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Rebecca CipollaLA COPERTINA di

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e Lorenzo Cirino

e Lorenzo Cirino

I Graforibelli nascono nel 1990 come movimento di critica alla società dell'informazione, alla privatizzazione della formazione e alla gestione della cultura in Italia. Nel corso degli anni hanno anche fondato il laboratorio Sciatto e il festival del fumetto Crack!, che si tiene al Forte Prenestino. Nel 2014 alla Casa della Memoria a Roma è stata presentata la mostra “Sono un Graforibelle mamma!”, dove sono state esposte le vignette di alcuni membri del movimento, tra i quali Andrea Guerra, Carlo Barbanente, Ro berto Grossi e Valerio Bindi. Valerio ha realizzato per noi la copertina di questo mese.

Una rubrica per raccontare chi ha deciso di donare la sua arte e il suo lavoro come copertina del mese

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Chi erano i Graforibelli, come nascono e quale evoluzione hanno avuto nel tempo? I Graforibelli nascono con un’indole anarchica, non sono mai stati un’espressione di contenuti politici organica al movimento, ma una forza espressiva autonoma e radicale che si esprime attraverso una forma di autobiografia collettiva che precede il comic journalism. Hanno seguito il movimento della Pantera nel Novanta e poi dopo un lungo silenzio sono stati espressione indignata del massacro del G8 a Genova. Nel frattempo hanno fondato con altre persone il gruppo SCIATTO, un laboratorio, uno stile, un modo diverso di raccontare attraverso l'esplorazione delle periferie di Roma, individuando spazi e deserti della città, luoghi in mutazione. Poi hanno realizzato molti fumetti e autoproduzioni per vie diverse, ma ancora oggi i vari Graforibelli continuano a raccontare le storie e le parole che sentono. Difficilmente sopportano di stare sotto i riflettori. Li devi un po’ stanare, come ha fatto Scomodo.

La particolarità di questa copertina rispetto alle precedenti è che ci troviamo di fronte ad un assemblaggio di elementi vari ma legati tra loro così da creare un’armonia, qual è l'elemento che accomuna il tutto? Il collage pensato per la copertina di Scomodo raccoglie in maniera informale alcune delle vignette realizzate dal gruppo dei GRFREB (i Graforibelli) durante l’occupazione della facoltà di Architettura a Roma nel 1990. Fu un movimento interessante che non è riuscito nel breve raggio a modificare le politiche contro cui scendeva in piazza, ma che ha influenzato tramite le varie forme di creatività che esprimeva gli anni Novanta, soprattutto grazie all’ibridazione con le occupazioni dei centri sociali che riempivano gli spazi vuoti, i deserti delle città. Come nell’immagine le vignette venivano attaccate a ciclo continuo e disordinatamente lungo le scale della facoltà e di lì reinviate via fax a tutti i centri occupati. Queste tra l’altro sono per la maggior parte sono inedite, prese direttamente dal nostro archivio.

I fumetti hanno il potere di riuscire a farci immergere dentro una storia con tutte le scarpe, qual è la storia che questa copertina ci vuole raccontare?

Quella di un movimento composto di persone che al massimo superavano di poco i venticinque anni nel Novanta e che si erano nutriti delle avanguardie culturali che hanno composto gli anni Ottanta. Il gap tra il 1977 e il 1990 era stato riempito da musica, arte, fumetto e teatro, tutte forme che avevano sperimentato codici immaginari in assoluta originalità. Le donne e gli uomini che percorsero gli anni Novanta possedevano le chiavi del linguaggio della contemporaneità e sapevano come misurarsi con i media di massa usando tecnologie a basso, bassissimo costo e autoproduzione. La copertina racconta una storia di ragazzi e ragazze generosi che hanno tentato in tutti i modi di condividere saperi ed esperienze nel corso della loro vita e delle loro scelte politiche.

Com'è nato il Crack! Festival e qual è il suo obiettivo? Tutto quello che si è provato a Genova toglie la parola. CRACK!, il festival di fumetti e grafica del CSOA Forte Prenestino, che inizia in quegli anni il suo corso, parte da questo silenzio, con un nome che è il suono di uno sparo nel deserto. Un crepitio preso dagli Scorpioni del Deserto di Hugo Pratt. Finora questo festival ha significato un immenso investimento di network e di propagazione culturale costituendo un incredibile forziere di visioni del presente, che attraversa, e discute, le pratiche di autoproduzione. Al momento il network nato da CRACK! è planetario, un movimento grafico internazionalista con decine di festival auto-organizzati, inclusivi, ospitali, autoconvocati e tutti in rete fra di loro, capaci di coinvolgere migliaia di autori di fumetto e un pubblico attivo e recettivo.

Come mai avete scelto di tenere il Festival al Forte Prenestino? Il primo festival che abbiamo realizzato nei sotterranei del CSOA Forte Prenestino risale al 1991, il Festival dell’Arte: raccoglieva contributi dall’Europa dell’Est e dell’Ovest dopo che i muri erano caduti e i confini si erano smagliati, finalmente. Organizzare questo festival ha significato ripristinare i sotterranei invasi dal fango del tempo ed è stato quello l’habitat naturale di molteplici altri eventi underground, anche di fumetto, nel corso di tutti i Novanta. Insomma la scelta non è avvenuta per CRACK! ma semplicemente questo progetto ha confermato la sua esistenza in uno spazio accogliente e multiplanare che nel tempo ha sostenuto con sempre molta energia le forze radicali e creative. Il Forte è una Fortopia, una eterotopia metropolitana, che a partire dal 1986 continua ad aprire percorsi vitali nella nostra città.

Cosa pensi del ritorno della politica come argomento centrale nella street art in Italia grazie ad artisti come Tvboy, Laika e Jorit? Io penso che tutto l’underground esprima una condizione di vita che ha una sua inevitabilità soprattutto, e proprio per questo la possa distillare in una partecipazione politica. Tutta la street art è politica, quando viene dall’underground, e lì macina visioni. È una forma di vita. Non vedo altre possibilità, poi certo esiste arte che usa stilemi e tecniche street ma è come una marca, un timbro su di un prodotto pronto per il mercato globale. Nel fumetto che vediamo a CRACK! è lo stesso, c’è un lavoro sulle immagini e sulle forme delle fanzine che le contengono, che non può essere riconvertito in una produzione industriale, che esiste solo in quanto legato a produzioni fatte a mano e radicali. E questo aspetto è così profondamente politico che molte volte non passa attraverso dei contenuti ma prende una forma che ne mostra direttamente la forza e l’alterità.

di Rebecca Cipolla

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