La parte elementare della cittĂ
Progetti per Scalo Farini a Milano a cura di Raffaella Neri
Collana Ricerche in composizione urbana Research in Urban Composition Responsabile Bruno Messina Comitato scientifico Armando Dal Fabbro Gino Malacarne Carlo Moccia Raffaella Neri Uwe Schröder
ISBN 978-88-6242-118-8 Prima edizione Marzo 2014 © 2014, LetteraVentidue Edizioni © 2014, Gli autori per i loro testi e le immagini se non diversamente indicato È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Le immagini all’interno del testo appartengono ai rispettivi autori. L’autore rimane a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comunicare. Book design: Francesco Trovato Traduzioni ita-eng: Antonella Bergamin LetteraVentidue Edizioni S.r.l. www.letteraventidue.com Via Luigi Spagna, 50 L 96100 Siracusa, Italia @letteraventidue LetteraVentidue Edizioni
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Indice 5
Intorno alla composizione urbana. Obiettivi di una collana Armando Dal Fabbro, Gino Malacarne, Bruno Messina, Carlo Moccia, Raffaella Neri, Uwe Schröder
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Luoghi dell’abitare Raffaella Neri
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Progetto per Scalo Farini, Milano 2009 Antonio Monestiroli
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Secondo progetto per Scalo Farini, Milano 2013 Antonio Monestiroli
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Le forme del vuoto Carlo Moccia
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Nuove topografie urbane Bruno Messina
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La città nel parco Tomaso Monestiroli
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Paesaggi domestici e vita urbana Giovanni Marras, Roberto Beraldo, Mattia Marzaro, Andrea Pastrello, Giuseppina Scavuzzo, Michelangelo Zanetti
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Gradi di libertà Massimo Ferrari
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La composizione dell’isolato Raffaella Neri
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Ri-cognizione milanese Eleonora Mantese, Cristiana Eusepi
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La corte, la strada e la città Gino Malacarne, Francesco Primari
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Indistinti confini, habitat permeabile Antonella Gallo, Giorgia De Michiel
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Scalo Farini. Un tema di composizione architettonica e urbana Adalberto Del Bo, Martina Landsberger, Stefano Perego, Giampaolo Turini, Maria Vittoria Cardinale, Daniele Beacco
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Il parco delle torri con un poggio belvedere e una spiaggia urbana Armando Dal Fabbro, Patrizio M. Martinelli
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English texts
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Autori e gruppi di progettazione
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Intorno alla composizione urbana Obiettivi della collana
Questo libro inaugura una nuova collana, “Ricerche in composizione urbana”, che avvicina drasticamente la composizione, disciplina centrale all’architettura e a diverse altre arti, al problema della costruzione della città. Vogliamo con ciò riportare l’attenzione sulla necessità di questa relazione particolarmente importante, che omette il termine architettura ma che lo presuppone quale elemento necessario, per le ragioni che brevemente cercheremo di esporre. 1. Pensiamo che il compito fondamentale dell’architettura sia quello di costruire luoghi, ovvero di dare allo spazio una forma significativa e riconoscibile; architetture e manufatti di qualunque misura e tipo concorrono a raggiungere questo fine. Ciò vale anche per un singolo edificio isolato, che non può considerarsi un oggetto libero nello spazio e indifferente al suo intorno; in quanto architettura, la sua qualità fondamentale consiste piuttosto nella capacità di trasformare e di organizzare lo spazio circostante, di conferire a questo una forma e una identità, assumendo dai caratteri del luogo le ragioni della sua definizione architettonica e formale. La Rotonda di Palladio, isolata sulla collina, o la villa Malcontenta, libera nella campagna, definiscono precisamente il territorio dove sono costruite, stabiliscono orientamenti, gerarchie, centralità, danno misura e riconoscibilità, forma e identità ai luoghi, assumendone ed esaltandone i caratteri; o, ancora, la Basilica a Vicenza, con la sua sola presenza, suddivide lo spazio in più piazze comunicanti e distinte. Analogamente, pur se in forme diverse, una cascina isolata nella campagna o una cappella votiva lungo una strada costruiscono un paesaggio,
