La Rassegna d’Ischia Periodico di ricerhe e di temi culturali. turistici, politici e sportivi Fondato nel 1980 e diretto da Raffaele Castagna
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La Rassegna d’Ischia
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Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi Fondato nel 1980 e diretto da Raffaele Castagna
All’isola d’Ischia è sempre presente il fascino delle antiche civiltà
tratto mira l’Epopeo): così cantò l’autore d’Inarime (Camillo Eucherio de Quintiis, 1726) nel suo poema latino che inneggia all’isola, che, secondo una tradizione classica, si stende sulle braccia, sul petto e sul corpo del gigante Tifeo, simbolo del fuoco, qui condannato a giacere da Zeus, come cantò anche l’Ariosto. Vicende, storiche o leggendarie, sono anche presenti nelle sue varie denominazioni da Arime e Inarime, da Pithecusa ad Aenaria, da Insula ad Iscla e Ischia. Ogni paese, ogni centro presenta le sue caratteristiche particolari, che si evidenziano nelle rispettive architetture e conformazioni, e spesso anche nelle parlate locali. A Lacco Ameno approdarono i primi coloni greci, provenienti dall’isola di Eubea, Calcidesi ed Eretriesi, intorno alla prima metà dell’VIII secolo a. C. E a Monte Vico, nella baia di San Montano, sotto il Santuario di S. Restituta, sono stati riportati alla luce (Giorgio Buchner e Pietro Monti) reperti importanti delle epoche passate e della vita vissuta dalle genti che vi fissarono stabile dimora. Detti luoghi esercitano un grande richiamo, per una passeggiata di tutto riposo. Lungo quei tornanti è possibile trovare nella natura un sollievo di pace, di tranquillità o forse di un oblio del presente che poi si risolve in un ritorno… al passato, nella storia dei luoghi, che sa tanto anche di civiltà omerica. E don Pietro Monti ne fa rivivere con la sua illustrazione e con la sua poesia i vari momenti: «Sotto il lieve rialzo di arena, dormono da millenni vestigia di civiltà lontane, le quali risalendo il Tirreno sulle triremi dalle vele di porpora approdarono all’isola di Pithecusa (Lacco Ameno). Qui sembra di ascoltare le voci sommesse di Ateniesi, di Rodesi; par di sentire i lugubri accenti di Etruschi, di Apuli, elevantisi da sepolcreti rinchiusi in anfore sepolcrali con amuleti e scaraboidi, il cui motivo dominante è quello del ‘suonator di lira’». La felice combinazione di elementi di ordine archeologico con altri di ordine panoramico, climatico e sanitario costituisce la ricchezza e la risorsa dell’isola d’Ischia. Voci dal passato, impercettibili forse, ma tuttora presenti, rievocano infatti avventure di esuli, di mercanti, di eroi in lotta, di leggende troiane. Una realtà, se non un mito, che viene di lontano, ma anche una visione che non ha nulla di irreale o, meglio, che ci sta di fronte in tutta la sua suggestione (Raffaele Castagna).
Isola d’Ischia: un passato che ritorna alla luce ricollegando questa terra ai miti classici e alla prima colonizzazione greca, un presente che cerca sempre più di affermarsi e rinnovarsi seguendo le mode degli agi della vita. Queste impressioni si creano nei suoi visitatori occasionali e in quelli abituali, oggi più che ieri, considerate le scoperte archeologiche, lasciando molte volte incerti se siano quei ricordi e le testimonianze antiche o piuttosto il nuovo e il moderno a porre nell’animo soddisfazione, piacere e speranze. Le immagini invero si sovrappongono e contribuiscono a svelare l’anima di antichi villaggi, piccoli nella loro struttura, ma ricchi per un’eredità storica quasi senza pari, divenuti affermati centri termali e turistici, anche sulla scia dei viaggiatori del Grand Tour, per la rinomanza delle sue acque salutari e per i suoi aspetti naturali. Spesso si ha forse la mente legata agli slogan pubblicitari visti e letti un po’ da ogni parte: le terme, gli alberghi, le spiagge da sogno, i possibili incontri con personaggi noti della politica, dell’industria, della cultura, del cinema, dello spettacolo, della televisione, là in Piazza S. Restituta, al centro di Forio, al Corso Vittoria Colonna d’Ischia, Sant’Angelo. Ma poi si scopre con sorpresa che questo non è tutto. Al di là delle semplici visioni paesistiche, degli elementi climatici e di quanto costituisce prospettiva di una lieta vacanza, l’isola si stacca da siffatto modernismo e si presenta alquanto diversa. In ogni suo angolo, in ogni sua caratteristica, è possibile scorgere e sentire un legame con il passato, con immagini che ricordano e raffigurano ambienti e realtà di civiltà antiche. A chi arriva dal mare, i primi sguardi si fermano sulle colline che fanno da spalliera all’Epomeo e sul Castello Aragonese, che accolse nelle sue stanze e nei suoi piani una corte di regine, di regnanti, di poeti e di rimatori, tra cui Vittoria Colonna, che qui vi andò sposa con Ferrante d’Avalos nel 1509. “In medio elatis caput inter nubila condit / Rupibus, et valles late prospectat Epopeus” (al centro dell’isola tra le nubi occulta la vetta con le alte rupi e le valli intorno per ampio
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La tua Coppa e il Cratere di naufraghi, Ma tu, isola mia, tu, paese mio, perché Siete sordi e muti a codesta gloria? E a scrollar da Voi mirate quel che Dite e stimate un peso? Quasi a velare la memoria di chi Vi trassero dalle tenebre tetre e Vi fecero andar noti Per sconosciuti lidi?
La Rassegna d’Ischia Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi Fondato nel 1980 e diretto da Raffaele Castagna
Ti scambiò con Capri Augusto imperator, Pria che t’accrebbero di rinomanza Le leggiadre donne del tuo Castello, E l’ospitalità offerta a chi giunse Straniero a chieder pace e salute. Le tue pietre sono storia, imago Di cultura, di scrittura, d’eletta Arte vasaria e di quei monumenti Che furon già gloria e onor d’estri Poetici, di cantor di questa terra.
