte di fondo e “non negoziabili” in merito all’uso del territorio; mentre la pianificazione di secondo livello è destinata a dare concreta attuazione, in un arco temporale più limitato, a quelle scelte che il piano regolatore ha definito in via generale. Nel caso dei sei Comuni dell’isola d’Ischia il punto di riferimento è il Piano Urbanistico Territoriale del Ministro Paolucci approvato nel 1995 e “sovraordinato” rispetto ai PRG dei sei Comuni e l’assoluta inadeguatezza di questo Piano ipervincolista incompatibile in una economia aperta è stata sottolineata nei loro interventi dall’urbanista Sebastiano Conte e dal prof. Francesco Luigi Rispoli dell’Università Federico II di Napoli. Quello delle modalità di acquisizione delle aree su cui si deve sviluppare l’intervento di trasformazione urbana è uno dei punti qualificanti per delineare il concreto funzionamento della STU. Ma è anche un aspetto su cui la disciplina legislativa non aiuta a fare chiarezza. Il comma 2 dell’articolo 120 stabilisce infatti da un lato che la STU
deve provvedere alla preventiva acquisizione delle aree interessate all’intervento e, dall’altro, che tale acquisizione può avvenire consensualmente o tramite ricorso a procedure espropriative. L’acquisizione delle aree con il procedimento di esproprio è effettuato dal Comune, ma beneficiario dell’esproprio è direttamente la STU, su cui grava il pagamento dell’indennità. Va peraltro rilevato che l’esproprio è attivabile relativamente a tutte le aree da acquisire, poiché la delibera del Consiglio comunale che individua le aree oggetto di intervento vale come dichiarazione di pubblica utilità anche per le aree non direttamente interessate da opere pubbliche (comma 3). È praticabile la possibilità che i proprietari delle aree diventino soci della STU conferendo nella stessa le aree (fabbricati e terreni). La Società è uno strumento potenzialmente dirompente per i paludati percorsi amministrativi dell’urbanistica, come ha rimarcato l’avv. Renato Perticarari, Presidente dell’Associazione Nazionale della Società di Trasformazione Urbana. A tal fine, tre sono i pilastri fondamentali su cui si può reggere la fortuna di questo istituto: 1. L’individuazione da parte dell’ente locale di un obiettivo ritenuto strategico per la collettività amministrata, ma al contempo non facilmente (e non in tempi brevi) raggiungibile con risorse autonome, perché queste aree sono giuridicamente inagibili, essendo di proprietà privata e quindi incommerciabili con i normali strumenti del Codice Civile. 2. L’acquisita consapevolezza che per il raggiungimento di tali obiettivi può risultare indispensabile il concorso dei privati o di più Enti Locali (Regione e Provincia). 3. Il superamento, per ottenere tale concorso, di ogni pregiudiziale, non solo ideologica, al riconoscimento di un concreto vantaggio per i privati che sono chiamati a realizzare anche l’obiettivo pubblico.
Per le aree dismesse dell’isola d’Ischia giuridicamente inagibili (spezzettamento delle proprietà, conflitti fra eredi, enti morali o pubblici senza risorse finanziarie) -- Casamicciola: il complesso del Pio Monte della Misericordia ed il Bacino Termale di La Rita - Lacco Ameno: l’ ex-complesso alberghiero-termalecommerciale La Pace - Ischia: il cosiddetto Centro Polifunzionale - Barano: l’area termale di Olmitello ed altre ancora da individuare, complessivamente circa 100mila mc di superficie coperta -- la STU, che dovrà essere pluricomunale cioè costituita dai sei Comuni (Ischia, Casamicciola, Lacco Ameno, Forio, Barano e Serrara Fontana) interessando una popolazione di circa 65mila abitanti a norma del decreto n.78/2010 art.14 è lo strumento indispensabile per uno Sviluppo Possibile in un’area turistica matura capace di consolidare il sistema e creare nuove opportunità di lavoro soprattutto per i giovani. La STU diviene quindi uno strumento per un piano di recupero di immobili, auspicato con recenti provvedimenti dalla Regione Campania, ed un piano per il lavoro capace di rimettere in moto l’edilizia pubblica e privata nel tempo immediato e di creare nel medio periodo notevole occupazione giovanile. I due Piani redatti, dopo un serio strumento di fattibilità, sono ideati, progettati ed attuati dai sei Comuni dell’isola d’Ischia nella piena attuazione del principio di sussidiarietà dell’Unione Europea per lo Sviluppo Locale in una economia solidale. La STU, come ha sintetizzato l’avv. Renato Perticarari, è «lo strumento giuridico e finanziario per una economia solidaristica dell’isola d’Ischia per una coesione economica e sociale in attesa di una unificazione amministrativa in un unico Comune che appare necessaria ed inevitabile».
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Ex libris La Riviera di Napoli di H. M. Vaughan
II edition, London 1908 * (...) Da Torregaveta, piccoloa stazione della Ferrovia Cumana, che attraversa il distretto classico dei Campi Flegrei, siamo rapidamente trasportati con un vaporetto costiero oltre il promontorio di Miseno all’isola e al porto di Procida, l’ “alta Prochyta” di Virgilio. Anche se il poeta chiama l’isola “alta”, essa è notevolmente piana, considerando la sua origine vulcanica, poiché Procida e Ischia sono state senza dubbio unite in epoche remote, come congetturò giustamente Strabone. L’unica sua eminenza è la Rocciola, il castello che incorona la collinetta a nord-est dell’isola, e questa collina deve aver attirato primamente l’attenzione del nocchiero di Enea, per cui forse l’epiteto è dopo tutto non così fuori luogo come sembrerebbe a prima vista. Dissodata con cura e densamente popolata, l’isola produce una gran quantità di frutti, verdura, e olio d’oliva, che vengono venduti nel mercato di Napoli, e in antichità non fu possesso romano, non ha chiese medievali, non opere d’arte, ma soltanto poche bellezze naturali sono le sue attrattive che vi richiamano gli stranieri. I suoi abitanti, che sono principalmente agricoltori, sono grandi lavoratori e indipendenti, e contenti anche di conservare gli usi e i costumi dei loro avi, e di continuare l’uso del loro costume nazionale, in modo che le feste di Procida hanno più interesse e colore locale rispetto a quelle di Capri o Sorrento. Non interessati al progresso del mondo esterno, non attratti dal denaro del forestiere, i Procidani perseguono il tenore anche dei loro vecchi usi, non invidiosi dei loro vicini in terraferma. Ci fermiamo al porto di Procida, con le sue case variopinte dai tetti piatti che costeggiano il molo e s’elevano sul dolce pendio verso la Rocciola. Da lì, costeggiando le fertili rive dell’isola, e passando l’isolotto di Vivara, si giunge in vista del promontorio scosceso sul quale è appollaiata la grigia massa del Castello di Ischia,.. Coperto dalla base alla cima con erbaccia, lentisco, cisto aromatico, e ogni pianta che ama il sole, il vento e la schiuma salata del Mediterraneo, l’enorme rupe si erge solitaria e maestosa dalle profonde acque azzurre. Se visto al sole brillante sotto un cielo senza nuvole, o durante il cattivo tempo, quando il mare spinge le sue onde sul ponte di pietra che congiunge lo scoglio isolato con la cittadina di Ischia, la prima vista di questo storico castello è singolarmente impressionante. Né è diminuita la sua imponenza al nuovo approccio, poiché la salita alla sua torre più alta ci conduce attraverso un labirinto di scale e misteriosi passaggi sotterranei, attraverso camere a volta e curiosi giardini * The Naples Rivera, by Herbert M. Vaughan, IB. A. (Oxon.), II edition, London 1908
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a cura di Raffaele Castagna
pensili di una piattaforma aerea, che gode di una meravigliosa vista in ogni direzione sulla terra e sul mare. Costruito da Alfonso V d’Aragona nel XV secolo, questo masso enorme, metà fortezza e metà palazzo, è famoso negli annali italiani per la sua lunga associazione con la nobile poetessa Vittoria Colonna, marchesa di Pescara. Nata nello storico castello di Marino, vicino a Roma, una delle roccaforti della grande casa feudale dei Colonna, la poetessa divenne nella sua infanzia, su iniziativa del re Ferdinando di Napoli, la fidanzata del giovane erede della famiglia d’Avalos, governatori ereditari dell’isola d’Ischia. La sorella maggiore del marito-fidanzato di Vittoria, Costanza d’Avalos, la vedova Duchessa di Francavilla, era la “castellana” di Ischia durante la minore età di suo fratello, cosiché era naturale che la promessa sposa dovesse essere inviata a dimorare con Costanza in questo castello. Qui Vittoria sotto la tutela di Costanza crebbe fino all’età adulta in mezzo al clima intellettuale del Rinascimento italiano, e qui fu addestrata a diventare uno delle più dotte e più interessanti figure che l’Italia produsse in questo periodo. Senza figli nel suo precoce matrimonio a diciotto anni, e con il marito spesso, per non dire di solito, impegnato in spedizioni militari sulla terraferma, Vittoria ebbe l’opportunità di coltivare la sua mente e di incontrarsi nel suo palazzo cinto dal mare con uomini di genio. I poeti Caritco e Bernardo Tasso (il padre di Torquato Tasso), erano frequentatori di questo
Superbo scoglio, altero e bel ricetto, Di tanti chiari eroi, d ‘imperatori, Onde raggi di gloria escono fuori, Ch’ogni altro lume fan scuro e negletto.
(…) Ischia è di per sé una pittoresca città di case sparse, in possesso di una piccola cattedrale di antica fondazione, ma modernizzata dentro e fuori, il suo unico elemento di interesse è un curioso fonte battesimale che poggia su leoni di marmo. Il fascino della città si trova soprattutto nelle scene affollate che ogni giorno si possono vedere sulla sua spiaggia e sul ponte di pietra che conduce al Castello, dove una gran parte della popolazione sembra passare molto del suo tempo nella riparazione delle scure reti da pesca o nel pitturare sfarzosamenre le barche. Quasi adiacente al margine della piccola capitale delll’isola è Porto d’Ischia, con un porto profondo circolare che un tempo fu il cratere di un vulcano spento, in cui si vedono in rada vari tipi di imbarcazioni da pesca del Mediterraneo. Vicino al porto, nascosto tra i boschetti di aranci e limoni che nel periodo invernale sono carichi di brillante o pallida frutta gialla, sorge una bella villa antica dei re Borbone di Napoli, un tempo residenza estiva preferita di Sua Maestà il Re Bomba. I Reali hanno da tempo abbandonato Ischia, e la villa è stata ora trasformata in stabilimento di bagni. Al di là del suo parco si estende una estesa foresta di pini, abbellita in primavera con le margherite, le calendole e gli
anemoni, e persino nel mese di febbraio rallegrata con ossali gialle e odorose con il profumo di viole nascoste. La strada da Ischia a Casamicciola, una distanza di quattro miglia, conduce lungo le falde del Monte Epomeo tra oliveti e vigneti, le pareti imbiancate a calce delle case, i tetti a cupola e cisterne, e i frequenti ciuffi di aloe o fichi d’indie che danno un aspetto orientale al paesaggio, anche se il forte tintinnio dei campanacci delle pecore tra i cespugli di bianca erica e la macchia di scuro mirto sui fianchi delle colline e il continuo mormorio delle onde che si infrangono sulle rocce sottostanti, servono a ricordarci che siamo sulla Riviera napoletana. La nostra meta è finalmente raggiunta, la strada attraversa la profonda valle del Gurgitello con i suoi bagni di zolfo, che una volta avevano una grande reputazione e sono ancora molto frequentati nei mesi estivi dal popolo di Napoli. Sebbene le fonti delle sorgenti siano state certamente danneggiate dal terremoto del 1883, gli stabilimenti balneari sono stati ricostruiti, e un discreto numero di pazienti ancora una volta si avvalgono di queste acque benefiche, che ovviamente sono garanzia di guarigione per ogni male del corpo sotto il sole. In precedenza il più popoloso e prosperoso comune di tutta l’isola, Casamicciola costituisce oggi principalmente un ammasso di rovine informi, insieme con una serie di tristi capanne di lamiera raggruppate attorno ad una moderna chiesa, né possono la sua mirabile vista e i rigogliosi giardini fare ammenda per l’aria persistente di malinconia che continua a rimuginare su questo luogo funesto. Ogni lettore senza dubbio ricorderà la storia del terribile terremoto del 28 luglio 1883, quando, quasi senza preavviso, tutta la città, affollata con il suo consueto afflusso di visitatori d’estate, fu demolita e inghiottita nello spazio di pochi secondi. Alberghi, ville, chiese, case, tutto sofferse allo stesso modo, e anche se il numero esatto di coloro che sono morti di tutte le classi non si saprà mai, i conti più moderati danno la cifra più alta di 3000 anime. Diversi gli inglesi che persero la vita in quello sconvolgimento breve ma terribile, e molti dei corpi recuperati dalle macerie furono sepolti nel piccolo cimitero fuori della città, un appezzamento di terreno a strapiombo sul mare, e ombreggiato da cipressi ed eucalipti. Molte e interessanti sono le storie che ancora si sentono dalle labbra degli abitanti presenti, che sono abituati a datare gli eventi da quella notte spaventosa dell’oscurità e della distruzione, e che hanno storie pietose da raccontare circa i morti e le case cadute. La padrona di casa, inglese, della Piccola Sentinella, che quasi ebbe una miracolosa salvezza nell’occasione, ci ha dato una descrizione viva e straziante di come il suo albergo e la maggior parte dei suoi clienti furono travolti in quella notte terribile del mese di luglio, e che l’attuale locanda è stata letteralmente ricostruita su fondamenta che sono piene di molti corpi delle vittime non recuperati. (…) A due miglia, procedendo a piedi attraverso stradine di pietra sormontate da rami di fico e arancio, da Casamicciola si arriva a Lacco, un grande villaggio situato in una piccola baia che si distingue per una curiosa pietra a forma di fungo, giustamente soprannominata “Il Fungo” dai nati-
vi. Questo luogo, che ha anche sofferto molto nel terremoto del 1883, è il quartier generale dell’industria d’intreccio della paglia; le donne e i bambini insistentemente e con suppliche invitano ogni visitatore ad acquistare la loro merce nelle forme di cesti, cappelli e ventagli; le belle piastrelle colorate (mattoni), che vengono utilizzate con buoni risultati nelle chiese e case dell’isola, sono anche costruite qui. Lacco è particolarmente associato con la grande festa annuale di S. Restituta il 17 maggio, che è sempre caratterizzata da processioni religiose e da fiere-mercato, seguita da illuminazioni e fuochi d’artificio al calar della notte. Questa santa, di cui un primo ritratto esiste ancora nella sua antica cappella all’interno della cattedrale napoletana, un tempo era la patrona della città di Napoli, ma fin dal Medioevo è stata venerata come la speciale patrona di questa isola, e il suo corpo (secondo la leggenda) arrivò miracolosamente dall’Egitto in una barca condotta dagli Angeli. Una tradizione locale afferma anche che al suo sbarco sulla spiaggia di Lacco, un fiore di loto egiziano fu trovato nella mano della santa, fresco come quando era stato strappato mesi prima dalle rive del Nilo. Lasciata la piccola baia con le sue sabbie impregnate di zolfo, e girando nell’entroterra, si procede lungo una strada che attraversa un antico torrente di lava, coperta con pini, capperi selvatici e un groviglio di sterpaglie aromatiche, sino a Forio che, con le sue bianche case a cupola, le sue palme e le sue donne che a piedi nudi portano alte brocche sulle loro teste, dà al primo impatto l’impressione di una città orientale. C’è poco da vedere anche in Forio, ad eccezione di alcuni pregiati paramenti di ricamo che sono conservati nella sacrestia della sua chiesa principale, ma nessun viaggiatore dovrebbe mancare di visitare il suo monastero francescano meravigliosamente pittoresco, un edificio di abbaglianti bianche pareti e cupole dall’aspetto barbarico sullo sfondo di un mare cobalto, che sta all’esterno della città su una piattaforma rocciosa che si protende nel Mediterraneo ed al quale si accede da una ampia rampa di gradini di marmo decorati con realistiche figure di anime nelle fiamme del Purgatorio. Questo punto offre anche una bella visione dell’estremo promontorio dell’isola, una alta falesia nota come Punta Imperatore in onore del grande imperatore Carlo V, oltre il quale i visitatori raramente possono andare a causa della ruvidità, o meglio della mancanza di strade, sebbene il lato meridionale dell’isola, che si trova tra questo capo e il castello di Ischia, è altrettanto bello come la parte settentrionale ora descritta. L’attrazione principale, comunque, di una visita ad Ischia è l’ascesa del Monte Epomeo, una facile escursione a piedi per le persone attive e fattibile per i deboli o pigri a dorso di mulo. Questo vulcano spento, la cui alta vetta è visibile da molti punti del golfo di Napoli, è naturalmente ricco di richiami classici, e gli antichi credettero che sotto di esso si trovasse imprigionato il gigante Tifeo, i cui movimenti agonizzanti erano ritenuti la causa delle frequenti eruzioni del cratere che forse costrinsero i primi coloni greci a fuggire da questa isola, - l’Aenaria o Inarime dell’antichità - e in tempi successivi fu presa in consideraione come La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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stazione invernale dai lussuriosi Romani, nonostante la sua vicinanza a Baia maggiormente di moda. Così distruttive per la vita e gli edifici erano queste convulsioni della natura, che per lunghi periodi, nonostante il suo terreno fertile e le lucrative attività di pesca, l’isola rimase disabitata, e una antica tradizione, citata da Ovidio, deriva uno dei suoi nomi antichi, Pithecusa, da una razza di scimmie (pithékoì) che abitava sulle sue rive abbandonate. Dopo la grande eruzione del 1302, i cui effetti possono ancora essere visibili tra i boschi di pino vicino a Porto d’Ischia, la montagna è stata quiescente, e la popolazione dell’isola è aumentata notevolmente, anche se le costanti scosse di terremoto hanno sempre rese un po’ insicura una residenza permanente in Ischia. Né si può essere certi che Tifeo stesso sia veramente morto, e non solo addormentato, ma pronto a rinnovare i suoi sforzi dopo il lungo sonno e cambiare il volto della natura in modo imprevisto come ha fatto il Demone del Vesuvio durante ill regno di Tito. Come il grande vulcano dell’Etna, cui la montagna ischitana assomiglia un po’ in piccolissima scala, l’Epomeo presenta tre distinte zone climatiche. La più bassa è quella della linea di costa con la sua ricca vegetazione sub-tropicale: la prima parte della salita conduce per ripidi sentieri rocciosi attraverso assolati vigneti che producono il vino bianco di Ischia, salutare e leggeoa ma di sapore un po’ acidulo. Per la conservazione i contadini usufruiscono delle numerose torri di pietra, che un tempo servivano come ritiri di sicurezza quando i pirati barbari spesso scendevano sulle coste italiane a saccheggiare e schiavizzare. Molto curioso è passare dalla luce del sole accecante all’interno di uno di questi luoghi medievali, dove nel buio gelido stanno le grandi botti del nuovo vino bianco, ciascuna segnata con una frase di preghiera in lode di S. Restituta, da una delle quali il contadino dalla carnagione scura, in attesa di pochi centesimi, spilla un bicchiere dell’acido freddo liquido da offrire al suo visitatore. Lasciando i tratti di case e di coltivazioni, si arriva in una foresta ricoperta da boschi di castagni e querce, con un sottobosco di erica, mirto, lauro e profumata coronella gialla; c’è erba sotto i nostri piedi, e dappertutto margherite dai lunghi steli, violette, anemoni. Attraverso gli alberi arriva un canto nasale, ma non disarmonico, di un invisibile taglialegna, o la nota lamentosa del piccolo rustico piffero di capo-mandria, accompagnata dal tintinnio di campanacce del gregge; per un attimo pensiamo di immaginare noi stessi nella pastorale Italia di Teocrito, dove ninfe e pastori, contadini e driadi vivevano insieme in amicizia nei boschi. Ma ben presto i castagni appaiono rachitici, e gli oliveti si fanno sempre più radi, e finalmente raggiungiamo l’ultima zona, la distesa desolata di roccia nuda e i depositi di lava scura della vetta, dove possono prosperare solo alcune erbacce resistenti. Qui in alcune vecchie camere umide abita un eremita - (quasi tutte le montagne classiche del Sud Italia sono tenute in fitto da un anacoreta - in genere un vecchio e ignaro, ma pio, contadino del tipo di Pietro Morrone, santo eremita degli Abruzzi, che fu infine indotto a lasciare le sue celle, per indossare con forza le vesti pontificali e la tiara come Celestino V. 8
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L’eremo attuale del Monte Epomeo risale però comparativamente ai tempi moderni, e il suo primo occupante si dice essere stato un nobile tedesco, un tale Joseph Arguth, governatore di Ischia sotto il primo re Borbone, in conseguenza di un voto solenne fatto in battaglia, per cui deliberò di passare gli ultimi anni di esistenza sulla vetta più alta dell’isola, già da lui governata. Il suo esempio fu imitato e le celle furono occupate da altri eremiti, sopportando le piogge di primavera, la calda estate, le tempeste d’autunno e il gelo invernale a questa ventilata altezza, dove una magnifica vista può essere considerata come un compenso per i continui disagi, se gli eremiti sono propensi ad apprezzare qualcosa di così banale come scenario. Il santuario e le celle sono dedicate a San Nicola di Bari, e a questa circostanza si deve il nome di Monte San Nicola a tutta la montagna, la cui cima, circa 3000 piedi sul livello del mare, noi finalmente guadagniamo per mezzo di passi quasi tagliati nella lava. La vista da questa altezza, che abbraccia due delle tre baie storiche della costa partenopea, è una delle più nobili e più estese del Sud ltalia. Guardando verso sud, le scogliere fantastiche di Capri sono viste emergere bruscamente dal mare; dopo appare il profilo grazioso di Monte Sant’Angelo, con il cratere del Vesuvio accanto, velando il cielo blu chiaro con intenso fumo scuro. Al di sotto si estende la linea frastagliata della costa, allungandosi a nord e a sud, per quanto l’occhio possa percorrere, con i suoi capi classici e le isole che si crogiolano al forte sole: mentre, dietro la linea di terra e mare ove si frange la schiuma, s’eleva la linea frastagliata delle Montagne Abruzzesi con l’enorme massa innevata del Gran Sasso d’Italia dominante sui picchi più bassi. Ai nostri piedi si estende l’isola bella e fertile, in apparenza poco cambiata dai giorni in cui il vescovo Berkeley quasi due secoli fa in una lettera ad Alexander Pope descrisse Ischia come “epitome di tutta la terra”. Nonostante l’eloquente tributo del vescovo per il clima gioviale e la bellezza naturale di Ischia, si deve ricordare che una residenza sull’isola comporta uno o due inconvenienti gravi. Oltre alla sempre prescnte paura di terremoti, che pende come la spada di Damocle sopra la testa degli abitanti, c’è ancora un altro svantaggio, prosaico ma molto reale, nella mancanza di acqua pura, essendo in Ischia più o meno impregnati con zolfo ogni sorgente e rigagnolo, con il risultato che l’acqua per bere (e in estate anche per uso domestico) deve essere trasportata in navi-cisterna da Napoli. È già abbastanza grave essere dependenti da una città lontana per un approvvigionamento alimentare (che è in qualche misura anche il caso dell’isola), ma la possibilità di sopportare una carestia d’acqua in caso di tempeste o disavventura sarebbe una calamità ben più grave; tuttavia come visitatori occasionali in quest’isola affascinante e poco conosciuta, si può facilmente permettersi di sorridere a tali supposte disgrazie.
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Osservazioni sul terremoto che ha avuto luogo sull’isola di Ischia il 2 febbraio 1828 * di Nicola Covelli - Accademia delle Scienze di Napoli ** L’estremità meridionale d’Italia è sempre il teatro delle grandi rivoluzioni della natura: vulcani che in passato hanno devastato tutta Europa sono spenti, hanno abbandonato queste terre bruciate nella mano dell’uomo operoso, che le ha trasformato in campi fertili e città fiorenti, ma qui i vulcani, mantenendo la stessa forza, hanno esteso questi terribili disastri. Il Vesuvio, l’Etna, lo Stromboli, rinnovano di tanto in tanto le loro eruzioni, per espellere dalle viscere della terra gli immensi materiali che si sono accumulati, e nel 1301 un flusso di lava si diffuse in tutta l’isola d’Ischia, e nel 1603 una violenta eruzione formò una montagna in ventiquattro ore nella terra ancora fumante di Pozzuoli. Nel 1805, epoca del terribile terremoto che causò la rovina di molte città, e si estese fino agli estremi confini del Regno di Napoli, frequenti scosse furono percepite in diversi luoghi e si sono ripetute negli ultimi anni; ne abbiamo avuto fino a quattordici nel 1827 sull’isola di Ischia, la più grande ha avuto luogo l’11 aprile mentre io e il signor Lancellotti eravamo in questa isola, per l’analisi delle’acque termali. Questi terremoti sembrano essere provocati dai contributi di quelli che hanno avuto luogo a distanze più o meno grandi, come lo fu quello dell’11 aprile che sembrava provenire dall’isola di Ponza, dove il terremoto fu più forte che altrove: erano i precursori del terribile evento che sarebbe ben presto arrivato. Il 2 febbraio 1828, alle dieci e un quarto del mattino, un violento terremoto scosse l’isola d’Ischia così fortemente che sembrava pronta ad essere sepolta nel mare. La scossa fu annunciata da tre colpi che sembravano provenire dal basso verso l’alto, e si succedettero nell’intervallo di tre secondi, provocati forse da un urto violento in una delle grandi caverne dell’isola: rimbombarono come tre colpi di cannone partiti dall’interno dell’Epomeo, ma piuttosto simili a un gemito profondo più che alla detonazione della polvere. Questo boato sotterraneo fu molto sensibile lungo la costa di Ischia, Forio e Lacco, ma fu quasi nullo all’interno dell ‘isola, anche nei luoghi in cui la scossa maggiormente si avvertì. Noi abbiamo sentito un solo colpo * Bibliothèque universelle des Sciences, Belles-Lettres et Arts fai-
sant suite à la Bibliothèque Britannique rédigée à Genève, tome XXXIX, 1828 ** Gli uomini di lettere più illustri di Napoli hanno appena pubblicato una rivista scientifica, letteraria e tecnologica sotto il titolo Il Pontano; abbiamo tradotto dal n. 2 di questo giornale, le osservazioni sul terremoto di Ischia che qui riportiamo, e che, più scientifiche delle notizie che abbiamo già cpmunicate sullo stesso argomento nel nostro T. XXXVII (p. 236), possono servire come un supplemento.