ritmano un percorso, individuano punti di riferimento. Ogni edificio estende la sua influenza in modi e forme a lui proprie: una torre o un campanile, in virtù della loro altezza, si proiettano verso spazi ampi e lontani, una villa reale apre prospettive lunghe e profonde, un castello arroccato domina una intera regione. In sintesi, il progetto di architettura non riguarda il solo manufatto, ma il luogo in cui questo si costruisce, lo spazio vuoto, più o meno esteso, controllato da questo, che in tal modo viene nuovamente definito, dimensionato e identificato, assumendo una nuova identità. In questo senso, la città può sicuramente essere considerata come una successione di luoghi: di grande varietà, concatenati uno nell’altro, collettivi, privati, aperti, delimitati, ampi, angusti, e così via. La loro individualità, la loro diversità, la loro appropriatezza e precisione formale rappresentano la ricchezza e la bellezza di una città, definiscono la sua struttura e le sue qualità urbane. 2. La composizione è l’operazione fondamentale che consente di definire, organizzare e distinguere i luoghi attraverso i volumi delle architetture: permette di controllarne le qualità spaziali, le misure e le proporzioni, permette di misurare le distanze fra gli edifici, il rapporto fra i vuoti e i pieni, fra lo spazio aperto e i volumi costruiti. Comporre architetture vuol dire appunto questo: dare struttura e forma a un vuoto, organizzare spazi, definire luoghi. Reciprocamente, i luoghi acquistano individualità solo grazie alla composizione delle architetture, attraverso la loro disposizione ordinata. Ordinata non in senso astratto, geometrico, ma in relazione a un racconto da fare, a un carattere
Armando Dal Fabbro Gino Malacarne Bruno Messina Carlo Moccia Raffaella Neri Uwe Schröder
da rappresentare, a un’idea di città da costruire. Il progetto urbano è progetto di luoghi, al pari del progetto di architettura: i luoghi sono necessari alle città, le architetture sono necessarie ai luoghi. La collana che inauguriamo vuole studiare questo tema attraverso i progetti di architettura: progetti per attività e scale diverse, progetti che si confrontano con condizioni urbane, con spazi naturali, con situazione geografiche e culturali anche lontane. Progetti comunque accomunati dal proposito di studiare i modi di costruzione della città moderna, i suoi luoghi, i suoi spazi, la sua composizione; progetti guidati dall’intento di porre queste ragioni, che definiamo urbane, a fondamento delle scelte dell’architettura e della definizione delle sue forme.
Nella pagina a fianco: vista aerea della città di Venezia.
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Progetti Projects
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Progetto per Scalo Farini, Milano 2009
Antonio Monestiroli con
Ilario Boniello Massimo Ferrari Stefano Guidarini Tomaso Monestiroli Raffaella Neri Claudia Tinazzi Collaboratori: Marcello Bondavalli, Lorenzo Margiotta e Guido Rivai
Premessa L’estensione eccezionale dell’area resasi disponibile, la posizione divenuta centrale nella città, la relazione con la rete dei trasporti e la prossimità con i suoi recapiti urbani fanno di scalo Farini un luogo importante e strategico, una parte della città che deve essere ripensata e costruita. Come? Secondo quale idea di città? Istituendo quali relazioni? Con quali principi e quali elementi? Una domanda preliminare, dal punto di vista del pianificatore, andrebbe premessa nell’affrontare il tema: le elevate potenzialità dell’area sono in grado di sostenere la sfida di un nuovo insediamento ad alta densità, un insediamento moderno dentro la città ottocentesca che non diventi l’ennesima periferia, magari di lusso, che gravita sulla città di Milano? Non potrebbe diventare invece l’occasione per riqualificare le parti costruite intorno ad essa? A quali condizioni? E se concentrazione e densità edilizia significano risparmio di suolo, tanto nelle aree inedificate esterne quanto nel centro della città, che cosa significa potenziare la crescita di questa parte rispetto ad altre, in un quadro che deve inevitabilmente essere considerato alla scala territoriale? La scelta dell’amministrazione comunale a favore di una logica di consolidamento del nucleo centrale di Milano attraverso l’insediamento di grandi quantità edilizie impone di assolvere ad una prima condizione, l’inserimento del nuovo quartiere nel sistema di infrastrutture viarie pubbliche e private, su gomma e su ferro, che deve essere riconsiderato e adeguatamente potenziato. In altre parole, affinché il nuovo insediamento diventi una parte di città, deve essere garantita la sua accessibilità e il suo posizionamento nel sistema delle relazioni urbane e territoriali.
