percezione: chiaroscuro e figure

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note sulla gestione delle immagini di Laura Marcolini

un invito al pensiero creativo

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pensiero laterale un esercizio

roviamo a descrivere quello che si vede in questa immagine e, in seconda battuta, a descrivere cose a cui questa immagine fa pensare per analogia o per associazione di idee. Fatto? Ecco, abbiamo provato a seguire una prassi che dovrebbe stimolare il nostro pensiero laterale, quello che non ripercorre le strade e le soluzioni note, quello che preferisce la skillness alle abitudini e agli standard, quello detto illogico (vs logico), induttivo (vs deduttivo), quello pluridirezionale (vs unidirezionale), quello imprevedibile. Insomma, quello che, secondo lo studioso Edward De Bono1, permette di innescare e coltivare quel pensiero creativo tanto sapientemente esplorato in termini pratici da Bruno Munari. Spiega Ave Appiano: «Per migliorare e potenziare le proprie capacità espressive si possono condurre esercizi di descrizione di oggetti sconosciuti, per i quali il pensiero laterale è tenuto a intervenire slittando al di là della figura stessa nella ricerca della somiglianza con oggetti già noti»2. Tornando all'immagine qui a sinistra: è molto probabile che a chi osserva venga in mente la testa di un curioso essere dotato di scoordinate antenne. Come si intuisce, invece, dall'immagine a destra, grazie a piccoli elementi che permettono una diversa ricostruzione mentale della scena, si tratta, in entrambi i casi, di fotografie dell’ombra proiettata da un vaso. Quello che è difficile immaginare, per carenza di informazioni, è che il vaso contiene liliacee dalle lunghe foglie rade. A pensarci bene, leggendo tutti in fila gli esercizi consigliati per sviluppare il pensiero creativo, viene da considerare che la pratica fotografica sia un esercizio principe per questo addestramento, perché permette di fare con un unico strumento quasi tutte

A destra si può osservare la stessa foto a colori e in Scala di grigio: nel secondo caso, come prevedibile, la figura si confonde, nonostante la forza espressiva del gesto, acquisisce però una differente plasticità. Con il colore viene anche a mancare il riflesso che il pugno verde proietta sul bidone di alluminio: questo fa cadere il pretesto visivo per mettere in dialogo i due oggetti separati dal palo. La mancanza del pretesto induce un'attenzione differente sull'immagine, che esibisce una diversa dimensione figurativa e plastica, e perde gli elementi che determinano alcune relazioni simboliche.

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e aree corticali del nostro cervello dove vengono elaborate le informazioni relative alla forma e al colore non coincidono, né è la stessa la via di trasmissione delle rispettive informazioni. Si tratta di due vie separate, sebbene le due aree di destinazione appartengano alla stessa grande zona della corteccia cerebrale deputata alla vista. Che le due elaborazioni avvengano separatamente è verificabile attraverso l’osservazione di una rara patologia che non permette la visione del colore, ma permettere la visione delle forme (acromatopsia, cfr. (cfr. Arte e cervello4). Ma allora viene da chiedersi cosa succeda quando il colore irrompe dentro un’immagine o una scena del mondo dando struttura, e talvolta togliendola, alla superficie che riveste. Scrivere che il colore riveste ha una giustificazione etimologica (cfr. Il colore dipinto5), ma forse anche chimico-fisica: la parola «colore» deriva dalla radice sanscrita kal- che significa coprire, velare (basta ricordare il significato di apocalisse, apo-kalypsis, dis-velamento). Dunque, cosa fa il colore alle cose? Per esempio può modificare la nostra possibilità di percepirle con maggiore o minore tridimensionalità, in particolare se il colore si abbina con il chiaroscuro, che imitando o replicando gli effetti della luce sui corpi ne ricrea il potere modellante. Insieme, chiaroscuro e colore, modificano la chiarezza, un aspetto di cui già scriveva Leonardo (cfr. Il paragone delle arti2) e che ora troviamo negli strumenti di Regolazione di Photoshop...