Eppur ripeter potrebbesi sempre A guisa d’altro poetico verso: Se voi sapeste quante le glorie, quai Le virtù e le bellezze Premon le spalle vostre, forse, consci, direste: - Più bel di quel d’Atlante È il nostrano pondo -.
Terra mia! (testo composto sulla falsariga della poesia “All’Italia” (Canti) di Giacomo Leopardi
Te, terra che fosti “Lacco”, i patriarchi Vollero ”Ameno” a coronar tuo pregio, Ma sei più rinomata per la Pietra Che di fronte ti sta ad ornar il paese, ma, ahimè, oscurata spesso e ascosa Fra tanti navigli di grande stazza Volti a portar, dicono, benessere. Te, Ischia, terra che avesti sede Sul Castello di Costanza e Vittoria, i tuoi maggiori fecero dir “città”, Del borbonico porto vai sì fiera. E Casamicciola s’aggiunse “Terme” Al suo nome, a vanto di quando fu Sull’isola la regina delle acque Salutari, cui tanti accorrevano: Fluunt ad eam omnes gentes. E Forio, la “Turrita” e ancor del “Raggio Verde” detta, tanto ha da celebrare In ogni istante, siccome quel luogo Che, col favore divino, protegge L’Angelo che cacciò dal cielo gli angeli Ribelli, e l’altro, ove scorre Nitroli, La più bella tra le fonti isolane. Ridonda ancor l’isola di leggiadro Verde, e al centro l’Epopeo tra le nubi Occulta la vetta dalle alti rupi.
Chi può, impunemente, Dimenticar i fasti del passato Tempo? Chi ha tradito E tradisce il paese? Qual arte o qual fatica o qual possanza Val a spogliarti il manto e l’auree bende? Come cadesti o quando Da tanta altezza in così basso loco, Come cantò il vate recanatese?
Paese mio, vedo i simulacri e il lauro Di quando fosti l’euboica cittade, Dei vivi dimora in Monte Vico e lor Necropoli in San Montano plaga; Vèdoti poi anco culla del messaggio Cristiano, quando accogliesti al tuo lido Eraclio, dei gigli fiorito e bello Che colser in gran copia popolani Operosi sulla terra e sul mare, Restituta martire qual protettrice Tua pei secoli a venir, Ma non di buon governo Garante sempre ai civi tuoi, Cui manca talor il senno di sceglier Ministri avveduti e accorti a lor guida.
Isola (Lacco), fosti Pitecusa, Già di simie ritrovo, a dir di molti, Abitata poi in quel di Vico, patria Dei vivi, e con la valle ad esser invece Dei defunti riposo e pace, luoghi Inver di cemento or profanati Per scopi volti in utili assillanti.
Vedo uomini curvi alla vanga anzi Con la man scavar a cercar cimeli Delle età passate, le mura antiche Dei templi pagani, su cui furono Eretti li moderni. Ma non vedo chi plauda a cotanto Ben, chi in loco se ne vanti e s’esalti E s’adopri a rinnovare i fastigi Pei posteri dell’oggi e di domani, Per la Lacco, alle cui placide rive Fece approdar le sue navi l’eroe D’Ilio già fuggiasco. Leggo di favole, di tradizioni, Di miti che son ripetuti dagli Antichi classici, in versi e prose; Leggo di color che si fan vanto D’ospitare, or qui, or là, in lor mostre
Fosti anche Aenaria d’età romana, dopo che ti dissero già Inarime, E tempo venne che di te non pago
Ma, ahimè, neppur questo ha quel pregio che susciti attenzione e stima sempre In tutti gli isolani abitatori, Che sian primi o secondi, per accrescer Risorse naturali e derivate. Per difendere e protegger l’isola. Se fossero gli occhi due fonti vive, Mai non potrebbe il pianto Adeguarsi al danno ed allo scorno.
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Ci sono quei che sapranno o vorranno Risollevar villaggi, città, paesi Ai fastigi di un turismo che vide L’isola d’Ischia esser donna e regina? Sì che d’essa ognun parlando e scrivendo, e rimembrando il passato vanto, Non dica: già fu grande, or non è quella. Chi saprà tener fede e saldo impegno Per non tornar a quella già volgata Notazion che fece il dotto Maiuri: Del tutto ignota è l’isola d’Ischia?
Raffaele Castagna
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Il Castello Aragonese Il Castello d’Ischia, già sede deliziosa di Alfonso il Magnanimo, stanza prediletta della nobile Casa d’Avalos, che aveva visto nelle severe e spaziose sue sale tener corti magnifiche Inigo, Ferrante ed Alfonso d’Avalos, con Vittoria Colonna, Costanza d’Avalos e Maria d’Aragona, mentre al vento sul sommo delle torri garriva l’insegna reale e principesca, dopo esser servito come tetro carcere di grandi e generosi patrioti o di vili e feroci delinquenti (S. E. Mariotti: Il Castello d’Ischia, 1969), ha riacquistato un ruolo importante nella vita culturale, non solo come punto di riferimento negli itinerari turistici, ma anche come centro di manifestazioni artistiche e letterarie. Lo scoglio (come lo chiamava Vittoria Colonna) fin dai tempi più remoti costituì un sicuro rifugio in caso di pericoli e luogo opportuno per fissarvi stabile dimora. Qualche autore sostenne che qui sorgeva la città dei Feaci, ove Ulisse trovò ospitalità dopo il suo lungo peregrinare: il nome Gerone / Girone con cui ad esso a volte si fa riferimento ha dato modo di pensare a una città fortificata fatta costruire da Jerone, tiranno di Siracusa, nel 474 a. C. Il periodo di maggior fortuna iniziò con Alfonso il Magnanimo (1433), il quale fece realizzare restauri alle mura esterne e agli edifici interni, ed inoltre un solido ponte per congiungere l’isolotto all’isola maggiore; nel seno della rocca fu scavata una galleria, in modo che potesse sostituire la non agevole strada esterna per giungere alla roccaforte. Le larghe aperture create nel soffitto servivano come punti di lancio di acqua bollente, pietre e piombo fuso nel caso di attacchi. Il castello fu frequentato da artisti e letterati e divenne sede di feste e conviti, luogo di rifugio e di sicurezza per l’eletta nobiltà in tempi di guerra e di assedio delle città. E, mentre si pensava ai congiunti, agli amici impegnati nelle varie lotte, ed anche alle probabili incursioni “che i nemici avrebbero potuto fare in quella dimora per così dire di avanguardia e di sicurezza, tutta quella gente, che si era conosciuta in ben altre occasioni, s’intratteneva in conversazioni delle quali non era dubbio il tema più frequente, e intrecciava anche idilli, progettava piani di difesa e di divertimento, trovando romanzescamente varia quella vita in comune, di cui non si sapeva neanche la durata” (Amalia Giordano - La dimora di Vittoria Colonna a Napoli - Napoli, 1906). Per un lungo periodo tutta la storia dell’isola d’Ischia è stata legata al Castello Aragonese, ove in tempi di massima concentrazione dimorava una popolazione di oltre cinquemila persone. Su questo scoglio sono accaduti gli avvenimenti più importanti e diversi, a seconda delle dominazioni, dei governatori, di celebri donne. Dal 1576 vi fu stabilita anche una sede per le vergini clarisse. Nel 1823 il Maschio (la parte alta) divenne ergastolo; come luoghi di pena furono poi riaperti e riattati anche i sotterranei. Nel 1912 il Demanio vendeva il Castello Aragonese, tra l’indifferenza e il silenzio della pubblica amministrazione.
