spazio pubblico e pratiche urbane leonardo ramondetti & nison santanera
1. Introduzione
Questo lavoro è stato svolto nel gennaio 2014 a conclusione del corso di “geografia e studi urbani” tenuto dalla prof.ssa arch. Francesca Governa presso il Politecnico di Torino. Il breve scritto si esprime in merito al rapporto attuale fra spazio pubblico e pratiche urbane che lo caratterizzano basandosi in particolar modo su due articoli pubblicati nel 2008: Collective culture and urban space di Ash Amin e Citizenship and the problem of community di Martha Staeheli Lawless. Il tentativo è quello di indagare la tensione interna fra associazionismo implicito ed esplicito che permea lo spazio pubblico; mettendo in luce rischi e potenzialità di questi fenomeni. Nella parte conclusiva viene infine ipotizzata una possibile sintesi, ribadendo l'importanza e la necessità di queste pratiche che alimentano e caratterizzano la vita pubblica.
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2. Spazio pubblico e pratiche urbane
La città odierna si presenta come un luogo di interazione fra una pluralità di soggetti con istanze, obbiettivi ed esigenze mutevoli che si influenzano fra loro, sperimentando contraddizioni e conflitti, operando mediazioni e infine radicando costruzioni politiche e sociali (Governa, Memoli, 2011). Luogo privilegiato di questi fenomeni è lo spazio pubblico, tuttavia dobbiamo chiederci se è ancora valida oggi la relazione operata dall’urbanistica classica, per la quale tale spazio si configura come luogo di costruzione della cultura civica e quindi formazione politica degli abitanti. Ash Amin afferma “non vi è alcuna ragione di credere che la virtù civica sorgerà dell’incontro in spazi pubblici” (Amin, Thrift, 2005, p. 190). Questo perché le connessioni associative della pluralità urbana odierna vanno oltre a una specifica dimensione e collocazione territoriale, ne sono un esempio i social network. La sfera pubblica è diversa dallo spazio pubblico, e quest’ultimo non può essere considerato incubatore di identità politiche ma piuttosto luogo in cui queste vengono esplicitate. L’educazione civica avviene in precedenza; viene legittimata a monte dallo Stato, che si presenta come comunità politica, il quale forma l’etica e fornisce gli strumenti per elaborare le identità e formare la collettività, ma sono poi queste a forgiare il senso civico (Staeheli, 2008). Se riteniamo tali considerazioni valide si può quindi affermare che gli spazi pubblici non sono un luogo di formazione primaria, tuttavia non è neanche corretto affermare che lo spazio pubblico sia un luogo in cui non avvenga alcun processo formativo. Lo stesso Ash Amin afferma che tali spazi si presentano come territorio di accesso alle risorse pubbliche, e portano al riconoscimento e all’accettazione di condotte civiche oltre che alla consapevolezza dei beni comuni (Amin, 2008). Alla luce di queste considerazioni lo spazio pubblico si presenta come luogo in cui si manifestano e vengono rappresentati caratteri collettivi civici o comunitari di formazione primaria che in seconda istanza possono produrre un processo formativo secondario legato al territorio. La formazione secondaria legata al territorio si verifica attraverso l’attuazione di pratiche urbane di mediazione comportamentale e contrattazione atte ad addomesticare la complessità e la diversità dello spazio pubblico attraverso l’esperienza sociale. Due fra le pratiche più rilevanti sono la territorializzazione, ovvero la frammentazione dello spazio interno; e la routine o individuazione di ritmi, che comporta una divisione su base temporale dei fenomeni che avvengono nello spazio. Queste pratiche vengono riflesse nell’iconografia degli spazi pubblici, che è una proiezione simbolica della cultura pubblica e dell’influenza degli attori. Tuttavia tali tensioni all’organizzazione e alla normalizzazione non riescono mai a portarsi a compimento a causa di quelle che Amin indica come emergenze; le quali operano variazioni improvvise nei ritmi o nella suddivisione