come se fosse stato dato da uu grande martello sotto la volta della casa; al primo segnale, ci precipitammo in giardino per metterci in sicurezza. Il luogo più colpito non fu precisamente quello di Casamicciola, ma quello tra il Fango e Casamennella ad ovest di Casamicciola, che è molto vicino. Qui tutti gli edifici furono fortemente danneggiati, e molti di loro crollarono. Tutte le barriere e i muri a secco che gli indigeni chiamano parracine e che servono a sostenere il terreno furono completamente soggetti a crollo, ad eccezione di quelli che non avevano che quattro o cinque palmi di altezza. I primi rapporti dei contadini avevano fatto credere che la terra s’era aperta al Fango, e che si vedevano uscire vapori di solfo e di bitume, ma erano notizie infondate. Le crepe erano solo piccole fessure, e si mostravano solo sui bordi delle terre sostenute dai muri che avevano perso il loro equilibrio, crepe che non si vedevano più nelle terre compatte: esse erano al massimo lunghe venti piedi e larghe un pollice. La scossa tra il Fango e Casamennella venne dall’interno dell’Epomeo, per una linea obliqua appena inclinata da ovest a est tra il Fango e Casamicciola, e si estese a nord del Fango verso Lacco, giungenddo a riflettersi in direzione opposta da est a ovest a Forio; così la regione del Fango, di Casamennella e Casamicciola, che ricevette immediatamente il colpo, fu distrutta,; le case a Lacco furrono solo danneggiate, mentre il paese di Forio non ebbe punto a soffrire. Oltre a questo centro di movimento nel quartiere del Fango, un altro meno energico si mostrò a Fontana, dove la scossa, anche se minore di Casamicciola, si sentì più fortemente per circostanze locali. Questo terremoto, che sconvolse un intero villaggio con tante case di campagna, che minacciava di far saltare in aria l’Epomeo e che agitò fortemente l’isola, anche se in modo non uniforme, tuttavia non si propagò oltre, perché non ebbe riscontro nella vicina isola di Procida e nella terraferma. Nella stessa mattinata del 2 febbraio, una scossa molto forte fu sentita a San Severo in Puglia, nella notte dal 2 al 3 dello stesso mese, Imola, nello Stato romano, sentì una leggera scosa, ma nei paesi intermedi nessuna oscillazione, il che dimostra che questi tre diversi eventi non provengono dalla stessa causa. Discende da quanto si dice che gli effetti di questo terribile terremoto furono limitati all’isola di Ischia, provocando una trentina di morti e il ferimento di circa cinquanta persone. Nessun fenomeno degno di osservazione ebbe luogo prima o dopo il terremoto: il mare era perfettamente calmo prima del fenomeno e mantenne la stessa calma tutto il giorno. La medesima cosa con l’aria, calma ininterrotta durante il giorno, con nessun fenomeno degno di nota, prima o dopo l’evento. Confrontando le osservazioni meteorologiche fatte dal Sig. Nobili all’Osservatorio Reale di Napoli durante i mesi di gennaio e febbraio con le osservazioni che ho fatto sull’isola dal 25 gennaio 1828 fino al 14 febbraio, vale a La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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Casamicciola prima del terremoto del 1883 (da un giornale tedesco dell’epoca - Archivio G. Mazzella)
dire sette giorni prima del terremoto, e undici giorni dopo, si vedrà che lo stato dell’atmosfera ha seguito il suo corso abituale sia a Napoli, sia all’isola di Ischia, tranne che a metà di gennaio il barometro è salito in modo straordinario rispetto a quanto accaduto negli ultimi sei anni. Le osservazioni sullo stato delle acque termali dopo l’evento erano della massima importanza per scoprire quanto fosse profonda la scossa avvenuta, e valutare all’incirca le catastrofi che potrebbero accadere in futuro. Per determinare all’incirca la differenza tra lo stato precedente delle acque termali e fumarole e quello in cui le abbiamo trovato dopo l’evento è necessario confrontare le osservazioni termometriche che ho fatto al rguardo con i Signori Monticelli e Lancellotti. La zona delle acque termali non sembra, a prima vista, molto estesa: si può dire che essa occupa solo la parte settentrionale dell’isola, ed è limitata in una zona il cui limite, da est a ovest, termina sulla sponda settentrionale, precisamente tra la città di Ischia e Forio. La regione di Citara è l’unica al di fuori della zona dove acqua e terra hanno una temperatura più elevata. Il serbatoio universale di calore delle sorgenti calde si trova all’interno dell’Epomeo: intorno a questo centro di calore, ad una certa altezza, la temperatura è molto superiore nelle parti basse o ai bordi del mare. Nella parte superiore della montagna, che è circoscritta tra 468 e 500 piedi sul livello del mare, la temperatura dell’acqua bollente è 80° Reaumur, e si ha nei fanghi di Bobo, e quella di 78° nella fumarola di Monticeto. Il calore è in calo nelle regioni più basse, poi all’altezza di 163 metri la temperatura dell’acqua della Rita scende a 50° ed è a 58° a 120 piedi nell’acqua del Cotto o Fontanielle, 10
La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
e 55° a 108 piedi nell’acqua di Gurgitello. La temperatura massima ai bordi del mare non supera i 54° ad eccezione dell’acqua del Capitello e della sabbia di Castiglione, mentre in altre fonti, come Citara, San Montano, Santa Restituta, è tra 40° e 50°. Sembra che le acque termali si riscaldino all’interno dell’Epomeo, a circa 500 piedi sotto il mare, e che da questo serbatoio si diffondano nelle parti basse della regione settentrionale, dove subiscono una riduzione di temperatura più o meno grande. Mi affrettai a confrontare lo stato attuale delle acque termali con la tabella delle stesse osservazioni che avevo fatto sette giorni prima del terremoto, nei luoghi che ho citato, e solo allora ho notato le leggere differenze che dipendono dallo stato termometrico della stagione. Le acque termali e le fumarole non manifestarono alcun segno che avrebbe potuto far prevedere le grandi convulsioni della terra. Ma dopo la terribile scossa, non dubitammo sul fatto che non ci fosse qualche grande cambiamento, sia nella temperatura sia nella riduzione di acqua e vapori. I nostri sospetti sono stati controllati per la fonte della Rita, la più vicina al centro del movimento, ma con nostra sorpresa le stufe di San Lorenzo visitate otto ore dopo il terremoto, non mostrarono alcun cambiamento significativo né nella loro temperatura né nella quantità dei loro vapori. L’acqua alla Rita si trovò il giorno dopo a 48°,5 R. (l’aria libera essendo a 10°), esattamente come era due giorni prima della scossa: nella scorso autunno, l’acqua era a 48°,9 (l’aria libera essendo a 18, e nell’estate precedente a 49°,5, essendo l’aria libera a 22°. La quantità di acqua, prima e dopo il terremoto, non è mutata. La temperatura della regione superiore della montagna,
Casamicciola prima del terremoto del 1883 - Disegno (da un giornale tedesco dell’epoca - Archivio G. Mazzella)
nei luoghi di Gurgitello, Tamburo, Cotto, ecc., non offrì modifiche sostanziali, mentre la temperatura in riva al mare (bagni di San Montano, S. Restituta, Lapitetto, ecc.) non presentò modifiche diverse da quelle provenienti dallo stato termometrico dell’aria. L’effetto di questo terremoto, che ha distrutto molte case e ha causato tanto allarmismo in quest’isola, è stato nullo per i grandi serbatoi che riscaldano l’acqua e alimentano le fumarole; questo fatto è molto più singolare, poiché è l’area delle acque termali che è stata particolarmente scossa, come se ci fosse stato un intimo legame tra la causa del terremoto e la causa che produce il calore. Ma la sede del calore che si conserva da molti secoli nell’Epomeo, senza un sensibile raffreddamento, è molto più elevata dei luoghi da cui proviene l’attuale scossa; perché, se queste località fossero state vicine l’una all’altra, i serbatoi dell’acqua e delle fumarole avrebbero avuto grandi cambiamenti. Sembra che l’esplosione abbia avuto luogo ad una profondità tale che le vibrazioni sono arrivate molto indebolite all’interno dell’Epomeo, che non subito alcun cambiamento apprezzabile. Dodici giorni dopo il terremoto, la mattina del 14 febbraio, diversi edifici
Casamicciola prima del terremoto del 1883
- Disegno
(da un giornale tedesco dell’epoca - Archivio G. Mazzella)
nelle campagne di Casamicciola sono crollati per una violenta scossa. Il Vesuvio, che era stato a riposo per sei anni, ha ripreso le sue eruzioni il 14 marzo 1828, alle due del pomeriggio, provocando un’apertura al centro del cratere; gli abitanti del vicinato sono rimasti spaventati nella notte dal rumore degli scoppi; questa nuova bocca
si linita fino ad ora a lanciare nell’aria scorie e piccoli pezzi di lava, talmente morbida che le guide del Vesuvio vi fanno delle impronte con le monete. Questa leggera eruzione è stata annunciata da frequenti scosse; l’esperienza ci ha insegnato che tutte hanno un’origine vulcanica.
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Nel Seminario di Ischia Ponte, ora anche sede museale
Sarcofago paleocristiano dell’isola d’Ischia *
Sarcofago d’Ischia
Nella sala d’aspetto dell’episcopio d’Ischia, una volta adibita a cappella, sull’architrave dell’uscio che mette quella sala in comunicazione con l’anticamera, è murata una lastra marmorea, di m. 2,08 di lunghezza su 0,580,59 di altezza, istoriata con una serie di scene che si succedono procedendo da sinistra verso destra. Nel 1914 ne fa cenno, per primo, Vincenzo Mirabella (1). Più ampia informazione ne diedero Gina Algranati (2) e, pochi anni fa, il Nestore degli storici isclani, mons. Buonocore (3). Degli studiosi citati dal Buonocore, non esiste, che io sappia, nessuna pubblicazione in proposito; è evidente che egli allude a scambi personali. Il certo è che la lastra marmorea d’Ischia è rimasta sconosciuta non solo al Wilpert (4), ma agli egregi studiosi che hanno particolarmente trattato del gruppo di sarcofagi, a cui il monumento isclano appartiene. Si tratta di un esemplare nuovo del celebre gruppo di sarcofagi del tipo cosiddetto «Bethesdà», gruppo, sulla cui fronte campeggia, al centro, con ampio sviluppo, la scena della guarigione del paralitico alla piscina chiamata Betsaidà (5), Betesdà (6), Bezata, Betzata, Beseta (7)
Sarcofago Lateranense 125
Sarcofago di Tarragona
* Domenico Mallardo in Atti del V Congresso Internazionale di Archeologia Cristiana (13-19 settembre 1954) 12
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– la piscina che era presso la «porta probatica» o, come traduce inesattamente la Volgata, la piscina probatica. Sui sarcofagi di quesro tipo, si succedono costantemente nello stesso ordine, da sinistra a destra, la guarigione di due ciechi, dell’emorroissa, del paralitico, la chiamata di Zaccheo e l’entrata solenne del Cristo a Gerusalemme. Gli schemi iconografici sono, sostanzialmente, i medesimi: la scena della piscina, interrompendo il ritmo delle altre, è suddivisa in due scene orizzontali sovrapposte, il paralitico sul letto nella inferiore, il paralitico che cammina col letto sulle spalle nella superiore. Dei sarcofagi di questo tipo si potevano segnalare finora, tra interi e frammentari, dieci esemplari, qualora si include anche il frammento di Valence (8). Di essi, due sono romani (9), uno spagnolo (10), uno africano (11) sei della Gallia (12); ma due soli ci sono arrivati con tutte e cinque le scene cristologiche, il Lateranense 125 e il Tarragonese. A questi due esemplari se ne aggiunge ora un terzo, quello di Ischia, rimasto fino ad oggi sconosciuto, per cui non ne hanno tratto, per i loro studi eccellenti, tutto il vantaggio che se ne poteva, gli insigni studiosi che si sono occupati in particolare dei sarcofagi del tipo Bethesda, la Lawrence (13), il Gerke (14) il Simon (15) e mons. De Bruyne (16). Persino il Wilpert lo aveva ignorato. Lo sfondo architetturale del sarcofago d’Ischia è strettamente imparentato con quello del Lateranese 125. Dapprima una porta di città, merlata; seguono tre riquadri formati da coppie di colonne scanalate a spira; sulla prima coppia poggia un architrave, sulla seconda un frontone triangolare con, nel centro, una corona lemniscata, sulla terza un arco. Nessuno degli altri esemplari concorda col sarcofago d’Ischia, per questa prima parte architettonica, come il Lateranese; Tarragona, Pretestato. Arles, Clermont, se ne distaccano più o meno. Nella scena del paralitico si ritrovano i soliti tre archetti poggianti su pilastrini scanalati con semplici capitelli lisci a tronco di piramide
capovolta. Dopo l’albero con Zaccheo tra i rami, chiude la fronte del sarcofago una seconda porta merlata, che fa esatto riscontro a quella che all’estremità opposta dà inizio allo sfondo. Davanti alla prima porta merlata ed al primo intercolunnio si svolgono, rispettivamente, le scene della guarigione dei ciechi e della guarigione dell’emorroissa; davanti ai due intercolunni successivi sono collocati due apostoli e il Cristo che appartengono alla scena del paralitico. Nel Lateranese il rapporto tra sfondo e scene è diverso. La guarigione dei ciechi è davanti alla porta e al primo intercolunnio; l’emorroissa è davanti al terzo invece che davanti al secondo; il Cristo con i due apostoli, della scena del paralitico, tutti raggruppati davanti al terzo, invece che distribuiti tra secondo e terzo. Nel sarcofago d’Ischia il senso dell’armonia spaziale è più accentuato ed ha un respiro più largo; Tarragona gli si avvicina di più. La guarigione dei ciechi presenta oltre ai due ciechi il Cristo e un personaggio della folla; manca l’apostolo dietro il Cristo, come manca negli esemplari di Tarragona e di Pretestato; e mentre tutti gli esemplari rappresentano due personaggi della folla, il sarcofago d’Ischia soltanto ne rappresenta uno. Nulla di particolare nell’iconografia dei personaggi. La seconda scena rappresenta la guarigione dell’emorroissa. I personaggi sono tre, come nel Lateranese, il Cristo, un apostolo a sinistra, l’inferma. Negli altri esemplari (Tarragona, Pretestato, Arles, Clermont) gli apostoli sono due, uno da ciascun lato del Cristo. Gesù tiene la mano destra aperta ed abbassata sul capo della donna, in atto di chi voglia parlare, ma anche mostrare qualche cosa. Questo gesto della mano del Cristo presso
il capo dell’emorroissa ricorre identico in altri otto esemplari (17), il confronto più calzante l’offrono il sarcofago Lateranese 174 (18) e, dei sarcofagi Bethesda, il Lateranese 125. È merito di mons. De Bruyne (19) l’aver dipanato l’imbrogliata matassa di questo gesto e della personalità della donna genuflessa; dopo quanto egli ha scritto, è impossibile pensare ancora alla Cananea, e negare che il gesto della mano del Cristo sul capo della donna genuflessa sia un gesto di imposizione della mano, e quindi un gesto di guarigione. La donna genuflessa pertanto è una donna miracolata; non la Cananea come si è tanto indugiato a sostenere il Wilpert (20) o la sorella di Lazzaro, come ha sostenuto il Simon (21) ma l’emorroissa. La terza scena, la guarigione del paralitico , è quella che occupa uno spazio di gran lunga maggiore di tutte le altre. La prima parte rappresenta l’arrivo del Cristo, seguito da due apostoli, alla piscina. Nessun altro dei sarcofagi del tipo Bethesda offre una distribuzione spaziale delle figure così larga come il nostro. Con questa scena, comincia veramente, e non prima, il movimento verso destra. Dei due apostoli che seguono il Cristo, quello che gli viene immediatamente appresso ha, chiari, i tratti iconografici dell’apostolo Pietro, barbuto, con capelli corti e ricciuti; l’altro è imberbe, ha capelli lunghi e inanellati, tutti e due fanno con la destra il gesto della acclamazione. Il Cristo è di pieno profilo rivolto a destra, con la mano sinistra stringe il lembo del pallio che gli scende giù dalla spalla, e tende il braccio (guasto) e la mano destra, che va a finire sulla colonna, un po’ più in su della sinistra. La seconda parte della grande scena è divisa, come al solito, in senso orizzontale, in due sezioni separate da un
Sarcofago d’Ischia - Particolare della guarigione del paralitico La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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Sarcofago d’Ischia - Particolari di Zaccheo sull’albero e dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme
listello con linee ondulate, simbolo dell’acqua della piscina. Nella sezione inferiore il paralitico disteso sul letto, e quattro altri personaggi, due a capo e due a piedi del letto. L’ammalato ha il braccio sinistro abbandonato sulla sponda del letto, il braccio destro disteso e poggiato sul ginocchio della gamba destra sollevata, il capo rivolto non verso il Cristo che arriva, come in altri sarcofagi del gruppo (Tarragona, Arles e Clermont), ma indietro, in un atteggiamento che può sembrare di conversazione con gl’infermi che gli sono alle spalle, ma potrebbe anche essere espressione di una crisi di dolore. Verso di lui sono rivolti tutti e quattro gli infermi, quelli di dietro più chiaramente levano verso di lui le mani in gesto di allocuzione; indossano la stessa alicula dei ciechi di Gerico. La scena superiore è composta di cinque personaggi, il Cristo seguito da Pietro, e davanti a lui il paralitico, in piedi, che cammina recando sulle spalle il lettuccio; tutti e tre incedono verso destra, ai due estremi della scena, simmetricamente disposti e rivolti l’uno verso l’altro, due infermi, tutti e due seduti, e tutti e due con un bastone 14
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a cui si appoggiano; quello di destra tende la mano in un gesto che ha più della supplica, che dell’allocuzione. Segue la chiamata di Zaccheo. Nello sfondo, il sicomoro; tra i rami Zaccheo è rappresentato di prospetto, col piede della gamba sinistra, abilmente flessa, puntellato ad un ramo e, per stare ben saldo, con la mano sinistra aggrappata allo stesso ramo, in una posa assai naturale ed espressiva. Il braccio destro è proteso verso Gesù come ad invitarlo a casa sua. In basso, Gesù, seguito da un apostolo imberbe, tutti e due di profilo, incede verso destra e leva la destra verso Zaccheo, per dirgli: Zacchaee, festinans descende (Lc. XIX, 5). Nel Lateranense la scena di Zaccheo è gravemente alterata da un restauro. La scena finale, l’entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, ha come sfondo la porta della città. Cristo assiso sull’asina, si dirige verso Gerusalemme, volto a destra, come nelle due scene precedenti, con la destra levata e atteggiata nel solito gesto oratorio. L’asina, contrariamente a quanto avviene nel maggior numero degli esemplari (22) è bardata, si discernono chiaramente la correggia e la
bardatura della sella. Dei tre sarcofagi Bethesda che hanno conservato la scena (Lateranense, Tarragona, Arles (descrizione del Peiresc), Tarragona ed Arles presentano addosso all’asina la cinghia della bardatura; il Lateranense, invece, mostra l’asina con la sola cavezza. Un frammento di bassorilievo ritrovato nella cappella di S. Genesio a S. Onorato, ora al museo di Arles (23), mostra il Cristo a cavallo: la parte superiore del Cristo, e la parte anteriore dell’asina sono perduti: si tratta dell’entrata trionfale a Gerusalemme. Qui l’asina è bardata. Non è improbabile che il frammento appartenga al sarcofago del tipo Bethesda, di Arles, di cui ci sono giunti un frammento della parte superiore della scena del paralitico (24) e la descrizione del Peiresc. Il Cristo è seguito da un personaggio di bassa statura, che non è un apostolo, ma uno della turba. Altri personaggi, invece, vengono incontro a Gesù, l’uno con un ramo di palma nella destra, l’altro regge con le due mani un festone : sono personaggi della turba, che «acceperunt ramos palmarum et processerunt obviam ei» (Ioh. XII, 13). Davanti all’asina due giovanetti, i pueri Hebraeorum ;
il primo stende i vestimenta, un largo drappo, dalle lunghe pieghe. La scena ricorre identica, sostanzialmente, nel Lateranese e nel sarcofago di Tarragona ; varia il numero dei personaggi, davanti al Cristo, tre adulti e due fanciulli a Tarragona; due adulti e tre fanciulli nel Lateranese. Ma sul sarcofago d’Ischia c’è un particolare, che costituisce un unicum in tutti i sarcofagi del tipo Bethesda: un piccolo puledro, dalle orecchie ritte, che sgambetta sotto la pancia dell’asina. L’autore della scena s’ispira al vangelo di Matteo, poiché è il solo Matteo che vuol mostrare come nell’avvenimento si avveri la profezia d’Isaia: « Ecce Rex tuus venit... sedens super asinam et pullum filium subiugalis » (MT. XXI, 5). Degli esemplari, numerosi, dell’entrata di Gesù a Gerusalemme, dieci (25) mostrano il puledro, ma esso sta quasi sempre col collo abbassato verso terra e col muso proteso a mangiare le foglie di uno dei rami sparsi dalla turba. In due esemplari di questi, soltanto, il puledro è ritto come nel sarcofago d’Ischia, in un sarcofago di S. Trofimo, ad Arles (26) nella testata destra, e in un sarcofago romano, trovato sotto il pavimento della basilica vaticana, ed ora al Museo Lateranese (27). Ma di sarcofagi Bethesda il solo che presenti il pullus asinae è il sarcofago d’Ischia. Di dove proviene il sarcofago d’Ischia? O non è, per caso, oriundo dell’isola? Il solo scrittore che ci fornisca qualche elemento, purtroppo assai vago, e diluito in ipotesi senza un fondamento concreto, è il Buonocore. Egli scrive (28): «Giova notare che la tabula, con alto senso conservatore, andò incastrata dove ora si trova, l’anno 1866; fu trasportata dalla Villa estiva vescovile del Cilento, quando il palazzo e i vasti vigneti furono indemaniati dalle leggi eversive del 7 luglio 1866; su quella villa di ameno soggiorno era stata condotta il 1809. Il Can. Antonio Conte soleva dirci d’avere ammirato spesse volte il prezioso marmo in una sala del palazzo vescovile del Cilento isclano ». E a
pag. 17: «fu murata a quel posto (la tabula) il 1866; prima si trovava nella villa estiva vescovile, nella contrada detta Cilento... è la faccia anteriore del sarcofago monumentale di Giovanni Cossa, Governatore d’Ischia, padre del papa Giovanni XXIII, eretto nell’antica Cattedrale del Castello (d’Ischia) l’anno 1397... I preziosi avanzi del monumento Cossa, data la presenza di pezzi rispondenti ad epoche diverse, lasciano pensare che le varie parti siano state raccolte qua e là dall’autorevole grado dei figli del Governatore. Se si riuscisse a provare che, in origine, quei vari pezzi vennero adoperati nell’isola, escludendo la provenienza di fuori, ci troveremmo al cospetto degli avanzi paleocristiani più memorabili ». La tomba del Cossa sarebbe stata, secondo il Buonocore, opera della scuola di Tino da Camaino. Che a cotesta tomba fosse appartenuta, come fronte del sarcofago, la lastra marmorea che abbiamo illustrata, è soltanto una affermazione del Buonocore, non confortata da nessuna prova. Osservo, inoltre, 1° che il Giovanni Cossa rinchiuso nel monumento sepolcrale di cui egli parla, non è il padre del papa, morto nel 1327, ma un altro Giovanni Cossa morto nel 1346, se è esatto quanto scrive la Algranati (29). Pertanto la potenza del Cardinale Baldassarre Cossa, e degli altri figli di Giovanni, valorosi ammiragli, non ha niente a che vedere con il monumento isclano, e con il supposto trasporto dei pezzi rari «da Roma o altrove». 2° è poco verosimile che la scuola del senese Tino da Camaino, che creò gli altri pezzi della tomba del Cossa, di cui restano ancora imponenti avanzi ad Ischia, non abbia saputo o voluto creare un sarcofago ex novo (30). II mausoleo di Giovanni Cossa, a quanto scrive il più accurato Mirabella (30) fu scomposto nel 1722, ed il coperchio (si noti, non la fronte) fu spedito nella sua vigna del Cilento, dal vescovo Capecelatro. Qual era poi questo coperchio, e, se istoriato, il Mirabella non dice. Più cauta la Algranati (31) prima del Buonocore, aveva scritto che al principio del sec. XVI, l’epoca di Vittoria
Colonna, che con Ischia ebbe rapporti strettissimi, si raccolsero nel Castello (d’Ischia) tesori immensi e mirabili opere d’arte, e, si vuole, fino i tesori rapiti nel sacco di Roma, e che «forse a qualche bottino di guerra o di saccheggio si deve se nel castello pervenne uno dei meglio conservati rilievi evangelici pari a quelli che ornavano le catacombe». In conclusione, nessuno di questi scrittori ci consente di dire con precisione se e quando il sarcofago isclano sia stato importato nell’isola. Ammettendo che sia stato importato, che cosa c’è che vieti di supporre che, invece che nel sec. XIV, come immagina il Buonocore, o nel sec. XVI, come immagina l’Algranati, esso vi sia venuto invece in un’epoca molto più remota, tra la fine del sec. IV, ad esempio, o nel secolo V, quando è fuori dubbio che nell’isola d’Ischia non solo si professava il cristianesimo, ma vi erano certamente sepolture cristiane? Se della presenza del cristianesimo a Ischia, e precisamente nella parte, dove l’antichità greca e romana ha lasciato tracce eloquenti (32) a Lacco Ameno, non avessimo prove positive, ci autorizzerebbero ad ammetterla i rapporti frequenti e intensi non solo con Napoli, ma con la più vicina Pozzuoli. Se i testi agiografici relativi a Santa Restituta (33) la cui salma essi dicono che dall’Africa approdò all’isola d’Ischia, nel luogo detto Heraclium, e fu ivi sepolta, non meritano credito se non nella notizia del culto reso alla santa nell’isola, e precisamente a Lacco, sta il fatto che gli scavi eseguiti, sia pure in maniera non sistematica, hanno messo in luce, nel 1950 e 1951, proprio a Lacco e sotto la chiesa di S. Restituta, avanzi di un edificio che fu forse una basilica paleocristiana; varie tombe terragne, varie lucerne e di esse, in un arcosolio, una lucerna fìttile rossa che reca nel disco i portatori del grappolo della terra promessa, che è il secondo esemplare campano dopo quelli ritrovati a Boscoreale (34) alla fine del secolo scorso, e un’altra con una croce monogrammatica gemmata, e, finalmente, di epoca più tarda La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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però, un pilastrino terminale di cancello d’altare, alto m. 1,33, di sezione quadrata di m. 0,20 per lato. Nulla di strano, per sé, che in questa comunità cristiana di Lacco ci siano state anche sepolture in sarcofagi: resterebbe solo da spiegare come il sarcofago in questione sia passato da Lacco a Ischia città, cosa, almeno in ipotesi, niente affatto impossibile. Ma al disopra di questi problemi particolari e locali, ce n’è un altro d’indole generale e di portata più vasta. Quale posto occupa il sarcofago d’Ischia nel gruppo di sarcofagi Bethesda? E quale contributo esso arreca alla soluzione dei problemi che pone questa classe di sarcofagi; quali prospettive offre alle teorie in corso su questi sarcofagi? Prima conclusione. Il sarcofago d’Ischia relega al secondo piano il sarcofago Lateranese 125, giudicato dal Wilpert (35) e da altri che lo hanno seguito, come il prototipo del gruppo. Secondo: mentre il Wilpert ha ripetutamente affermato che il sarcofago di Tarragona è copia fedele del Lateranese, la Lawrence mette il sarcofago di Tarragona avanti al Lateranense (36) e considera come prototipo della sequenza di scene peculiari dei sarcofagi Bethesda il sarcofago di Clermont (37) e di essi redige questa lista cronologica (38): 1° Tarragona; 2° Laterano; 3° Vienne; 4° Die (=Wilpert, 230, 2) in cui comparisce Cristo col nimbo; 50 Arles. D’ora in poi per ricostruire le origini e il cammino progressivo del tipo, il confronto va fatto non tra Tarragona e il Lateranese, che ci è giunto per di più malamente restaurato, ma tra Tarragona e Ischia. Terzo: il particolare del puledro che sgambetta sotto l’asina, estraneo a tutti gli esemplari che ci sono giunti del tipo Bethesda, crea un altro problema. Fuori del gruppo Bethesda, due esemplari presentano il particolare del puledro, uno romano ed uno arlesiano. Questo particolare non può derivare da una miniatura o da un mosaico absidale che avrebbe costituito il modello dei sarcofagi Bethesda: se fosse così, come si spiegherebbe che l’artefice isclano abbia introdotto 16
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un particolare che nessuno di quanti hanno copiato il modello ha copiato? Sarebbe un po’ difficile, poi, sostenere che sia uscito dallo stesso atelier, gallico. La Lawrence che (39) ha creduto di poter restituire 6 ateliers, dei quali quattro gallici e due romani, assegna al III atelier, quello dei sarcofagi RedSea (Mar Rosso), il Lateranese 125 e il Tarragonese, e li pone tra il 390 e il 400 (40). La seguo quanto alla data, ma non mi sento di poterla seguire quanto all’atelier. La provenienza gallica per il Lateranese 125, e meno ancora per il sarcofago d’Ischia, non l’accetto. E non so se l’avrebbe sostenuta la stessa Lawrence, se avesse conosciuto il sarcofago di Pretestato e quello d’Ischia. E più che a sarcofagi viaggianti, originari di una sola officina, propendo ad ammettere un modello viaggiante. Occidentale, od orientale, questo modello? Problema da riesaminare (41). Ma l’iter Oriente-Gallia (Arles)-Roma non lo ritengo accettabile. Né l’argomento tratto dal numero prevalente degli esemplari gallici sui romani, sei su uno, può avere la forza che gli si è data. A prescindere che degli esemplari gallici, la quasi totalità è formata da minuti frammenti, e su di essi un esame a fondo è impossibile, ora gli esemplari italiani sono saliti a tre, dei quali due, quello di Ischia e il Lateranese, sono i più rappresentativi. Che i sarcofagi Bethesda, con la sequenza delle loro scene, abbiano un andamento narrativo, sta bene; ma è proprio certo che vogliano rappresentare un viaggio di Gesù da Gerico a Gerusalemme con i miracoli compiuti nelle varie tappe di questo viaggio? Questa tesi ha sostenuto nel suo studio, vivace e interessante, il Simon (42). Con tutta l’ammirazione per l’illustre studioso, non posso seguirlo; la seconda scena rappresenta indubbiamente l’emorroissa, non la sorella di Lazzaro che va incontro al Cristo in Betania. E l’emorroissa con l’iter da Gerico a Gerusalemme non ha nulla a che vedere. Il Simon ha ammesso una origine palestinese per il modello dei sarcofagi Bethesda, e poiché la guarigione
del paralitico occupa la parte più vistosa di tutto il campo, egli ha avanzato l’ipotesi che quel modello derivi da una decorazione della chiesa del paralitico, che è attestata nella prima metà del sec. V. Ma, si può dimostrare che quella chiesa è anteriore ai sarcofagi Bethesda, ossia all’età teodosiana? Non lo credo. I problemi, che già prima presentava il gruppo Bethesda, si prospettano ora, dopo che è venuto ad arricchirne la serie il nuovo sarcofago d’Ischia, sotto nuova luce. Per la risoluzione dei problemi che ancora pone il gruppo, il sarcofago d’Ischia, che viene a collocarsi in un posto eminente tra quelli della serie, è destinato non solo ad arricchire il patrimonio monumentale paleocristiano, ma a recare un contributo decisivo. Domenico Mallardo
1) V. Mirabella, Cenni storici e guida dell’isola d’Ischia (Napoli 1914), p. 71, nota 1. 2) G. Algranati, Ischia: collezione Italia artistica (Bergamo, Arti grafiche, 1931), p. 91. 3) O. Buonocore, La diocesi d’Ischia dall’origine ad oggi (Napoli, s. d., ma del 1948), p. 17, 124. 4) G. Wilpert, I sarcofagi cristiani antichi (Roma 1929, 1923, 1936). 5) Codd. B Y W, mss. copti, molti mss. latini, Taziano, Tertulliano, Girolamo. 6) Nella maggioranza dei codici siro-antiocheni. 7) Codd. B Y W, mss. copti, molti mss. latini, Taziano, Tertulliano, Girolamo. 7) Cod. 6, mss. dell’antica latina, Ireneo, Eusebio. 8) Wilpert, op. cit., tav. 214, 6; pag. 295 s. 9) Museo Lateranense 125: Ibid., tav. 230, 6; pag. 293 s., 313 s.; cimitero di Pretestato: ibid., tav. 207, 1; pagg. 11*, 239, 243. 10) Tarragona: ibid., tav. 230, 3; pagg. 294 s., 311 s. 11) Ibid., pag. 294 e tav. 102, 1 (fianco con il battesimo di Cornelio). 12) Arles-Avignone : ibid., pagg. 294 s., fig. 184, [cf. F. Benoit, Sarcophages paléochrétiens d’Arles et de Marseille (Paris 1954) p. 43, num. 36, Tav. XIV, 1]; - Clermont: ibid., tav. 230, 5 e pag. 294; - Die : ibid., tav. 230, 1 e pagg. 294, 299, 310, 312 e tav. 230, 2 pagg. 294, 311; - Vienne (museo): ibid., tav. 230, 4, pagg. 294, 310; Valence (museo): citato alla n. 8.
13) M. Lawrence, City-Gate Sarcophagi; The Art Bulletìn, 10 (1927), pp. 1-45, figg. 34 e 35; Columnar Sarcophagi in the latin West: The Art Bulletin, 14 (1932), pp. 103183, in particolare pp. 121. 159, 167 num. 15, 175 nn. 114, 115, 116, 117, 118; figg. 21, 24. 14) F. Gerke, Studien zur Sarkophagplastik der theodosianischen Renaissance : Romische Quartalschrift. 42 (1934); Idem, Das Verhältnis von Malerei und Plastik in der Theodosianisch-Honorianischen Zeit: Rivista di archeologia cristiana, XII (1935), p. 119-163, in particolare p. 127, 159. 15) M. Simon, Sur l’origine des sarchophages chrétiens du type Bethesda: Mélanges d’archeologie et d’histoire, 55 (1938), pp. 201-223. 16) L. De Bruyne L’imposition des mains dans l’art chrétien ancien: Rivista di archeologia cristiana, 20 (1943), pp. 135, 147, 149, 160, 167, 168. 17) Wilpert, op. cit., vol. I, Tavv. 109, 7; 121, 2; 145, 7; vol. II, Tav. 240, 1; Tavv. 207, 1; 230, 3, 5, 6 (Bethesda); L. de Bruyne, op. cit., p. 158 e nota 3. 18) Wilpert, op. cit., vol. I, Tav. 121, 2. 19) L. de Bruyne L., op. cit. 20) Wilpert, op. cit., vol. II, p. 298 s. 21) M. Simon, op. cit., p. 215. 22) Wilpert, op. cit., voi. I, Tav. 151, 2; vol. II, Tavv. 205, 4; 212, 2; 235, 7; pag. 312.