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ll di Lacco Ameno (lo lanciò Mercurio sbagliando mira
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In questo nostro susseguirsi di ore raziocinanti, caratteristica ormai d’una vita disillusa che ha perso del tutto il gusto della favola, prestiamo fede, per un attimo soltanto, al mito di Tifeo. A quel Tifeo che, folgorato dal fulmine tricuspide, giace sotto il non lieve peso dell’isola d’Ischia. Tifeo nacque da un atto di ribellione (quando si dice il destino!) della dea Giunone andata su tutte le furie perché suo fratello e sposo, Giove, senza il suo concorso di legittima consorte, aveva generato Pallade-Atena, meglio conosciuta con il nome di Minerva. E a niente, presso di lei, valsero le scuse del padre degli uomini e degli dei. La Fama, infatti, ancella di Giove, aveva sparso la voce che, tormentato da atroci dolori al capo che per poco non lo facevano impazzire, questi aveva pregato il fabbro-ferraio Efesto-Vulcano di dargli un’accettata in testa con la scure bene affilata. Presto fatto. Il colpo spacca la testa in due. Ed ecco balzare di sotto il cervello di Giove una bellissima
fanciulla, tutta in armi: la glaucopide Pallade-Atena. Ma Giunone non credette affatto a quella singolare cura d’emicrania divina e volle, anch’ella, generare senza il legittimo concorso del marito. Non si sa come, né con chi, ma generò Tifeo, il quale, poveretto, anche per questo fu odiato da Giove. Tifeo ben presto si ribellò al padre Giove e con altri giganti iniziarono quella leggendaria sassaiòla, che ha commosso più d’un poeta. A dire il vero, la sassaiòla non è priva d’un certo fascino: Tifeo ti sovrappone con estrema facilità il monte Ossa al Pelio; Giove, per il momento, è impotente dato che il titano gli ha tagliato i nervi. Ma c’è Mercurio, l’esile e delicato Mercurio, il quale aveva una certa grazia nel fregar la gente. Non c’è da meravigliarsi, dunque, se riesce a ridare a Giove i nervi, rubandoli a Tifeo. Giove tutto contento gli dà uno scappellotto, “Guarda!”, gli dice e lancia il fulmine tricuspide. Poi afferra un’isola, senza badare ch’era quella che Venere aveva scelto a sua dimora, e la scaglia addoso a Tifeo prima che si riprenda dallo choc traumatico, causatogli dal fulmine. Mercurio applaude e, non volendo essere da meno, afferra un macigno, adatto alla sua forza, e lo scaglia. Ma sbaglia mira. E da quel giorno il macigno, lanciato da Mercuio, è sempre là, distante un cento metri dall’isola lanciata da Giove. Ed un giorno a quello scoglio approdò Venere. Fuggiva l’ira del suo legittimo sposo, Efesto-Vulcano, che era rimasto meravigliato, attonito a tanta bellezza, nata dal cervello di Giove. Se ne era innamorato e l’aveva chiesto in isposa a Giove, dimenticando Venere, sua legittima sposa. Di questo affronto volle vendicarsi la dea e tradì il suo sposo con Marte, mentre Gallo, l’auriga di questi, montava di guardia. Venere si era tanto raccomandata: “Dài l’allarme allo spuntar del sole. Sta attento: il sole è amico di mio marito, che nelle fucine dell’Etna gli forgia i raggi”. Ma Gallo si addormentò e il sole fece da guida a Vulcano per sorprendere la moglie. Venere dovette fuggire e con le sue ninfe approdò allo scoglio, che Mercurio aveva lanciato contro Tifeo, sbagliando mira. - Fermiamoci, mie pupille. Fermiamoci su questo scoglio. Qui ci blandirà come sogno l’onda e, azzurro come l’onda, il nostro sogno ci allieterà d’amori a noi negati. E le ninfe, per distrarre la dea, su quello scoglio ignudo, cantarono d’amore senza malinconia. Poco distante, nel più profondo, un umano sentimento sanguinava. Venere aprì stupita le braccia dicendogli il suo nome, emergendo leggera fino alla trasparenza dalla profondità dove brillava un desiderio, il desiderio del Titano Tifeo. - Tu, o dea, che reggi l’universo con l’amore, accogli,, il mio desiderio. Sì, lo so... su questa terra che m’incatena scorrono ruscelli, lavacri ad ogni dolore ed eternamente la giovinezza sorride. Ma tu, o dea, fa che il mio nome non cada nell’oblio. Fa che qualcosa, o dea, richiami lo sguardo ed il ricordo; in quel qualcosa, o dea, fa che tutti riconoscano e sussurrino: quella è la terra che incatena Tifeo!