© Laura Marcolini (5)

L

colore e spazio


colore e spazio, chiaroscuro e figure

le forzature all’abitudine che ci vengono richieste. Fotografando rischiamo di non aver bisogno né di una matita per inventare o copiare figure, né di farci soccorrere dalle parole per la descrizione. Gli esercizi a cui stiamo accennando prevedono di: descrivere oggetti inconsueti; estrarre oggetti dal contesto per utilizzarli con diversa funzione; estrarli dal contesto e aggregarli per costruire un oggetto d’invenzione; descrivere oggetti per i quali manca una parola che li identifichi in modo univoco, associandoli ad altri per corrispondenza di utilizzo e poi associandoli per somiglianza; analizzarne il dettaglio e, dopo averlo estratto dal contesto, riconsiderarlo di nuovo all’interno dello stesso; trascrivere (tradurre) il significato dell’oggetto in testo verbale; rappresentare il significato di un testo verbale con un'immagine; trovare motivi semplici all’interno di strutture complesse e disegni complessi in strutture semplici... Per iniziare, pensare agli oggetti di Philippe Starck può aiutare! L'invito è di esercitarci a non dare mai per scontato né il significato né il ruolo assegnato per convenzione a una figura, a una forma, a un colore. Ma perché Appiano scrive «figura»? La condizione di figura è propria degli oggetti/ soggetti tridimensionali trasferiti o rappresentati su un supporto bidimensionale. La bidimensionalità è una proprietà anche dell’immagine fotografica. Nel caso di queste due foto, la figura ripresa è già bidimensionale poiché è un’ombra proiettata su un pavimento. È già solo una forma, diversa dall’oggetto che la proietta, senza volume, distorta dall’inclinazione della luce. Una forma che diventando figura cambia significato, grazie a un quota di familiarità e a una di inspiegabile.

L'area che abbiamo cerchiato corrisponde all'elemento spia che scalza la breve illusione di poter interpretare la figura come una testa. È il punto in cui riconosciamo elementi legati alla tridimensionalità della scena (vaso e sottovaso in scorcio): questo cambia completamente il rapporto tra la presunta figura e il presunto sfondo.

chiaroscuro e figure Su consapevolezze come queste è stata costruita l’arte di Leonardo, appunto, che per primo modellò le figure e gli sfondi con il solo chiaroscuro anziché contenendole in forme con linee continue del tratto. Poi arrivò Caravaggio con la luce modellante, teatrale, esaltata spesso dall'oscuramento quasi totale degli sfondi. I Romantici preferirono un utilizzo quasi opposto della luce: paesaggi luminosi e un sapiente lavoro tonale sul primo piano per farne distinguere le figure. Coerentemente con il loro sentimento della natura e della trascendenza, rivolsero la rappresentazione verso una dimensione più contemplativa (C. D. Friedrich), optando, spesso, per soggetti immersi in grandi spazi naturali dai colori diafani, che restituiscono alla nostra percezione estensioni sconfinate anche quando si scorga un orizzonte. Con lo studio dei valori tonali in pittura si prende atto di quanto i colori concorrano a svelare o velare le forme, la terza dimensione, la loro collocazione nello spazio, già solo per il fatto che le rivestono, facendole talvolta balzare agli occhi, sparire o apparire diverse, solo per illusione ottica. Lo conferma lo studio dei fenomeni della percezione, che permette di osservare come il colore possa assumere una funzione strutturante (colori strutturali) oppure mimetica (colori mimetici), talvolta illudendoci su quello che stiamo osservando (cfr. Il colore dipinto5). Diventa, così, molto ambiguo il fenomeno della cosiddetta interferenza del colore sulla forma, che avviene nonostante le due vie della visione (forme/colore) siano separate, come accennato poco sopra...