23) F. Benoit, Fragments de sarcophages inédits provenant du cimetière des Aliscamps à Arles, in Riv. di archeologia cristiana, 17 (1940), p. 252 s., fig. 3; Idem, Sarcophages paléochr. d’Arles et de Marseille, p. 43, nn. 35. 24) F. Benoit, Sarcophages paléochrét. d’Arles et de Marseille, p. 43, num. 35, Tav. XXVI, 4; Idem, Riv. archeol. crist., 17 (1940) p. 253, fig. 3. 25) Wilpert, op. cit., vol. I, Tav. 167, 1; vol. II, Taw. 212, 2; 235, 5 e 7; 242, 1; fig. 195 a pag. 311; Garrucci, Tav. 358, 1; 372, 12; 402, 1; 334, 2. 26) Wilpert, op. cit., vol. II, Tav. 242, 1 ; F. Benoit, Sarcoph. paléochr. d’’Arles et de Marseille, pag. 47-48, num. 45, Tav. XVII. 27) Lo pubblicò il Bottari, Roma sott., I, XXII, p. 82; cf. Aringhi, Roma subterr. p. 294-295. Il Garrucci, vol. V, pag. 58, scrisse: «ora ci è ignoto se esista e dove si trovi, e lo riprodusse dal Bottari, nella Tav. 334, 2. Si trova al Laterano, cf. O. Marucchi, I monumenti del Museo cristiano Pio-Lateranense, Tav. XXXVI, 1 ; ne ha dato un’ottima riproduzione la Lawrence, City-Gate Sarcophagi, in The Art Bulletin, X (1927) p. 22, fig. 25. 28) Op. cit., p. 124. 29) Op. cit., p. 67. 30) Op. cit., p. 56, nota I. 31) Op. cit., p. 91.
32) C.I.L. X, pars I, p. 679; Beloch, Die Campanien, pp. 202-210. Per i rapporti con Pozzuoli, v. anche le iscrizioni dei Faenii, thurarìi, a Ischia e a Pozzuoli, C.I.C. X, 6802, 1962. 33) Bibliotheca hagiographica latina, 7190; D. Mallardo, Il calendario marmoreo di Napoli (Roma 1947). p. 201 ss. 34) D. Mallardo, La questione dei cristiani a Pompei (Napoli 1935) = estratto dalla Rivista di studi Pompeiani, anno I (1934-35) p. 82 s. 35) Wilpert, op. cit., voi. II, p. 295, 311, 313. 36) M. Lawrence, Columnar Sarcophagi: The Art Bull. 14 (1932), p. 175. 37) Ibidem, p. 121. 38) Ibidem, p. 175. 39) Ibidem, p. 184. 40) Ibidem., p. 185. 41) Cf. F. Gerke, Sarkophagplastik: Ramisene Quartalschrift, 42 (1934) p. 21, 25; Idem, Das Verhältnìs von Mal. u. Plast.: Riv. di archeol. crisi., 12 (1935) p. 159; Idem, Christus in der spätantike Plastik, 3a Aufl. (1948) p. 41, p. 86 nota 52 e p. 85 nota 50. 42) M. Simon, in Mélanges d’archéol. et d’hist., 55 (1938).
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Sarcofago d’Ischia - Particolare: Zaccheo
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Alphonse De Lamartine a Napoli, Procida, Casamicciola di Domenico Di Spigna Lamartine è di nuovo in Italia dal diciotto agosto al 19 settembre 1844 ed è un viaggio felice, della stessa emozione ed intensità di quello avvenuto ventiquattro anni prima. L’isola sarà ancora luogo di delizie per i Lamartine. L’usignuolo di Francia, com’è da definirsi, aveva potuto realizzare il sogno di trascorrere l’estate a Napoli e nell’isola maggiore del suo golfo che tanto desiderava rivedere e ravvivare i propri ricordi, nel disegno di scrivere le sue “Confidenze”, grazie al contratto firmato con l’editore Gosselin per la pubblicazione della “Storia dei Girondini”. La partenza per questo nuovo viaggio rassomiglia in miniatura a quello effettuato nel passato per l’Oriente, ma con esiti diversi. I coniugi Lamartine conducono con loro la famiglia Cessiat: Cecilia con i figli Valentina, Alfonsina ed il piccolo Emanuele. I medici, per la buona salute del poeta avevano consigliato i bagni presso la piccola stazione termale di Nèris, ma Alfonso preferisce le calde acque di Casamicciola e il suo mare. Scrive la signora Marianna, in data nove agosto, da Genova alla sua amica de La Grange: «Fra poco partiremo col piroscafo per Napoli! È incredibile, non credo a me stessa se chiudo gli occhi. Vado al mare con una giovane che nuota molto bene; il signor Lamartine per un attacco di bile è stato a letto per 24 ore… forse ha preso freddo, meglio Ischia, di dolce memoria, con le sue salutari terme». Si immagini lo stato d’animo, cosparso di tenero romanticismo per il suo giovanile amore del 1811 per Antoniella-Graziella, che aveva conosciuto presso la manifattura dei tabacchi. Egli promette mare e meraviglie per tutto il seguito familiare. Viene accolto a Napoli , dove giun18
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Lamartine a 20 anni (Museo di Mâcon)
gono il 13 agosto, dall’ambasciatore francese duca di Montebello; compiono escursioni a Castellammare di Stabia, Vico Equense, Sorrento, Pompei, vanno a teatro, ascoltano concerti. Il signor Lamartine era felice! Ritrova i suoi diciotto anni e rivive il primo sogggiorno a Napoli, scrive Marianna la “diarista”, ritrova pure tutto il ricordo di Antoniella! Lei non è gelosa, ma gelosa di tutto quando suo marito va a rivedere la manifattura dei tabacchi alla Porta di Massa diretta ancora da un Dareste, il figlio del compiacente cugino che l’ospitò molti anni prima ed evoca la bella napoletana divenuta ora per lui un personaggio da leggenda. I ricordi affiorano copiosi, nel gioioso soggiorno giovanile: «si amano i luoghi dove si è amato; essi sembrano conservarci il cuore d’altre volte e ce lo rende intatto per amare ancora», così dice nella prefazione delle “Confidenze”. L’idillio con la sigaraia di Resina sarà la trama del romanzo “Graziella”, l’opera sua forse più letta. In un’altra missiva all’amica de La Grange comunica che sono stati al Teatro San Carlino per assistere ad una farsa di napoletani purosangue. Era questa di una comicità ammirevole, rappresen-
tata con vivacità e gesti sconosciuti a tutti. Il gruppo francese trova il luogo flegreo come un anfiteatro incantato, come uno scenario antico, col golfo dominato dal Vesuvio sonnecchiante e Sorrento in fondo ad esso disteso al sole. Sarà la terza volta che il transalpino tocca il suolo partenopeo; è felicissimo e più volte dirà d’essere dispiaciuto per non aver avuto i natali napoletani. Giunti a Casamicciola, una graditissima sorpresa attende il poeta allo sbarco! Si era saputo che doveva arrivare il cantore borgognano col suo seguito e pertanto gli viene riservata la più delicata delle accoglienze. È salutato allo sbarco da una signora napoletana, la contessa Irene Capecelatro di circa quaranta anni che a nome dei villeggianti lo accoglie leggendo in francese i versi di una sua poesia. Questa gentile donna era figlia del conte dei Camaldoli Francesco nato a Foggia il 26- 6-1758 e di Maria Granito di Castellabate. Aveva sposato il musicista Vincenzo Capecelatro, col quale spesso era in viaggio per l’Europa; questi piuttosto squattrinato non era pure esente da tradimenti amorosi. Fu l’autrice dei versi delle canzoni: “ La bella sorrentina”, ”La zingara”, “Imelda” e di altri scritti quali una commedia per il “Teatro dei Fiorentini”. Praticò ed ebbe in confidenza lo scrittore francese Alessandro Dumas, nella redazione del giornale “L’Indipendente”, scritto in francese e che lei traduceva in italiano. Era liberale per ascendenti di famiglia come suo fratello Giuseppe, possedeva una villa al Vomero (aprica collina di Napoli) ed assieme a Beatrice Laura Oliva Mancini, Paola Ranieri e Giuseppina Guacci Nobile fondò il circolo della poetessa de Sebezio. Donna sensibile, non bella, fu una colta amante della musica; come suo fratello Giuseppe era afflitta da coxalgia e per tale male col passare degli anni diveniva
In alto: Pescatore e giovanetta d’Ischia (di Louis-Léopold Robert, 1827) In basso: Ragazza di Procida (di Louis-Léopold Robert, 1822)
sempre più claudicante. Suo fratello sempre impegnato in politica, liberale e antiborbonico da anni forzatamente viveva tra Parigi e Torino. Da questi luoghi spesso scriveva a Irene che sempre in non buone condizioni di salute, chiedeva rimedio e conforto ai bagni termali di Casamicciola. Una sua sorella si chiamava Elisabetta che diversamente da loro conservava la sua fede borbonica e per queste diverse ideologie, Giuseppe ed Elisabetta, nella loro corrispondenza, a parte il tono affettuoso come si conviene tra germani, a volte spesso diveniva aspra polemica. Nonostante ciò Elisabetta aiutava in qualche modo economicamente suo fratello sempre a corto di soldi. Come da conseutudine di famiglia, Elisabetta d’estate si recava a Casamicciola e nel 1871 cerca di non incontrare il senatore Marliani, amico di Giuseppe oramai deputato Ricciardi, dichiarando di non voler leggere nemmeno gli scritti dello stesso Giuseppe. Era una vera legittimista borbonica! Affermava tra l’altro, come si legge nelle lettere datate Casamicciola 21 luglio e 4 agosto 1871, che il senatore del nuovo Regno Italico era un vecchio antipatico e intollerante, e di più ancora: molto sciocca deve essere sua moglie per averlo sposato e condannata a farle da infermiera. Grande gioia e sicuramente festosa partecipazione avranno provato gli ospiti di Francia, quando posero piedi sulla dorata spiaggia, tra gli attoniti e curiosi bagnanti del luogo. Alla stessa nobildonna, riconoscente e commosso per la squisita gentilezza rivoltogli, in risposta dedicherà la poesia “Saluto all’isola d’Ischia” (6 settembre 1844), che suona in tali versi: “È dolce aspirare scendendo alla spiaggia il profumo che il vento porta allo straniero e di odorare i fiori che il suo alito porta a piovere sul vostro fronte dall’alto dell’aranceto”. È dolce prestare un orecchio rapito alla lingua dei dolci suoni che si parlava amando, che vi porta in sogno al fiore della vita e che risuona nel cuore musica e sentimenti. La gioia che s’era auspicato il poeta ne è intensificata dalla realtà, il suo motto “vivere in tutto, è vivere cento volte”, si materializzava. Gli animi dei graditi turisti erano pervasi da piacevole emotività; la vista delle dirimpettaie verdi colline, che declinavano verso la spiaggia sottostante, facevano da riscontro e suggestivo contorno. Un’emozione seguiva l’altra ed un’altra la sostituiva! Alcuni anni dopo, da Parigi, nel luglio del 1860 scriverà ancora ad Irene: «vi ho conosciuto giovane, felice, e già celebre nella vostra illustre famiglia». Alla marina di Casamicciola, laddove ha gettato le ancore il piccolo piroscafo, v’era un capannello di persone e in particolare tanti “asinari” che con i loro quadrupedi costituivano l’unico mezzo di trasporto per i luoghi dell’isola, già che non v’erano ancora né cavalli, né carrozze; c’erano pure i facchini pronti a strappare dalle mani dei turisti i bagagli e litigare fra loro per l’accaparramento; scene che si sono ripetute fino a metà del secolo scorso. A dorso d’asino la comitiva proveniente dalla Francia si arrampica verso Castanito, dove prende in affitto una villetta, non più la casetta del primo soggiorno, ricordata La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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a Louis de Vignet, ma quella che era stata liberata dalla contessa russa Giulia Samoiloff, ad un centinaio di metri di distanza. La signora Marianna Lamartine scriverà all’amica De la Grange che la citata nobildonna aveva lasciato un sofà e qualche piccola tenda persiana, messa per suo uso ed abbellire il piccolo salotto. «Qui la natura ha fatto tutto, ma la mano dell’uomo ben poca cosa e mi ritrovo quasi in Oriente in rapporto alla costruzione e all’arredamento della nostra villa. Ma un balcone sul mare, una vista della montagna e un giardino d’aranci non è forse sufficiente per far dimenticare tappeti e poltrone? Niente è più bello dei vari aspetti di questo magnifico golfo che non ci stanchiamo mai di contemplare durante il giorno ed io, per metà della notte….mi alzo una ventina di volte per fare un piccolo giro sulla terrazza e ammirare ora la pesca con le lampare, ora l’alba che arriva con i suoi inattesi effetti. Poi il sole si alza d’improvviso dietro un piccolo promontorio e fa vibrare di mille mormorii e scintillare di mille luci, ogni foglia, ogni onda. Le paranze escono, come d’incanto, da ogni insenatura e volano come bianche farfalle in tutte le direzioni. Penso di rimanere qui fin quando i bagni di mare e le acque minerali gioveranno alla salute del signor Lamartine, che ha preso un bagno nell’acqua “dell’Occhio” la più leggera delle acque al mondo; ma a suo dire, gli ha spezzato gambe e braccia. Un reggimento di asini ci attende alla porta per fare una passeggiata per delle scale terrificanti. Senza dubbio è questa una scena d’incanto veritieramente descritta e confortata da coloro che l’hanno ugualmente ammirata spaziando con l’occhio fino a Capo Miseno che spinge il suo sperone nel golfo di Napoli con Posillipo e i suoi lauri ed è in fondo il Vesuvio che si compiace». Il poeta si reca a Lacco Ameno, visita la chiesa dedicata a Santa Restituta Vergine e Martire africana e della quale si porterà in Francia una sua grande effigie, nonché la baia di San Montano standosene ai piedi del costone 20
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A Procida
… Destarci sulla terrazza, al garrir delle rondini che sfioravano il tetto di foglie; ascoltare la voce infantile di Graziella che cantava a mezza voce nella vigna, timorosa di turbare il sonno dei due stranieri; scendere correndo alla spiaggia, per tuffarci in mare e nuotare per qualche minuto in una piccola insenatura dall’acqua profonda ma trasparente che lasciava scorgere la sabbia fine e luminosa, e dove non giungeva il flusso inquieto e la schiuma dell’alto mare; risalire adagio verso casa, facendo asciugare i capelli e le spalle umide al sole; far colazione nella vigna, con un pezzo di pane o di formaggio di capra, che Graziella divideva con noi; bere l’acqua chiara e fresca della sorgente, attinta con una piccola giara di terracotta dalla forma oblunga e che ella, arrossendo, piegava sul braccio, per lasciarci posare le labbra all’orlo; aiutare la famiglia nelle mille faccende rustiche della casa e del giardino; riedificare qua e là il muro di cinta della vigna che sosteneva le balze a terrazza, rimuovere delle grosse pietre che durante l’inverno erano rotolate dall’alto dei muri sui giovani arbusti di vite e che schiacciavano gli scarsi coltivi che si potevano creare fra una pianta e l’altra; portare in cantina le grosse zucche gialle, così pesanti che un uomo non poteva trasportarne più di una per volta; poi, tagliare i viluppi che ricoprivano la terra con le loro larghe foglie facendo inciampare ad ogni passo; tracciar, fra i filari di viti, sotto le alte pergole, un rigagnoletto nella terra riarsa, perché l’acqua e la pioggia vi si adunino, abbeverandola in un modo più duraturo; scavare delle specie di pozzi in forma di botte, ai piedi dei fichi e dei limoni, ecco le nostre occupazioni mattutine, sino a quando il sole, battendo a piombo sui tetti, sul giardino e sulla corte, ci costringeva a rifugiarci al riparo della pergola. La trasparenza e il riflesso delle foglie di vite davano alle ombre mobili un riflesso caldo e dorato. (dal romanzo Graziella, edizione Imagaenaria, 2004) roccioso sopra un letto di fine sabbia. Qui nasceva sino a pochi decenni orsono, il narciso marino (pancratium maritimum) che gli ispirerà “Il Giglio di Santa Restituta” (poesia che reca la data del trenta agosto 1844). Quassù nella quiete del colle alla Sentinella da cui contemplava la dirimpettaia isola di Procida, rumina in sé il suo lontano passato napoletano ed il ricordo si porta ad Antoniella che oramai, a più di trent’anni, la sua figura assume il viso della “grazia” e scriverà il suo “Graziella”, romanzo di toccante sensibilità, che ha fatto piangere diverse generazioni e sorgere diverse leggende a Procida, per lo struggente amore del francese verso la bella “procidana”. In realtà la Jacomino Antonietta (Graziella) non ha mai vissuto a Procida e lo stesso poeta ha contribuito a confondere le idee, cosa però scaturita dalla sua fantasia. Alla Sentinella i nostri graditi e affe-
zionati ospiti incontrano la principessa Oginsky, la cui figlia nel 1821 fu la madrina del piccolo Alfonso junior, il poeta marsigliese Autra, M. d’Areste e qualche notabile del luogo. Durante la villeggiatura, viene a fare visita al poeta il giovane editore Pelletan, suo amico, di circa trenta anni, di virile bellezza. È accompagnato da un ragazzo del luogo, magro, alto e con barba nera, che s’incaricava di rendersi utile a guida dei turisti. I due cittadini francesi scendono alla spiaggia incontro alla signora Pelletan, fanno un giro turistico per l’isola e Lamartine offre alla giovane coppia l’ospitalità di un giorno per ripartire l’indomani dopo aver ascoltato alcune pagine del “Graziella”. Successivamente M. de Girardin, direttore de La Presse, scrive a Lamartine: «Il signor Pelletan mi ha parlato con interesse di alcune pagine di ricordi d’infanzia che ha capito nella lettura ad Ischia, volete
Graziella e Lamartine in un disegno di Alfred Curzon, editione di Graziella
mandarmele alla Presse?». Il poeta rifiuta pur ringraziando cortesemente: il prezzo offerto dal giornale è molto più giù di pagine senza valore! Qui nella tranquillità della villa Tagliaferro, dalla vista mozzafiato, il poeta durante l’intenso mese che ivi trascorre, scrisse tra l’altro anche un articolato commento al “Primo rimpianto”, come si evince dalle due date del manoscritto (presso l’archivio di Saint Point), Ischia 30 agosto 1844 e 10 settembre 1844. Ma dov’era collocata la villa Tagliafeno? (come sembra lettera n la doppia erre ), dalla grafia della signora Marianna nella lettera scritta sempre alla sua amica de La Grange) ma verosimilmente Tagliaferro, probabilmente appartenuta a qualche agiata famiglia napoletana di tale casato. Essa oggi non è più esistente a causa delle rovine provocate dal noto sisma del 1883, ma doveva situarsi a brevissima distanza dall’attuale villa Chevalley de Rivaz o Villa Sauvé e Casa Arcamone, che al tempo del Lamartine era abitata dalla principessa Oginsky, paralizzata nel proprio sediolone. Riparte il nostro col proprio seguito il giorno diciannove settembre, festa di San Gennaro Vescovo, imbarcandosi su di un piccolo piroscafo diretto a Napoli, contento delle sue nuove esperienze , ma triste per dover lasciare quei mari tanto amati, come traspa-
re dalle note della poesia, scritta alla vigilia del distacco dall’isola di Tifeo e pubblicata postuma col titolo “Le Vele”, …… ed ora seduto a bordo di un battello a vapore che fuma me ne sono andato! È un melanconico addio al suo gioioso nido intriso di giovanile freschezza. Non rivedrà più l’isola, il fulgido sole di quel luogo rasserenante tutto, anche la morte. La recondita speranza d’un altro ritorno all’isola felice non sarà appagata dalla sorte. Difatti non molti anni appresso inizierà una negativa parabola discendente, non prima d’aver pubblicato nel 1857, l’elegia “La figlia del pescatore” (Graziella), che aveva abbozzato molti anni prima a Casamicciola. Il ventotto dello stesso mese saranno tutti a Roma, poi Rimini, Ravenna, Ferrara, Padova, Ginevra, per raggiungere il mese successivo Monceau, sempre il giorno ventottto. Uomo religioso qual era riesce in qualche modo ad accettare ciò che la vita gli proporrà, durante i suoi anni “ombra”, ed imparare com’era solito dire, il triste e bel mestiere di vivere. Questo suo senso del divino di cui era pervaso, per estrazione materna, lo si intravede nelle sue “Confidenze”, di cui fa parte “Graziella” che alla sua pubblicazione ebbe un successo strepitoso. Era sua l’espessione, io lavoro per Dio… cerco di discernere la via che condurrà gli uomini a Lui. Anche
la critica gli fu notoriamente avversa. Fu bersagliato per le sue idee politiche ( una volta gli fu esclamato da un operaio: va là, non sei che una lira), per come gestiva la sua produzione letteraria, per i suoi tanti amori, veri o idealizzati. Era avverso politicamente a Napoleone III, dal quale aveva rifiutato un congruo sostegno quando era venuto a trovarsi in grosse ristrettezze economiche . Alla fine degli anni cinquanta, per ricavare quel tanto per la sopravvivenza dà inizio alla pubblicazione, in dispense, del “Corso Familiare di Letteratura”, ovvero una miscellanea di pensieri, critica letteraria e ricordi, che non aggiungono niente di nuovo, alla sua terminata produzione letteraria. Anche in questo caso gli fu rivolta una sarcastica ironia dalla stampa quale: cosa fate signor Lamartine? Non vedete, m’edito, ah, meditate! È l’unica cosa che sappiate fare. A proposito dei suoi tanti amori, con l’aggiunta di quello senile per sua nipote Valentina de Cessiat, il critico francese Laforet, nell’opera “Narciso o gli amori di Lamartine”, dice ch’egli in realtà non abbia mai amato le sue donne, ma soltanto se stesso, si chiami l’innamorata Elvira o Graziella, finirà comunque per morire d’amore per lui. Altri storici e commentatori tracciano di lui ritratti diametralmente opposti. Per taluni egli è l’amante per eccellenza, deducendolo per convincimento dalle sue “Memorie Postume”, dove l’azione del dramma d’amore si sposterà di nuovo a Napoli, presso il signor Dareste de La Chevanne, dove l’incantevole Graziella, non più corallaia, ma domestica, sarà denominata Antoniella. Altri ancora lo giudicano: narciso, generoso, retorico, utopistico, avido, mistico,demagogo e gran signore; tutte caratteristiche contraddittorie. Senza dubbio possedeva un carattere particolarmente multiforme. Aveva condotto un’esistenza ricca di avvenimenti, brillanti o di appanamento, in una parola spesso altalenanti. Gli ultimi scoloriti anni di vita diventano quasi un’agonia, per via di malanni fisici e problemi economici, dovuti anche, quest’ultimi, pure alla sua prodiLa Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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galità e soltanto due anni prima del distacco dalla madre terra ricevette una piccola pensione, proprio lui che aveva lottato per l’indennità di disoccupazione. Si concludono in pratica anche i suoi scritti e le ultime pagine che si hanno di lui sono ridotte, quasi illegibili. In molti casi le firme vengono apposte da Valentina, oramai signora Lamartine, che aveva potuto sposare, davanti al prevosto Luison, suo zio Alfonso, previo dispensa di Papa Pio IX, con telegramma del trentuno agosto 1868, dopo che la giovane aveva rifiutato di sposare il prorio segretario Champuans. La moglie inglese Mary Anne Birch, lo aveva lasciato vedovo qualche anno prima, morta tra terribili sofferenze per una malattia infettiva da streptococco della pelle che le deturpò il viso, mentre lui si trovava a Parigi immobilizzato per un reumatismo infiammatorio di natura gottosa. Si spense nella tristezza e nell’isolamento, in seguito ad un colpo apoplettico tra la notte del ventotto febbraio e primo marzo 1869 a Passy, presso Parigi in uno chalet, messo a disposizione dalla municipalità di Parigi, circondato da pochi amici, dopo una iniziale vita di soddisfazioni e gloria. I resti furono trasportati a Saint Point, senza fasti, secondo la sua volontà. Aveva tra l’altro molto de-
cantato Napoli e il territorio del golfo e trascinando con sé: «quanti brandelli dei miei sentimenti e dei miei pensieri notturni, dispersi all’apparir del giorno, sono stati portati via ed inghiottiti dal mare di Napoli», come da vivo aveva affermato. Accanto a lui sono inumati la moglie, la suocera, i figlioletti e Valentina Cessiat de Lamartine. Soltanto a morte avvenuta, nella critica ci fu qualcuno che si espresse in tali termini: «era stato il poeta del cuore e della fantasia, la sua politica era quella di un generoso lungimirante» e in aggiunta, l’amante della bella natura, del paesaggio, del mare, del cielo tappezzato di astri. Lo storico Henry Guillemin dice che Lamartine è stato un uomo più grande che la sua opera, già così grande, una testa esaltata del Dio sconosciuto. Restano di lui una statua in bronzo opera del Falguire (1873) a Mâcon ed un’altra a Passy per la fattura di Marquet. Domenico Di Spigna Fotografie da Lamartine retrouvé - Paysages romantiques, anthologie di Mireille Vedrine, 1991.
Procida - Mostra personale di pittura di Antonietta presso la Casa di Graziella a Terra Murata L’Associazione culturale “La casa di Graziella”, nel presentarsi alla cittadinanza tutta, ha proposto la ricostruzione storica della casa di Graziella, situata al secondo piano del Palazzo della Cultura (Ex conservatorio delle orfane) Terra Murata. Nel settembre del 1811 arriva in Italia Alphonse De Lamartine, scrittore e poeta francese di soli 21 anni e protagonista del Grand Tour; e secondo il romanzo Graziella , Lamartine soggiorna a Procida dal primo aprile 1812 a fine maggio 1813 e in questi 14 mesi lo scrittore si innamora della giovane fanciulla procidana Graziella, orfana, che vive con la nonna, il nonno Andrea ed i suoi fratelli di cui ricordiamo Beppo. Lamartine solo nel 1849 deciderà di scrivere questo bellissimo romanzo. A duecento anni da quest’evento l’Associazione culturale “La casa di Graziella”, nella persona del dottor Riccardo Scotto Di Marrazzo, laureato in Conservazione dei Beni Culturali, demoetnoantropologo, curriculum turistico e laurea specialistica in storia dell’arte e Conservazione dei Beni Culturali, presso il Suor Orsola Benincasa, ha voluto ricostruire quest’ipotetica casa di Graziella. Ovviamente ha ricostruito una casa molto più ricca, rispetto a una casa di pescatori (dove 22
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Righi
non c’era quasi nulla). Tutto il corredo della casa è datato tra 1800 e 1900 ma nulla è appartenuto a Graziella. Questo museo ha lo scopo di salvaguardare e tramandare la storia di Procida ai posteri, attraverso il mito di Graziella. “La casa di Graziella”, lungo il percorso obbligatorio, ha inaugurato anche la mostra dell’artista procidana Antonietta Righi, intitolata “I luoghi di Graziella”. Antonietta Righi, attraverso le sue trenta opere in mo-
stra, racconta e percorre quei luoghi paradisiaci della sua isola, terra del ricordo, dell’arte, dell’amore e di Graziella. L’artista, di cui presentiamo alcune tele, afferma: «Così ricordo la mia isola, Procida, in questi scorci, costituiti da presenze umane intente, per lo più, alle loro attività quotidiane, le più semplici e le più antiche. La ricordo ferma, in questi istanti irripetibili che non potranno più ritornare, mentre il tempo cresce, evolve, verso una contemporaneità così veloce da cancellare qualsiasi traccia del passato. In queste tele descrivo immagini interiori, che riportano un tempo lontano, cancellato, fatto di sentimenti, di umiltà, di angoli del vissuto, come quelli che troviamo nella casa di Graziella, che per me continuano ad essere attuali. È un totale rifiuto della realtà, di questo mondo che tende a distruggere tutto ciò che gli si presenti davanti, un presente che nasconde la vera essenza delle cose, privandole della bellezza eterna che gli è propria. La mia è una pittura materica, scolpita, nella quale si può notare una tecnica originale, fatta di modellamento di grumi di colore sulla tela, quasi si tratti di cera o di creta, una tecnica nata spontanea per amore dell’arte».