- Dammi la mano, o titano. L’isola ebbe un tremito, un sussulto. Il titano alzò un braccio che, a mezz’aria, sembrava una minaccia e l’ombra atterrì le ninfe. Venere carezzò quella mano. - La tua mano è ferita. Sanguina. Hai il mignolo e l’anulare stroncati. Soffri? - Il titano non rispose. Venere commossa sembrò portarsi quella mano al petto. Certo, come d’incanto, non sanguinò più. Solo un rivoletto, venatura di sangue sul seno della dea, che pianse, ricordando forse Atteone, il giovanetto da lei amato e che la gelosia di Marte aveva fatto dilaniare da un cinghiale. Invocò l’aiuto del re degli abissi marini e Nettuno con il tridente sollevò lo scoglio che Mercurio aveva lanciato. - Poggia il tuo braccio nelle profonde convalli marine, o sfortunato titano - sussurrò la dea. Tifeo ubbidì e Nettuno poggiò quello scoglio sulle tre dita, rinvigorite per l’eternità, del gigante vinto. E le ninfe, a un cenno della dea, abbandonarono Venere e si confusero con le onde, con il mare, il quale, da secoli, carezza quello scoglio in risacca, cui i marosi han dato la forma di Fungo. Ed il Fungo, d’allora, non è solo uno scoglio, caratteristica d’un panorama, ma esso stesso un panorama. , il Genio del luogo. E quando le onde, carezzandolo, gli parlano d’altissimi monti e stelle alpine; di laghi, di fiordi; delle aurore boreali, dei fiori dei tropici e di ogni incredibile bellezza del mondo, egli sorride alla cristallina nudità marina e par che sussurri: tutti gli anni mi delizia April con gli altri mesi nel mio mare, nel mio giardino. Io amo un’isoletta qui che sempre davanti mi sta (Giovanni Castagna).
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Denominazioni dell’isola d’Ischia Arime – Inarime - Un riferimento all’isola con tale nome fu individuato già nell’espressione omerica che indica in Arime o fra gli Arimi il luogo in cui Giove imprigionò Tifeo, facendogli precipitare addosso le montagne da lui sovrapposte per raggiungere la sede celeste e portar guerra agli dei. Virgilio poi nell’Eneide introdusse la voce Inarime, ottenuta forse con la fusione delle due parole omeriche (la preposizione ‘in’ e il sostantivo ‘Arime’. In Omero e in Virgilio troviamo delle situazioni quasi similari in cui, volendo rendere l’immagine di come rimbombi la terra al calpestio delle schiere in marcia, si dice che la medesima cosa avviene quando si agita Tifeo, sconvolgendo il suolo e le acque, in Arime o Inarime, isola che col suo peso opprime e tormenta il gigante, vinto ma ancor minaccioso.
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Pitecusa - Questa denominazione viene fatta derivare ora dalla presenza delle scimmie - a simiarum multitudine -, ora dalle fabbriche di anfore - a figlinis doliorum. Ovidio nelle Metamoforsi dice che Pitecusa fu così chiamata dai suoi abitatori, e cioè dai Cercopi, ingannatori e spergiuri, da Giove mutati in belve oscene, in modo che ad un tempo fossero somiglianti e dissimili agli uomini. Plinio invece fa derivare il nome dalle botteghe di orci di terracotta, che erano fiorenti sul territorio, come hanno dimostrato gli scavi archeologici. Il toponimo si trova citato anche nella forma plurale Pithekoussai, forse legato alla presenza di altri villaggi satelliti e insediamenti impiantati lungo le coste, oppure facendo riferimento alla vicina isola di Procida.
riportano il nome alla voce latina aenum/ahenum, pl. aena/ahena (rame, bronzo, piombo), voci collegabili quindi alla lavorazione dei metalli, che ha trovato valida conferma nelle ricerche archeologiche, specialmente nelle acque antistanti il Castello d’Ischia, dove ebbe sede la nuova cittadella, poi scomparsa a causa di fenomeni tettonici. Lo storico Francesco De Siano fa anche cenno al possibile riferimento alla voce Oinaria legata al principale prodotto e sostegno economico dell’isola, il vino. Insula - Denominazione dell’isola di Ischia maturata nel periodo bizantino e sopravvissuta fino al X secolo, anche se già nell’VIII secolo, quando Ischia entrò nel sistema napoletano dei castra, si ha la distinzione in Insula maior e Castrum Gironis (o Insula minor). Il nome Insula è possibile recuperarlo nell’epistolario di Gregorio Magno (ep. 46 del 598), in cui si parla di diritti vantati sulle due Isole, de insulis. Insula maior: Denominazione con la quale si indicava il territorio più vasto dell’isola che andava sempre più popolandosi, in contrapposizione all’Insula minor che si riferiva al Castello Aragonese, dove per secoli si era concentrata la popolazione. Insula minor. Denominazione che indicava l’antico agglomerato urbano formatosi sull’isolotto del Castello Aragonese, in contrapposizione all’Insula maior.
Aenaria - Denominazione dell’isola che si attesta in epoca romana (durante il periodo sillano - 88 a. c.) sempre più nei testi storici, mentre i precedenti Inarime e Pitecusa restano per lo più nel linguaggio poetico oppure come maggiore precisazione del nuovo toponimo. Plinio lega il nome ad Enea, il profugo troiano, l’eroe intorno al quale si focalizza tutta la vicenda del poema virgiliano, l’Eneide, e che con la flotta dovette trovare riparo nelle acque dell’isola: Aenaria a statione navium Aeneae. Anche Festo dice che Aenaria venne chiamato il luogo dove Enea si fermò con la sua flotta. Peraltro la dizione Enaria - senza dittongo - viene a volte riportata nel filone della favola delle scimmie, proponendone la derivazione da enaribus, hoc est sine naribus (senza narici), videlicet simiis. Altre ipotesi
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La Rassegna d’Ischia Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi Fondato nel 1980 e diretto da Raffaele Castagna
Eredità (Ischia la mia terra natale) L’isola dei miei antenati un‘isola di vulcani Scoglio d’arcobaleni prigione d’un titano L’isola dove son nato è l’isola donde partirono I fondatori di Cuma nell’ora delle rivolte Fu l’isola del vasaio che in un mare di ginestre Sospirava parole d’amore Per un’ombra di tristezza in un cielo sereno a bagliori Isola aperta ai venti né le sue torri né le campane Risparmiarono ai miei padri la chitarra del dolore E le donne ombre nude nei marosi del ricordo Ritornavano sogno azzurro sui ginepri degli aprili Lo stornello del potatore beffeggiato dal marinaio Smoriva in un sussurro sulle labbra di Maria Quando Maria labbra-sorriso pregava i Santi
Lacco Ameno, paese mio Case come ricordi, vicoli come vento, alberi sempre verdi, viti della filossera, vela nel maestrale, torpore di scirocco, tramontana gelida, reti sempre rotte: paese sul mare, paese mio. Ti sorveglia uno scoglio, ti sorveglia unatorre, ti protegge una Santa o almeno lo credi sull’onda in tempesta o quando nel sole, distratto d’azzurro, dimentichi pur quella preghiera che trovasti nel pianto.