dei luoghi (Amin, 2008). Lo spazio pubblico è quindi interessato da una mutazione continua che comporta una continua negoziazione. Ne consegue che dobbiamo chiederci come la formazione primaria della popolazione, quella che non deriva dallo spazio pubblico, influenza i fenomeni di territorializzazione, routine e iconografia degli spazi. Presupponendo che tale formazione provochi le creazione di collettività e aggregazioni fra individui che operano poi a livello urbano queste si esprimono attraverso fenomeni di associazionismo che possiamo distinguere in implicito ed esplicito. Queste due tipologie si ripercuotono sul territorio dando vita a due diverse esperienze dello spazio pubblico che configurano diverse pratiche urbane. L’associazionismo implicito si basa sulla giustapposizione di diversità ed opera attraverso accordi specifici e informali fra gli occupanti dello spazio. Questo garantisce compresenza di diversi usi e fenomeni che caratterizzano il territorio e soprattutto una sicurezza data dal reciproco controllo degli attori che difendono i propri interessi, quelli che vengono definiti gli “occhi della strada” (Amin, 2008). In questo caso si instaura un ordinamento comprensivo della molteplicità che garantisce benefici individuali e collettivi. La presenza di tale associazionismo in uno spazio pubblico è comunque legata alla costituzione del luogo che deve garantirne la possibilità di attuazione anche attraverso l’uso simbolico dello spazio che deve 2
rafforzare l’interesse civico nella cittadinanza plurale operando attraverso interruzioni estetiche piuttosto che rappresentazioni egemoniche. Si tratta quindi di uno spazio della molteplicità in cui domina il carattere di inclusione, le cui pratiche di territorializzazione o i cui ritmi non vengono dominate da soggetti o collettività specifiche e il cui carattere formativo viene dettato dal surplus sociale che si forma all’interno di questi spazi, qualora questi rispondano
alle caratteristiche individuate da Ash Amin di molteplicità, solidarietà simbolica, convivialità e manutenzione tecnologia. Queste connotazioni positive tuttavia rischiano in alcuni casi di nascondere quella che Slavoj Žižek indica come “tolleranza liberale nei confronti degli altri caratterizzata dal rispetto per l’alterità, dall’apertura verso di essa e da una paura ossessiva delle molestie. […] l’altro è benvenuto finché la sua presenza non è intrusiva, finché non è davvero altro” (Žižek, 2005). Risulta quindi necessario che i dispositivi interni a questi spazi siano stimolanti e capaci di creare un dialogo vivo tra le molteplicità che li compongono e non una tacita convivenza fra soggetti diversi che è inutile alla formazione del senso civico. L’associazionismo esplicito opera invece attraverso la creazione di legami identitari, o valori comuni. Si instaurano in questo modo dei rapporti fra gli attori che riconducono ad un organizzazione di tipo comunitario, la quale riflette le sue contraddizioni anche nello spazio in cui opera. La principale di queste è la caratteristica ad essere un fenomeno inclusivo, attraverso l’elaborazione di esperienze condivise, ma allo stesso tempo esclusivo, poiché opera un processo di selezione partecipativa interna (Staeheli, 2008). Solitamente quando tale associazionismo ha una ricaduta spaziale influisce fortemente sulle pratiche urbane operando attraverso un appropriazione dello spazio o di determinati tempi del vivere quotidiano da parte di particolari soggetti urbani. Le conseguenze sono ambigue poiché le pratiche messe in atto da queste associazioni spesso mirano a garantire la partecipazione democratica o la sicurezza degli spazi in cui operano, come nel caso dei COPShop (Staeheli, 2008) o delle ronde di quartiere, ma allo stesso tempo vi è il rischio che sfocino in azioni di controllo e oppressione. Uno dei due caratteri è dominante sull’altro e questo dipende principalmente dalla formazione comunitaria, che può essere organica o fortemente istituzionalizzata. La riflessione di tale carattere nello spazio