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Immagini delle tele di A. Righi Pag. 23 Guaglioni In questa pagina In alto: Prima mattina Al centro Vicolo In basso Limoneto
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Forio - Giardini Ravino
Fino al 4 luglio 2012
Una monografia con protagonisti gli uccelli di Pietro Paolo Zivelli Le fotografie di Jean Marie Manzoni, motivo della personale, sono monotematiche, ricorrenti e legate solo ad alcune specie di volatili. “Una monografia” con protagonisti uccelli, momento di osservazione e di studio, per sforare poi in figurazioni suggestive e fascinose dove spesso il soggetto fotografato perde quasi la sua identità di appartenenza per significare qualcosa d’altro e certamente qui la foto declina il suo intento squisitamente documentario, acquistando una dimensione tutta giocata “sull’attimo fuggente”, sul ritorno poi di un’immagine che è espressione di un movimento, memorizzazione di una traccia. L’occhio obiettivo impressiona, fissa l’eccitazione del rapace che cala deciso sulla preda, in un impatto violento, quindi creativo, tra cielo ed acqua; i due elementi si fondono in uno spruzzo (ancora traccia) di squame iridescenti ed un battito d’ali frenante a ribadire, nell’esemplificazione del fatto, tutta l’imaginifica potenza del volo, la sua ancestrale superiorità. Compito dell’artista: cogliere in una frazione piccolissima di tempo : - il tempo di un clic più volte sparato; - la drammaticità e la lineare concettualità di esecuzione, terribile nella La savana del Sud Africa, come quella del Botswana, sono stati i sua perentorietà, di una lotta per la sopravvivenza. luoghi di osservazione scelti per scattare queste fotografie. Il materiale fotografico adoperato è peraltro molto semplice e ba- L’occhio intuisce, vivendo, comsico, Nikon D300 con teleobiettivo 500 m/m. messa a fuoco manuale, plice la macchina, il movimento, ciò che sta per accadere, subito accade, utilizzato a mano libera. evidenziandone il punto culminante In questo studio fotografico è stata privilegiata la scelta di una vi- che risulta insieme inizio, sviluppo sione in cui dominano l’impressione e la suggestione, prive di ogni ed epilogo di un’azione in fieri. connotazione e dettaglio, piuttosto che una descrizione documentari- La fotografia blizzata perde in stica. La fotografia, quindi, perde in dettagli a vantaggio di una po- dettagli a tutto vantaggio di una sugesia dell’immagine in cui il senso estetico prevale sull’immagine ad gestione che diventa poesia dell’immagine e dove il senso estetico del alta definizione. Lo scopo è quello di esprimere, attraverso la fotografia, la forza, la voler essere prevale sul dover essere, violenza, la dinamica, evidenziandone le valenze del momento culmi- sull’immagine ad alta definizione, e suggerisce una complessità di temi nante dell’azione (volo, caccia, e riposo) J. M. Manzoni - Hainga
Umoya - wase Afrika spirito africano / African spirit
Jean Marie Manzoni fotografie
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J. M. Manzoni - Ala
J. M. Manzoni - Harrier
J. M. Manzoni - Leonessa e leone
(violenza, forza, abilità, opportunismo) che trascendono l’accadimento (storia di una cattura), per cogliere l’essenza a farsi categoria. Un risultato che si ottiene, frutto di un vivo interesse, una approfondita conoscenza del mezzo tecnico, uno studio attento e meticoloso da fotografare; in definitiva professionalità, quella di Jean Marie, sottesa da una passione che data ormai da molti anni, per di più confortata dalla stessa attività che l’artista esercita professionalmente sin dagli anni ‘60. Jean Marie Manzoni ha frequentato le Belle Arti a Basilea ed ha seguito corsi di fotografia a Vevey, sempre in Svizzera. Nel ‘65 lavora come fotoreporter per il settimanale svizzero Illustré e qui si intensificano le sue frequentazioni di ambienti intellettuali ed artistici, sia in Svizzera che all’estero. Dal 1973 lavora come assistente in un importante studio di pubblicità a Ginevra, soprattutto nel settore della oreficeria, dell’orologeria ed oggetti d’arte (still life). Sei anni dopo apre un proprio studio, svolgendo attività nel campo delle pubbliche relazioni dell’industria e dei servizi fotografici. Lavora soprattutto all’estero con reportage sull’Africa Orientale. Attraversa il Sahara venendo a contatto con la realtà del deserto ed ancor più con il mondo animale che lo caratterizza. Si reca spesso in America per periodi più o meno lunghi, per osservare e studiare una colonia di falchi pescatori (California), l’hainga in Florida ed il condor in Perù. Viaggiatore quindi instancabile sulle rotte del fuoristrada, ama esplorare posti poco frequentati ed è proprio durante queste sue peregrinazioni che prende una notevole quantità di appunti sui luoghi che scopre, schizzi veloci su di un notes ma, ancor più, pagine impressionate dal suo occhio e dalla sua educata sensibilità di artista. Si avvicina con maggiore convinzione alla foto artistica intorno agli anni ‘80, in occasione del suo viaggio in Africa. Si definisce un amateur della fotografia, nonostante l’accezione, tiene a ribadirlo, del termine spesso snobbata. Ma i risultati ottenuti la dicono lunga sul suo essere e definirsi un “amateur” di fotografia. Jean Marie è un professionista che si muove con competenza ed amore, con sacrificali appostamenti estenuanti, lunghe attese pazienti e solitarie, silenziose per poter simbiolizzare con l’elemento-habitat-uccello; indossa abiti di colore smorto, si muove lentamente, senza fare gesti scomposti, evita i rumori, regge per La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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J. M. Manzoni - Leonessa
J. M. Manzoni - Martin pescatore
ore ed ore quel “cannone” di macchina in spalla per non perdere l’appuntamento da lungo tempo preparato, desiderato, atteso come ottimale perché il reale possa dare significazione al virtuale nel fotogramma poi da stampare, proprio quello tra i tanti scattati, unico a dare il senso del perché della scelta. Il momento più interessante - raccontava - è quello del pasto degli uccelli predatori, con tutta l’eccitazione e la complessità che 26
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in natura comporta ogni azione di vitale interesse per la sopravvivenza. Gli uccelli si muovono con diffidenza sulle pozze senza vegetazione mentre diventano più “socievoli”, avvicinabili, presso i fiumi dove c’è presenza vegetativa. Talvolta il clic, nella concitazione del momento, taglia testa o gambe all’uccello in picchiata, sino a quando non lo si conosce bene e si riesce a prevederne il volo, lo scarto improvviso nell’una o nell’altra direzione, in alto o in basso; la virata, l’affondo, le zampe che afferrano un luccichio sul pelo dell’acqua, la ripresa nelle ali vigorose mentre la coda fa la barba alla superficie acquorea. Il tempo della fotografia è perciò molto variabile nel rapporto tra distanza e focale che devono essere calibrati, in sincrono al volo dell’uccello: lento quello del falco o del condor, veloce quello dell’hainga o del passerotto. La zona di lavoro varia dai 20 ai 30 metri, usa teleobiettivi con tempi che variano da 1/30 a 1/250 di secondo. Il falco quando pesca diventa oggetto e soggetto allo stesso tempo, cacciatore dal cielo viene ripreso dalla camera ed a sua volta (eccezionale il campo visivo da quella altezza) zooma lo sguardo penetrante sulla preda, appena sotto la superficie dell’acqua. L’obiettivo si sposta subito sul pesce impressionando, in caduta libera un qualcosa che perde la sua identità di uccello per diventare sul fotogramma un segno, una traccia graffiata, graffito che scrive nel disegno l’acrodinamicità di una linea segmentata a suggerire un capo, un corpo, delle ali, zampe e coda; in una colorazione approssimativa con eventuali macchie. Qui i tempi di scatto si fanno lenti da 1/15 ad 1/125 di secondo con focale da 500 a 1000 mm: è la traccia del volo, della caccia, della cattura, della ripresa in quota. La suggestione poi racconta dell’avvistamento per essere prima sulla preda, come si tuffa, come si leva dall’acqua, che tipo di volo (ondulato, rettilineo, picchiato, adagiato, planato su di un cuscino di vento) pratica l’uccello. Scopo della fotografia è quello di esprimere il movimento, la velocità, la violenza della cattura, la forza nel riprendere quota, le figurazioni blobbate tra presa e spasmi; tutto questo viene sotteso da una visione fotografica impressionista, finalizzata a comunicare, attraverso l’immagine, il momento culmine di ogni azione: attitudine, volo, caccia, osservazione o riposo a seconda del carattere del volatile. Uccelli col nome di corvo, falco pescatore, condor andino, airone, hainga sono protagonisti di queste foto nei momenti della loro ordinaria quotidianeità, fasi esistenziali, essenziali per la sopravvivenza della specie. Le foto di Jean Marie Manzoni riescono a cogliere, in un prodotto immagine, rumori, colori, odori, suoni, stridii, movimenti, spasmi, azioni che riescono a tra-
sfondere il loro potenziale fàtico in forza emotiva e suggestiva, in forme di creatività. L’attitudine, la positura, l’atteggiamento ieratico del corvo che si struttura in uno sviluppo piramidale verticizzato nel capo; statico e solenne con una valenza totemica nell’aria inquisitoria ed emblematica, ancor più accentuata dal nero del piumaggio e dal taglio frontale della fotografia, ti aggredisce in modo inquietante con la sua forza espressiva tra la fissità degli occhi ipnotici e quell’adunco rostro che delimita la parte terminale del becco. Mentre vola il falco pescatore si adagia sulla sua linea orizzontale, poi con le zampe in avanti in modo da rallentare il volo stesso nella fase di osservazione, con un’apertura alare al massimo nella parte timoniera e la coda a larga spatola che schiaffeggia l’aria in fase di picchiata, solo il
importante gruppo di stampa. - Apre in seguito uno studio e svolge per diversi anni un’attività nel campo della fotografia pubblicitaria. Compie adesso lunghi viaggi nel mondo dedicandosi unicamente ad una ricerca personale sull’espressione del movimento, in particolare nel mondo animale. Jean Marie Manzoni Nato a Ginevra (Svizzera) nel 1945 Studia alle Belle arti di Basilea e presso la scuola di fotografia di Vevey. Fotoreporter per diversi anni per un
becco emerge dalla liearità dell’immagine. La macchina fotografica è come montata su di un supporto che si muove in sincrono con l’uccello in volo ed è l’occhio dell’uccello che vede in tornasole se stesso proiettarsi dall’alto sulla preda; il suo cristal-
Presente già in mostre personali qui sull’isola d’Ischia: 1966 Galleria delle Stampe Antiche / Ischia - 1999 Galleria Eloart / Forio d’Ischia - 2005 Castello Aragonese / Ischia – 2011 Collettiva / Ischia.
lino acutissimo dettaglia in bianco e nero il puntino luminoso appena sotto il pelo dell’acqua. La caccia si conclude con la presa mentre l’aria si colora di versi eccitati, acuti nel racconto scritto per immagini. Pietro Paolo Zivelli
Forio . Giardini Ravino
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Ischia : Carta geologica - Guida e
Venerdì 18 maggio 2012 sono stati presentati, presso l’Osservatorio Geofisico 1885 sulla Collina della Gran Sentinella di Casamicciola Terme, la nuova Carta Geologica ed il volume degli Itinerari geologico-ambientali dell’isola d’Ischia (comprendente gli itinerari terresti, l’itinerario marino, gli itinerari geo-culturali del centro storico di Forio e la Guida geologico-ambientale) recentemente pubblicati dalla Regione Campania. Per l’occasione è stata anche allestita una mostra di tutte le carte geologiche storiche dell’isola d’Ischia a cura del Settore Difesa Suolo della Regione Campania – Ufficio Cartografia Geologica (Progetto CAR.G.) Geositi, Itinerari geologicoambientali nella persona della geologa Lucilla Monti; inoltre sono state proiettate le immagini dei fondali dell’isola d’Ischia che per la prima volta sono stati inseriti come geositi all’interno della citata carta geologica. L’evento ha visto anche la partecipazione del Servizio Attività Museali e dei Servizi per le Attività Museali e Bibliotecarie dell’Istituto 28
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Superiore per la Ricerca e la Protezione Ambientale (ISPRA).
Sabato 19 maggio 2012 il percorso museale dell’Osservatorio è stato aperto al pubblico e, in particolare, alle scolaresche con la possibilità di effettuare una visita guidata della storica struttura e delle mostre in corso. La manifestazione è stata accompagnata dall’inaugurazione della mostra Nel segno della Croce – Sculture in ferro di Felice
Meo che sarà possibile visitare fino al prossimo 30 settembre 2012. La mostra nasce dall’intuizione di un uomo dalle rare capacità artigianali e di grande generosità d’animo. Pezzi in ferro abbandonati dopo una precedente vita con funzioni diverse vengono raccolti da Felice Meo e riplasmati “Nel segno della Croce”. Improvvisamente Felice Meo trova una familiarità con questa materia apparentemente ostica e vi fa confluire questo suo senso per il Sacro ottenendo spesso risultacontinua a pagina 30
Itinerari geologico-ambientali
Gli abitanti dell’Isola d’Ischia, da circa 5500 anni, convivono con una molteplicità di fenomeni naturali che hanno modellato il paesaggio terrestre e marino. Tra l’uomo e la geologia è sempre esistito nel passato un forte legame, al punto che Ischia può definirsi una terra geo-antropologica. Infatti, gli eventi vulcanici e sismici, che hanno dominato la storia geologica fino a pochi secoli fa, hanno condizionato la vita delle comunità locali che, ad ogni catastrofe, si sono adattate ai cambiamenti, continuando a vivere in simbiosi e nel rispetto del territorio, interiorizzando questo rapporto, tanto da ritenere l’isola un luogo magico e sacro. Ischia è l’isola di Tifeo, il gigante punito da Giove che lo ha condannato a giacere nelle sue viscere. L’isola è Tifeo che, vomitando fuoco, rappresenta la potenza vulcanica e sismica, che provoca eruzioni, terremoti, fumarole e ribollenti acque sorgive. I tratti del gigante si percepiscono guardando il profilo dell’isola, i contorni delle montagne La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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ti tecnicamente inspiegabli. La rappresentazione finale scavalca le iniziali intenzioni dell’autore ed ecco che dai crocifissi visti nell’iconografia classicamente riconosciuta si passa rapidamente a dei segni di notevole intensità e significato che comunicano con lo spettatore senza raccontare. La mostra trova il suo punto di arrivo e di completamento nella finalità benefica che si propone con il sostegno de “I Fiori di Giada”. La realizzazione del Foglo “Isola d’Ischia” è stata effettuata nell’ambito del Progetto CARG (L. 226/99) a seguito della Convenzione tra il Servizio Geologico Nazionale – ISPRA e la Regione Campania-Settore Difesa Suolo. La Regione Campania ha cofinanziato le indagini delle aree emerse ed ha finanziato totalmente con l’Autorità di Bacino Nord-Occidentale della Campania le indagini delle aree marine
tra le batimetriche di 0 e -200 m. Il Progetto delle aree marine della Regione Campania comprende il rilevamento alla scala 1:10.000 della fascia batimetrica da -30/200 e il rilevamento geologico subacqueo ex novo della fascia batimetrica da 0/-30 m. Il Progetto CARG delle aree marine è stato realizzato dall’Istituto Geomare Sud, oggi Istituto per l’Am-
e delle colline, in quanto parte del suo corpo sono tufo, lava, argilla. Il mito, anche se riconvertito o rinnovato nella forma narrativa nel corso dei secoli, è diventato patrimonio dell’immaginario popolare, che trasmette profondi e arcaici significati. Il rapporto tra l’uomo, le risorse e l’ambiente testimonia l’evoluzione e la cultura del territorio, la sua storia, le sue tradizioni, le sue radici, condizionate dalla geologia tormentata dell’isola. L’uomo ha utilizzato le risorse che l’isola gli offriva con antica sapienza e maestria: le pietre locali per la costruzione di dimore rupestri, chiese, torri, case, muri a secco; le risorse minerarie per le attività commerciali del passato; le salutari acque per il termalismo e i fertili suoli per l’agricoltura. Ischia, quindi, è una terra viva, che affascina per la sua storia, le sue bellezze naturali ed an-
che perché permeata dei valori di un passato, oggi, in parte, dimenticati. Questa guida si propone di rievocare, promuovere e valorizzare ciò che sembra perduto, con l’obiettivo di favorire la riscoperta della vera essenza del territorio ischitano. Per la sua realizzazione, inoltre, si è cercato di “tradurre” i concetti geologici in un linguaggio accessibile a tutti e di valorizzare la geologia dei luoghi all’interno del contesto ambientale, evidenziando lo stretto rapporto tra uomo e territorio. I luoghi che si propongono rappresentano, il più delle volte, paesaggi già noti ai frequentatori; la loro descrizione, volutamente, è stata fatta rappresentando il paesaggio nelle sue molteplici sfaccettature e nei suoi valori, lasciando, però, la possibilità all’escursionista di poter cogliere l’emozione che il patrimonio paesaggistico e culturale gli trasmet-
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biente Marino Costiero IAMC, CNR di Napoli e dell’Università “La Parthenope”. Responsabile del Progetto CARG Regione Campania: Lucilla Monti – Settore Difesa Suolo e Geotermia. Dalle Note Illustrative pubblichiamo il seguente testo, presentato come riassunto esteso.
L’approccio multidisciplinare impiegato nel Progetto CARG Ischia e la estensione dei rilievi di geologia subacquea e di geologia marina alle aree marine circostanti l’isola consente oggi di avere un quadro di conoscenza molto più ampio del precedente e di comprendere la reale estensione del complesso ischitano, la sua importanza nella evoluzione dell’ area vulcanica campana e la dinamica evolutiva che caratterizza il campo vulcanico. I rilievi geologici sono stati eseguiti in conformità con le linee guida del Servizio Geologico Nazionale. Sono state utilizzate le UBSU (Unità a limiti inconformi), definite sulla base della presenza di discontinuità evidenti, dimostrabili e significative, delimitanti alla base ed al tetto ciascuna unità. L’analisi complessiva dei dati batimetrici, geofisici e vulcanologici-geochimici raccolti e presenti in letteratura rivela che l’isola d’Ischia rappresenta la parte emersa di un grande campo vulcanico che si estende da Procida ai vulcani sottomarini dell’ off-shore occidentale ischitano. I rilievi geologici ed i rilievi sismici a mare mostrano che nelle successioni dell’isola si intercalano numerose unità legate ad attività esplosiva, talora di elevata magnitudo, avente bocche eruttive esterne ad Ischia. Tra queste unità le piroclastiti della Secca d’Ischia, i tufi di Citara, i tufi
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te: i colori e le forme delle rocce, le sfumature di verde e le varietà della vegetazione, i profumi ed i sapori del cibo ed il gusto del vino, le atmosfere che affiorano nella narrazione delle leggende del luogo e nelle rievocazioni storiche dei centri urbani e delle zone rurali, i segreti e le tinte del mare, i ricordi delle antiche tradizioni e delle attività del passato. Pertanto, gli itinerari che si propongono vanno percorsi non con l’obiettivo della meta da raggiungere, ma con lo stile dei viaggiatori attenti e consapevoli dei secoli scorsi, che hanno percorso, scoperto e raccontato l’isola. Inoltre, l’occasione di una rilettura dei luoghi potrà creare per l’isolano l’opportunità di riappropriarsi la sua storia e il patrimonio ambientale della sua terra, per creare nuove prospettive di valorizzazione e di protezione. Introduzione di Lucilla Monti
di Sant’Angelo, di Monte Cotto, di San Michele, i tufi di San Montano ed i depositi pliniani di Russo. Il campo vulcanico si sviluppa su un’area grossolanamente ellittica, allungata in direzione circa est-ovest, ed appare formato da vulcani di dimensioni relativamente piccole, da strutture calderiche quale quella ischitana legata alle grandi eruzioni esplosive pliniane ed ignimbritiche del sintema del Rifugio di San Nicola e da strutture di probabile origine calderica, la cui esistenza è suggerita dalla morfologia del fondale marino e dai dati di sismica a riflessione, localizzate nell’off-shore occidentale dell’isola. L’attività di Ischia antica si sviluppa da più di 150 ka a circa 75 ka fa con un vulcanismo areale dominato da coni di tufo idromagmatici, duomi lavici affioranti in areali ristretti (blocchi tettonizzati) tra Punta Imperatore, Punta Chiarito-Sorgeto, Sant’Angelo e Punta della Signora, Scarrupata di Barano, Carta Romana, Ischia Ponte. Le successioni antiche sono ricoperte da depositi piroclastici legati ad eruzioni esplosive avvenute intorno a 130 ka, legate a meccanismi di fontanamento da centri e fratture eruttive alimentate da magmi trachitici fortemente alcalini. I depositi di questo tipo di eruzioni, che sono comuni nella storia eruttiva di Ischia, sono rappresentati dai banchi di scorie saldate che si estendono da Ischia Ponte, al Torone, a Monte di Vezzi. Le successive unità laviche di Punta Imperatore e di Sant’Angelo sono interessate da una superficie di abrasione marina con associate sabbie fossilifere sviluppata tra 117 e 98 ka. Depositi dell’attività esplosiva di tipo pliniano ed ignimbritico, avvenuta intorno ai 98 ka fa in forma molto più intensa di quella del Vezzi-Torone, formati da sequenze di livelli di pomici pliniane e depositi di brecce piroclastiche co-ignimbritiche sono esposti a Punta Imperatore, Sant’Angelo e San Pancrazio. Questi depositi, nella letteratura precedente erroneamente attribuiti alla eruzione del Tufo Verde dell’Epomeo, sono stati qui compresi nelle unità piroclastiche della spiaggia di Agnone. Purtroppo l’intensa tettonizzazione e l’attività vulcanica successiva non consentono di avanzare ipotesi sull’area sorgente di queste piroclastiti; tuttavia
i nuovi dati consentono di evidenziare che una attività esplosiva molto intensa si è sviluppata ad Ischia intorno ai 100 ka. Il periodo successivo compreso tra i 98 ka ed i 73 ka registra esclusivamente l’effusione di lave nell’area NO, Duomo del Vico e SE, lava di Parata. Questo periodo a vulcanicità molto bassa rappresenta probabilmente il preludio alla successiva crisi esplosiva parossistica. I depositi piroclastici emessi tra 73 ka e 56 ka formano il sintema di Rifugio San Nicola che comprende i depositi di più di 10 eruzioni esplosive di magnitudo molto elevata. Apre questa fase evolutiva di Ischia l’eruzione trachibasaltica del canale d’Ischia inferiore, seguita dalla messa in posto delle piroclastiti di Pignatiello, formate da vari strati di pomici pliniane trachitiche e depositi di ash flow con paleosuoli intercalati emesse probabilmente dal settore centrale dell’isola e disperse verso NE su Procida ed i Campi Flegrei. Con le eruzioni pliniane di Pignatiello ha inizio la formazione della caldera di Ischia, struttura di collasso polifasata che raggiungerà la forma attuale alla fine del ciclo eruttivo parossistico. Le sequenze insulari della Formazione di Pignatiello sono più complesse di quelle distali esposte su Procida e sul Monte di Procida comprendendo anche depositi di centri locali esplosivi ed effusivi (zona di Olummo) e depositi subpliniani a minore dispersione areale. Anche la composizione dei magmi trachitici eruttati presenta variazioni abbastanza importanti. L’esistenza di una caldera legata a Pignatiello è testimoniata oltre che dalla tipologia pliniana degli eventi, che comporta in genere la formazione di strutture vulcaniche negative di collasso, anche dal rinvenimento, alla base della successione ignimbritica del blocco risorgente dell’Epomeo, di sedimenti marini epiclastici siltosi fossiliferi (unità di Cava Celario) che indicano una fase di sedimentazione di epiclastiti in ambiente marino successiva a Pignatiello e precedente alle grandi unità ignimbritiche del Monte Epomeo. La sedimentazione di queste epiclastiti è avvenuta con tutta probabilità in una caldera invasa dal mare. A tetto delle piroclastiti di Pignatiello si collocano i prodotti trachibasaltici del Canale d’Ischia superiore (Formiche di Vivara) e di Fiumicello (centro
eruttivo dell‘off-shore settentrionale di Procida), seguiti dai depositi di almeno 3 grandi eruzioni, pliniane evolventi ad ignimbritiche, in ordine stratigrafico dalla più antica alla più recente, i tufi del Pizzone, dei Frassitelli ed il Tufo Verde del Monte Epomeo. Relativamente ai prodotti cartografati attribuibili a queste tre grandi eruzioni nella carta geologica sono state distinte diverse unità. Tre unità ignimbritiche massive molto spesse (lo spessore cumulativo totale supera i 600-700 m), con associati livelli di breccia piroclastica formano il blocco risorgente dell’Epomeo. Queste rappresentano facies di deposizione intracalderica di correnti di densità piroclastica, sedimentate in ambiente marino, legate a meccanismi eruttivi di fontana collassante attivi con tutta probabilità contemporaneamente al collasso calderico. Questi depositi sono stati individuati da perforazioni geotermiche nel sottosuolo della caldera in aree non interessate dalla risorgenza. I sondaggi mostrano situazioni stratigrafiche simili a quelle presenti nel blocco sollevato. Le correnti di densità piroclastica che hanno sedimentato le facies intracalderiche ispessite hanno anche disperso depositi ignimbritici nelle aree marine circostanti l’isola. Infatti i rilievi di sismica a riflessione hanno permesso di ricostruire un vasto plateau ignimbritico che si estende per chilometri intorno all’isola. Il top del plateau forma una superficie suborizzontale, ben evidente nelle linee sismiche, che si collega agli affioramenti di ignimbiiti cineritiche saldate esposte sulla falesia marina occidentale del Monte di Procida, tra l’isolotto di San Martino e Torregaveta, nei Campi Flegrei continentali. Sui rilievi collinari insulari a tetto delle sequenze complesse di Ischia antica i depositi legati a queste eruzioni ignimbritiche mostrano caratteristiche diverse (facies di alto morfologico) e sono rappresentate da depositi di fallout di pomici e brecce co-ignimbritiche impoverite in fini e ricche in litici (Breccia de II Porticello e Breccia di Sant’Angelo). Queste unità sono correlate ad una delle grandi eruzioni che formano la successione del blocco risorgente. A tetto di queste unità si collocano le piroclastiti della Secca d’Ischia datate in questo lavoro a circa 60 ka. Queste piroclastiti sono rappresentate da cunei piroLa Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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clastici formati da depositi di caduta pliniani e di flussi ignimbritici e soprattutto idromagmatici (surge), legati ad attività esplosiva di tipo pliniano evolvente a fontana collassante ed idromagmatica. Formano un cuneo piroclastico aggradato sull’alto morfologico del Torone e sulla Scarrupata di Barano, con provenienza dal grande centro eruttivo della Secca d’Ischia. I rilievi sismici a riflessione eseguiti da Punta della Pisciazza con direzione Est Sud-Est mostrano che il vulcano, eroso nella sua parte sommitale da una superficie di abrasione marina sviluppata intorno ai -30 m, è formato da materiali stratificati riflettenti disposti in giacitura quaquaversale, probabilmente corrispondenti a tufi stratificati, che ben si correlano con i tufi e le piroclastiti stratificate che ricoprono il versante a mare del Torone. I depositi stratificati ricoprono una unità reflection free correlabile con litologie ignimbritiche, correlabile con i depositi di colata cineritica, descritti in precedenza, dei tufi del Pizzone, dei Frassitelli e del Tufo Verde del Monte Epomeo. I depositi di caduta pomicei pliniani e le cineriti associate alle piroclastiti della Secca d’Ischia ricoprono Procida ed i Campi Flegrei continentali, evidenziando che l’evento esplosivo della Secca d’Ischia è un evento di magnitudo molto elevata, eruzione pliniana evolvente a idromagmatica; questo si colloca a conclusione della crisi esplosiva che intorno a 60 ka avviene nel campo vulcanico ischitano. Le analisi petrografiche, mineralogiche e geochimiche dei tufi saldati e delle colate di cenere e pomici intra-calderiche delle unità che formano il blocco risorgente hanno fornito un importante risultato per la comprensione dei processi che hanno interessato la caldera ischitana. La successione dei tufi mostra una trasformazione idrotermale pervasiva dell’intera sequenza, con formazione di ignimbriti propilitizzate nella parte inferiore e di tufi fillitizzati ed argillificati nella parte alta, mettendo in evidenza che la successione dell’Epomeo è stata interessata da circolazione idrotermale di alta temperatura. Il processo di circolazione idrotermale che ha trasformato i vetri ed i fenocristalli delle ignimbriti basali del Pizzone in una associazione mineralogica costituita da adularia, albite, minerali a strati-misti clorite-illite e clorite smectite, titanite, pirite (dai 32
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dati geotermometrici formatasi a 220240° C) è tipico dei serbatoi dei campi geotermici ad alta temperatura; l’alterazione idrotermale delle unità superiori, Tufo Verde del Monte Epomeo, che si è sviluppata in maniera pervasiva con prevalenza di minerali argillosi associati a minerali a strati misti, zeoliti ecc. rappresenta invece la tipica trasformazione idrotermale delle coperture impermeabili dei campi geotermici. Dati geochimici, isotopi stabili sulle fasi minerali, dimostrano che la circolazione idrotermale si è sviluppata in presenza di circolazione attiva di acqua di mare. La stessa zoneo-grafia di alterazione idrotermale e la stessa stratigrafia delle unità ignimbritiche è stata individuata anche nelle perforazioni geotermiche profonde, effettuate sull’isola negli anni 50, nella zona a monte di Citara, in prossimità dell’esteso campo fumarolico di Rione Bocca-il Cuotto, sviluppato in corrispondenza del sistema di faglie dirette verticali che svincola il blocco risorgente rispetto all’area relativamente stabile della caldera, e nell’area dei Maronti-Sant’Angelo anch’essa al piede delle faglie verticali che svincolano a sud il blocco risorgente. Questi dati mostrano che il blocco risorgente della caldera di Ischia sollevato di poco meno di 1.000 metri rispetto alle aree limitrofe della caldera è un esempio raro, forse unico, di esumazione di un campo geotermico in una caldera attiva. Perché si è generato un sistema idrotermale cosi diffuso e cosi pervasivo all’ interno della caldera ischitana? La risposta è da ricercare nella struttura del campo vulcanico, caratterizzato da una caldera polifasata probabilmente in approfondimento ed allargamento nel corso delle grandi eruzioni ignimbritiche, nell’accumulo delle unità ignimbritiche ad alta temperatura delle diverse eruzioni parossistiche nelle fasi di sprofondamento sin-eruttivo della caldera e soprattutto nel sistema di alimentazione del campo vulcanico caratterizzato da un sistema magmatico di alimentazione di dimensioni molto grandi (>100 km3) di tipo laccolitico (Rittmann & Gottini 1980) impostato a bassa profondità (tra 1.000 e 2.000 m) e contenente trachiti ad elevata temperatura, circa 1.000°C. Le ignimbriti del sintema del Rifugio di San Nicola aggradate nella struttura calderica in presenza di una anomalia ter-
mica molto intensa, superficiale ed estesa arealmente, sono state completamente idrotermalizzate in ambiente marino nel periodo immediatamente successivo alle eruzioni parossistiche ignimbritiche. L’inizio della risorgenza del centro della caldera, causata con tutta probabilità da una importante rialimentazione magmatica del laccolite ischitano, ha favorito la circolazione idrotermale pervasiva nelle ignimbriti probabilmente anche a causa di un intenso trasferimento di massa ed energia per degassamento delle nuove masse magmatiche intruse superficialmente. A riprova della ricostruzione presentata, uno dei risultati più importanti ed innovativi nella geologia ischitana ed in particolare nell’assetto del blocco risorgente, è stata la individuazione a Rione Bocca di corpi subvulcanici di discrete dimensioni, spiniformi, con associate brecce probabilmente di idrofratturazione ricche in clasti di sieniti idrotermalizzate. Queste spine intrudono, deformano con un sistema di faglie e fratture e sollevano i tufi idrotermalizzati della successione dell’Epomeo. Questi corpi subvulcanici rappresentano apofìsi superficiali di corpi intrusivi presenti a bassa profondità al disotto dell’Epomeo e coincidono con la zona di massimo sollevamento del blocco risorgente. Oggi sono sede di circolazione idrotermale molto intensa e di flusso di calore elevato veicolando in maniera efficace la circolazione idrotermale sulla faglia verticale bordiera della struttura sollevata. Riassumendo, quindi l’acme esplosivo avvenuto nel campo vulcanico per lo più intorno ai 60 ka (tra 73 e 56 ka) provoca la formazione di una struttura calderica regionale parzialmente colmata da depositi ignimbritici con diverso grado di saldatura; nella conca calderica invasa dal mare i depositi piroclastici vengono rapidamente idrotermalizzati sotto l’influenza di un sistema idrotermale dominato da acqua di mare, il cui motore termico è rappresentato dal laccolite trachitico intruso a bassa profondità. Nel periodo successivo la caldera ischitana si riattiva e, con un meccanismo connesso alla rialimentazione della camera magmatica, la parte centrale della caldera si solleva andando progressivamente a formare il blocco poligonale del Monte Epomeo. L’inizio della risorgenza non è ben vincolato da dati geocro-
nologici, ma vari dati concorrono a suggerire che l’uplift inizia probabilmente subito dopo la crisi esplosiva conclusa intorno a 56 ka. Tufi gialli stratificati appoggiati alla faglia bordiera occidentale ed aventi età comprese tra 38 e 33 ka testimoniano che il blocco dell’Epomeo era già largamente sollevato in questo intervallo di tempo. Inoltre a nord del blocco sollevato si forma un cuneo epiclastico marino spesso qualche centinaio di metri, un vero e proprio apron sedimentario sottomarino, con depositi litificati (epiclastiti delle unità di Campomanno e Colle Jetto) derivanti dalla erosione accelerata dei tufi idrotermalizzati del blocco risorgente; queste unità si estendono anche a mare in tutta l’area settentrionale di Ischia, come suggeriscono le linee sismiche registrate a nord dell’isola. Questi sono ricoperti in discordanza da sedimenti fossiliferi ricchi in quarzo derivanti da apporti continentali (probabilmente dalla Piana del Volturno) riferiti al Pleistocene superiore (argille e sabbie di cava Leccie). Anche questi dati confermano che il sollevamento della porzione centrale della caldera è iniziato in ambiente sottomarino, probabilmente poco dopo la formazione della caldera stessa, avvenuta intorno a 60-56 ka, proseguendo successivamente sino ad epoca storica. Il vulcanismo post-risorgenza si presenta molto attivo con centri eruttivi dispersi sull’intero campo vulcanico. Bocche eruttive che hanno dato origine alle piroclastiti di Ciglio, ai tufi di Serrara-Cava Petrella, Pizzi Bianchi. Maronti, Testaccio (unità facenti parte del subsintema di Fontana Fasano) sono localizzate sulle faglie bordiere del blocco risorgente. Inoltre si attivano vulcani localizzati nelle aree marine del campo vulcanico quali il cono di tufo di San Michele (off-shore dei Maronti), il cono di tufo di Citara, di Monte Cotto (off-shore di Punta della Signora), di Grotta dello Spuntatore. I rilievi sismici effettuati mostrano nell’area marina occidentale del campo vulcanico numerose unità sismostratigrafìche fittamente stratificate, posizionate a tetto delle unità sismostratigratìche ben correlabili con le ignimbriti del sintema del Rifugio di San Nicola. Queste sono da ricondurre, nella nostra interpretazione, ad attività di centri eruttivi dell ‘off-shore occidentale di Ischia. Un vulcanismo
post-ignimbriti del sintema del Rifugio di San Nicola si è poi probabilmente sviluppato con vari centri eruttivi a notevoli distanze dall’isola, nelle aree dei banchi di Forio, Banco Mazzella, Banco Rittmann. Questo vulcanismo è segnalato dalle linee sismiche ad alta risoluzione che evidenziano unità sismostratigrafìche fittamente stratificate ed aventi geometrie che possono essere riconducibili a centri di emissione, crateri e probilmente a strutture di collasso. Questi apparati, di cui non si hanno evidenze dirette, ma che coincidono con anomalie magnetiche anche intense, sono localizzati sul limite della scarpata continentale e rappresentano un interessante tema per investigazioni e studi futuri. L’attività esplosiva più recente si sviluppa nel settore SO ed O dell’isola e nelle aree marine prossime all’isola negli stessi quadranti del campo vulcanico. Per lo più i centri eruttivi sono di tipo esplosivo ma non mancano a terra i duomi lavici e le colate di lava (Grotta del Mavone). I depositi si collocano tra circa 30 ka e circa 18 ka e sono stati raccolti nella parte basale del sintema dell’Isola d’Ischia, subsintema di Campotese. Quest’ultimo comprende depositi di varie eruzioni pliniane avvenute nell’area marina ad occidente dell’isola (piroclastiti di Russo), le numerose unità di scorie saldate di Ischia occidentale (Scarrupo di Panza-La Nave, Pilaro ecc.) eruttate da crateri localizzati sul bordo della piattaforma e sulla scarpata continentale, le piroclastiti idromagmatiche di Punta Imperatore eruttate da un centro eruttivo localizzato nell ‘off-shore di Citara. Purtroppo, l’azione del mare e probabilmente i collassi gravitativi che hanno interessato la scarpata continentale non hanno preservato i crateri e gli edifici di questi vulcani, con l’eccezione del cratere di La Nave, ben visibile anche nelle linee sismiche sparker. L’intensa attività esplosiva del settore occidentale è accompagnata da vulcanismo intenso anche nel settore orientale. A Procida magmi primitivi basaltici alimentano intorno a 18-19 ka il cono di tufo di Solchiaro che precede la messa in posto del duomo colata di S. Anna e di eruzioni esplosive, quali quelle delle pomici di Mormile nell’area di Ischia orientale. La messa in posto dei duomi di Costa Sparaina e di Trippodi, avvenuta tra
16 e 14 ka sulle faglie bordiere orientali dell’Epomeo, concorre probabilmente all’ulteriore sollevamento del blocco centrale risorgente. Il periodo successivo vede un rallentamento del vulcanismo che all’inizio dell’Olocene si localizza nel settore settentrionale del campo vulcanico: tra 8 e 6 ka si attivano centri esplosivi idromagmatici nell’area oggi occupata dal Complesso del Rotaro. A questa attività sono da ascrivere i tufi di Cava del Puzzillo e di Casamicciola e la messa in posto dei duomi della Fundera e del complesso dello Zaro. In questo periodo si osserva un cambiamento nel sistema di alimentazione, infatti i magmi eruttati sono in genere trachiti caratterizzate da presenza di mixing-mingling con shoshoniti. Il blocco risorgente del Monte Epomeo subisce un ulteriore sollevamento ed i fianchi occidentale (versante di Forio), settentrionale (versante di Casamicciola) e meridionale (versante dei Maronti) subiscono diffusi collassi di settore con la messa in posto di debris avalanche molto estese che ricoprono i versanti, le zone costiere e le aree marine raggiungendo distanze dell’ordine di 10 km dalla costa a nord ed ovest e di circa 40 km a sud (Chiocci et alii 2006), dando origine ai depositi che caratterizzano le morfologie dei fondali marini circostanti l’isola. I depositi di debris avalanche sono ricoperti nei settori emersi insulari da sedimenti marini associati a superfici terrazzate ben visibili nell’area di Lacco Ameno, Casamicciola e nel settore meridionale dell’anfiteatro di Serrara Fontana. Nelle aree marine circostanti l’isola i depositi di debris avalanche sono ricoperti da spessori ridotti di sedimenti di piattaforma interna prossimale (depositi di blocchi e ciottoli formati dallo stesso materiale delle debris avalanche, depositi sabbiosi da grossolani a fini e depositi di sabbie pelitiche e peliti). Sui depositi di debris avalanche si osservano inoltre vari ordini di terrazzi che si sviluppano alle quote di -5, -10 e -20 m. Questi terrazzi riflettono sia l’innalzamento del livello del mare avvenuto negli ultimi 10.000 anni sia movimenti verticali di sollevamento e subsidenza dell’intero campo vulcanico, legati con tutta probabilità alla evoluzione del sistema magmatico ischitano.