dell’infanzia Quando Maria labbra-singhiozzo pregava la Vergine tòrca Che il mare un giorno di maggio Fece fiorire sulla spiaggia Ho sempre nel mio cuore la boria catalana Ma nel mio sguardo brilla La dolcezza fanciulla d’Angiò E mai rinnegherò Quest’eredità di bastardo L’isola mia cuore violato Sulla sabbia delle sue spiagge Quante leggende cullarono la mia infanzia occhi-di-mare Allor che sul mare trascorrono Sussurri fremiti d’iridi Tenerezze devastatrici Oh la mia furia dì Saracino. quando la guerra ti bruciò pure il cuore d’una preghiera, quando i turchi ti rubarono pur la voce del pianto. Quando fosti analfabeta, ignorante, quando baciavi ogni mano, quando ti presero le donne, quando le accogliesti baciando le loro ferite, quando masticavi il tuo sangue senza sputarlo, quando temevi che t’avrebbero costretto a [leccarlo, paese mio, paese mio.
Paese sul mare, paese mio, quando lotti, quando canti, quando piangi, quando le notti riportano a riva relitti e gli echi lontani, echi soltanto, già stanchi, già ieri. Paese sul mare, paese mio, quando ti lasciarono tombe, come in luogo sicuro le nenie i rimpianti, quando fosti greco, quando fosti romano, un asilo d’esuli vinti, briganti, una preda, quando schiavo ti portarono lontano, quando anche la terra ti scacciò col fuoco, con l’acqua o ti trattenne per sempre nelle rovine.
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Giovanni Castagna
Paese sul mare, paese mio, quando fosti pagano, Ercole il tuo dio, quando fosti cristiano, una vergine la tua Santa,
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Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi Fondato nel 1980 e diretto da Raffaele Castagna
Camillo Eucherio de Quintiis il cantore di Inarime o dei Bagni di Pithecusa Fra i tanti autori che hanno scritto di Ischia, delle sue vicende storiche, delle sue acque termali, delle sue bellezze naturali, etc., va annoverato in un posto di rilievo senz’altro il gesuita P. Camillo Eucherio Quinzi (o de Quintiis), del quale nel 1726 comparve la prima edizione del poema latino Inarime seu de balneis Pithecusarum (Inarime o i bagni di Pitecusa) che lo pose tra gli umanisti più eletti del primo Settecento europeo. L’opera è scritta in versi esametri latini e ciò, se contribuì a rendere gloria all’autore, nel secolo suo, come umanista e poeta, sulla scia dei grandi autori classici e soprattutto di Lucrezio, Virgilio e Ovidio, non ne ha mai assicurato una grande divulgazione, nel tempo successivo, essendo anche mancata la pubblicazione di una versione in lingua italiana. Un altro elemento che forse ha poco giovato al lavoro del Quinzi, sì da non permetterne una più estesa conoscenza e lettura, può essere individuato nella circostanza che si è data maggiore o esclusiva importanza al fattore medico e curativo, nel quale in fondo, pur a distanza di un lungo arco di anni, nulla si presenta qui di nuovo rispetto a quanto aveva già scritto e pubblicato nel 1588 Giulio Iasolino con la prima edizione del De Rimedii naturali che sono nell’isola di Pithecusa hoggi detta Ischia. Equivoco che lo stesso Quinzi pensava di aver ben chiarito e superato, quando nelle Avvertenze al lettore precisa più volte che, pur sostenendo le parti di filosofo e di medico, non dimentica quella di poeta (ut Poetam non sim oblitus) e che gli interessa più ciò che “idoneo alla mia causa, renda grazie alla poesia”. Alla maniera di Virgilio con le sue Georgiche, egli aveva soprattutto lo scopo di dilettare piuttosto che di insegnare o dare appropriate norme mediche, per cui l’attenzione è maggiormente rivolta a non trascurare lo stile della poesia e a conservare, per quanto possibile, la grazia della lingua latina. Per quanto concerne le cure termali di Ischia, dichiara che segue pochi ma celebri autori, e in primo luogo Giulio Iasolino, che d’altra parte nel poema appare, sotto la denominazione di Podalirio, come colui che lo introduce nei se-
greti delle sorgenti termali dell’isola e gli fa conoscere l’origine e le virtù di ciascuna acqua e fonte. A proposito del poema, un po’ pomposamente, il Buonocore scrisse: “Molti hanno scritto di Ischia in tutte le lingue; Eucherio Quinzi lascia dietro tutti; Inarime di Eucherio sta a Ischia come l’Eneide di Virgilio sta a Roma”. Anche il P. Gamboni: “Da quando Camillo Eucherio Quinzi ha dato alla letteratura latina Inarime, importante per l’argomento, classico per la forma, ricco per la lingua, armonioso per la struttura del verso eroico latino, vasto per le proporzioni, Ischia, la gemma del Golfo di Napoli, preziosa e deliziosa, vanta un poema scritto nella lingua di Cicerone e di Virgilio quale solo Roma Imperiale con l’Eneide può vantare”. La versione di tutto il testo (oltre 8000 versi) risulta tradotta in italiano e pubblicata da La Rassegna d’Ischia.