Una seconda, importante condizione affinché questa area non diventi una periferia interna alla città riguarda le attività insediate: queste devono essere diverse, miste, e soprattutto prevedere servizi di interesse urbano in grado di costruire un nuovo centro aperto alla città, per dare riconoscibilità al luogo e per rendere il quartiere una parte identificabile della città. La molteplicità delle funzioni corrisponde alla ricchezza e all’articolazione degli spazi collettivi e privati; l’architettura ha il compito di farsi interprete di questa ricchezza, conferendo carattere e qualità ai luoghi. Sulla base di queste considerazioni abbiamo affrontato il tema del progetto, urgente nella città contemporanea, con l’intento di rispondere a diversi obbiettivi: definire i principi compositivi su cui basare la costruzione di una nuova parte di città, una parte che deve essere unitaria ma articolata al suo interno; individuare le unità elementari dell’insediamento residenziale, alternative agli isolati della città antica, e i tipi edilizi che le costruiscono; precisare quali sono i luoghi collettivi e il loro carattere, quali le relazioni fra edifici e spazi aperti, quale il ruolo del verde, il rapporto fra servizi ed edifici residenziali, fra commercio e altre attività. Tutte questioni presenti nei progetti del Movimento Moderno e ancor più in quelli degli architetti milanesi negli anni della ricostruzione. Questa ricerca, rimasta a lungo interrotta, deve ripartire dai risultati esemplari di cui Milano è ricca, fra tutti il QT8, il quartiere Harar, il Feltre, assumendo lo stesso atteggiamento che gli architetti della Scuola di Milano hanno avuto rispetto agli insegnamenti dei loro maestri, cercando di approfondire la ricerca a partire dalla realtà in cui si trovavano ad operare, dalla conoscenza
dei luoghi e dalla chiarezza di un’idea di città cui tendere. Il progetto La presenza dei binari e del grande scalo ferroviario hanno mantenuto separate fino ad oggi parti di città cresciute indipendenti, ostacolando il congiungimento degli assi concentrici del piano Beruto. Contro la ferrovia si sono arrestati gli isolati che originano da Corso Sempione, a est il quartiere divenuto “l’isola”, organizzato intorno alla strada antica per Como; a nord sono cresciuti gli insediamenti più periferici, in relazione ai nuclei di Dergano, Affori e Bovisa, lungo la ferrovia e le direttrici che innervavano il territorio esterno a Milano. La città ha scavalcato lo scalo, e dall’inizio del secolo è cresciuta al di là di esso, lasciando invariato nel tempo il suo ruolo di vuoto separatore. Gli assi urbani Qui tuttora convergono gli assi interrotti che strutturano la città e il suo territorio, individuando un punto focale collocato sul vertice nord-ovest di questa area pressoché triangolare. A partire da questo luogo è possibile organizzare una gerarchia interna all’insediamento che distingua e articoli i luoghi che costituiranno il quartiere. L’eccezionalità della testa nord-ovest del sistema corrisponde, nel progetto, alla eccezionalità urbana delle attività insediate e dell’architettura che le rappresenta: un sistema di torri che ospitano attività terziarie e ricettive, organizzate intorno a una piazza che diventa il centro dell’insediamento, conclusa da un edificio ad aula destinato ad attività culturali rivolte a tutta la città (museo, auditorium, ecc). Le torri in ferro e vetro, alte 37 e 29 piani, diventano il faro del nuovo quartiere e del territorio circostante. 17
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Le forme del vuoto
Carlo Moccia con
Marialaura Polignano Collaboratori Luca Schepisi
I greci usavano parole diverse per indicare lo spazio “nelle cose” e lo spazio “tra le cose”. Lo spazio “nelle cose” è lo spazio “statico” dell’internità. In architettura è lo spazio della stanza definito dai limiti che la involucrano: le pareti che la recingono e, insieme, la volta che la copre. Ma è anche lo spazio della corte, una “stanza” a cielo aperto in cui l’esterno atmosferico è ricondotto a “interno” attraverso la sola delimitazione di un luogo: un pezzo di terra, recinto dai muri, e posto in relazione con il “profondo” del cielo. Nella città antica lo spazio dell’internità era lo spazio del foro, un grande recinto collettivo scoperto ma delimitato da un portico, alle spalle del quale si aprivano gli spazi interni e “coperti” degli edifici pubblici. Giambattista Nolli nel disegnare la pianta della Roma settecentesca faceva riferimento a quel paradigma