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Convegno di studi
Religiosa Archiviorum Custodia
alcuni personaggi della nostra storia contemporanea, i quali meritano di essere studiati e approfonditi per il loro grande valore, e sicuramente da essi le nuove generazioni possono apprendere un prezioso insegnamento di vita. Il programma del convegno ha illustrato anche i diversi e numerosi archivi che compongono il ricco e variegato patrimonio archivistico dell’Archivio Segreto: l’archivio delle Rappresentanze Pontificie, delle Congregazioni romane, del Concilio Vaticano II, della Rota Romana, della Segreteria di Stato in Epoca Contemporanea e altri ancora. Si è discusso delle nuove tecnologie, che diventano sempre più
Da sinistra il prof. Arnold Esch, Sua Em. il cardinaalle Raffaele Farina, Mons. Sergio Pagano e il prof. Marco Maiorino
di Ernesta Mazzella Il 17 e il 18 aprile 2012 si è svolto nella Città del Vaticano, nella Sala Pio X di via della Conciliazione, l’interessante convegno di studi dal titolo Religiosa Archiviorum Custodia per ricordare e celebrare il IV Centenario della Fondazione dell’Archivio Segreto Vaticano (1612-2012). Due giornate particolarmente evocative e dense di significato storico e culturale nelle quali si sono succedute illustri personalità del mondo scientifico. Presenti l’archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, il Cardinale Raffaele Farina, il prefetto Sua Eccellenza Mons. Sergio Pagano e il viceprefetto Prof. Marcel Chappin dell’Archivio Segreto Vaticano, docenti e studiosi provenienti da diverse università ed istituti storici. Hanno presieduto agli incontri i professori Arnold Esch, Vincente Càrcel Ortì, 34
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Philippe H. Chenaux e la prof. Paola Carucci. Il convegno ha illustrato attraverso i numerosi contributi che si sono susseguiti la storia della sua fondazione, i principali nuclei archivistici in esso conservati, i numerosi lavori svolti negli ultimi trent’anni su alcuni fondi vecchi e nuovi, la recente attività di tutela e valorizzazione delle fonti storiche. Le novità, difatti, non sono state poche, grazie a nuove donazioni o acquisizioni, e anche ad un riordino più attento dei fondi antichi. Per la prima volta è stata presentata una nuova categoria di fondi, l’archivio della Pontificia Commissione per l’Arte Sacra in Italia, e quello dei due Uffici organizzati da papa Pio XII allo scoppio della seconda guerra mondiale: l’Ufficio Informazioni Vaticano e la Commissione Soccorsi. Attraverso la presentazione di quest’ultimi è emerso un toccante racconto di episodi tristissimi ed azioni eroiche di
Veduta di una delle sale situate al “piano nobile” che Paolo V destinò a sede dell’Archivio. Le pregevoli pitture che decorano le volte risalgono al XVII secolo ed illustrano episodi della storia della Chiesa di cui nell’Archivio esiste documentazione.
Veduta della prima delle tre sale al “piano nobile”..
imperanti anche nel mondo antico dell’archivio, e dunque come servirsi dei nuovi mezzi offerti dall’informatica. Inoltre, in chiusura, sono state illustrate le tecniche di restauro e di conservazione dei documenti. Brillante e profonda la conferenza d’apertura al convegno del Prefetto, con la quale ha fatto luce sulla storia dell’Archivio. Il moderno Archivio viene fondato nel 1612 ad opera di papa Paolo V, Camillo Borghese (1605-1621), nella sede in cui si trova tuttora. Interessante il discorso di presentazione del cardinale Farina di cui riporto un breve stralcio: «Il titolo scelto per il nostro convegno bene indica la coscienza che l’Archivio Vaticano ha di se stesso e della sua missione, affidatagli lungo i secoli dai Romani Pontefici: Religiosa archiviorum custodia. Se il sostantivo custodia ben si adatta a ogni archivio, e quindi a fortiori all’Archivio Vaticano, l’aggettivo religiosa potrebbe sulle prime sorprendere, perché solitamente si usa riferirlo alle cose o alle realtà sacre. Furono invece proprio i Pontefici, e in specie il dotto Benedetto XIV, a parlare, in taluni loro documenti specifici indirizzati agli archivi o agli archivisti, di religiosa custodia e qualche volta di religiosa cura in tabulariis ser-
vanda. Che cosa intendevano dire? Niente di più e di diverso da quello che dicevano i grandi eruditi del Seicento e del Settecento per le carte, i monumenti, le istituzioni, da tenere appunto, ripetendo Scipione Maffei, in religiosa custodia; volendo con tale espressione indicare il valore eccezionale dei documenti e allo stesso tempo la qualità e devozione con cui devono essere custoditi. Il primo che, nei tempi moderni, abbia parlato degli archivi con un tale linguaggio fu Baldassarre Bonifacio, vescovo di Capodistria, nel suo trattatello De archivis liber singularis, pubblicato a Venezia nel 1632, il cui capitolo decimo recava appunto il titolo: De religione archiviorum. I Pontefici furono sempre convinti che le carte degli archivi costituiscano per un verso un valido strumento di governo, e quindi anche uno strumento di diritto (potendo esse provare i titoli di possesso e di regno); e per altro verso, nel loro sedimentarsi, come insegna la più avanzata archivistica, riflettono l’attività, le visuali, i moventi, insomma la “vita” dell’istituzione che le ha prodotte, che, nel nostro caso, è la Chiesa Cattolica, o per dir meglio i Romani Pontefici e la Curia Romana. E dato che nel più umile atto o
scritto dei Papi, come nel più sublime di essi, si scorge sempre, in maniera implicita o esplicita, la cura pastorale da Gesù Cristo loro affidata, come successori di Pietro, non meraviglia che tale “filigrana” si rifletta anche nelle carte del loro archivio come dimensione religiosa primaria». Nei due giorni di lavoro è stato ampiamente illustrato l’Archivio del papa e l’attività che questo svolge da molti secoli al servizio della Santa Sede e del mondo della cultura, difendendolo e consegnandolo alle future generazioni. Dunque gli archivi sono tutti importanti per quell’ immenso e prezioso patrimonio storico-culturale che conservano. Essi sono i custodi della memoria, oppure come sono definiti «la camera del tesoro epistolare di un principe, in cui sono conservati i più importanti, i più necessari ed i più preziosi che concernono la stessa casa principesca, le sue dignità, sovranità, interessi, prerogative, territorio e uomini» (Georg August Bachmann). L’Archivio Vaticano dunque non trova paragone, sotto il profilo dell’interesse, della quantità e della varietà con nessun altro istituto similare. Ernesta Mazzella
Dal 22 al 29 giugno 2012 a Forio seconda edizione della manifestazione Torri in festa - Torri in luce, curata dall’Associazione “L’isola delle Torri” con musica, architettura, arti visive e spettacolo *
Le Torri saranno presentate lungo il centro storico e nel cortile della Torre Quattrocchi come testimonianze architettoniche connaturate con il tessuto urbanistio foriano in continuità con il mare La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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Dal suo terzo romanzo la prima regia di un acuto e sensibile autore napoletano: Ivan Cotroneo
La kryptonite nella borsa Peppino (Luigi Catani) ha sette anni, e vive in una famiglia in cui i conflitti, i comportamenti sbagliati da parte dei singoli membri si verificano continuamente e regolarmente, portando gli altri membri ad accettare tali azioni come “normali”. Siamo a Napoli, negli anni Settanta, e per Peppino la sua è una famiglia solo un po’ scombinata. Dopo avere scoperto che il marito Antonio (Luca Zingaretti) la tradisce usando come alcova la Fiat 850 la madre Rosaria (Valeria Golino), va in depressione. Peppino viene adottato dai suoi giovani zii hippie ventenni (Federico, Salvatore e Titina) che lo coinvolgono in feste e manifestazioni femministe tra comunità greche che ballano, nudità, sigarette di contrabbando, sostanze psichedeliche come LSD e alcool. Completa la famiglia la nonna Carmela (Lucia Ragni), sarta specializzata, il nonno (Sergio Solli) e suo cugino Gennaro (Vincenzo Nemolato), che crede di essere Superman, va in giro con una mantellina rosa da parrucchiere sulle spalle, cerca di fermare gli autobus in corsa verso piazza Municipio ed è ossessionato dalla kryptonite. Quando il cugino muore improvvisamente investito da un autobus, Peppino, grazie alla sua fantasia, lo riporta in vita nel suo immaginario, come supereroe e maestro di vita. Grazie ai suoi “consigli”, Peppino affronta le traversie quotidiane e si avvicina al difficile mondo degli adulti. Film complesso che una regia attenta e sicura rende leggero e divertente. Commedia sulla vita dove le storie dei personaggi riescono a tratteggiare le ingenuità di quegli anni, la voglia di riscatto, la capacità di sognare, il bisogno di sfidare i pregiudizi. Napoli, città complessa e antica, sospesa tra tradizione e futuro, svela i segreti delle mura domestiche, diventa il luogo di confronto e di riflessione su tre generazioni di donne. C’è nonna Carmela, la vecchia generazione di stile matriarcale, alla quale basta una occhiata per capire la figlia, e un gesto, spaccare un piatto a terra, per farsi capire, c’è Rosaria la mamma di Peppino la donna della generazione di mezzo, un modello di donna in
Valeria Gorino in una scena del film
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fase di cambiamento, che alla fine si mostra la più forte e libera, sarà lei a decidere quando interrompere la relazione con lo psicologo, e c’è Titina (Cristiana Capotondi ), la giovane zia che pensa di voler costruire un proprio autonomo percorso, e che si scopre, molto più tradizionalista di come i suoi atteggiamenti disinibiti facciano immaginare all’inizio. C’è poi Peppino, il protagonista della storia, alla ricerca di una propria identità che parla poco ma osserva molto. Obbligato dalla miopia ad indossare occhiali dalla spessa montatura di cellulosa, che lo fanno diverso, obbligato nelle feste a far da testimone ad amori disinvolti dove è costretto a promettere che non rivelerà nulla di quel che ha visto agli adulti, obbligato ad assistere una famiglia che decide il suo futuro mentre lui è in un angolo silenzioso a fissare chi stabilisce del suo destino. Ecco allora la necessità di far rivivere con la fantasia e il potere della sua immaginazione di bambino, il cugino Superman, trasformandolo chi in vita credeva di essere, con la paura per la Kryptonite, minerale che può essere fatale al supereroe. Superman, spirito guida per Peppino, proiezione di un amico immaginario, fatto a sua immagine e somiglianza è la soluzione fantastica che il bambino crea per darsi coraggio in un mondo che fatica a comprendere. In una intervista il regista asserisce che il discorso finale di Gennaro a Peppino racchiude il senso del film: l’idea della ricerca della felicità, quanto bisogna combattere per affermare la propria identità. E’ un discorso sulla specialità delle persone, su quanto sia complicato e doloroso diventare ciò che si è. Un forte messaggio a non omologarsi al pensiero corrente e ad accettare la diversità nella vita. Un invito ad una reattività che negli anni settanta era presente e che ora sta diventando sempre più debole. Il film è ben ‘raccontato’, sia scenograficamente che nei costumi, con una colonna sonora che si lascia piacevolmente ascoltare: da non perdere. Carmine Negro
Giornata di Henrik Ibsen Ibsen day Il 23 maggio 2012 presso l’Osservatorio Geofisico
1885 sulla collina della Gran Sentinella di Casamicciola Terme è stata presentato il Peer Gynt, l’opera di Henrik Ibsen ambientata alla Piramide di Giza (2006) e scritta dallo scrittore norvegese durante in suo soggiorno a Casamicciola nel 1867, con musiche di Edvard Grieg, direttore Bentein Baardson, The Cairo Synphony Orchestra e Solisti dell’Opera Nazionale Norvegese. L’iniziativa si è inserita nell’ambito delle celebrazioni della seconda “Giornata di Henrik Ibsen - Ibsen Day” voluta congiuntamente dalle Amministrazioni Comunali di Amalfi, Casamicciola Terme e Sorrento. Infatti tali Amministrazioni hanno istituito l’Ibsen Day che sarà ogni anno celebrato il 23 maggio, data della ricorrenza della morte di Ibsen, nei territori di ispirazione di alcune delle produzioni più celebri del drammaturgo norvegese. La giornata sarà anche dedicata ad incontri con studiosi e divulgatori dell’opera di Ibsen e/o iniziative d’arte e cultura, specie a valenza didattica, rivolte a far crescere la conoscenza dell’opera di Henrik Ibsen. Casamicciola Terme non ha dimenticato il soggiorno di Ibsen (“il professore”) del 1867 quando scrisse il “Peer Gynt”; nel cinquantesimo della scomparsa di Ibsen (1956) furono organizzate celebrazioni presso l’Osservatorio Geofisico dall’Ente di Valorizzazione dell’isola d’Ischia; nel centenario della morte (2006) Casamicciola Terme ha contribuito con significativi eventi a ricordare l’opera e, soprattutto, l’attualità del messaggio di Ibsen; il preside Vincenzo Mennella, d’intesa con gli organi collegiali, volle intitolare la Scuola Media proprio al celebre drammaturgo norvegese.
Penisola Sorrentina – Concorso letterario per ricordare il mare sparito Un concorso letterario dal titolo “Nonno raccontami il mare” per ricordare il mure che sparisce e per aumentare la sensibilità ambientale. È questa l’iniziativa di Ecoonda, la maratona di 45 km a nuoto, che dal 10 al 15 luglio toccherà tutte le spiagge della penisola sorrentina, da Positano a Castellammare, per salvare il mare del golfo di Napoli dall’inquinamento. Il concorso è aperto a ragazze e ragazzi under 20, che dovranno intervistare persone over 50 sui cambiamenti sofferti dal mare a causa di interventi distruttivi dell’uomo. La giuria, presieduta dal documentarista e scrittore Folco Quilici, è composta dalla giornalista della Rai e conduttrice di Linea Blu Donatella Bianchi e il giornalista della Repubblica, Carlo Franco. «Il concorso letterario vuole dare voce alle testimonianze di chi ha vissuto un mare diverso da quello che si vede oggi e creare un ponte tra due generazioni per mostrare ai giovani che 30 chilometri di costa del golfo non sono stati sempre inquinati e non balneabili. Anche le nuove generazioni devono sapere cosa hanno perso e cosa potrebbero perdere se non si attuano delle serie politiche di difesa del mare e di depurazione delle fogne e degli scarichi industriali». Possono partecipare giovani under 20 (data di nascita non precedente al 01/01/1992) e un testimone con data di nascita precedente al 01/01/1962. Tema dovrà essere un racconto sul mare, sui suoi cambiamenti negli ultimi 60 anni, sui bagni fatti in zone ormai non più balneabili, sulla pesca di una volta e l’attuale scarsità di pesce, sugli antichi mestieri e tradizioni legate al mare e al suo rispetto, su come l’uomo ha a volte distrutto con il suo intervento alcune aree marine. Si richiede la composizione di un elaborato breve e inedito, redatto in lingua italiana e contenente un massimo di 500 parole. Per informazioni più complete consultare il sito www.ecoonda.org
Martin Wolf, Maria Latella, Massimo Franco e Paolo Graldi sono i vincitori della 33ma edizione del Premio Ischia Internazionale di Giornalismo, in programma il 29 e 30 giugno 2012 sull’isola verde. Martin Wolf, editorialista del ’’Financial Time’’ e docente all’Oxford University, è stato scelto per l’autorevolezza delle sue analisi sull’attuale situazione economica e finanziaria mondiale - Maria Latella è stata premiata per il successo ottenuto con la sua trasmissione ’’L’intervista’’ in onda su Sky - Massimo Franco per i suoi puntuali commenti politici dalle colonne del ’’Corriere della Sera’’ - Paolo Graldi ha avuto assegnato il “Premio Ischia alla carriera”. Una sezione del Premio Ischia 2012 sarà dedicata anche ai giovani: una borsa di studio, sponsorizzata dalla Coca Cola HBC Italia, intitolata a “Maria Grazia Di Donna”, giornalista prematuramente scomparsa, sarà assegnata ad un allievo dell’Università “Suor Orsola Benincasa” di Napoli. La cerimonia di consegna della XXXIII edizione del Premio Ischia, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, con i patrocinii della Presidenza del Consiglio dei Ministri e del Ministero della Cooperazione internazionale e integrazione (Dipartimento della Gioventù), e con il sostegno della Regione Campania e della Camera di Commercio di Napoli si terrà al Piazzale del Soccorso di Forio, sabato 30 giugno e sarà interamente ripresa dalle telecamere di RAI UNO, che poi la metterà in onda sabato 7 luglio alle ore 22.45: a condurre la cerimonia televisiva saranno Tiberio Tiberi e Nancy Brilli. Donatella Scarnati, inviata speciale del Tg1, si è aggiudicata il premio per l’informazione sportiva. - Due riconoscimenti speciali sono stati attribuiti a Vera Montanari (direttrice del settimanale Grazia) e a Pierangelo Maurizi (inviato del TG5). Il Premio Ischia non è solo cultura e giornalismo, ma anche eleganza e alta moda con le splendide modelle che accompagneranno premiati e premiatori sul palco e che indosseranno le raffinate creazioni della maison Impero Couture, main sponsor dell’iniziativa. La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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Quando si ama la vita si ama il passato, perché esso è il presente sopravvissuto nella memoria umana (Marguerite Yourcenar)
Capua: il Museo della Memoria
di Carmine Negro È stato Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano il primo visitatore del Museo Provinciale Campano di Capua, che ha riaperto al pubblico, mercoledì 28 marzo 2012, dopo un lungo lavoro di restauro e riqualificazione degli spazi espositivi.
la nascita del museo Nel 1869, «considerando come nella Provincia di Terra di Lavoro esistono monumenti ragguardevoli per la storia e per l’arte», fu istituita una Commissione (1) la quale, verificata l’esistenza nella Provincia di una considerevole quantità di materiale di pregio archeologico e di opere d’arte malamente custodita e destinata a sicura distruzione, deliberò la fondazione di un Museo con il compito di «vegliare la conservazione ed i restauri dei monumenti ed oggetti di antichità e di belle arti di quella provincia e di riferirne al Ministero della Pubblica Istruzione. Aveva, inoltre, il compito di “compilare e tenere in regola gli inventari di tutti gli oggetti d’arte esistenti in edifizi pubblici, sacri e profani, o che sono esposti al pubblico in edifici privati” (2)». La scelta della sede, decisa in seguito ad un confronto tra tre pretendenti – S. Maria Capua Vetere, Caserta e Capua – cadde su Capua anche grazie alla relazione di Gabriele Jannelli che sostenne la necessità di istituirlo nella regina del Volturno, perché nessuna città, in tutta Terra di Lavoro, poteva presentare tanta moltitudine di tali monumenti e d’oggetti d’arte per tutti e tre i successivi periodi di tempo che il museo intendeva presentare. 1 Regio Decreto 21 agosto 1869 n. 5251 col quale è istituita una “Commissione per la Conservazione dei Monumenti ed Oggetti di Antichità e Belle Arti nella Provincia di Terra di Lavoro”. 2 Artt. 1 e 6 del Regio Decreto 21 agosto 1869 cit.