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I Musei di Lacco Ameno Museo di Pithecusae - Il Museo Archeologico di Pithecusae ha sede nell’edificio principale del complesso di Villa Arbusto, costruito nel 1785 da Don Carlo Acquaviva, duca d’Atri, lì dove esisteva la «masseria dell’Arbosto». Numerosi ed importantissimi sono i reperti relativi all’insediamento greco di Pithecusae, fondato, nel secondo quarto dell’VIII sec. a. C., da Greci provenienti dall’isola di Eubea. I materiali, recuperati grazie agli scavi condotti da Giorgio Buchner a partire dal 1952, testimoniano l’estesissima rete delle relazioni commerciali che i Pitecusani svilupparono con il Vicino Oriente e Cartagine, la Grecia e la Spagna, l’Etruria meridionale, la Puglia, la Calabria ionica e la Sardegna. La valle di San Montano fu usata come necropoli, a partire dalla seconda metà dell’VIII sec. a. C. per un millennio; di là provengono i più celebri vasi pitecusani, dal cratere tardogeometrico locale, decorato con scena di naufragio, alla famosa tazza da Rodi, sulla quale è stato inciso, dopo la cottura, e sicuramente a Pithecusae, un epigramma di tre versi in alfabeto euboico, che allude alla celebre Coppa di Nestore descritta nell’Iliade. Nell’età romana l’isola, che assume il nome di Aenaria, fu flagellata da numerose eruzioni vulcaniche, tanto che i Romani non vi si stabilirono in maniera così massiccia come, ad esempio, nei vicini Campi Flegrei. Le principali testimonianze di questo periodo sono costituite dai rilievi votivi in marmo provenienti dal santuario delle Ninfe, presso Nitrodi (Barano), e dai lingotti in piombo e stagno della fonderia sommersa di Cartaromana-Ischia
sotto la chiesa di S. Restituta - dove il processo di musealizzazione è avvenuto nel luogo stesso di rinvenimento. L’insieme, come si presenta oggi, comprende due sezioni: una sezione Scavi e una sezione Museo. Gli Scavi permettono al visitatore di ammirare le tracce lasciate sul terreno dall’uomo nell’intrecciato e stratificato succedersi delle culture del passato. Il Museo, essendo un museo archeologico e, come tale, composto per lo più di cocci, non di opere capaci di stupire a prima vista, offre un panorama efficace delle diverse culture e stabilisce un rapporto stimolante con l’area scavi. Iniziati nel 1951 ad opera del rettore della chiesa, don Pietro Monti, gli Scavi e il Museo ebbero la sistemazione definitiva nel 1974. Il percorso “tipo” permette di ammirare un panorama globale della storia dell’isola d’Ischia, dalla preistoria al periodo greco-ellenistico-romano fino alle testimonianze del primo Cristianesimo sull’isola. Museo dei Cetacei - Nel complesso dell’Arbusto, nei locali di Villa Gingerò, è presente una mostra permanente dedicata ai cetacei che frequentano le acque dell’isola d’Ischia con pannelli divulgativi realizzati con tavole a colori di Maurizio Wutz e foto raccolte negli anni dai ricercatori di Delphis. Tra i reperti esposti lo scheletro completo di un giovane delfino comune (Delphinus delphis). In vetrina anche preparati biologici storici della Stazione Zoologica A. Dohrn messi a disposizione dal Laboratorio del Benthos di Ischia.
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Museo Angelo Rizzoli - A Villa Arbusto è situato anche il Museo Angelo Rizzoli, che comprende sezioni dedicate alla vita, all’opera e alle attività editoriale e cinematografica dell’industriale milanese che fu artefice principale dello sviluppo turistico dell’isola d’Ischia e di Lacco Ameno in particolare. Oltre cinquecento immagini documentano il periodo in cui si concretizzò il suo impegno, dando vigore al settore termale e turistico, rinnovando antichi stabilimenti ed alberghi. L’isola d’Ischia e Lacco Ameno divennero meta di personalità della politica, del cinema, del giornalismo, dell’economia e delle scienze. Scavi e museo di S. Restituta - Il complesso “Scavi e Museo Santa Restituta” rappresenta il tipico esempio di aree di scavo o di zone archeologiche trasformate in entità museali autonome. Un museo, quindi, sotterraneo - zona archeologica rinvenuta
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Cratere lago - porto
ne pigliano qualche volta mille, e altre volte mille e cinquecento ancora, essendo già caccia reale, e riservata» (Iasolino, op. cit.). L’Ultramonntain (C. Haller) nel suo Tableau topgraphique des isles d’Ischia.... (1822) parla di un Mar morto in forma ridotta: «Solo un banco di sabbia, largo circa cinquanta piedi, lo separa dal mare: è un Mar morto in forma ridotta, con la differenza però che il bacino del lago d’Ischia di un circuito di tre quarti di miglio è il fondo di un antico cratere vulcanico, formato dal piccolo promontorio di lava di S. Pietro a Pantanello ad Est e dalle colline pure vulcaniche di S. Alessandro ad Ovest e a Nord. A questo lago non si addice il nome di Pantanello che significa pantano; comunica con il mare mediante un canale scavato a un’estremità del banco di sabbia. L’acqua si rinnova, quindi, continuamente nel bacino che ha un fondo sabbioso e somiglia ad uno stagno colmo di pesce squisito, cozze ed altri testacei. Al centro del lago s’innalza una roccia di lava su cui c’è una piccola capanna per gli attrezzi da pesca che è data in fitto e procura proventi per la città d’Ischia.
.... «In eadem et oppidum haustum profundo, alioque motu terrae stagnum emersisse...» (Nella medesima isola una città fu inghiottita nel profondo, e per un altro sommovimento spuntò uno stagno). Lo stagno, di cui parla Gaio Plinio Secondo -
Storia Naturale, cosmologia e geografia, lib. II par. 203 - è l’attuale “porto” d’Ischia che tale diven-
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ne nel 1854 con un’apertura che mise l’ex lago in comunicazione con il mare, per permettere una facile entrata dei battelli e delle barche. Peraltro già nel 1670, poiché nella zona si respirava aria malsana, era stato aperto un piccolo varco, non praticabile per le barche e chiuso con pali e canne, sicché veniva assicurato soltanto il passaggio dei pesci che prosperavano poi nel lago. Davanti allo sbocco la pesca era vietata in un raggio di mezzo miglio.
