fotografia di architettura

Page 1

siamo stati a… di Laura Marcolini con la consulenza di Giovanni Vanoglio

fotografia critica di architettura:

libri Giovanni Chiaramonte tIn Berlin, Ultreya 2009. tCome un enigma_Venezia, Edizioni della Meridiana, Firenze 2006. tDolce è la luce, Edizioni della Meridiana, Firenze 2003.

da In Berlin, 2009.

Come un enigma_Venezia, 2006.

da Dolce è la luce, 2003.

L'aula del Politecnico milanese in cui si è svolto il seminario. In proiezione un'immagine della mostra londinese Shot Norman Foster. Milano, 22 novembre 2011.

26 | IL FOTOGRAFO

I

l pretesto per mettere di fronte due esperienze sviluppatesi intorno all’idea di fotografia critica è stato l’annuncio del corso di Fotografia d’Architettura che verrà attivato l’anno prossimo al Politecnico di Milano. Fotografia critica nei confronti dell’architettura. Oppure... il pretesto è stato mettere di fronte due esperienze diverse sull’idea di fotografia critica per annunciare il corso di Fotografia d’Architettura che verrà attivato l’anno prossimo al Politecnico di Milano e sarà tenuto da Michele Nastasi che da alcuni anni collabora con il ricercatore Davide Ponzini del Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico milanese. Il pretesto e il fine, quali che siano stati, ci interessano relativamente. Realmente interessante è stato vedere e ascoltare giustapporsi poco alla volta, nel corso della mattinata di martedì 22 novembre, due poetiche dello sguardo fotografico sullo spazio urbano tanto diverse da apparire inconciliabili, almeno finché esse rimarranno enunciate dalle parole e dai rispettivi lavori di due fotografi molto noti per motivi diversi: Giovanni Chiaramonte e Paolo Rosselli. I loro lavori sono stati presentati in apertura del seminario come «due ricerche fotografiche in campo architettonico». Entrambi gli autori hanno avuto modo di illustrare e motivare il rispettivo approccio alla fotografia d’architettura, e ad ascoltarli viene da pensare che se la coerenza di Chiaramonte è così limpida da essere persino prossima al fulgido rigore minerale, la leggerezza ammantata di intellettualismi di Rosselli ci proietta in una dimensione di incertezza affine al sentimento che pervade la contemporaneità, quello che si aggrappa al piacere di un certo formalismo al servizio di una percezione pilotata. Giovanni Chiaramonte è in grado

di motivare teoreticamente ogni scelta della sua prassi fotografica, a partire dal fuoco, per finire alla presenza/assenza del mosso o all’altezza del punto di ripresa. Ogni scelta, ogni quadro in cui ripropone una porzione di città, lascia intuire la presenza di uno spazio urbano organizzato dalla mente dell’uomo. E questo accade come conseguenza di sopralluoghi, studio e prassi coagulatisi finalmente nel tempo che egli si costringe a dedicare alle riprese. Imponendosi una disciplina del corpo e dello spirito, legata alla suggestione metafisica della

luce e all’esercizio della contemplazione, che lo hanno portato fino a limitare ai soli mesi autunnali le sessioni di ripresa. Ma Chiaramonte mostra anche grande concretezza: conosce con esattezza i soggetti (qui i progetti) che sceglie di fotografare. Mostra di conoscere e non voler troppo approfittare del potere memoriale dell’immagine ottica e della potenza emotiva delle percezioni. Il suo intento è proporre allo spettatore un’immagine che offra più elementi possibili per una fruizione diretta quanto complessa di una visione in cui scoprire qualcosa lentamente; di proporre allo spettatore lo spazio urbano come soggetto da interpretare dopo averlo studiato (lui per primo) minuziosamente. Tentando insomma di proporlo non come oggetto della propria percezione. Questo si direbbe essere invece l’intendimento di Paolo Rosselli, che da qualche tempo ha voluto proporre nell’ambito della fotografia d’architettura lo sguardo del passante, lo sguardo di chi sta dietro il parabrezza, o accanto al finestrino di un treno, la visione compressa e stratificata della città contemporanea, in cui i riflessi sono molto più presenti delle riflessioni. Rosselli, elaborando spesso e in modo programmatico dei sandwich digitali (cfr. box libri), si trova anche nella condizione di dover sempre esplicitare quando quello che ci mostra sia il prodotto di un riflesso reale e quando sia il prodotto di una multi-visione montata a posteriori (postproduzione) con l’intento di proporre allo spettatore un’immagine della città più vicina alla percezione che si presume ne possa avere l’abitante o il passante. La necessità di questa precisazione pone delle domande sulla coerenza del suo intento critico. Nelle immagini e nelle dichiarazioni di Rosselli è chiaro anche il tentativo di sganciarsi dal perenne rischio della visione rigidamente celebrativa della fotografia di architetture degli archistar, nel tentativo di mostrare invece come la gente veda dal basso o dall’alto delle proprie occupazioni quotidiane i progetti da essi realizzati. Una proposta di visione che forse assolverebbe alla sua funzione se