spaziale quando rappresentava allo stesso modo sia lo spazio delle piazze che lo spazio interno delle chiese e degli edifici pubblici. L’idea dello spazio urbano come spazio dell’internità ha, in Occidente, una lunga storia che dalla città romana dura sino alla città dell’Ottocento. In questa città si può dire che cambi la “scala” dimensionale delle piazze e delle strade, ma non la natura dello spazio urbano (un boulevard ha dimensione inconfrontabili con quelle di una strada medioevale ma i rapporti della sua “sezione” rimandano ancora alla “strada corridoio”). Lo spazio “tra le cose” è lo spazio delle relazioni. Se lo spazio dell’internità è definito dal suo limite e la sua forma si può intendere come il “positivo” della delimitazione, lo spazio “tra le cose” è un campo definito dalla “tensione” tra forme volumetriche. Il primo possiamo dire che
corrisponda allo spazio delle forme concave, il secondo a quello della relazione tra le forme convesse. Nella città antica lo spazio della “tensione” è lo spazio dell’acropoli. È uno spazio tendenzialmente “aperto”, disponibile allo stabilirsi di relazioni di prossimità tra elementi (ad Atene il Partenone nel rapporto con l’Eretteo e con i Propilei) e, nello stesso tempo, in grado di far “risuonare” le presenze più lontane del paesaggio (ad Atene le pendici del Monte Pentelico). La disposizione aperta dei volumi architettonici sul suolo dell’acropoli esalta la forma orografica attraverso un doppio rapporto: dall’acropoli si ammira il paesaggio naturale (che ri-entra nella “composizione” formale del luogo), nel paesaggio i punti cospicui della forma naturale si identificano attraverso la costruzione acropolica. Constantinos Doxiadis ha indagato la
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Lo spazio dell’“internità” (lo spazio delle “stanze” urbane: la corte e la piazza) per dare forma al senso dello “stare”, identificandolo con un luogo definito e delimitato, lo spazio dell’“apertura” per stabilire relazioni rinnovate tra le forme dell’architettura e i “vuoti” di natura presenti nella città contemporanea. Nella città che Giuseppe Samonà chiamava “città in estensione”, in cui il limite tra urbano e rurale appare indistinguibile, in cui gli spazi liberi di natura spesso si trovano non “fuori” ma all’interno della città. La “città in estensione” chiede una interpretazione delle sue potenzialità formali: la bellezza delle forme “naturali” (le forme della terra, le forme dei fiumi e della costa, le forme dei boschi e dei parchi, ma anche quelle dei giardini e della campagna coltivata) deve essere rappresentata attraverso rinnovate grammatiche di costruzione della “città-natura”.
Il rapporto tra le forme della geografia fisica e le forme insediative, il rapporto tra gli spazi “compressi” della città densa e gli spazi liberi e dilatati della natura, il ruolo sintattico dei “vuoti” di natura, la finitezza delle “parti” urbane, il legame che le parti stabiliscono tra loro sono alcuni dei temi che si pongono alla nostra riflessione. Insieme ad altri temi più radicati all’interno della ricerca tipo-morfologica come la definizione di forme della casa che interpretino il senso dello “stare” attraverso la relazione stabilita con lo spazio naturale, oppure la definizione di forme degli edifici capaci di interpretare il ruolo di “capisaldi” nella dimensione dilatata dello spazio urbano/naturale contemporaneo. La risposta che bisognerà dare a queste questioni, per la portata dei problemi, dovrà derivare da una riflessione “collettiva”. La riflessione dovrà essere
costantemente sottoposta a verifica attraverso la pratica del progetto urbano. Il lavoro per Scalo Farini cerca di andare in questa direzione.