Nella Geologia dell’isola d’Ischia (1870) Ferdinando Fonseca scrive: «Il Lago, ora Porto del Bagno, ha presso che un miglio di circuito con uno scoglio nel mezzo, su cui è posta una casipola pescareccia. La casipola pescareccia, al tempo in cui Giulio Iasolino componeva il suo libro De Remedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa hoggi detta Ischia (1588), era una chiesetta consacrata a San Nicola. «Passato un poco più oltre, si vede il tempio di San Pietro a Pantanello, altre volte monastero di Greci, e vicino a quello nella marina è lo scoglio da noi detto il Gigante, dalla forma che tiene. Fra questo e dirimpetto al tempio di Santo Alessandro, e li monti delle fosse scaturiscono i bagni di Fornello e di Fontana, vicino ad un lago fertilissimo di buon pesce, e di uccelli detto Follache, le quali venendo qui da altri luoghi macre e inette né buone da mangiare, nel tempo freddo diventano grasse e buone da mangiare: da molti si crede che ciò avvenga da una certa erba, della quale in quella si pascono: pure io stimo che questo si causi per l’acque di detti bagni, che hanno virtù di ristorare, e ingrassare scorrendo nel detto lago. Circa la festa dunque di San Martino quivi si fa una bellissima caccia di dette Follache: le quali diventando tanto grasse che possono poco volare, ma non uscire dal lago, che di circoito è quasi un miglio, entrando le genti con barchette e balestre
Il Lago d’Ischia era una volta famoso per il gran numero di gallinelle di acqua che si prendevano ogni anno nel mese di novembre.
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Il monte
Epomeo Anche se oggi è comunemente indicato con la denominazione Epomeo, il monte dell’isola d’Ischia nelle storie e nelle descrizioni antiche si trova citato con i nomi di: Epopeo, Epopon, e S. Nicola per l’eremo ivi costruito e al Santo dedicato. Strabone nella sua Geografia così riporta: “Il monte Epomeo al centro dell’isola”. Plinio (Naturalis Historia, II, 89): “montem Epopon”. In merito alle dette denominazioni riportiamo una nota del prof. Giorgio Buchner (in
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Tremblements de terre.... estratto da Publications du Centre Jean Bérard, Naples 1986):
«I codici, come si rileva dall’apparato di Sbordone, recano Epoméa e in un caso Epomaia che tutti gli editori, a cominciare da Causabono (1587), correggono in Epopéa. La parola epopào - che significa “luogo donde si scorge ampiamente intorno” - è attestata infatti anche altrove quale toponimo di alture, e anche Plinio riporta il nome del monte nella forma Epopon. Se si considera ancora che il toponimo appare particolarmente appropriato per questo monte dalla cui vetta l’occhio spazia libero per tutto l’orizzonte su un meraviglioso panorama, non si può dubitare che l’emendamento colga nel giusto. Che la forma errata Epomeo sia ormai irrimediabilmente radicata, è dovuto a Giulio Iasolino (1588) il quale, quando scrisse il suo libro, non poteva conoscere ancora l’emendamento di Casaubono. E più ancora che al testo di Iasolino, in cui è riportato per intero il brano di Strabone in traduzione italiana e menzionato varie volte il nome Epomeo accanto a quello volgare di S. Nicola, la fortuna del toponimo artificiosamente reintrodotto è dovuta alla carta topografica dell’isola in grande scala che accompagnava il suo libro e sulla quale è indicato in grandi lettere maiuscole MAXIMUS MONS EPOMEUS. Dalle riproduzioni di questa carta, che ebbero vasta diffusione, il nome è passato successivamente alle carte più recenti e a tutti gli scritti che trattano dell’isola. Dall’impiego erudito la voce Epomeo, negli ultimi decenni, è ormai penetrata stabilmente anche nel parlare degli isolani, tanto che oggi soltanto i contadini anziani
usano ancora la genuina denominazione locale di San Nicola, derivata dalla chiesa del santo scavata nel tufo della vetta. Di questa chiesetta del Santo già parla lo storico Giovanni Pontano, nel De bello neapolitano, lib. V, quando descrive la battaglia fra Giovanni d’Angiò e le truppe dell’ammiraglio Giovanni Poo: «Era nella cima del monte una picciola chiesa di San Nicola, dalla quale era non molto lontano un bastione vecchio, fatto per ricovero delle genti per gli improvvisi assalti di Mori, il qual luogo è chiamato in vocabolo barbaro la Bastia». Giulio Cesare Capaccio nella sua Historia Neapolitana (1607) riporta le due denominazioni: «Epomeo nel mezzo dell’isola, detto anche monte di S. Nicola». Nicola Andria (Trattato delle acque minerali, 1775) riporta sempre le due denominazioni di monte Epopeo e S. Nicola. Non di rado si hanno in testi poetici riferimenti generici: Monte altier - Monte di Tifeo dalla leggenda che vuole giacente sotto questa mole il gigante che osò porsi contro Giove e per castigo vi rimase sepolto.
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La Rassegna d’Ischia Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi Fondato nel 1980 e diretto da Raffaele Castagna
La Colombaia (Forio) In Cenni storici.... di Vincenzo Mirabella si legge: «Sono romantici il Castello o Mezzatorre e la Colombaia, formanti insieme una splendida villa all’estremo limite del Comune di Forio. Fu costruita da una principessa russa e adorna di statue (tolte da un pezzo) e di un magnifico parco. Il proprietario Luigi Patalano accoglie sempre gentilmente i visitatori e cede spesso questa suggestiva dimora ai desiderosi di pace e solitudine nella contemplazione del mare e della natura e di fascinosi orizzonti». Fu acquistata dal regista cinematografico Luchino Visconti, che ne fece la sua residenza estiva. Successivamente è stata acquisita al patrimonio pubblico ed è diventata sede di varie manifestazioni, oltre che di un museo dedicato allo stesso Visconti.