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Città di Capua : Ponte romano sul fiume Volturno
Dotata di archivi e biblioteche, inoltre Capua si prestava alla nascita di un sistema di cultura ben individuato da Jannelli, che riaffermava il luogo della città come principio unico di ogni storia e quello del museo come accumulo delle voci storiche in stretto rapporto con essa (3, 4)»; l’Amministrazione Provinciale di Caserta si assunse il finanziamento per la gestione di esso. Nel 1874 il Museo venne aperto al pubblico. Per Norbert Kamp, illustre storico tedesco, il primo direttore prof. Gabriele Jannelli, insigne archeologo, storico, epigrafista «possedeva una visione davvero unica per i suoi tempi dell’intera tradizione capuana». Tenace organizzatore, con la sua opera illuminata resse le sorti del Museo per oltre trenta anni. Nel 1933, per il note3 Bartolommeo Capasso: Storia, filologia, erudizione nella Napoli dell’Ottocento a cura di Giovanni Vitolo Guida editore Napoli 2005 pag. 251. 4 N. Barrella, La vocazione del territorio: i musei in provincia di Caserta in R. Cioffi N. Barrella La memoria dei luoghi. Giornate di Studio dei musei locali della Campania, Napoli 7-8 giugno 2001 Luciano Editore, Napoli 2004
vole accrescimento delle collezioni, si rese opportuno un riordinamento del Museo che fu curato dal prof. Amedeo Maiuri, famoso archeologo, che definì il Museo Campano: «Il più significativo della civiltà italica della Campania». Nel corso del secondo conflitto mondiale subì numerosi danni, per poi essere oggetto di un primo restauro nel 1956. «Nella varietà e vastità del patrimonio archeologico, storico, artistico e librario che ospita è lo specchio fedele ed eloquente della tri-millenaria vita di una metropoli che ha visto avvicendarsi nella sua duplice sede, di volta in volta, Osci, Etruschi, Sanniti, Romani, Longobardi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli e così di seguito. La sua storia è legata, fra gli altri, ai nomi di Spartaco e Annibale, Pandolfo Capodiferro e Pietro della Vigna, Cesare Borgia (5) ed Ettore Fieramosca (6)». 5 Cesare Borgia, figlio del papa Alessandro VI, per l’ambizione di estendere i suoi domini aveva chiesto la mano di Carlotta, figlia di Federico IV d’Aragona, re di Napoli, ottenendone un rifiuto. Qualche anno dopo si trovò con i francesi, che avevano mire sul regno di Napoli, ad assediare Capua, fedele agli aragonesi. I capuani cercarono di trat-
Città di Capua : Museo campno
Museo di Capua : Vasi il supplizio di Issione
la sede del museo Il Museo è ospitato nello storico palazzo Antignano il cui impianto originario va datato intorno al IX secolo ma la sua struttura è prevalentemente caratterizzata da una veste rinascimentale (1450-54). Splendido il portale tare la resa a prezzo di un alto riscatto e il Borgia sembrò aderire all’accordo, ma, una volta entrato in città con i suoi mercenari, si diede al saccheggio e alle violenze sulle donne. Molte di queste preferirono la morte allo stupro; due di esse hanno lasciato il loro nome nella storia: le nobili Giovanna della Vigna e Laura Antignano, inseguite da soldati francesi, si gettarono nel Volturno dal Ponte Romano per sfuggire alla prepotenza. Quel giorno furono uccise alcune migliaia di persone. Dopo aver occupato Aversa e Nola, entrarono a Napoli il 25 luglio. Il saccheggio fu evitato con un esborso di 60.000 ducati. Federico si asserragliò nella sua reggia e poi, accordatosi con il comandante francese, duca d’Aubigny, nella notte del 2 agosto 1501, l’ultimo re di Aragona si ritirò con la famiglia nella fortezza d’Ischia. Durante il conflitto, il Castello d’Ischia fu difeso strenuamente da Costanza d’Avalos, sorella di Innico e Alfonso, che fu all’epoca paragonata a Giovanna d’Arco. 6 Museo Campano di Capua Visita d’istruzione al museo campano di Capua 12/12/07 II F ISIS Pitagora Torre Ann.ta
Museo di Capua : Il dio Volturno
”durazzesco-catalano” nella facciata principale dal particolarissimo disegno tricuspidato che reca incastonati gli stemmi degli Antignano e d’Alagno. Da questo ingresso si accede al nucleo centrale del più antico cortile, dove si sviluppa la scala che, al piano terreno, assolve anche al ruolo di porticato. Sulla destra del palazzo vi è l’Arco Antignano, così denominato a partire dalla metà del Quattrocento, allorché fu ristrutturato ad opera di Francesco Antignano durante i lavori di ampliamento del suo palazzo. Qui era localizzata la sede di uno dei Seggi nobiliari della città; i suoi locali sono attualmente utilizzati come deposito dell’Istituto museale. A destra dell’arco di Antignano si conserva la Chiesa di San Lorenzo ad Crucem, di fondazione longobarda, citata già nell’859, ristrutturata nel 1059 e nel sec. XIII, soppressa nel 1594 ed incorporata nell’edificio durante i lavori di ampliamento del palazzo. Quella degli Antignano era una nobile famiglia capuana che sin dal XIII secolo comprendeva uomini d’arme, giureconsulti, prelati, badesse. Tra i tanti uomini illustri della casata emerge Francesco Antignano, consigliere di Alfonso il Magnanimo, uomo politico di notevole rilevanza durante il regno aragoneLa Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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se. Estinti gli Antignano (1523), il palazzo passò ai de Capua, poi duchi e principi di San Cipriano Picentino, cui rimase fino al 1818. A seguito della legge del 12 novembre 1818 (Legge organica degli Archivi del Regno), che ne approvava anche il Regolamento dal 1818 al 1850 Palazzo Antignano ospitò l’Archivio Provinciale. I Duchi di San Cipriano, ultimi proprietari del Palazzo, lo cedettero prima in uso, poi in fitto e più tardi a titolo definitivo all’Intendenza di Terra di Lavoro da cui l’Archivio dipendeva. Negli anni successivi all’Unità, quando già l’Archivio Provinciale era stato trasferito a Caserta, l’edificio venne interamente acquisito dal Comune di Capua e poi ceduto alla Provincia, che vi stabilì nel 1869, con inaugurazione nel 1874, la sede del Museo Provinciale Campano che tuttora ospita. Nel 1940 il museo inglobò il contiguo monastero della
Museo di Capua : Ingresso del lapidario Mommsen
Concezione Dopo un restauro durato circa due anni e un investimento di cinque milioni di euro che ha consentito interventi strutturali, nuovi impianti, nuove coperture, l’abbattimento delle barriere architettoniche, il ripristino dei giardini e un riassetto degli interni per una nuova riorganizzazione delle collezioni il Museo il 28 marzo c.a. ha riaperto le sale ai visitatori. le collezioni: il reparto archeologico Il percorso della visita al Museo Campano inizia con la visita al Reparto Archeologico. Attraversato l’elegante portale ”durazzesco-catalano” si accede al cortile principale caratterizzato dalla presenza, lungo le pareti, di una ricca serie di “Stele funerarie” 40
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prodotte da artigiani campani, la maggior parte delle quali rinvenute nella città di Capua. Lastre tombali verticali a forma di edicola raffigurano scene allusive alla vita del defunto. Al centro della parete del cortile, su alta colonna di granito orientale, una grande pròtome di arco (I - II sec. a. C.) dell’Anfiteatro Campano personifica il “Volturnus amnis”. Volturno - in latino Volturnus o Vulturnus - è il nome di due divinità, una romana e una campana, di carattere diverso ma confusi tra loro sia nella poesia classica (ma non nelle opere scientifiche latine), sia nei vecchi studi di filologia classica. Volturno campano è il dio patrono dell’omonimo fiume campano. Volturnum era anche l’antico nome della città di Capua e secondo il linguista Massimo Pittau (7) avrebbe un’origine etrusca. Secondo l’etruscologo Giulio Mauro Facchetti, il nome della città - e quindi del dio-fiume - si riferirebbe al falco avvistato il giorno della fondazione e interpretato come segno divino di buon auspicio (8). Il Dio Volturno è considerato una delle opere più significative del periodo imperiale romano campano e raffigura la pròtome di un apollo circuito e laureato con l’ùrceo versante acqua sul fianco sinistro. Ai lati del Dio Volturno due sculture su due colonne riproducono maschere da teatro. A destra dell’ingresso del Lapidario Mommsen si trova una preziosa stele funeraria detta “dello schiavo”. Lo schiavo reso liberto erige, in segno di riconoscenza e a sue spese, la pietra sepolcrale ai suoi padroni. La stele, rinvenuta nel territorio di S. Angelo in Formis, è divisa in due parti da un listello. Nel pannello principale si notano due figure intere mentre in quello inferiore la scena della vendita di uno schiavo. Lo schiavo è raffigurato su di un “podium” tra il banditore chiamato anche “praeco” ed il compratore detto “coactor”. Dedicata al grande archeologo e filologo tedesco Teodoro Mommsen, 7 Massimo Pittau Dizionario della lingua etrusca, alla voce “Velthurna”, Sassari, 2005 8 Da http://www.summagallicana.it/ lessico/a/avvoltoio.htm
che studiò e contribuì alla sistemazione delle iscrizioni, il Lapidarium conserva epigrafi latine, di diverso carattere, votivo, sepolcrale, commemorativo, che risalgono al periodo preromano fino al IV sec. d. C.. Tra i reperti qui custoditi, di notevole importanza è il miliario della via Appia datato dall’Imperatore Costantino Pio. È il resto di una colonna ritrovata a Capua le cui scanalature sono ancora visibili nella parte posteriore. Il numero inciso in basso rappresenta la distanza in miglia da Roma. Molte di queste pietre sepolcrali furono usate per costruire palazzi. Tra i vari reperti custoditi in questa sala, degno di menzione il frammento del Calendario Alifano scoperto ad Alife nel 1876 e di cui una parte si conserva nel Museo Nazionale di Napoli. Ancora va ricordata una pietra sepolcrale rinvenuta a Calvi Risorta e dedicata ad un cittadino che svolse il servizio militare in Spagna e che durante la vecchiaia si trasferì a Calvi Risorta ricevendo dei doni militari attestanti il suo valore da parte del suo comandante. Nel corridoio di passaggio e nel secondo cortile completamente coperto da strutture trasparenti sono custoditi diversi sarcofagi figurativi di epoca tardo-romana, rilievi e sculture. Tra i più significativi ricordiamo il sarcofago con il ratto di Proserpina e quello raffigurante un’anima che è personificata da un personaggio togato, che esce dalla porta della vita terrena. Il percorso continua con la più rara e preziosa raccolta del Museo campano: la collezione delle Matres Matutae. Nell’anno 1845 durante uno scavo eseguito, per lavori agricoli, dal sig. Patturelli, in località Petrara, in prossimità dell’antica Capua, vennero alla luce i resti di una grande ara votiva con fregi architettonici, iscrizioni e statue in tufo. Fortunatamente lo scavo non fu proseguito e nel 1873 fino al 1887, dopo che il materiale ritrovato in precedenza venne disperso per scopi speculativi, si effettuarono delle ricerche con finalità archeologiche ricavando materiale abbondante rappresentato in particolare da statue di tufo riproducenti quasi tutte madri con
uno o più figli sulle ginocchia, dando prova che nel luogo fosse esistito un tempio. Questa ipotesi sembra avvalorata dal fatto che tra le sculture una differiva dalle altre perché, invece di reggere neonati tra le braccia, aveva in una mano una melagrana e nell’altra una colomba, simboli della fecondità e della pace, quindi quella sola doveva rappresentare la dea tutelare del tempio dedicato alla maternità. La dea era la “Mater Matuta”, antica divinità italica dell’aurora e della nascita e le “madri” rappresentavano “ex voto”; un’offerta propiziatoria e l’espressione di ringraziamento per la concessione del sommo bene della fecondità. Gli antichi campani onoravano la maternità come una concessione divina e l’evento della nascita era considerata cosa sacra e vitale, come tutto ciò che esce dal seno della natura. Per queste statue, che vanno dal VI al I sec. a. C., l’opinione più diffusa è che possano essere offerte votive come auspicio di fertilità e ringraziamento per gravidanze portate a termine. Secondo alcuni, tuttavia, anche divinità infernali che recano tra le braccia il defunto che sotto forma di infante rinasce a nuova vita. Avevo già avuto un primo contatto con queste sculture di tufo al Museo MADRE di Napoli nell’ambito della rassegna “Civiltà delle donne” (marzo-aprile 2007); lo spazio museale decontestualizzante, la dissonanza stilistica, rispetto alle forme dell’arte contemporanea, ne aumentavano l’attrazione e il fascino. Vederle, ora, tutte insieme, anche se alcune sono incomplete, è di forte impatto. C’è un rimando al battito della vita nascosto nella natura carica di energia, e la sproporzione presente nei lineamenti di alcune di esse spesso le rende ancora più attraenti. Tra i mosaici, frammenti di decorazioni pavimentali e parietali, con disegni geometrici e figurati, testimonianza di quell’espressione musiva che, fiorite in età Romana e Paleocristiana nei centri come Roma, Milano e Ravenna, hanno lasciato segni tangibili in Campania, va ricordato il mosaico policromo raffigurante un coro sacro, pannello decorativo del tempio
di Diana Tifatina, sito alle falde del Monte Tifata (S. Angelo in Formis), di arte campana di età costantiniana (III sec. d. C.). Una testimonianza artistica dell’evoluzione della civiltà campana è data dalla collezioni di vasi che comprende vasi protostorici della civiltà del ferro, ornati da linee incisive, vasi etruschi (VI sec. a. C.), vasi di bucchero (tipo di ceramica nera), vasi greci (V sec. a. C.), vasi italioti ed infine vasi campani (III e II sec. a. C.). Tra i vasi campani ricordiamo per tutti l’anfora a figure rosse (sec. IV a. C.) raffigurante il supplizio di Issione tratto dalla mitologia greca (9). La collezione di bronzi contiene bronzi ornamentali come fibule (spil9 Nella mitologia greca, Issione , figlio di Flegias, re dei Lapiti, ebbe una relazione, che sfociò in matrimonio, con Dia, figlia di Deioneo. Contrariamente ai patti, Issione non fece a Deioneo i doni che gli aveva promessi per le nozze, anzi lo uccise in modo particolarmente crudele, facendolo cadere in una fossa piena di carboni ardenti. Zeus lo perdonò, ma Issione, invitato ad un suo banchetto, cercò di sfruttare l’occasione per concupire Era; accortosene, il dio gli inviò una donna che aveva creato con le sembianze di Era da una nuvola, chiamata Nefele. Issione provò a toccarla e fu colto in flagrante nel tentativo di amplesso. Zeus, irato, lo consegnò ad Ermes perché lo torturasse, e il dio messaggero obbedì ben volentieri, legando strettamente il re e flagellandolo senza pietà, fino a quando non avesse ripetuto: “I benefattori devono essere onorati”. Poi lo legò ad una ruota di fuoco che girava senza sosta nel cielo.
Museo di Capua : Mater Matuta
le), anelli e bracciali, bronzi di uso comune come chiavi, specchi, cardini di porta, utensili, scrittori, cinturoni, bronzi figurati tra cui un guerriero di arte greca del V sec. a. C.. Alcuni piatti, che raffigurano pesci e molluschi commestibili, raccontano la fauna marina delle coste tirreniche. Ricca la collezione delle Terrecotte divise in architettoniche e votive. Le architettoniche risalgono al V sec. a. C. e fungevano da ornamento soprattutto per gli edifici adibiti al culto delle varie divinità pagane celebrate in Campania. Le votive sono la testimonianza della fervida attività religiosa che animava gli antichi popoli campani. Queste ultime venivano offerte dai fedeli nei santuari oppure deposte all’interno delle tombe come corredo funerario accanto al morto. Carmine Negro
Museo di Capua : Mosaico policromo raffigurante un coro sacro
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Colligite fragmenta, ne pereant
Fonti archivistiche per la storia dell’isola d’Ischia A cura di Agostino Di Lustro La Ecclesia seu Confrateria de Santa Maria de Loreto de Forio tra XVI e XVII secolo e altri fatti coevi
I luoghi sacri del territorio dell’Università di Fontana - II
Di Serrara abbiamo già ampiamente parlato nelle precedenti puntate. Ora dobbiamo aggiungere solo che la parrocchia di S. Maria del Carmine e le altre chiese del territorio della sua ottina, nella quale erano compresi Sant’Angelo, Succhivo e Ciglio, sono state fondate nel corso del secolo XVII anche piuttosto inoltrato. Tuttavia sembra utile presentare almeno un elenco di tali luoghi sacri per conoscerne l’esistenza e completare il quadro dell’edilizia sacra della zona. Della chiesa parrocchiale di S. Maria del Carmine già abbiamo discusso abbastanza1 per cui partiamo dalla confraternita dell’Immacolata di Serrara che è stata fondata nel 1698 come afferma il Notamento degli atti beneficiale della città e diocesi d’Ischia dell’Archivio Diocesano d’Ischia2. La relazione ad limina del 15 gennaio 1678 del vescovo Girolamo Rocca, invece, scrive che «ulterius in castro, quod dicitur Serranum, construxi decentem fabricam pro habendo Oratorio3». La cappella di S. Pasquale Baylon, costruita accanto alla chiesa parrocchiale di Serrara, di cui oggi è parte integrante essendo diventata la cappella di S. Vincenzo Ferreri, fu fondata da Agnello Iacono «del quondam Marco e Natale Iacono Parruocchio», con rogito notarile del notar Antonio Iacono4 del 28 agosto 17335 con il quale viene fissata anche la dote della cappella. La zona del Ciglio, il cui toponimo compare per la prima volta nei documenti nel 15206, ha la sua chiesa nel 1661 grazie ad Agostino Iacono «alias Cardillo»7 che si riservò il diritto di patronato. Questa chiesa fu dedicata a S. Giacomo, ma oggi è più nota come «chiesa di S. Ciro al Ciglio» per il culto che a questo Santo qui si è sviluppato. 1) Cfr. in questa ricerca: A. Di Lustro, Consistenza numerica del Clero a Serrara, Barano e Testaccio tra XVI e XVII secolo, in La Rassegna d’Ischia, anno XXXII, n. 6 novembre-dicembre 2011. 2) Cfr. in Archivio Diocesano d’Ischia (A.D.I.), Notamento degli atti beneficiali della Città e Diocesi d’Ischia,f. 94 r.; cfr. anche A. Di Lustro, Le Confraternite di Fontana, in La Rassegna dell’Ischia, anno XXVIII n. 5 settembre-ottobre 2007. 3) Archivio Segreto Vaticano (A.S.V.), Archivio Congregazione del Concilio (A.C.C.) relazione ad limina presentata dal vescovo Girolamo Rocca il 15 gennaio 1678. 4) Gli atti rogati dal notaio Antonio Iacono si trovano in Archivio di Stato di Napoli (A.S.N.) fondo Notai sec. XVIII scheda n. 120 costituita da n. 45 protocolli dal 1708 al 1755. 5) Cfr. Notamento… cit. f. 94 r.; Notai sec. XVIII scheda 120 prot. n. 26 ff. 193 r – 197 v. 6) Idem. 7) Cfr. in A.D.I. Notamento cit. f. 95.
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Nell’ottina della parrocchia di S. Maria del Carmine si trovavano anche i piccoli villaggi di Succhivo e di Sant’Angelo. Il primo, «Succhivo» o «Socchivo», compare la prima volta nel 1510 nei documenti del convento agostiniano di S. Maria della Scala del borgo di Celsa. Infatti nella Platea Corrente di questo convento possiamo leggere: «Socchivo Massaria nominata Lo Giardiniello di Socchivo, posseduta dal convento come erede del fu Vincenzo Fogliano, di presente si tiene in affitto triennale: Platea f. 774= 1510 adi 20 maggio Rosa Malfitani vedava del quondam Raimo Pellizzaro d’Ischia nel suo testamento fa erede universale d’ogni suo bene stabile, mobile e dotale Vincenzo Fogliano suo nipote carnale, suoi eredi ect. Durante la vita di sudetta Rosa sia usufruttuario sudetto et seguita sua morte questo Vincenzo Fogliano suo nipote sia signore e padrone di tutti suoi beni stabili, mobili e dotali e di quanto tiene e possede etcetera come questo ed altro in esso testamento rogato per notaio Giovan Paolo Rosa8 26 maggio 1510 cui etcetera quale sta in carta pergamena in nostro Archivio e si legge nel libro di cautele foglio 86 quibus etcetera9... Socchivo: Territorio di quadre due censito ad Aniello Iacono= 1518 adi 21 febbraio dal Venerabile Convento di Santa Maria della Scala d’Ischia in enfiteusi perpetua si censoa una terra di quadre due, sita nelle pertinenze di Socchivo, giusta li beni di Maria Baldaja, di Nardo Barbarella, dotali di Maria di Meglio, e via pubblica, con peso di pagare annuo censo di carlini nove in ogni anno adi 15 agosto in perpetuo, come questo ed altro si legge nell’istromento rogato per il notaio Marzio di Majo10 li 21 febbraro 1518, cui etcetera e con Regia potestà … dal notaio Giovanni Battista Funerio d’Ischia nel 1529, qual si conserva in nostro Archivio in carta pergamena, e si legge nel libro D di cautele folio 169 Platea B folio 107 nota che sudetti carlini nove si pagano dall’eredi d’Aniello Iacono quibus etcetera11». Il toponimo viene ribadito in altro documento del 25 novembre 1523 nel quale leggiamo: «1523 adi 25 novembre Rosa Malfitani annulla ogn’altro testamento, codicillo e legato e che questo sia l’ultima volontà e testamento causa mortis; lascia erede suo nipote Vincenzo Fogliano, e Ramo 8) Deve essere di Napoli perché è la prima e unica volta che ho incontrato questo nome nei documenti dell’isola d’Ischia. 9) Cfr. in A.D.I. Platea Corrente del Convento di S. Maria della Scala di Celsa (P.C.) f. 339 r. 10) Del notar Martio di Maio ho trovato citato atti dal 9 gennaio 1506 (Corporazioni Religiose Soppresse - C.R.S. - fascio 87 f. 2 ) al 28 agosto 1520 (P.C. cit. , f. 197). 11) Cfr. A.D.I., P.C. f. 333.
figlio di esso Vincenzo eredi e successori d’ogni suo bene, bene stabile, mobile presente e futuro e di qualsiasi raggione ed essa Rosa sperante etiam causa dotis, vuol’essere sepolta nella sua cappella di S. Cosmo e Damiano dove sta sepolto Raimo suo marito, che se li dica, la messa cantata su del suo corpo ed anche e 31 e 41 di requie per l’anima sua, di Marino suo padre e sua madre, ed altro 31 e 41 per l’anima sua in termine d’un’anno; lascia carlini dieci pro malis ablatis ed esecutore di suo testamento il presente Fra Marino Migliaccio dandoli piena ed ampla potestà di quanto si contiene in esso testamento sia la donatione fatta anni sono ad esso Vincenzo Fogliano suo nipote per essergli stato sempre ubidiente come figlio come questo ed altro nel testamento si legge, fatto per il notar Giovan Battista Funerio 12 d’Ischia li 25 novembre 1523 cui per il quale in carta pergamena sta in nostro Archivio e si legge nel libro D di carte folio 86 quibus etcetera13». In un atto del notar Polidoro Albano14 del 21 ottobre 1538 viene ricordato un pezzo di terra sterile di tre misurelle e quadre tre ubicato tra «Panza e Socchivo volgarmente nominata lo Giordinello presso la Via delli Lavoratori15». In diversi documenti Succhivo non viene ascritto al territorio di Fontana, bensì o a Panza o a Barano. In un atto del notaio Polidoro Albano del 10 marzo 1543, ad esempio, si legge: «Socchivo Arcucciolo , seu parata da pigliar quaglie detto lo Grado: Platea fol. 303= 1543 adi 10 marzo Vincenzo Iacono di Belardino ed Angiolillo Migliaccio in enfiteusi perpetuo si censivano dal convento di Santa Maria della Scala d’Ischia un arcucciolo da pigliar quaglie, sito e posto nelle pertinenze di Barano, dove si dice Socchivo nominato Lo Grado, giusta li beni dell’eredi di Ferdinando Menga, Lido del Mare e via publica, per l’annovo e presente istrumento censo di carlini otto nel periodo di novembre nella margine del medesimo adi 17 aprile 1550 Petro e Giacomo Migliaccio figli ed eredi del fu Angiolino cedono con compenso del predetto Vincenzo a Belardino Iacono di Gabriele la di loro parte, salvo l’assenso del sudetto convento, come questo ed altro si legge nell’istromento fatto per il notaio Polidoro Albano d’Ischia16». Quando a Succhivo si sia costituito un notevole gruppo di case non siamo in grado di dirlo. È certo che fu dotato di una chiesetta nella seconda metà del secolo XVII, anche se nelle fonti documentarie non c’è corrispondenza di date. Infatti il Notamento cita il seguente documento che non esiste più: 12) Di questo notaio ho trovato notizie di atti rogati dal 1507 (A.D.I., Processus S. Mariae Charitatis 1708…. f. 97 v.) fino al 2 luglio 1550 (C.R.S. fascio 119 ff.nn.). Nel fascio 114 K 1 del fondo C.R.S. vi è ancora una pergamena originale del 9 agosto 1519. I protocolli della sua scheda notarile, oggi perduta, nel secolo XVIII, erano conservati dai figli del notar Aniello Attanasio di Ischia (A.S.D. , P.C. f. 97). 13) A.D.I. , P.C. cit. f. 339. 14) Di questo notaio ho trovato citati atti dal 29 marzo 1525 (C.R.S. fascio 87 f. 9) al 24 dicembre 1566 (C.R.S. fascio 87 f. 43). Anche i suoi protocolli, ormai perduti, erano conservati dai figli del notaio Aniello Attanasio (P.C. f.97). Il fascio 8787 del fondo C.R.S. cita di questo notaio nove protocolli. 15) Cfr. C.R.S. fascio 87 f. 19. Questo atto si trovava nel protocollo n. 3 al foglio 109 del detto notaio. 16) Cfr. in A.D.I. , P. C. f. 335.
«Serrare et Succhivi = 1701 Acta institutiionis cappellanie sub titulo Sancte Marie Montis Virginis de jure patronatus heredum quondam Iesummini, et Josephi Mattera fratrum de Aglianico in favore, sacerdotis D. Nicolai Mattera = In questi atti vi sta l’istromento, e Bolla della fondazione di detta cappella, e cappellania fatta nell’anno 1692 = folia scripta n. 15»17. Da altri documenti, invece, veniamo informati che il 29 gennaio 1684 con testamento per notar Alfonso di Maio di Forio18, Geronimo Mattera costituisce suoi eredi i figli Aniello e Pancrazio e dichiara di «aver principiata la fabrica con Giuseppe suo fratello di una cappella vicino alla loro abitazione delle Fumerie intitolata la Beata Vergine di Monte Vergine19». Quattro anni dopo, da parte dei patroni della famiglia Mattera, fu stipulato il vero e proprio atto di dotazione della chiesa20. Evidentemente il documento vescovile del 1692 citato dal Notamento era il riconoscimento ecclesiastico della fondazione della chiesa oggi perduto. Passando a trattare di Sant’Angelo, dobbiamo preliminarmente dire che il più volte citato Notamento non cita alcun documento relativo a chiese o cappelle ivi esistenti, né a benefici. Prescindendo dal «monasterii nostri sancti Hangeli alloquio» risalente, forse, anteriormente all’anno 100021 e di quello «Sancti Angeli de Pacia» documentato nel 143222 che il Monti colloca sull’altura del cosiddetto «Isolotto» di Sant’Angelo che avrebbe dato il nome alla zona ma dei quali i pochi documenti che li citano non indicano con esattezza il luogo dove essi sorgevano, sta di fatto che il toponimo compare a partire dal secolo XVI23. Infatti si ha notizia che nel 1505 il convento di S. Maria della Scala di Celsa ottenne «sentenza contro li pescatori dell’isola di Procida che pretendevano di pescare e stanziare nelle grotte site nel lido del mare nel luogo detto S. Angiolo Piano di Rosa a favore del convento possessore delle medesime, come questo e altro si legge nella fede del notaio Filippo Casdia24 quale in carta 17) Cfr. in A.D.I., Notamento cit. f. 96 r. 18) La scheda del notar Alfonso di Maio di Forio si trova nel fondo Notai secolo XVII del l’A.S.N. scheda n. 420, e si compone di ben quarantuno protocolli che vanno dal 1661 al 1701. 19) Cfr. in A.S.N., C.R.S. fascio 87 cit. f. 393. 20) Notai secolo XVII scheda 420 prot. 28 ff. 142-144. 21) Ne parla il rogito del conte Marino del 12 maggio 1036, anno secondo dell’imperatore di Costantinopoli Michele IV Paglagonio (1034-1041) cfr. Regii Neapolitani Archivi Monumenta edita et illustrata, vol. IV ( 1001-1041) Neapoli 1864 pp. 269-273; B. Capasso, Monumenta ad Neapolitani ducatus historiam pertinentia, vol. II parte I, Napoli 1866, p. 282 e ss.; N. Cilento, I rapporti fra Ischia e il Ducato di Napoli nel medioevo, in La Tradizione storica e archeologica in età tardo antica e medioevale: I materiali e l’ambiente, Primo colloquio di studi per il 17° centenario di S. Restituta, Napoli, tipografia Cortese 1989, pp. 108-112. 22) A. Lubin, Abbatiarum Italiae brevis notitia, Romae MDCXCIII p. 179: «In Isclana insula, vulgo Ischia, olim Aenaria Abbatia titulo Sancti Angeli de Pacia Ordinis Sancti Benedicti. In registro Eugenii IV Papae, circa annum 1432 ita codex taxarum D. Passionei». 23) Cfr. P. Monti, Ischia Archeologia e storia, Napoli Lino-tipografia fratelli Porzio 1980, pp. 679-681. 24) Del notaio Filippo Casdia ho trovato citato l’atto più antico risalente al 17 giugno 1561 ( P.C. f. 571) e quello più recente rogato il 16 giugno 1588 ( C.R.S. fascio 113 ff. nn. ). La sua scheda notarile è andata perduta.
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bergamena sta in nostro Archivio e si osserva nel libro D di cautele folio 264 quibus etcetera25». È difficile stabilire l’epoca in cui il villaggio abbia raggiunto un numero di abitanti tale da rendere necessaria la costruzione di una chiesa o cappella per soddisfare le esigenze spirituali della popolazione. La «Nota di tutti i luoghi Pii laicali, misti ed ecclesiastici…..» del 1777 conservata nell’Archivio Diocesano d’Ischia cita le seguenti cappelle come esistenti nel territorio di Sant’Angelo: «La cappella delle Anime del Purgatorio, sita nel luogo detto S. Angelo di patronato laicale delle famiglie Iacono di Gennaro, e Iacono di Aniello, oggi il cappellano è D. Liborio Mattera. La cappella rurale di S. Maria Maddalena nel luogo detto Rufano di patronato laicale della famiglia Iacono di Micco, economo n’è il Reverendo D. Gennaro Iacono di Micco26». La terza cappella che viene citata in questo documento è la «Cappella di S. Maria a Terra di patronato laicale della famiglia Calosirti, sita nel luogo di S. Angelo, il cui Beneficio è annesso alla Parrocchiale di S. Biase nel Regio castello d’Ischia»27. Il Notamento cita solo quest’ultima cappella con il relativo beneficio senza alcun riferimento cronologico: «Ischie= Varie Relationes Reddituum Parocchialis Ecclesie Sancti Blasij intus civitatem, et Beneficij Ruralis sub titulo Sancte Marie ad Terram in casali Serrare de jure patronatus familie Magnifici Joannis Thome Mellosi folia scripta n. 1828». Qui l’ubicazione del beneficio e della cappella è piuttosto vago, così come la troviamo citata nella relazione ad limina del vescovo Nicola Antonio Schiaffinati del 1° dicembre 1741: «Capella sub titulo Sancte Marie ad Terram sitam in loco campestri, que pertinet ad Parocchialem Ecclesiam Sancti Blasij indecentis structure, et pene destituta sacra supellectile, et vasis sacris, nullos habet redditus»29. Di essa si parla ancora negli atti della visita pastorale del pro-vicario capitolare Bartolomeo Mennella che la visita il 26 marzo 1802. Qui si dice che essa si trova a Succhivo: «Per Reverendissimum Dominum Pro-vicarium Capitularem Isclanum eiusque Convisitatores, visitata fuit Capella Ruralis sub titulo Sancte Marie ad Terram, sitam in Casali Succhie, et quia reperta fuit absque decenti solario, ideo decretum fuit quod infra duos menses reficiatur solarium alias providebitur30». Gli stessi atti riferiscono di due «cappelle sub titulo Sancti Michaelis Arcangeli unam, alteram sub titulo S. Mariae Gratiarum de jure patronatus heredum Petri Agnelli Iacono, et Antonii Iacono, sitas in Casali Succhiae, et quia dictae capellae carent solario, sunt nimis humida, valvae carent serraturis, provisum, et decretum fuit quod dictae capellae suspendantur donec solaria registrantur, humidum tollatur januae reficiantur et ornamenta infra bime25) Cfr. P. C. f. 341. Questa sentenza, che il fascio 87 del fondo C.R.S. dell’A.S.N. data al 1505, la P. C. , invece, la data al 1569. 26) Cfr. la «Nota….» del 1777 sopra citata ff. 10-11. 27) Ibidem , f. 11. 28) Cfr. in A.D.I., Notamento…. cit. f. 10. 29) Cfr Relazione ad limina del vescovo Nicola Antonio Schiaffinati del 1° dicembre 1741 in Archivio Sacra Congregazione del Concilio ( A.C.C.). 30) Cfr. in A.D.I.: 1802 Acta Santae Visitationis peractae a Reverendissimo Domino Bartholomeo Mennella Canonico Cathedralis Isclanae et Pro-vicario Capitulari in Dioecesi Isclana, ff.nn.