pubblico porta al verificarsi di pratiche che servono specifici interessi di potere, il quale può concorrere alla molteplicità ma rischia molto spesso di operare in una normalizzazione spaziale ed estetica che si traduce in una normalizzazione sociale. In questo caso lo spazio della molteplicità descritto da Ash Amin, può essere inteso come spazio democratico, mentre lo spazio comunitario è quello in cui operano con maggior forza specifici valori e caratteri morali o identitari. A nostro avviso, questi spazi urbani che possono essere entrambi definiti pubblici ma che presentano all’interno pratiche urbane molto differenti, agiscono in modo opposto ma sono entrambi ugualmente importanti a livello della formazione civica. La domanda che ci poniamo è quindi se e come questi possano convivere a livello urbano. Oggi la crisi economica ha portato in Europa, e non solo, un risorgimento di fenomeni comunitari o di forte associazionismo, spesso per far fronte a carenze del welfare (Staeheli, 2008); e questi spesso si organizzano proprio a partire da condizioni di prossimità e hanno quindi forti ripercussioni sul territorio. Inoltre molte geografie di comunità articolate a scala globale spesso nella città coincidono con spazio di stretta prossimità, basti pensare alla comunità cinese articolata in tutto il mondo che però nelle realtà urbane si traduce nella creazione di quartieri specifici, le cosiddette cina town. A nostro avviso una possibile convivenza di queste pratiche è data attraverso una giustapposizione di frammenti il cui esempio più significativo ed esplicativo risulta essere la città ottomana. 3
In questo caso la molteplicità viene garantita attraverso la speciale fornitura di spazi pubblici adeguati hai diversi gruppi. I millet ottomani si configurano infatti come isole in cui domina l’associazionismo esplicito, le quali però non sono ancorate al fondale ma in perenne movimento, alla ricerca della giusta distanza fra loro, al pari dei porcospini di Shopenhauer. I bracci di mare che separano tali isole sono invece i luoghi democratici della città, caratterizzati dalla molteplicità e dove si crea il surplus urbano. In questo modo le comunità trovano libertà di espressione all’interno della realtà urbana senza però essere dominanti le une sulle altre ma traendo invece reciproco vantaggio dall’influenza che viene esercitata negli “spazi di membrana”(Di Campli) che le separano. Questi spazi che si presentano come teatro per la vita democratica, permettono quindi la negoziazione e la messa in discussione di valori e pratiche urbane generate nelle spazialità interne. In conclusione questo a nostro avviso potrebbe essere un modello possibile per la coesistenza di queste due forme di vivere lo spazio pubblico e delle pratiche che esse comportano all’interno della realtà urbana. Questo tenendo comunque presente la pericolosità in cui possono sfociare azioni di associazionismo esplicito nello spazio ma allo stesso tempo considerando necessario per gli individui riuscire a coltivare valori specifici attraverso relazioni comunitarie, riconoscendo quindi l’importanza dello spazio della comunità ma sottolineando il valore della molteplicità a livello urbano.
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3. Bibliografia
Amin A., Thrift N., Città. Ripensare la dimensione urbana, il Mulino, Bologna 2005 Amin A., “Collective culture and urban space” in City. Analysis of urban trends, culture, theory, policy, action, 12:1 , pp. 5-24, 2008 Di Campli A., Forme di comunità. L’abitare condiviso a Ibiza, Skopje, Hiroshima, Carocci Editore, Roma 2013 Governa F., Memoli M., Geografie dell’urbano. Spazi, politiche, pratiche urbane, Carocci Editore, Roma 2011 Žižek S., Contro i diritti umani, Il Saggiatore, Milano 2005 in Di Campli A., Forme di comunità. L’abitare condiviso a Ibiza, Skopje, Hiroshima, p. 76, Carocci Editore, Roma 2013 Staeheli L. A., “Citizenship and the problem of community” in Political Geography, 27, pp. 5-21, 2008
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