se il colore è spazio... Con l’osservazione si riscontrano alcune qualità ottiche del colore, in particolare due (colore volume o epifanico e colore filmare o diafanico), che concorrono con le linee a farci distinguere (o confondere) le figure dallo sfondo. Il caso limite delle silhouette è un buon punto di partenza per iniziare a osservare la «segmentazione» e il «raggruppamento» di elementi visibili che ci porta ad articolare il campo visivo in unità distinte. Di questa articolazione si occupò, tra il 1915 e il 1920, seguendo il metodo fenomenologico, Edgar Rubin, psicologo danese. Il metodo fenomenologico rifiuta che il punto di partenza di una ricerca siano «entità costruite mentalmente» (cfr. Gaetano Kanizsa6 tra il 1969 e il 1975). Quindi, secondo questo metodo, per costruirci delle «unità di analisi» dovremmo partire rigorosamente dall’esperienza diretta e anzitutto dalla descrizione del «mondo visivo» e «degli oggetti di cui è formato». È facile notare la continuità del pensiero di Edward De Bono1 (cfr, box in alto) con queste premesse. Il metodo si fa habitus e di seguito comportamento quotidiano finalizzato alla conoscenza: osservare e descrivere, poi osservare di nuovo, cambiando ruolo alle cose. Torniamo a Rubin e all'articolazione dello spazio visivo: negli stessi suoi anni in più Paesi europei si andava sperimentando l’utilizzo della ripresa fotografica, della ripresa e del montaggio cinematografici per «diffondere un nuovo modo di vedere le cose» e il mondo (Laszlo Moholy-Nagy7). Non viene da dire: tout se tient, tutto si tiene, tutto torna? A noi viene anche

spontaneo domandarci se la fotografia non sia lo strumento più adatto a perseguire questo habitus... o, addirittura, se la diffusione della fotografia non sia stata all'origine dell'habitus stesso, grazie alla caratteristica che a lungo le è stata maggiormente riconosciuta, quella di descrivere minutamente la realtà.

Nella fotografia in basso il ribaltamento delle figure, ottenuto dal riflesso, concorre a rendere più evidente la differenza di percezione della profondità spaziale, indotta dal colore in relazione alla presenza di forme riconoscibili.

colori volume

colori superficie

colori riflesso

colori filmari

colori volume plasticità per nitidezza dei margini

emergenza linee dall'oscurità dello sfondo

IL FOTOGRAFO | 43


note sulla gestione delle immagini Tenendo conto di queste considerazioni, torniamo alla prima definizione del «problema del costituirsi dell’oggetto fenomenico» (G. Kanisza6 su E. Rubin) nella percezione dell’articolazione di

figura e sfondo entro il campo visivo. Edgar Rubin individuò cinque condizioni a suo parere imprescindibili per questa operazione cognitiva: [1] forma/informe: la figura, a differenza

dello sfondo, avrebbe una «forma», lo sfondo sarebbe percepito come spazio tra figure; il definirsi di questo aspetto è influenzato dall’orientamento spaziale e dalla convessità o meno delle forme (le

[1] FORMA/INFORME Lo sfondo come spazio tra le figure. È facile mostrare e sfruttare il cortocircuito che si ottiene con l'inversione delle posizioni delle caratteristiche e degli ingombri di figura e sfondo.

[2] APPARENZA dei COLORI La distinzione per E. Rubin è tra colori filmari/diafanici (atmosferici, senza superficie) e colori volume/epifanici (che mostrano le caratteristiche della pelle, della superficie dei corpi e delle forme). I primi sarebbero caratteristici degli sfondi, i secondi della figura. Anche in questo caso è facile mostrare i possibili cortocircuiti, e sfruttarli ai fini di un particolare messaggio.

© Laura Marcolini (10)

[3] LOCALIZZAZIONE nel campo Le figure sono più localizzabili entro lo spazio che stiamo osservando, e lo sfondo sembra più lontano. Bastano però poche caratteristiche, alle quali concorre la chiarezza, per produrre facilmente, su un supporto bidimensionale, una facile illusione di distanze diverse da quelle reali.

le prossime annotazioni 44 | IL FOTOGRAFO

Contrasti di luminosità

Contrasto di qualità

Armonie e Hisptamatic


colore e spazio, chiaroscuro e figure forme convesse vengono considerate più istintivamente come figure); [2] apparenza del colore: la figura avrebbe colore epifanico (colore volume), lo sfondo colore diafanico (colore filmare);

[3] localizzazione: la figura è più facilmente localizzabile nello spazio e sembra più vicina, lo sfondo produce un effetto di lontananza (cui contribuisce il colore diafanico); [4] memoria: la figura verrebbe

ricordata (dapprima riconosciuta, in una stratificazione/conferma della memoria) e spesso si associa a emozioni; [5] contorno: la figura, a differenza dello sfondo, sarebbe definita dal contorno.