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stre31». La prima potrebbe essere quella di S. Angelo, mentre della seconda non so nulla. Certo è che viene citata la chiesa di Santa Maria di Montevergine di Succhivo per cui le due non possono essere confuse. Lasciamo la questione insoluta. Ora dobbiamo rendere conto di altre due cappelle presenti a Sant’Angelo, una già esistente al tempo dell’episcopato di Innico d’Avalos, e l’altra fondata, sicuramente, in seguito che potrebbe essere identificata con l’attuale chiesa parrocchiale di S. Michele. Della prima abbiamo diverse testimonianze, la prima delle quali è il seguente atto notarile che riporto per intero. Archivio di Stato di Napoli, notai secolo XVII scheda 220 del notar Fabio Ferraro prot. n. 2 f. 18 v. Die vigesimo octavo mensis Aprilis 1628 in Monte Santi Angeli pertinentiarum Casalis Pantie Civitatis Ischie, ad preces nobis factas pro parte Reverendi Domini Fabij Capuani f. 19 r. Casalis forigij dicte civitatis substituti Procuratoris (foglio tagliato) signanter equitis Don Joannis francisci Reviglini (foglio tagliato) de dicta substitutione faciende vigore Procurationis facte in (foglio tagliato) dicti equitis don Joannis Francisci per admodum Reverendum Dominum (foglio tagliato) Mauritium roganum Beneficiatum simplicis beneficij venerabilis Cappelle Santi Angeli site in dicto Monte prout nobis constat per subscriptam fidem dicte substitutionis Procurationis manu notarij Andree bracci de Neapoli cuius tenor inferior describitur proprie accessimus ad dictam venerabilem cappellam Sancti Angeli sitam in dicto Monti, et cum ibi essemus dictus dominus fabius substitutus procurator nominibus quibus supra coram nobis produxit presentavit, ac per me prefatum notarium legi fecit quandam provisionem expeditam per Auditorem generalem Camere Apostolice Rome sub die 30 mensis martij presentis anni 1620 eius inserto tenore cuiusdam Bulle sue Santitatis expedite in faciem predicti Reverendi Domini Mauritij ob sequtum obitum quondam Domini Joannis martini de santiel (foglio tagliato ) Rome idibus martij proximi preteriti anni 1627 et (foglio tagliato) Regium exequatur expeditum pro sua ….Neapoli die 8 mensis (foglio tagliato) Aprilis presentis anni 1628 registrati folio 104 que (foglio tagliato) provisio cum dicta bulla in ea inserte, et dictum Regium (foglio tagliato) non sunt abrasi cancellati aut in aliqua (foglio tagliato) sed omni (foglio tagliato) f. 19 v. carentes cum sigillo pendenti cere rubre in dicta provisione sistente in quo stante et posito cum latio rubri coloris prout vidimus et diligenter inspeximus, quibus lectis fuerunt statim per me prefatum notarium originaliter eidem Domino fabio restitutis cuius quidem provisionis cum inserto tenore dicte bulle et regij exequatur vigore dictum Dominum fabium nominibus quibus supra cepit, et apprehendidit quam veram realem, corporalem actualem pacificam tenentem (?) et expeditam procurationem dicti semplici Beneficij dicte Cappelle Sancti Angeli cum forsan annexis ac omnibus juri31) Ibidem, ff. nn.
bus redditibus et pertinentiis suis ambulando, et deambulando per eam, aperiendo et claudendo cancellas ligni esistente super altari ubi manet imago dicti Sancti Angeli in quodam ligno sculpita dum est in introjtum dicte cappelle ad presens non est janua lignaminis stando morando et omnia alia faciendo que actum vere realis et corporalis corporationis predicta denotant, et inducunt pacifice et quiete et nemine contradicente nec penitus discrepante. Tenor vero (foglio tagliato) procurationis talis est videlicet fidem facio ego subscriptus notarius qual iter die duodecimo aprilis 1628 Neapoli Joannes franciscus reciglione procurator ad infra signanter admodum reverendi domini Mauritj rigoni beneficiati simplicium f. 20 r. - beneficiorum eclesiasticorum seu cappellarum Sancti Angeli et (foglio tagliato) cum potestate substituendi vigore procurationis (foglio tagliato) tenor insertus est in presenti instrumento et de eo plenam fidem ac (foglio tagliato) sponte virtute dicte procurationis quam habet de substituende (foglio tagliato) loco sui substituit supradicti Domini Mauritij eius principalis procuratorem fecit dictum fabium capuanum (foglio tagliato ) capiendam et apprehendendam realem, actualem, et corporalem procurationem dictorum simplicium beneficiorum ecclesiarum seu semplici beneficij ecclesiastici seu ecclesiarum seu cappellarum Sancti Angeli et flumarine membrorum et pertinentiarum illarum quarum et apprhesum nomine ipsius Reverendi Domini Mauritij retinendum et continendum et quoscumque actos possessorias solitas et consuetas necessarias et proprias faciendas prout hec et alia patent ex supradicto (foglio tagliato) mei cui et in fidem ego notarius Andreas Braccus de Neapoli hanc (foglio tagliato ) subscripsi, et sigillavi locus signi Ioannes Franciscus Reviglionis... ut supra Io Giulio Cesare de Costan (foglio tagliato) sono testimonio Jo Giovanni Antonio Villagut sono testimonio (foglio tagliato) Giovanni Pietro de caluseo sono testimonio quibus omnibus (foglio tagliato) prefatus dominus fabius nominibus quibus supra statim (foglio tagliato) de predictis omnibus publicum conficere de (foglio tagliato) instrumentum nos autem et (foglio tagliato) f. 20 v. - Presentibus Judice Antonio de Nacera de Ischia Regio ad contractus Joanne Petro Scotto Castellano dicti Montis Sancti Angeli Julio Impagliazza dicti Casalis Pantie Augustino Impagliazza et fabritio Mattera e casali Fontane omnibus. Il documento notarile induce a pensare che tale cappella fosse ubicata sul promontorio di Sant’Angelo, oggi detto «La Torre» per la presenza dei ruderi di un’antica torre che ancora si vedono sulla sommità32. Lo conferma, se ce ne fosse bisogno, quanto leggiamo nella relazione ad limina del vescovo Nicola Antonio Schiaffinati del 1741: «Capella sub titulo Sancti Michaelis Arcangeli sita in quodam Promontorio, et peninsula pertinenter ad beneficiatum sub eodem titulo, mediocris structure, et decenter ornata sacra supellectile, redditus habet annuos ducatos viginti quatuor circeter sine ullo onere verum fideles ex devotione quolibet die festivo missam in eadem celebrari curant33». 32) Sulla «Torre» di Sant’Angelo, cfr. P. Monti, op. cit. p. 682. 33) Cfr. in A.C.C. la relazione ad limina del vescovo Schiaffinati del 1741 già citata.
Quasi le stesse cose scrive pochi anni dopo nella sua relazione ad limina il vescovo Felice Amato: «In casali Serrare… sistit etiam capella sub invocatione Sancti Angeli, in qua est erectum simplex beneficium de libera collazione provisa supellectilibus tantum pro misse celebratione festis diebus34». Sicuramente a questo beneficio si riferiscono due documenti citati dal Notamento… Il primo, oggi non più esistente, dice: «Ischie 1695= Bulla institutionis semplicis Beneficij Sancti Angeli ad fiumarino in Casali Serrare in personam Canonici D. Michaelis Angeli cervera= folia scripta n. 535». Il secondo documento, non datato e oggi perduto, presenta il beneficio di S. Angelo unito ad altri: «Ischie= Nota reddituum Beneficiorum simplicium S. Angeli a Fumaria, et Rufana, S. Pauli Uberti, Sanctorum Iuliani et Damiani, possessorum a canonico Michaele Angelo Cervera ab Ischia cum libro ejusdem note folia scripta n. 9= liber vero folia scripta n. 150 ac alio Processu folia 9 pro S. P. Uberti36». Comunque, questa cappella non ha nulla a vedere con l’attuale chiesa parrocchiale di S. Michele. Infatti la prima menzione di questa si riscontra negli atti della prima visita pastorale del vescovo Giuseppe d’Amante del 1820 nella quale leggiamo: «Successive visitavit aliam Cappellam ruralem in loco dicto Sant’Angelo sub invocatione Sanctissimae Assumptionis Beatae Mariae Virginis, et omnia laudavit 37». La stessa cosa scrive negli atti della seconda visita degli anni 1825-2638. Fu ricostruita, oppure completamente rinnovata, verso la metà del secolo XIX tanto che il vescovo Felice Romano così la descrive nella sua visita pastorale del 1855: «Successive visitavit Ecclesiam sub titulo Assumptionis Beatae Mariae Virginis novam constructam, sitam in loco dicto Santangelo, et omnia laudavit39». Divenne sede della parrocchia di S. Michele Arcangelo per decreto del vescovo Mario Palladino il 1° maggio 190540 per il forte impegno del canonico Giuseppe Iacono41 che ne fu anche il primo parroco. Ma ci siamo allargati troppo spaziando sia nel tempo che nel territorio e dobbiamo riprendere il nostro viaggio alla volta di Barano, facendo tappa però prima a Moropano.
Agostino Di Lustro
34) Cfr. Relazione ad limina del vescovo Felice Amato del 12 aprile 1747. 35) Cfr. Notamento cit. f. 1 r. 36) Ibidem, f. 2 r. 37) Cfr. in A.D.I.: 1820 Acta Sanctae Visitationis Generalis, nempe Realis, Localis, et Personalis hujus civitatis ac totius Dioecesis Isclanae habitae anno 1829 ab Illustrissimo et Reverendissimo Domino Joseph d’Amante Episcopo Isclano, f. 21. 38) Cfr. in A.D.I., 1825 et 1826= Acta Sanctae Visitationis Generalis nempe Localis, Realis, et Personalis hujus Dioecesis, habitae ab Ill.mo, et Rev.mo Domino Joseph d’Amante Episcopo nostro Isclano, f. 26 v. 39) Cfr. in A.D.I.: Acta Sanctae Visitationis Generalis habita ab Ill.mo et Rev.mo Domino Felice Romano Episcopo nostro Isclano in hac Civitate, totaque Dioecesi a die XIII mensis Maij anni 1855 usque ad diem XIX Decembris eiusdem anni 1855, f. 21 v. 40) Cfr. P. Monti, op, cit. p. 683. 41) Sulla figura di questo parroco, cfr. P. Polito, Il Canonico Giuseppe Iacono Fondatore e primo parroco della chiesa di S. Michele Arcangelo in Sant’Angelo, in Ischia oggi, anno IV n. 18 e ss. anno 1973
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Le “due Italie” L’unificazione la questione meridionale * IV Il Risorgimento nel Mezzogiorno Opera non di napoletani, ma di italiani e sotto il controllo del Cavour doveva essere il Risorgimento nell’Italia meridionale. Il tentativo del Pisacane e il suo sogno che l’Italia si facesse una per virtù di un’azione popolare e contadina, con epicentro le stesse regioni desolate e povere dell’Italia meridionale, perì miseramente; «la prospettiva di un esercito che attingesse dalla partecipazione popolare e contadina la propria forza e che derivasse la sua capacità di resistenza e di urto dalla accettazione delle più avanzate rivendicazioni di carattere sociale e perfino anarchico, gli sembrò l’unica capace di frustrare il pericolo di un sopravvento del regno sardo e del trionfo del moderatismo liberale e borghese; la prospettiva di una iniziativa che partisse dal Mezzogiorno gli sembrò l’unica atta ad impedire, in una Italia fatta una per l’azione diplomatica e militare delle forze politiche conservatrici, il sopravvento degli interessi delle regioni economicamente più progredite dell’Italia settentrionale» (Cortese). E sotto tale aspetto una prova di fiducia voleva essere la spedizione di Sapri, nella speranza che le masse popolari, sorde ai programmi di rinascita nazionale, avrebbero seguito con entusiasmo la bandiera di una rivoluzione sociale, che assicurasse giustizia per tutti. Vana e inutile speranza! La borghesia meridionale non offrì alcun aiuto e sostegno; i contadini che miravano ad interessi immediati non avevano grandi ideali. Il programma del Pisacane forse (di una unità in senso democratico e repubblicano) era al momento preciso e locale, irrealizzabile; ma, messa da parte e tralasciata la questione sul carattere del * Da una tesi di laurea dell’anno accademico 1965/66.
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sogno dell’eroe, resta chiaro che egli fu l’ultimo meridionale che con la sua impresa tentò di rendere autonomo il movimento unitario del Mezzogiorno senza attendere aiuti esterni, con una impresa che avrebbe dovuto aprire all’Italia meridionale nuove possibilità di sviluppo. «In un certo senso egli fu un profeta, morendo per la unità e ponendo l’esigenza di riforme agrarie e sociali che dessero alle classi più povere del sud una coscienza politica e le infondessero una sicura fede nell’Italia unita» (Cortese), E l’annessione dovette ben presto rivelarsi una sconfitta del mondo politico napoletano, allorché si iniziò la riorganizzazione della vita politica, amministrativa e finanziaria delle province napoletante per adeguarla a quella del resto del regno. Lavoro che procedette tra incertezze, atti precipitosi, periodi di inerzia, a conferma della poca conoscenza dei problemi del Mezzogiorno, da parte molte volte degli stessi uomini meridionali, incapaci di adattare allo stato delle cose italiane le esigenze del loro paese, ma più che altro in conseguenza della scarsa fiducia delle classi dirigenti dell’Italia settentrionale in questi uomini del Mezzogiorno, ed in genere negli ordinamenti e negli indirizzi della vita etico-politica delle province meridionali. Ritornarono a circolare le vecchie calunnie sul conto dei napoletani. Veniva poi ad aggiungersi a ciò il malcontento di parte della stessa classe dirigente meridionale per l’opera del governo che sembrava ostile al Mezzogiorno, per certi riflessi tesi a “piemontisizzare” tutto, e soprattutto il brigantaggio sociale e politico, che raccoglieva le masse rurali, ancora una volta deluse e illuse nelle loro aspirazioni, e quanti speravano ancora in un ritorno benefico del Borbone. «Chi guarda la storia del Mezzogiorno nel periodo del Risorgimento italiano - parole di Luigi Sturzo ancora nel 1924
- e la funzione intellettuale e politica avuta nel movimento di un secolo di travaglio spirituale e politico, non si rende conto di come sia potuto avvenire che - appena unificato il nostro paese e superato lo sforzo nazionale nel compimento dell’unità - gli uomini politici del Mezzogiorno e della Sicilia non seppero né intuire le cause iniziali e profonde della crisi dell’ex Regno, né prevenirne gli effetti, né approntarne i rimedi... La preparazione intellettuale dei meridionali era prevalentemente giuridica e l’indirizzo di cultura era teorico: i tentativi di studi pratici, economici, amministrativi, tecnici, si svolgevano con semplice ritmo locale e non potevano influenzare il resto dell’Italia, che già viveva una sua vita più accelerata, specialmente nel campo pratico e tecnico, orientandosi quasi tutta verso la Lombardia e il Piemonte» (Villari). Incontro con i Piemontesi I primi contatti fra la civiltà del Settentrione e quella del Mezzogiorno, fra settentrionali e meridionali, le prime esperienze di un comune governo, provocarono un vero e proprio “trauma” che aveva ragioni a carattere soggettivo e cause obbiettive, suscitarono diffidenze e quasi un ritorno all’antico spirito provinciale. Dall’una e dall’altra parte si ebbero delusioni, quando la situazione sottopose finalmente a verifica le speranze, i sogni, le illusioni, nonché le confuse e false informazioni che ciascuna delle due parti del paese aveva alimentato sull’altra. La realtà di una terra dura e spietata, arida, poverissima, abitata da popolazioni flagellate dall’analfabetismo (con punte del 97 per cento) e dalle malattie (malaria...); la realtà di una popolazione che non sentiva come suo né appoggiava pienamente con tutte le forze e con entusiasmo il movimento democratico e unitario espresso dalla parte d’Italia più ricca e avanzata, la realtà di un assenteismo inconcepibile; la realtà ancora più cocente della grande miseria meridionale. Sogni e speranze che non trovavano attuazione e concretezza nella nuova realtà; mancata fine del secolare servaggio economico e sociale, nuove tasse; leva militare; instaurazione di un regime duro e severo.
E prese vigore, accentuandosi a mano a mano che il Mezzogiorno veniva svelato nei suoi imprevisti aspetti, la sfiducia dei settentrionali verso i meridionali, che si espresse con atti e provvedimenti dalle gravissime conseguenze. Fu innanzitutto sciolto l’esercito garibaldino meridionale con il risultato di privare di forze adeguate la lotta contro il brigantaggio crescente. All’ex territorio del Reame borbonico furono estese le leggi e i regolamenti vigenti nel vecchio stato sardo-piemontese. Processo questo che portava il Mezzogiorno a pagare un prezzo molto alto, secondo una espressione del Fortunato, per il suo ingresso nella civiltà. A favore dei settentrionali rimase il monopolio del potere. Il Mezzogiorno in pratica venne escluso dalla direzione politica del paese. Tutte le sue autonomie vennero calpestate, anche quelle che avrebbero potuto rivelarsi preziose per un più equilibrato sviluppo del nuovo Stato. Accentramento dovuto alla esigenza di cementare un edificio come era la Penisola di allora. Ma problema principale era mettere in parallelo, e fare vivere insieme, due parti di uno stesso Paese che avevano avuto uno sviluppo storico, sociale, economico, culturale del tutto differente e che si trovavano al momento a due distinti e contrastanti livelli generali di vita, di mentalità, di costume, di struttura produttiva. A un settentrione già “borghese” fervido di vita e di iniziative, europeo, industrializzato in buona parte, faceva riscontro un Mezzogiorno feudale ancora, agricolo, scarso di ceti medi e di borghesia imprenditoriale. E 1’errata visione di un Mezzogiorno naturalmente assai ricco, opinione diffusa molto nel mondo politico e culturale degli anni ‘60, ebbe un peso determinante in un certo ottimismo della classe dirigente nazionale sulla possibilità di portare alla luce i tesori della terra meridionale. Alla luce di convinzioni del genere i liberali del Nord attuarono verso tale meridione una politica basata sull’abbattimento delle barriere protettive che avevano chiuso il Regno borbonico alla influenza delle economie europee più avanzate, sulla creazione di un sistema di comunicazioni interne, onde stabilire le condizioni per una nuova economia di mercato, sulla riforma agraria. Ma aprire i territori meridionali al contatto con un ambiente economico più avan-
zato voleva dire mettere in crisi la vecchia e fiorente industria locale, che però era fiorente soltanto perché prosperante sotto l’ala del protezionismo borbonico, e che dunque non avrebbe retto alla concorrenza settentrionale ed europea. Non c’è dubbio che i benefici a lunga scadenza della politica di libero scambio dei “piemontesi” dovettero essere pagati a prezzo di perdite immediate, che furono sopportate soprattutto dai napoletani meno attrezzati. Nel Mezzogiorno l’industria, «venuti meno il sostegno e la protezione che le erano assicurati nell’ambito del sistema borbonico, fu quasi completamente travolta dalla concorrenza straniera e settentrionale, e non ebbe la possibilità di riprendersi su nuove e più solide basi. L’industria domestica e l’artigianato paesano risentirono meno le conseguenze dell’apertura del mercato, perché gran parte del Mezzogiorno, privo di una struttura commerciale e di un adeguato sistema di comunicazioni, era ancora impenetrabile alla produzione industriale; ma esse si fecero sentite immediatamente nei centri dove esistevano le fabbriche» (Villari). Fare la riforma fondiaria liberalizzando le terre apppartenenti alla Chiesa e alle congregazioni religiose e favorendo la nascita di una borghesia agricola, era un sistema positivo a lunga scadenza, ma che al momento non poteva non rivelarsi fonte di guai e di traumi. Innanzitutto «gli scopi finanziari prevalsero sugli obbiettivi di modificazione della struttura social» e gli effettivi vantaggi furono ridotti anche e soprattutto «dalla sua marginalità ed insufficienza rispetto all’ampiezza con cui il problema si presentava nel Mezzogiorno e dall’orientamento generale della costruzione del nuovo stato, che praticamente consentì ai grandi proprietari di guidare tutto il processo e di confermare, anche attraverso queste vicende, la struttura fondiaria meridionale nei dati fondamentali del suo squilibrio». «Come dimostrano molti episodi del ‘60 e più tardi lo stesso brigantaggio, le regioni meridionali subivano ancora al momento dell’unificazione tutto il travaglio della ricerca di condizioni preliminari allo sviluppo economico e sociale; travaglio che si svolgeva principalmente attorno all’ordinamento della proprietà e che le nuove istituzioni, in sostanza, dovevano
bloccare, offrendo ai ceti possidenti la possibilità di fronteggiare più energicamente che nel passato la pressione dei contadini» (Villari). La misura infatti provocò la reazione del clero spossessato, che si portò all’opposizione e che vide nel brigantaggio il metodo più semplice per giungere alla restaurazione dei suoi possessi e che dunque diede un potente aiuto alla rivolta contadina, gli stessi contadini videro i beni di mano morta cadere tutti in possesso dei galantuomini e si convinsero che la politica del nuovo Stato non sarebbe stata a loro favore. Si sviluppava e metteva radici la rivolta brigantesca. E cominciavano per il Mezzogiorno gli anni difficili e burrascosi. Si apriva così la “questione meridionale”. Il brigantaggio Il sorgere del brigantaggio è connesso, in qualche misura, con le difficoltà incontrate dal governo nazionale nelle province meridionali, con la debolezza dei legami che queste ebbero con la rivoluzione nazionale e che il contrasto tra moderati e democratici contribuì ad allentare ulteriormente, ma è soprattutto il risultato del modo stesso di sviluppo storico della società meridionale, «l’ultimo atto - dice Fortunato - del dramma, terribile nei suoi aspetti e nei suoi episodi» della questione demaniale. In altri termini il brigantaggio, accentuato e rinvigorito dopo il 1860, non fu conseguenza esclusiva del cangiamento politico; ma tale coangiamento fu un’occasione dalla quale esso si sviluppò maggiormente, un fenomeno, il sintomo di un male profondo e antico, derivato da cause immediate e da cause predisponenti. La condizione sociale, lo stato economico del campagnuolo, la sua miseria e il suo squallore, il nessun vincolo che lo lega alla terra, sono naturale apparecchio al brigantaggio. La vita del brigante è piena di attrattive per il povero contadino. Si aggiunga a ciò l’ignoranza, gelosamente conservata e ampliata, la superstizione diffusa ed accreditata, la mancanza assoluta di fede nelle leggi e nella giustizia. «Si può dire che, durante tutto il vicereame spagnuolo e il regno dei Borboni, La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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il brigantaggio sia stato una delle parti più interessanti, se non la più interessante della storia meridionale» (Nitti). Contadini affamati e perseguitati dai baroni si riunivano in bande e si davano alla campagna, per rubare o per uccidere. «Se pensate a ciò che è stata la feudalità nell’Italia meridionale, come vi si sia radicata per secoli, e come, mutate le forme, in qualche provincia duri tuttavia, vi spiegherete lo svolgersi e l’espandersi del brigantaggio. Ma nulla vi contribuì di più della immoralità profonda della dominazione spagnola, durata per sì lungo volgere di tempo. I baroni, prepotenti, erano attorniati da tal gente ed esercitavano giustizia in tal modo, che dovevano eccitare alla rivolta anche gli spiriti più miti. Essere inquisiti, cioè aver commesso dei reati, essere ciò che noi diremmo un criminale, era un requisito quasi indispensabile per essere ammessi al servizio di un barone. Mancava ogni fede pubblica e privata, le università che con grandi sforzi riuscivano a riscattarsi erano rivendute dagli stessi sovrani che davano l’esempio della disonestà. In alcuni casi e non rari i baroni stessi partecipavano al brigantaggio e lo proteggevano, sia per misure di difesa sia per desiderio di guadagni. E le classi povere che non avevano nessuna fede nella giustizia, che in alcuni luoghi dovevano sostenere una lotta impari contro la perfidia della natura da una parte e i cattivi ordinamenti sociali dall’altra, non dovevano né potevano avere verso i banditi, cioè verso coloro che si mettevano in lotta aperta con la società, alcun sentimento di avversione» (Nitti). Province intere restarono per secoli al di fuori di ogni legge; e d’altra parte il «brigantaggio era anche forza da usare negli estremi perigli; i Borboni ad esso si appoggiarono per riconquistare il reame e tenere a freno le classi colte e ricche» Dal 1799 ha inizio e si propaga il brigantaggio politico, allorché i Borboni cominciarono appunto ad averlo come suprema difesa e come vero e proprio sostegno della monarchia. Bandiera politica della reazione contro la repubblica nel 1799, contro Giuseppe Bonaparte e Murat dal 1806 al 1814, contro la monarchia costituzionale di Casa Savoia dopo il 1860. Date le condizioni del paese, al momento stesso in cui taluno si dava al brigantaggio, suo interesse pre48
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cipuo professionale era quello di dichiararsi borbonico, e non liberale. Nelle province tutta la gente istruita, la nobiltà in generale, cioè la maggioranza dei proprietari, i ricchi, apparteneva al partito liberale e aveva aderito alla causa unitaria. Logico pertanto che i contadini, delusi tante volte nelle loro aspettative e speranze sul miglioramento del livello di vita, si schierassero dalla parte, forse meno giusta e opportuna, ma certo più indicata e suggerita dalla realtà e dal tradizionale gioco di forze, con conseguenti vantaggi a unica direzione. E così, ancora nel 1860, Francesco II, impiegando la stessa politica dei suoi predecessori, cercò di salvarsi con la forza del brigantaggio; di cui il nucleo fu il disciolto esercito. Ma ben presto ai motivi politici si aggiunsero l’esplosione di tutti gli odi e il divampare delle vendette, le rivendicazioni e le lotte che a lungo erano state covate nell’animo. «Il popolo non comprendeva l’unità e credeva che il re espulso fosse l’amico e coloro che gli succedevano i nemici. Odiava soprattutto i ricchi e riteneva che il nuovo regime fosse tutto a loro beneficio» (Nitti). Popolazioni che avevano tanto sofferto e pure tanto sperato «non si figuravano, né lo poteano, che alla miracolosa prontezza dell’opera di distruzione fosse da succedere tanta lentezza nell’opera della riedificazione. A popolazioni avvezze a veder fatto male in modo istantaneo non poteano non parere inesplicabili ed essere intollerabili gli indugi e le lungaggini non evitabili nel fare il bene. Quindi una naturale inclinazione al dubbio, al sospetto, alla sfiducia, al malcontento: ragioni tutte di debolezza, e fomite, perciò non rimedio, al disordine secolare già esistente. Né la nozione vera della nuova forma di governo poteva ad un tratto acquistare nelle menti e nelle coscienze il vigore che ingenera e mantiene la fiducia; né il falso ed illiberale concetto della onnipotenza assoluta del governo nel bene e nel male poteva essere sradicato ad un tratto; onde la tendenza ad accusare il governo del bene non fatto, dei mali non riparati, a continuare a discorrere di esso come di cosa affatto distinta e separata, se non avversa, dalla nazione, e chiamarlo in colpa della stessa eredità di fatti e di mali passati, ad assegnare a mal volere gli errori inevitabili, ad interpretare come debolezza lo stesso ossequio
alle leggi ed ai riti costituzionali» (Massari). Il Sud si avviava così a diventare teatro di una guerra civile di tipo irlandese. L’antichissimo fenomeno del brigantaggio era portato alle sue estreme conseguenze dai predominanti fattori politici. Francesco II, re in esilio, si appoggiò decisamente al banditismo come arma di controrivoluzione politica e stimolò senza tregua la lotta di classe contro i ricchi. I briganti a loro volta sfruttarono Franeesco, intascando il suo denaro e giovandosi dell’asilo politico loro offerto al di là dei confini pontifici. Era la rivolta endemica delle plebi: uomini riparati sulle montagne per sfuggire alla giustizia, preti apostati, contadini assetati di vendetta, ex soldati borbonici, disertori e renitenti alla leva, evasi dalle carceri, avventurieri; ma anche quanti non vi partecipavano essi stessi consideravano i briganti come combattenti legittimi nell’eterna guerra contro i proprietari terrieri ed un governo eccessivamente remoto, quasi straniero: il brigante era considerato e diventava quasi un eroe. Lunga, aspra, violenta fu la guerra combattuta ccntro queste forze e che richiese grande dispendio di vite umane; e dal conflitto uscì peraltro intensificata la latente animosità regionale, «Una guerra civile è la più crudele delle disgrazie che possa abbattersi su di un paese, ed il Risorgimento non era stato che un succedersi di guerre civili, fra le quali questa era stata la più crudele, la più lunga e la più costosa. Il numero di soldati regolari che vi morirono di malaria fu superiore a quello degli uccisi in combattimento durante tutte le campagne del 1860, e il numero di coloro che perirono nel corso di questa lotta fu superiore a quello dei caduti di tutte le altre guerre del Risorgimentomesse assieme» . IV - Continua Nino Cortese, Il Mezzogiorno e il Risorgimento italiano, Napoli. R.Villari, Il Sud nella Storia d’Italia, 1961. F. S. Nitti, Scritti sulla questione meridionale, I – Bari 1958. G. Massari, Il brigantaggio nelle province napoletane, Napoli 1863. D. Mack Smith, Storia d’Italia dal 1861 al 1958.