Il Torrione
2018
Il Torrione, la più importante fortificazione del Comune di Forio, fu realizzato a spese dell’Università di Forio: costruzione a pianta circolare, realizzata su uno spuntone di roccia tufacea nel centro cittadino, per dominare dall’alto sul porto. La torre si eleva su due livelli, accessibile anticamente mediante una scala di legno amovibile. Il piano inferiore era usato come deposito per le scorte alimentari e per l’artiglieria, al suo interno era stata costruita anche una piccola cisterna, oggi in disuso ma in passato utilizzata per raccogliere le acque piovane. La costruzione delle torri continuò fino agli inizi del ‘700. In tutto, furono edificati dal 1480 sedici fortilizi strettamente collegati fra loro, a cui vanno aggiunti altri cinque costruiti nel casato di Panza, alcuni a pianta circolare come il Torrione, altri a pianta quadrata. Molte di queste torri ancora oggi sono visibili e residenza di alcune famiglie, mentre il Torrione, dopo una prima opera di restauro, è adibito nella sala inferiore a museo civico, mentre nella sala superiore ospita una collezione del famoso artista foriano Giovanni Maltese che dal 1883 per circa trent’anni ne fece la sua dimora.
Il Soccorso e il raggio verde Il Soccorso, fra il capo Imperatore e punta Caruso, fra l’Epomeo e il mare, è il sito più dilettevole di Forio. Da questo terrazzo è possibile assistere a meravigliosi tramonti con il sole che, di un rosso fuoco, scende all’orizzonte e sembra che si cali negli abissi marini. Da questo belvedere si può ammirare il famoso raggio verde (ma spesso si resta delusi): uno dei fenomeni più attraenti che la natura possa offrire ai nostri occhi: il sole, al tramonto, mostra in alto una striscia di un verde azzurro intenso. Tra i migliori punti di osservazione è indicata appunto la terrazza del Soccorso a Forio. Ma occorre pazienza e i detti popolari riportano che soprattutto le anime felici sono predisposte a percepire questa visione! Per molto tempo il fenomeno fu ritenuto di carattere solo psicologico e perciò puramente soggettivo. Qui sorge la Chiesa del Soccorso, edificata nel XV secolo, ricca di ex voto di marinai e di emigranti. Vi è inoltre un Crocifisso, abbandonato nella tempesta e giunto al lido foriano. Tra il Soccorso e il capo Imperatore si stende la baia di Citara, con le sue spiagge, con i suoi scogli, e soprattutto con i Giardini Poseidon, stabilimento termo-balneare di fama mondiale: piscine termali ed altre strutture si inquadrano perfettamente nell’ambiente naturale.
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La Rassegna d’Ischia Periodico di ricerche e di temi culturali, turistici, politici e sportivi Fondato nel 1980 e diretto da Raffaele Castagna
Le tavolette votive di Nitrodi Le prime notizie circa il rinvenimento di doni votivi alle Ninfe Nitrodi si leggono nel De’ rimedi naturali che sono nell’isola di Pithecusa, oggi detta Ischia di Giulio Jasolino, edizione del 1689. Qui si trova infatti inserita un’aggiunta del dottor filosofo Giovanni Pistoja (mancante nel testo del 1588) in cui, oltre alla descrizione della fontana di Nitroli (“situata sopra la montagna di Barano”) e delle sue virtù, si dice che, verso la fine del sec. XVII, alcuni contadini portarono alla luce due marmi antichi: - l’uno (grande circa un palmo per due) presentava raffigurate due donne in piedi sotto gli alberi e tenendo per mano un bambino; una sola parola: VOTO; - l’altro recuperato solo in parte, aveva la raffigurazione di un vaso per attingere l’acqua con l’iscrizione LYMPHA VMBR... (forse LYMPHA NITR... secondo una più attenta lettura, come alcuni scrittori successivi vollero annotare. Ma di questi due marmi presto si persero le tracce. Il Pistoja dice che aveva pensato e disposto di portarli con sé, ma poi “o per incuria o per malizia dei marinari” furono lasciati all’imbarco. E peraltro di essi non si ebbero più notizie. Miglior fortuna è toccata invece alla serie di marmi votivi, ritrovati nel 1757, già conservati nel Museo nazionale di Napoli. Se ne ha un preciso riferimento nel Ragguaglio Historico Topografico dell’isola d’Ischia.
2018
Di lunghezza circa palmi quattro, e di larghezza palmo uno e mezzo, con belle iscrizioni incise in lingua pura latina e greca; dedicati alla Ninfa Nitrolide. Vi si osservano scolpite una donna co’ capelli sciolti, ed un’altra donna con un vaso nelle mani, la quale dinotava di bagnare a doccia la testa di quella donna che stava scarmigliata. La stessa, ricevutane la sanità, dové dedicare alla detta ninfa Nitrolide quel bel gruppo di tavole marmoree fornite d’iscrizioni e di figure sculpite, che poi o dalle vulcaniche eruzioni dell’isola stessa, e dalle ceneri tramandate, o pure dallo sbocco del Vesuvio vennero sotterrate. Le medesime doverono essere fatte nel tempo che la lingua latina e la lingua greca erano nella di loro aurea purità”.
Notizie meno particolareggiate si trovano nell’opuscolo Brevi e succinte notizie di storia naturale e civile dell’isola d’Ischia (pubblicato nel 1801) del dottor fisico Francesco De Siano. In una sua nota si legge: “Sono accompagnate da una iscrizione che comincia NYMPHIS NITROLIDIS: e questi ed altri monumenti fan vedere che la parte meridionale è stata forse, come era di fatti, frequentata dagli antichi, e come lo sono più che la settentrionale quella del Vesuvio e dell’Etna”. A questo testo di F. De Siano si attiene l’Anonimo Ultramontano, autore del Tableau topographique et historique des isles d’Ischia..., Napoli, 1822: - (Bagno di Nitroli) “Alcuni anni or sono stati trovati due documenti antichi che, a quanto si dice, sono finiti in collezioni pubbliche della Capitale. Uno di essi era un bassorilievo in marmo, raffigurante una donna scarmigliata ed una serva occupata a versarle acqua sulla testa. L’iscrizione latina che comincia con le parole Nymphis Nitrolidis... fa chiaramente capire l’origine di questo documento”. - E altrove: - “Circa 50 anni fa, a Testaccio, in località Cumano, sono state trovati statue e bassorilievi che testimoniano la frequentazione degli antichi”. -
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Figure di copertina, testi e autori tratti da La Rassegna d’Ischia - La figura di prima pagina, che rappresenta Pithekoussae sul Monte di Vico, è presente in Campania, storia e leggenda della Napoli Antica e dei suoi contorni di Julius Beloch, Bibliopolis, Napoli 1989 *** Pubblicazione fuori commercio