[4] MEMORIA Comparando un'immagine in cui ci sia una figura riconoscibile con una in cui non ci sia si ritiene che la prima sia più memorizzabile. Questo punto tradisce l'anzianità della teoria. L'arte astratta si stava sviluppando e l'arte informale arrivò molto dopo Rubin, come reazione alla Seconda Guerra Mondiale, a creare nuovi modelli e nuovi modi di rappresentare le sensazioni e il pensiero. Nuovi modelli e nuovi riferimenti a cui noi oggi possiamo riferirci. [5] CONTORNO Sostiene E. Rubin che la figura si stacca dallo sfondo perché le appartiene il contorno. Qui mostriamo il contorno di un soggetto fotografico definito esclusivamente dallo sfondo. Uno sfondo fatto in parte di figure, in parte di cielo.

Non si tratta di dogmi, naturalmente. Abbiamo cercato di procurarci esempi doppi proprio per mostrare che applicare queste regole alla fotografia fa riflettere ancora una volta sulla sua inafferrabilità. D'altra parte, fare esercizio su questi appunti sembra un possibile metodo per imparare a osservare, e provare a comprendere come percepiamo il mondo e le immagini del mondo. A questo proposito è molto interessante provare a rileggere alcuni passi de Il paragone delle arti3 di Leonardo da Vinci (1452-1519) e scoprire ricorrenti affinità. In un tempo più vicino a noi, le teorie della Gestalt svilupparono ulteriormente l'analisi di Rubin. Gaetano Kanisza6, gestaltista, le prende in esame come premessa per introdurre la più articolata teoria di figura-sfondo. A noi per ora è sufficiente annotare questa serie di condizioni per tornare a osservare fotografie accorgendoci di come la loro bidimensionalità e la loro somiglianza, ma non identità, con la scena ripresa producano un costante «strania-

Contrasti HDR e grana

mento» (fenomeno caro a Moholy-Nagy7 nei suoi testi raccolti tra il 1925 e il 1927)... e che accada tuttora, dopo quasi due secoli dall’invenzione del sistema di fissaggio dell’immagine ottica! A questo punto ci sembrerebbe altrettanto interessante tornare a osservare le prime fotografie stampate da Niépce, dove la figura era ancora affogata in uno sfondo indistinto; oppure confrontare disegni preparatori per acqueforti con il risultato finale per notare il differente trattamento di figura e sfondo secondo l'esigenza espressiva... Perché quello che è accaduto nelle arti prima della fotografia aiuta a capire come essa tuttora funzioni e a cosa serva la postproduzione. Chi ha provato a disegnare o dipingere con la pratica intuisce e assimila le condizioni elencate da Rubin come premesse necessarie a ottenere immagini intelligibili. Forse non è un caso che in altri Paesi, dove la cultura visiva è più sviluppata, il disegno sia, con la musica, tra le attività praticate per diletto per tutta la vita.

Colore e spazio chiaroscuro e figure

Oltre figura e sfondo

riferimenti bibliografici (1) Edward De Bono, Creatività e pensiero laterale, Rizzoli 1998. (2) Ave Appiano, Manuale di immagine, Meltemi 1998, 2002. (3) Leonardo da Vinci, Il paragone delle arti, Vita e Pensiero 1993. (4) L. Maffei, A. Fiorentini, Arte e cervello, Zanichelli, 2008. (5) Giuseppe Di Napoli, Il colore dipinto, Einaudi 2006. (6) Gaetano Kanizsa, Grammatica del vedere, Il Mulino 2009. (7) Laszlo Moholy-Nagy, Pittura Fotografia Film, Einaudi 2010.

nei prossimi numeri IL FOTOGRAFO | 45


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