Nella pagina a fianco: prospettiva dalla strada. In questa pagina: prospettiva dalla corte. Nelle pagine seguenti: prospettiva dalla corte; prospettiva dalla rambla.
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Paesaggi domestici e vita urbana
Abitare e lavorare tra natura e artificio nel cuore della città
Giovanni Marras Roberto Beraldo Mattia Marzaro Andrea Pastrello Giuseppina Scavuzzo Michelangelo Zanetti con
Marco Franceschi
Il progetto per l’area di Scalo Farini è stato assunto non solo come caso emblematico di rigenerazione urbana, finalizzato a risolvere in senso architettonico un vuoto nel cuore della città (risultato di processi di dismissione di varia natura), ma anche come occasione per riflettere sperimentalmente sulla relazione città/campagna, che oggi, pur con connotazioni diverse torna a nutrire ideologie e progetti. Campagna e città, paesaggi mentali in netta contrapposizione nell’immaginario architettonico del secolo scorso, oggi sorta di luoghi ideali, portatori di valori di autenticità, che possono ispirare nuove utopie domestiche. La ricerca si sviluppa su due fronti: il disegno dello spazio pubblico/privato nelle sue diverse configurazioni, urbana e naturale; la sperimentazione sullo spazio abitabile in senso residenziale e produttivo a partire dal tipo della casa-laboratorio.
Il progetto tenta di ripensare lo spazio abitabile a partire dalla forma-limite1 dei manufatti, intesa come palinsesto di uno spazio domestico, eventuale e possibile, in cui vivere e lavorare. Negli ultimi decenni, con lo sviluppo rapido della connettività, sempre più sono emersi nuovi modi di intersecare lavoro e vita domestica. La casa oggi non è più un remoto ricovero in cui si torna la sera dopo una giornata di lavoro in ufficio o in fabbrica; sempre più frequentemente è un luogo in cui, durante tutto l’arco della giornata, lavoro, tempo libero, cura del corpo, si avvicendano nei medesimi spazi. La famiglia nucleare non è più il modello dominante, sostituita da un intero spettro di differenti forme di convivenza su cui la vita domestica si riorganizza. Forme alternative di domesticità2 già sperimentate e diffuse nel secolo scorso negli ambienti dell’arte progressista
e contestataria della controcultura, che trovavano nel loft il paradigma spaziale appropriato3. Spazi in cui alla fede nel funzionalismo e nella pianificazione del Moderno si oppone il disordine e l’estetica accumulativa degli objets-trouvées decontestualizzati. Un modello insediativo che aveva avuto precedenti in Europa nel prototipo della residenza atelier, tipo-funzione4 strettamente legato allo sviluppo urbano di Parigi. Una tradizione che dagli Hotels particuliers (secondo una tradizione che va indietro al XVII e XVIII secolo) alle Cité d’Artistes caratterizza una fase importante dello sviluppo di Parigi, influenzando in modo significativo le sperimentazioni sulla casa di alcuni maestri del Movimento Moderno. Il paradigma della casa isolata, la villa in diretto e stretto rapporto con la natura, e la casa atelier, come luogo per vivere e lavorare, sono gli archetipi da cui ha origine questa ricerca
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La corte, la strada e la città
Il tema proposto dal gruppo di ricerca del Politecnico di Milano offre la possibilità di sviluppare un’interpretazione architettonica sul tema dell’isolato nella sua attualità e nelle sue potenziali contraddizioni: come innovare e riformare l’isolato ottocentesco che tanta parte ha avuto nella costruzione della struttura urbana di Milano? Come rendere possibile da un lato, il mantenimento di quel carattere eminentemente pubblico rivestito dalla strada e dall’altro proporre un’idea di corte come luogo principale sul quale si proiettano i luoghi domestici della residenza? Su questi iniziali interrogativi si sono definite le prime proposte insediative che, seppur differenti tra loro, individuano tutte nella complessità dell’articolazione del corpo di fabbrica dell’edificio la chiave per