fotografia critica d’architettura: vedute e riflessioni

vedute e riflessioni perseguita in tensione dialettica proprio con quella di Chiaramonte. Verrebbe persino da affermare, seguendo un suggerimento emerso dalle parole di Chiaramonte, che le due poetiche si basino su interpretazioni diverse del termine latino invenire. Per Chiaramonte è la capacità umana di passare dall’osservazione cursoria («vedere») alla visione («guardare»), una capacità imprescindibile dall’attenzione e dalla conseguente riflessione su quello che ci riguarda. Il gioco tra fotografo e realtà, in fondo, sta tutto qui. Così Chiaramonte fissa il suo treppiedi e si dispone a riflettere (nei due significati), mentre Rosselli passa, scorre, rapido come la città stessa, e raccoglie, anzi rapido rapisce, colpi d’occhio. Si intuisce che le due dichiarazioni di poetica sono inevitabilmente agli antipodi e per questo sarebbe stato auspicabile che almeno Walter Guadagnini, in qualità di critico, non permettesse rimanessero l’una all’altra sorde, perseverando su binari paralleli. Che si permettesse, piuttosto, esaltandone le differenze, di osare forse una proposta critica, appunto, senza limitarsi a giustificare i motivi dell’odierno imbarazzo della definizione di ogni genere di fotografia per l’essere stata essa da pochi anni gettata senza rete nel mercato dell’arte contemporanea. Se possiamo esprimere un parere, i risultati di Rosselli sembrano

rispondere alle istanze di un altro ambito di utilizzo dell’immagine fotografica. Con il pretesto di porsi dalla parte del passante, egli ne replica l’inevitabile superficialità (sta passando) e più o meno involontariamente celebra proprio quello che dichiara di non celebrare, puntando lo sguardo sulle architetture di architetti noti e rendendole oggetto per l’osservatore: l’osservatore però si trova a fruirle attraverso la forte componente soggettiva con cui Rosselli ha preso la fotografia. Rosselli si comporta come uno street photographer che punta la fotocamera sull’architettura presumendo di far cadere la barriera intellettuale e formale indotta, per esempio, dallo studio della composizione. Ma si trova così a

produrre immagini emotive funzionali alla trasmissione di sensazioni, più che a una visione critica dell’impatto sociale dell’architettura e dello spazio urbano. Critiche, secondo noi, le sue immagini potrebbero forse diventare se affiancate a quelle rigorose di Chiaramonte: come esemplificazione della condizione di chi fruisce lo spazio di un tessuto urbano mostrato anche nella sua strutturazione complessa. Osiamo pensare che gli esiti delle due poetiche potrebbero nutrirsi vicendevolmente, proprio perché, come ci conferma l’amico urbanista e fotografo Giovanni Vanoglio, «se Chiaramonte sembra rivolgersi al residente, Rosselli sembra rappresentare il city user, quella figura di utilizzatore della città, e dei suoi spazi, che non stabilisce alcun tipo di relazione che non sia prettamente utilitaristico (il turista mordi e fuggi, per esempio), in contrapposizione al residente, o persino al commuter che perlomeno stabilisce con il tessuto urbano rapporti economici, prima che sociali, duraturi». La dimensione temporale, dunque, distingue in modo irrevocabile le due ricerche. Sia nella fase di ripresa sia nella ricezione del messaggio finale. Chiaramonte ci mostra qualcosa che eserciterà un influsso sulle strutture sociali metropolitane oltre il tempo del suo passaggio, Rosselli ci mostra l’infinitesimale tempo del proprio passaggio. Per concludere ci sembra di poter affermare che il seminario, nonostante i lodevoli sforzi e i contributi internazionali che qui non abbiamo spazio per riportare, abbia avuto un esito tipicamente italiano: nessuna dialettica, un po’ di retorica, autopromozione diversificata, e... ognuno che se ne va con le idee con cui è probabilmente arrivato. Ma per lasciare un elemento di stimolo ci piace riassumere i due atteggiamenti dei fotografi registrando i relativi consigli di lettura: Paolo Rosselli suggerisce di leggere molta narrativa, romanzi (immaginazione, emozioni, sogni, proiezioni fuori di sé, storie), mentre Chiaramonte suggerisce di leggere molta poesia (concentrazione, riflessione e pratica sottile sulle strutture della lingua più adatte alla veicolazione di un messaggio spesso metafisico). A noi piacerebbe poter sperare che l’una non debba elidere l’altra. ■

il seminario Fotografia critica d’architettura: vedute e riflessioni si è tenuto presso la Scuola di Architettura e Società del Politecnico di Milano il 22 novembre 2011. Sono intervenuti: i fotografi Giovanni Chiaramonte e Paolo Rosselli; Walter Guadagnini (prof. di Storia della Fotografia, Accademia di Belle Arti di Bologna), Giovanna Borasi (curator of Contemporary Architecture, Canadian Centre for Architecture), Joseph Grima (direttore di Domus), Pier Carlo Palermo (preside della Scuola di Architettura e Società, Politecnico di Milano), Elias Redstone (Independent Curator), Ilaria Valente (prof.ssa Straordinaria, Dipartimento di Architettura e Pianificazione, Politecnico di Milano). Hanno moderato: Michele Nastasi, fotografo, e Davide Ponzini, Ricercatore Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano. www.arch.polimi.it/eventi

libri Paolo Rosselli Sandwich digitale, Quodlibet 2009.

IL FOTOGRAFO | 27


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.