Rassegna Libri
Lo strano naufragio del piroscafo postale “Santa Lucia”
Passeggiate ischitane
Le più belle escursioni nell’isola dei verdi vulcani di Massimo Mattera
di Nino Codagnone
Mursia Editore, 2011
Imagaenaria Edizioni Ischia, marzo 2012
L’autore propone dieci itinerari per conoscere e ammirare l’isola dei verdi vulcani: Posta Lubrano, Fondo Ferraro – Piedimonte – Campagnano, Vatoliere – Serrara, Maronti – Santa Maria al Monte, Falanga – Ischia Porto, Cartaromama – San Francesco, San Montano – Monte Epomeo – Giro dell’isola in auto – Giro dell’isola in barca. «Un contributo allo sviluppo del geoturismo sull’isola – si afferma nell’Introduzione – vuole venire da questa guida che si propone di rendere fruibile, anche da parte dei comuni visitatori, il patrimonio di testimonianze e risorse geologiche dell’isola d’Ischia. Un corpus di vestigia da scoprire con piacevoli e coinvolgenti escursioni. Sulla groppa dei tanti vulcani che tempestano la nostra isola, alla scoperta di prodotti (colate, minerali, rocce) ed evidenze (fumarole, fonti ternali, faglie, ecc.). Navigando sui vulcani sottomarini responsabili di alcune delle più catastrofiche eruzioni, come quella del Tufo verde. Tra i resti di
antiche spiagge, ricoperte da ciottoli e fossili di conchiglie che, per effetto del sollevamento dell’horst vulcanico-tettonico del monte Epomeo (di una sorta di bradisismo tutto ischitano), oggi svettano in alto. Dunque, oltre al magma e alle sue manifestazioni, esploreremo il verde e le sue straordinarie varietà, borghi e villaggi, mura di cittadelle, posti di vedetta, luoghi sacri. Alla ricerca dei loro tratti più caratterizzanti ma anche di quel senso magico-religioso della natura e della vita ormai smarrito. Perché a Ischia, più che in qualsiasi altro posto, storia e mito, natura, scienza e arte si fondono in un unicum inscindibile, intimamente legato al magma da cui tutto è derivato. Un magma che, lungi dall’esaurirsi, continua a cuocersi nell’enorme pentolone che si stende ai nostri piedi, minacciando di tornare in superficie».
L’autore, Nino Codagnone, subacqueo e marinaio esperto che da oltre quindici anni veleggia lungo le coste del Mediterraneo con il sio Gattofelice di undici metri, descrive la sua esperienza in mare, quando nel 1966 «con i miei compagni di immersione visitai per quattordici volte il relitto». Si fa anche riferimento al ritrovamento di nuovi documenti e a ricerche storche condotte presso gli archivi britannici».
False certezze
di Bruno J. R. Nicolaus Un’opera di divulgazione su temi di grande attualità, aprile 2012 Nata alcuni miliardi d’anni fa, la vita si è evoluta, modificando l’ambiente in maniera, che ha del prodigioso. I tempi relativamente lunghi di questo processo hanno permesso agli organismi un graduale e progressivo adattamento, con formazione d’adeguati meccanismi di difesa, permettendo all’uomo di sopravvivere alle calamità incontrate lungo l’impervio cammino: terremoti e maremoti, inondazioni, siccità e glaciazioni, La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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carestie ed eruzioni vulcaniche, collisioni con asteroidi, catastrofi ecologiche e pestilenze, ecc. Fino a poco tempo fa, si sperava, che la salute del pianeta migliorasse, mentre, oggi, ci si accorge che è di nuovo ad alto rischio, per la simultanea insorgenza di fattori naturali ed antropici negativi. L’azione congiunta, di tanti fattori pericolosi e potenzialmente sinergici, finirà per danneggiare seriamente il nostro organismo. Da ciò, consegue la necessità di programmare e mettere in opera nuovi modelli di sopravvivenza, in grado di sopperire all’emergenza in atto e di armonizzare le varie esigenze. In sintonia con queste esigenze, nelle prossime pagine saranno discussi alcuni temi particolarmente attuali, tra i quali: Fame, sete e l’elisir di lunga vita; effetto serra, carenza energetica ed energie alternative; inquinamento della biosfera; degrado ambientale e morale; esplosione demografica; allevamenti intensivi; sperimentazione animale e vivisezione; modifiche degli stili di vita (alimentazione, soprappeso, obesità; farmaci, droghe illecite e lecite tra cui alcol e fumo, paradisi artificiali); insorgenza di nuove patologie da germi ed agenti chimici patogeni; nascita della vita e morte biologica; ritmi e dimensioni in natura; musica e linguaggio. La materia non è facile, ma, dopo averla selezionata con rigore, abbiamo cercato di esporla in maniera piana e comprensibile alla maggior parte dei lettori; per i più esperti, saranno messi in luce i problemi fondamentali; per gli altri, prospetteremo ulteriori interpretazioni e soluzioni. Confidiamo, che queste pagine rappresentino per tutti un’esperienza appassionante; una sorta di viaggio, che, porti a familiarizzare, non solo con temi e soluzioni pratiche, ma anche con discipline e progetti all’avanguardia: un volo virtuale, dalla chimica degli astri alla nascita della materia vivente; dalla biochimica 50
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alla neuro-chimica ed al binomio mente-cervello; dalla fisica a biologia e medicina, per citare solo alcu-
ne delle tappe principali. Si tratterà di un vero volo, dalle stelle al pensiero (Introduzione).
Concordia
eccessivamente accondiscendente e distratta. Dolore e rabbia, solidarietà e avidità, generosità e vigliaccheria si fondono all’interno di un reportage coinvolgente, che aiuta a svelare molti dei retroscena della notte più tragica vissuta dall’arcipelago toscano (retro di copertina).
Cronaca di una tragedia annunciata di Gino Barbieri Edizioni CentoAutori, marzo 2012 Un gigante del mare, la nave da crociera Concordia, che affonda come il Titanic, trascinando nei fondali dell’isola del Giglio 32 persone. Un comandante, Francesco Schettino, prigioniero di una personalità narcisista ed egocentrica, incosciente fino al punto di portare una nave di oltre centodiecimila tonnellate con più di quattromila persone a bordo dentro una trappola (lo scoglio delle Scole) nota sin dai tempi dell’antica Roma, ben segnalata dalle carte nautiche e dalle mappe catastali. Ma anche un pusillanime capace di abbandonare al proprio destino centinaia di passeggeri in preda al terrore, dopo aver ritardato per più di un’ora l’evacuazione della nave. Sullo sfondo della storia, i profili evanescenti di una giovane e intraprendente moldava, di un cinico manager tutto affari e poca coscienza, e di una società armatrice
Lacco Ameno e l’isola d’Ischia - Gli anni ‘50 e ‘60 - An-
gelo Rizzoli e lo sviluppo turistico di Raffaele Castagna
La Rassegna d’Ischia, 2010
Negli anni ‘50 e ‘60 il nome di Lacco Ameno e dell’isola d’Ischia è stato diffuso rapidamente nel mondo. Questo impulso, dato soprattutto da Angelo Rizzoli, trovò espressione e concretezza anche nell’azione degli enti pubblici, nell’iniziativa privata e nel concorso delle popolazioni: era naturale infatti che tutta l’isola rispondesse al richiamo del rinnovamento e del progresso e si adeguasse alla funzione che essa ansava assumendo di grande stazione turistica e termale.
Forio e la festa di San Vito descritte dall’Abbé Alphonse Kannengiesser *
... Continuo le mie esplorazioni attraverso Ischia. L’altro giorno sono andato a visitare Forio, il luogo più significativo di tutta l’isola. Si tratta di un grande villaggio di circa 7000 abitanti, situato ai piedi del Monte Epomeo, dove tramonta il sole sulla riva del mare. L’escursione è stata molto bella e ne ho conservato bei ricordi che non svaniranno presto dalla mia memoria. Il percorso che conduce a Forio attraversa luoghi così pittoreschi che si cercherebbero invano su altri punti dell’isola. Al di là del villaggio di Lacco la strada s’inoltra tra due enormi massi i cui fianchi anneriti dai secoli richiamano lo scuro ingresso negli inferi della Divina Commedia. Sebbene sia incantevole tra Ischia e Casamicciola, la natura prende qui improvvisamente un aspetto selvaggio e quasi terribile. In Sicilia e Calabria non ci si azzarderebbe nemmeno in una simile gola senza essere accompagnati da un distaccamento di gendarmi. Ero quasi da solo e mi abbandonai senza timore alle emozioni provocate dalla vista di una natura così ammirevole. Che paesaggio, caro amico mio! Soltanto sconvolgimenti vulcanici possono creare spettacoli come questo. Le rocce sono accatastate l’una sull’altra nelle posizioni più violente. Gli antichi avrebbero detto l’Ossa sul Pelio. Ci vogliono circa 20 minuti per attraversare il profondo burrone. Ad un certo punto la strada piega bruscamente a destra e ci si trova in un paese più allegro, direi in una pianura se si potesse usare questa parola quando si parla dell’isola di Ischia. Forio s’apre davanti a voi, si scorgono in lontananza le sue numerose chiese, le sue torri merlate del Medioevo, le sue case dai tetti piatti, il suo porto mezzo-deserto. Su questo lato dell’isola, l’Epomeo è meno ripido di quanto sia a Casamic* Abbé Alphonse Kannengiesser - Souvenirs d’Italie, Rixheim 1886 - Traduzione dall’edizione francese di Giovanni Castagna
San Vito patrono e protettore di Forio
ciola. La vite si arrampica fino all’ingresso del cratere dell’antico vulcano. L’arancio e il fico senza scomparire del tutto lasciano il posto alla vite che si coltiva con grande cura e produce vini apprezzati. Ci stiamo avvicinando gradualmente a Forio avendo sempre il mare alla nostra destra e a sinistra belle case quadrate incoronano i monticelli, che sono così numerosi su questo terreno ondulato. Siamo qui alle porte della città. È a Smirne che ci accingiamo ad entrare? In realtà ci si potrebbe immaginare in Oriente; le palme di cui vediamo qua e là i grandi pennacchi verdi rendono completa l’illusione. Avevo proprio scelto bene il giorno della mia visita a Forio. Una folla immensa di isolani vi era riunita: si celebrava con grande sfarzo la festa di San Vito, il patrono della città. Tutte le strade erano addobbate: numerose corone ornavano le case; l’immagine del Santo era presente all’entrata delle vie principali. Non abbiamo alcun’idea dell’entusiasmo che anima queste popolazio-
ni piene di fede quando celebrano le loro feste religiose. La festa di Santa Restituta a Lacco, quella di San Vito a Forio sono veramente spettacolari. A Forio l’affluenza era straordinaria. Era piuttosto difficile circolare in mezzo a quelle ondate di gente che si accalcava nelle vie. Parlo di vie; per essere più esatto bisognerebbe sostituire a questo sostantivo ambizioso quello di vicolo. In questa cittadina, infatti, del tutto orientale, le strade più spaziose hanno appena tre metri di larghezza. Il colpo d’occhio che presentava la folla compatta in questi stretti corridoi era ancor più impressionante. Gli isolani si erano ornati dei loro abiti più belli. Mi occorrerebbe lo scrigno scintillante di un’immaginazione di poeta per dipingere gli effetti di luce e di prospettiva prodotti da tutti quei costumi variopinti che avevo dinanzi agli occhi. A Ischia, come nell’Italia meridionale, si preferiscono i toni vivi e vistosi, la giustapposizione delle sfumature più disparate. Il colore o, i colori dell’abito sono la più alta espressione di questo strano gusto. Il vestito stesso presenta particolari degni di nota. La donna ha la capigliatura avvolta in un fazzoletto di seta che ricade graziosamente sulle spalle o circonda il capo a forma di turbante. Alle sue orecchie pendono orecchini d’oro fenomenali, i più piccoli sono lunghi da 12 a 15 centimetri. Una veste senza ornamenti, una tunica stretta alla vita, un paio di sandali eleganti, e per le più ricche, tre o quattro catene di metallo prezioso sospese al collo formano l’abbigliamento di gala delle Ischiote. Ma ciò che distingue questo costume così insignificante in apparenza è la diversità dei colori di ciascuno dei capi che lo compongono. Le donne di Ischia amano unire insieme tutti i colori che formano contrasti. Ora l’una accoppia il giallo arancio del suo scialletto alla porpora del vestito, mentre la sua polacca sarà bianca come la neve. La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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Un’altra darà la preferenza al verde scuro, al blu e al viola. Tutto l’arcobaleno. E che freschezza, brillantezza in questi colori. Sembra che i personaggi di un affresco del Beato Angelico siano venuti giù dalla volta di una cattedrale in processione per le strade di Forio. Ogni abbigliamento considerato in sé è così fuori dalle nostre abitudini che difficilmente ci si troverebbe a non ritenerlo barocco. La preferenza delle Ischiote per i colori vivaci è un fenomeno presente in tutte le principali festività. La decorazione della chiesa è soggetta alle stesse leggi del costume, come potemmo notare all’arrivo a San Vito. Per raggiungere il santuario siamo dovuti dapprima uscire da quella folla sempre più crescente che occupava tutta la larghezza della via. Si procedeva lentamente. Il mio abito francese e la presenza dei miei due alunni con i loro occhialetti suscitavano la curiosità di quei buoni isolani. Centinaia d’occhi era continuamente puntati su di noi ed io avevo così la possibilità di studiarne i tipi e le espressioni delle loro fisionomie. Tutta quella folla che si agitava intorno a noi era allegra e felice. Le ragazze passeggiavano a gruppetti e dimostravano una certa civetteria nell’andatura, nel contegno e nell’atteggiamento. La maggior parte degli uomini aveva il cappello ornato di fori artificiali come i coscritti dalle nostre parti. I più facoltosi portavano una larga cravatta multicolore che colpiva l’occhio, la loro fronte aggrottata mi faceva capire che erano proprietari di molti appezzamenti di vigneti e l’aria altera che ostentavano confermava le mie congetture. Solo i vecchi marinai e i pescatori sostituivano il berretto frigio di color rosso al cappello, un’invenzione troppo moderna. Si parlava molto forte, si rideva e ci si abbracciava augurandosi il benvenuto, ci si rallegrava a vedere la processione della notte. Di tanto in tanto un passante cercava di mettersi in evidenza onorandoci con un gentile saluto. In un angolo della strada un monaco francescano dalla bella faccia raggiante venne verso di me me con il più dolce sorriso 52
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Forio - Chiesa di San Vito
per baciarmi la mano. Ero talmente sconcertato da questo segno di tenerezza che non fui nemmeno in grado di rispondere al suo “Eccellenza, vi bacio la mano!” Più avanti abbiamo incontrato un gruppo di bambini in pantaloni bianchi e giacche rosse bordate d’oro. Questi amabili cherubini dovevano rallegrare con la loro presenza la bellezza della processione. Dopo molte peripezie, finalmente, arriviamo a San Vito. All’esterno la chiesa presenta un aspetto piuttosto misero, ma che lusso all’interno. Anch’essa, quest’opera del re, è adorna della sua più splendida veste. Parati di porpora, drappi d’oro e d’argento ricoprono le pareti dalla sommità alla base dell’edificio. Gli altari sono nascosti sotto i fasci di fiori; il sagrato del santuario è cosparso di foglie odorose di mirto. Ed il popolo è là a nutrire l’immaginazione con tutti quegli
splendori, forse ben poco conformi ai canoni dell’estetica! Ma tutto risplende al sole, cosa se ne fanno della filosofia! Ma si attende soprattutto con impaziena l’illuminazione della sera. Migliaia di lampioni ornano la facciata della chiesa: sulla piazza vicina si organizzano i grandi fuochi d’artificio. Questa spianata domina parte della città, della montagna e del mare e di là le innumerevoli fiamme, che si accendono la notte e che si vedono scintillare da ogni luogo, offriranno il più imponente degli spettacoli. Anche quanti hanno gusti difficili da soddisfare non troverebbero nulla di criticabile in questa parte della festa, perché le illuminazioni a Forio, a Lacco e a Casamicciola sono meravigliose.
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Premio Ischia Internazionale
di Architettura
Il Premio è frutto della collaborazione tra l’Associazione PIDA e l’Ordine degli Architetti e Pianificatori Paesaggisti e Conservatori di Napoli e Provincia. Comitato promotore: Giovannangelo De Angelis, Riccardo Florio, Antonella Palmieri, Giancarlo Graziani; Segreteria organizzativa: Daniela Marino, Elisa Vitale, Lucia Regine, Morena Miglio, Marita Francescon, Simone Verde. Il premio si divide in due sezioni a concorso internazionale: 1) Premio PIDA Alberghi Premio PIDA SPA;
2) Premio PIDA Concept Alberghi Premio PIDA Concep t SPA
Per la sezione Premio PIDA (sottosezione Alberghi e sottosezione SPA), la giuria assegna il Premio Internazionale Ischia di Architettura ai primi tre progetti classificati che interpretino in modo più integrato, realistico ed efficace gli aspetti del tema (art.1)1 nei casi in cui si sia realizzata l’opera progettata. Tale sezione prevede la partecipazione aperta a tutti gli architetti iscritti all’Ordine (vincolo per i soli professionisti italiani) anche costituiti in gruppo, che abbiano realizzato opere sul territorio nazionale e internazionale coerenti con il tema. Per la sezione Premio “Concept” PIDA (sottosezione Alberghi e sottosezione SPA), la giuria assegna il Premio Ischia di Architettura ai primi tre progetti classificati che interpretino in modo più integrato, realistico ed efficace gli aspetti del tema (art.1). Tale sezione prevede la partecipazione aperta a tutti gli architetti iscritti all’Ordine (vincolo per i soli professionisti italiani) anche costituiti in gruppo, coerenti con il tema.
Ischia in albergo 4 stelle in camera e colazione (il viaggio può essere realizzato nel 2012 o 2013 escluso il mese di agosto) più targa/scultura di riconoscimento per lui e per la struttura ricettiva. Al primo classificato della sezione Premio PIDA Concept (Alberghi e SPA) sarà riconosciuto un premio consistente in una vacanza (escluso il viaggio) per due notti per due persone ad Ischia in albergo 4 stelle in camera e colazione (il viaggio può essere realizzato nel 2012 o 2013 escluso il mese di agosto) più targa di riconoscimento per lui e per la struttura ricettiva. Al secondo e terzo classificato di ogni sezione del PIDA e PIDA Concept verrà consegnata una targa/scultura di riconoscimento PIDA per lui e per la struttura ricettiva. I progetti dei primi tre classificati di ogni sezione verranno inseriti sul sito web ufficiale, nelle comunicazioni dei mediapartner, e nella pubblicazione per IPAD. Verrà allestita, dal 19 luglio al 4 agosto 2012, nella Villa La Colombaia sita in Forio d’Ischia (NA), una mostra dei progetti dei primi tre classificati di ogni sezione. Il trasporto e l’assicurazione delle tavole sono a carico dei selezionati, il montaggio e lo smontaggio sono a carico degli organizzatori del premio. Una pubblicazione digitale per IPAD contenente i primi tre classificati verrà pubblicata entro la fine dell’anno. Il Calendario degli eventi e delle premiazioni verrà pubblicato sul sito web entro il 15 giugno. Le immagini delle precedenti edizioni e gli aggiornamenti del Premio Internazionale Ischia di Architettura sono visibili sul sito www.pida.it. Forio - La Colombata
La partecipazione al concorso è gratuita. Per le modalità di invio delle opere (scadenza il 29 giugno 2012) e per regolamento completo visitare il sito www.pida.it La graduatoria verrà comunicata il 7 luglio. Al primo classificato della sezione Premio Pida (Alberghi e SPA) sarà riconosciuto un premio consistente in una vacanza (escluso il viaggio) per sei notti per due persone ad 1 Tema del Premio Ischia Internazionale di Architettura è la qualità dell’ospitare. Ospitare, accogliere, ricevere sono vocazioni ataviche dell’architettura. Il Premio Internazionale Ischia di Architettura viene assegnato alle opere di architettura ultimate e documentabili per la sezione “premio PIDA”, e riferite alla sola progettazione di esse per la sezione “premio PIDA Concept”, riferite alle due macro sezioni del premio: alberghi (hotels, agriturismi, pensioni, ) o SPA (Centri Termali, Parchi Termali, Beauty Farm, Centri Estetici). Le opere possono riguardare la realizzazione di nuova architettura o il recupero, la riqualificazione, l’ampliamento di edifici esistenti purché sia chiaramente leggibile un esplicito ed autonomo dialogo con la contemporaneità.
La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
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Programma dell’Ischia Film Festival dal 30 giugno al 7 luglio 2012 *
Ore 22:00 Proiezione di un lungometraggio alla Cattedrale dell’Assunta Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi
Sabato 30 Giugno Ore 19:00 Brindisi di apertura per la decima edizione del Festival, alla Terrazza del Castello Aragonese. Ore 20:30 Inaugurazione della Mostra Fotografica Viaggi in Italia 3 - Set del cinema italiano 1990-2010 a cura di Antonio Maraldi Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale dell’Assunta Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e opere delle sezioni speciali al Castello: - Chiostro delle Clarisse - Terrazza del Convento Ore 21:15 Proiezione di un lungometraggio in prima serata al Piazzale delle Armi Ore 21:30 “Parliamo di Cinema” Gli autori delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta Ore 22:00 Proiezione di un lungometraggio alla Cattedrale dell’Assunta Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi
Mercoledì 4 Luglio Ore 10:00 Seconda giornata di lavori della BILC e Convegno Nazionale sul Cineturismo riservato agli accreditati professionali Ore 19:30 Film Cocktail incontro riservato agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale dell’Assunta Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali nelle seguenti aree del Castello Aragonese di Ischia: - Chiostro delle Clarisse - Terrazza del Convento Ore 21:15 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi Ore 21:30 “Parliamo di Cinema” Gli autori delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta Ore 22:00 Proiezione di un lungometraggio alla Cattedrale dell’Assunta Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi
Domenica 1 Luglio Ore 19:30 Film Cocktail offerto dalla Camera di Commercio di Como. Riservato agli accreditati professionali. Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale dell’Assunta Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali nelle seguenti aree del Castello Aragonese di Ischia: - Chiostro delle Clarisse - Terrazza del Convento Ore 21:15 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi Ore 21:30 “Parliamo di Cinema” Gli autori delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta Ore 22:00 Proiezione di un lungometraggio alla Cattedrale dell’Assunta Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi Lunedì 2 Luglio Ore 19:30 Film Cocktail incontro riservato agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale dell’Assunta Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali nelle seguenti aree del Castello Aragonese di Ischia: - Chiostro delle Clarisse - Terrazza del Convento Ore 21:15 Proiezione di un lungometraggio in prima serata al Piazzale delle Armi Ore 21:30 “Parliamo di Cinema” Gli autori delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta Ore 22:00 Proiezione di un lungometraggio alla Cattedrale dell’Assunta Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi Martedì 3 Luglio Ore 10:00 Prima giornata di lavori della BILC e Convegno Nazionale sul Cineturismo riservato agli accreditati professionali Ore 19:30 Film Cocktail offerto dalla Fondazione Lombardia Film Commission incontro riservato agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale dell’Assunta Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali nelle seguenti aree del Castello Aragonese di Ischia: - Chiostro delle Clarisse - Terrazza del Convento Ore 21:15 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi Ore 21:30 “Parliamo di Cinema” Gli autori delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta
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La Rassegna d’Ischia n. 4/2012
Giovedì 5 Luglio Ore 10:00 Terza giornata di lavori della BILC e Convegno Nazionale sul Cineturismo riservato agli accreditati professionali Ore 19:30 Film Cocktail incontro riservato agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale dell’Assunta Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali nelle seguenti aree del Castello Aragonese di Ischia: - Chiostro delle Clarisse - Terrazza del Convento Ore 21:15 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi Ore 21:30 “Parliamo di Cinema” Gli autori delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta Ore 22:00 Proiezione di un lungometraggio alla Cattedrale dell’Assunta Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio al Piazzale delle Armi Venerdì 6 Luglio Ore 19:30 Film Cocktail incontro riservato agli accreditati professionali presso il Castello Aragonese Ore 21.00 Proiezione di un cortometraggio in presenza dell’autore alla Cattedrale dell’Assunta Ore 21.00 Proiezione delle Opere in Concorso e delle opere delle sezioni speciali nelle seguenti aree del Castello Aragonese di Ischia: - Chiostro delle Clarisse - Terrazza del Convento Ore 21:15 Proiezione di un lungometraggio in prima serata al Piazzale delle Armi Ore 21:30 “Parliamo di Cinema” Gli autori delle opere in selezione incontrano il pubblico presso la Cattedrale dell’Assunta Ore 22:00 Proiezione di un lungometraggio alla Cattedrale dell’Assunta Ore 23.00 Proiezione di un lungometraggio in seconda serata al Piazzale delle Armi Sabato 7 Luglio Chiusura della X edizione dell’Ischia Film Festival presso la Cattedrale dell’Assunta al Castello Aragonese. Serata di Gala con spettacolo musicale per la premiazione delle opere in concorso della X edizione del premio Internazionale Ischia Film Festival. *Questo programma potrebbe essere soggetto ad integrazioni o piccoli cambiamenti. Le eventuali modifiche, insieme ai nominativi degli ospiti, gli artisti premiati e le opere in concorso saranno comunicati nella conferenza stampa ufficiale che si terrà nel mese di Giugno, nonché attraverso l’ufficio stampa del Festival e la pubblicazione su questo sito
Edizioni La Rassegna d’Ischia Raffaele Castagna - Calcio Ischia - Storia, risultati, classifiche, protagonisti delle squadre isolane negli anni 1957/1980 - Supplemento al n. 1/aprile 1981 de La Rassegna d’Ischia. Giovanni Castagna - Guida grammaticale del dialetto foriano letterario – 1982. Giovanni e Raffaele Castagna - Ischia in bianco e nero - 1983. Giuseppe d’Ascia - Caterina d’Ambra (dramma storico del 1862) - Introduzione e note a cura di Giovanni Castagna - 1986. Giovanni Maltese - Poesie in dialetto foriano: Cerrenne I, II, III; Ncrocchie; Sonetti; Poesie inedite - Ristampa con introduzione, note, commento e versione in italiano a cura di Giovanni Castagna - 1988. Raffaele Castagna - Lacco Ameno e l’isola d’Ischia: gli anni ‘50 e ‘60, Angelo Rizzoli e lo sviluppo turistico (cronache e immagini) - 1990. Vincenzo Cuomo - La storia attraverso i suoi personaggi - Supplemento al n. 1-Febbraio 1991 de La Rassegna d’Ischia (edizione fuori commercio). Francesco De Siano - Brevi e succinte notizie di storia naturale e civile dell’isola d’Ischia (1801) - Ristampa Supplemento de La Rassegna d’Ischia / giugno 1994. Pietro Monti - Tradizioni omeriche nella navigazione mediterranea dei Pithecusani - Supplemento de La Rassegna d’Ischia n. 1/Gennaio 1996. Pietro Monti – Pithekoussai, segnalazione di siti archeologici - Parte I - La Rassegna d’Ischia n. 1/1997. Venanzio Marone - Memoria contenente un breve ragguaglio dell’isola d’Ischia e delle acque minerali (1847) - Ristampa con introduzione di Giovanni Castagna - Supplemento de La Rassegna d’Ischia/giugno 1996. Pasquale Balestriere - Effemeridi pithecusane (Poesie) - Giugno 1994 (edizione fuori commercio). Vincenzo Pascale - Descrizione storico-topografico-fisica delle Isole del regno di Napoli (1796) - Ristampa allegata a La Rassegna d’Ischia, aprile 1999. Vincenzo Mennella - Lacco Ameno, gli anni ‘40 - ‘80 nel contesto politico-amministrativo dell’isola d’Ischia, gennaio 1999 (edizione fuori commercio). Raffaele Castagna - Ischia e il suo poeta Camillo Eucherio de Quintiis, allegato a La Rassegna d’Ischia (edizione ridotta), settembre 1998. Chevalley De Rivaz J. E, - Déscription des eaux minéro-thermales et des étuves de l’île d’Ischia (1837) - Ristampa in versione italiana curata da Nicola Luongo, 1999. Philippe Champault - Phéniciens et Grecs en Italie d’après l’Odyssée (1906) - Ristampa in versione italiana curata da Raffaele Castagna con il titolo L’Odissea, Scheria, Ischia, 1999. AA.VV. - Il Castello d’Ischia: la rocca fulgente - scritti vari ed in particolare: Stanislao Erasmo Mariotti - Il Castello d’Ischia (1915). Raffaele Castagna (a cura di) - Ischia: un’isola nel Mar Tirreno... - Raccolta di articoli vari già pubblicati su La Rassegna d’Ischia (storia - archeologia - folclore....), settembre 2000. Antonio Moraldi - Ferdinando IV a Ischia (1783-1784) - Ristampa (allegato de La Rassegna d’Ischia n. 5 / Settembre 2001). Paolo Buchner - La Villa Reale presso il porto d’Ischia e il protomedico Francesco Buonocore (1689-1768) Ristampa (allegato de La Rassegna d’Ischia n. 5 /Settembre 2001). Assoc. Pro Casamicciola - Sotto il sole di Casamicciola - Raccolta di scritti vari sulla cittadina isolana, a cura dell’Associazione Pro Casamicciola Terme - (Edizione fuori commercio, distribuita ai partecipanti al Premio Ciro Coppola 2001). Camillo Eucherio de Quintiis - Inarime (poema in latino di oltre 8000 versi), pubblicato nel 1727. Versione integrale italiana curata da Raffaele Castagna, gennaio 2003. Rodrigo Iacono, Raffaele Castagna – La Flora dell’isola d’Ischia, la letteratura floristica (stampato in proprio ed edizione fuori commercio. Raffaele Castagna – Isola d’Ischia, tremila voci titoli immagini, gennaio 2006. Giovanni Castagna – La Parrocchia della SS. Annunziata alla Fundera di Lacco Ameno, supplemento allegato a La Rassegna d’Ischia n. 3 del 2007. Raffaele Castagna – Lacco Ameno e l’isola d’Ischia, gli anni ’50 e ’60, Angelo Rizzoli e lo sviluppo turistico (cronache e immagini). Ristampa dell’edizione 1990, dicembre 2010.
Inno a Ischia
di Onofrio Buonocore 1907 Rugiadosa ti levi, slanciata Sovra il mare, recinta di mirto, Quale donna ad Imene votata Radiante s’appressi a l’altar. Lampeggiavi al pensiero dei vati Sei lustri di secoli innanti, Aurore e tramonti rosati Musa ellenica tolse a cantar. Ne la fuga dei secoli, a folle Approdaro a le belle contrade; Quali a far rifiorire le zolle, Quali a spargere cenere e sal. Da le rocche turrite vegliava La fremente grand’anima isclana; A’ coloni la terra spianava, A’ tiranni il venefico stral. Corruscante di luce divina, Agli albori dei secoli novi, Da le sponde di Cuma vicina Si specchiava la Croce sul mar. E quel segno accogliendo, furtivo Lo serravi fremente sul core; Infiorato di palme e d’ olivo L’inalzavi a l’onor de l’altar.