dirimere questa duplice intenzionalità. D’altronde tale tipo di atteggiamento cerca di rispondere anche al problema di definire il giusto carattere ad un luogo come lo Scalo Farini che, in quanto infrastruttura ferroviaria, pur avendo fino ad ora respinto ai margini le attività deputate alla residenza, si è trovato tuttavia attorniato da un’edificazione compatta di cui l’isolato residenziale ad alta densità ne costituisce fortemente l’immagine. Il problema del locus, come luogo in questo caso da reinventare, passa dunque non solo dalla sua specificazione insediativa, ma anche da una interpretazione dei caratteri urbani della città nel complesso rapporto tra morfologia urbana e tipologia edilizia. Il progetto architettonico si è attenuto ai principi e ai vincoli posti dal progetto generale declinando il tema insediativo proposto; si è così definito un isolato a corte aperta che presenta diverse gerarchie sulle strade che lo delimitano, aprendosi su uno dei suoi lati alla vista del paesaggio
urbano; esso si struttura secondo una direzione ed un orientamento, dichiarando esplicitamente come lo spazio naturale e collettivo sia il luogo principale ove avvengono gli accadimenti principali della vita dell’uomo; le case infatti sono edificate al contorno di un suolo verde. La corte dunque si presenta racchiusa su tre lati dalle architetture; a sottolineare la sua direzionalità sta su uno dei suoi lati la presenza delle torri binate, alte 10 piani con un andamento a gradoni verso la corte, mentre affacciate in tutta la loro altezza sull’asse urbano principale della rambla. Esse nella loro specularità individuano l’asse di simmetria e di penetrazione del progetto. A fianco a loro, a recingere la corte, si articolano due edifici in linea sviluppati in un doppio pettine con due diverse profondità; essi definiscono con la loro sezione complessa un duplice rapporto, con la corte e con la strada; infatti sul lato del parco-giardino l’andamento a gradoni dell’edificio, richiamando le case a terrazza di Loos e Sauvage, caratterizza la corte come un teatro di cui le terrazze rappresentano i palchi; dall’altro lato la facciata si arretra dal filo stradale attraverso il dispositivo offerto da un cortile che – memore degli edifici à redent di Eugène Hénard – compone un diaframma di mediazione fra la strada e le residenze. Gli edifici in linea inoltre presentano sia su strada che sulla corte un andamento ritmato dai volumi del pettine che enfatizza, misurandolo, la dimensione dell’isolato (circa 140 x 140 metri). A conferire unità all’articolazione dei tipi edilizi, a torre e in linea, contribuisce la definizione di un piano basamentale a doppia altezza in pietra, in grado di ospitare uffici, negozi o attività collettive come scuole materne, asili o altri spazi necessari alla residenza affacciati verso la corte. Sopra di esso si elevano i corpi in laterizio che
Gino Malacarne Francesco Primari con Claudia Bartoli Alessandro Costanza Francesca Marcon Antonio Nitti
Nella pagina a fianco: planivolumetrico generale e prospettiva dell’isolato residenziale dall’asse urbano della rambla. In questa pagina: studi sul sistema insediativo dell’isolato.
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contraddistinguono chiaramente i luoghi deputati alla residenza. A livello tipologico gli alloggi degli edifici in linea abbandonano la distribuzione del corpo doppio con servizi verso la corte, emblematica della sbilanciata gerarchia dei fronti del classico isolato ottocentesco, evidenziando attraverso il carattere delle aperture l’uguale importanza dei prospetti su strada e su corte; i luoghi principali della casa si dispongono dunque in maniera equilibrata su entrambi i lati.
Nelle pagine precedenti: piante del piano terra, primo e quarto, in scala 1:1000 e prospettiva frontale della corte. In queste pagine: schizzi di studio della torre e della sezione degli edifici in linea e sezione prospettica generale.
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