31
Compresse collana ideata e diretta da Francesco Trovato Comitato Scientifico Francesco Cacciatore Fabrizio Foti Paolo Giardiello Marta Magagnini Marella Santangelo
Il volume è frutto dell'attività di ricerca svolta nell'ambito del Dipartimento di Architettura dell'Università degli Studi di Firenze e beneficia di un contributo a carico del Finanziamento d'Ateneo per le pubblicazioni anno 2017 ISBN 978-88-6242-199-7 Prima edizione Dicembre 2017 © LetteraVentidue Edizioni © Francesco Collotti Tutti i diritti riservati Come si sa la riproduzione, anche parziale, è vietata. L'editore si augura, che avendo contenuto il costo del volume al minimo, i lettori siano stimolati ad acquistare una copia del libro piuttosto che spendere una somma quasi analoga per delle fotocopie. Anche perché il formato tascabile della collana è un invito a portare sempre con sé qualcosa da leggere, mentre ci si sposta durante la giornata. Cosa piuttosto scomoda se si pensa a un plico di fotocopie. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyright delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico: Francesco Trovato LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni
Francesco Collotti
Idea civile di architettura Scritti scelti 1990-2017
Indice 9
Premessa Vecchio e nuovo
15 21
Il portale con la corsa sospesa Costruzione, ricostruzione Tipo
33 47
Tipo come promessa di forma La pianta centrale Razionalismo e Maestri
57 69 77 85
Architektonisches Lehrbuch Più piccola è la casa e più in grande dobbiamo pensare La pianta è antica, l'alzato è una sorpresa Danteum la luce si fa corpo
95 109 113 119
Sette file di case, quartiere Vom Bauen und Wohnen Pensiero alto, fatto con poco. Karl Friedrich Schinkel (e Giorgio Grassi) Luoghi mediterranei
139 151 157 161 169 177 187 193 203
Terra d'Appennino e paesaggio dei caduti Une petite maison Casa dietro la collina Milano, disegno interrotto e frammenti di piani Corazzate sepolte in cima al monte Un'altra Europa, verso Oriente Paesaggi umani, i mari che non abbiamo attraversato Topografie meravigliose: palazzi sull’acqua e muri antichi Bibliografia
Premessa
Ho raccolto questi scritti a poco più di venticinque anni dal primo. Ho preferito organizzare il lavoro attorno ad alcune questioni, piuttosto che presentare i testi in ordine cronologico, così come invece erano stati pubblicati nel corso del tempo in riviste, atti di convegno, libri e altre occasioni. Alcuni argomenti fondativi sono posti nei primi due gruppi di temi che vengono qui affrontati. Sono questioni che un tempo ci facevano dichiarare una scelta di campo e un’appartenenza, e tuttora - per la verità - non mi sembra che siano venute meno le ragioni di dire apertamente da che parte si sta, continuando a indagare gli elementi ricorrenti e stabili del nostro mestiere, della città e del paesaggio, piuttosto che dedicarsi alle stupefacenti invenzioni dell’ultimo minuto (cosa che non saprei fare). Il rapporto tra vecchio e nuovo, posto qui all’inizio, resta ancora una questione centrale del nostro lavoro. E se in generale conoscere è strettamente connesso a riconoscere, anche costruire è a suo modo un ri-costruire, dando per acquisito che in architettura anticipazioni veloci (rare) corrono vicine a gesti antichi (più consueti). Ragionare sul tipo, cioè la seconda delle grandi questioni qui richiamate, resta a mio modo di vedere un punto di vista fondamentale nel mestiere dell’architetto, una delle mosse di apertura. Ogni progetto di architettura è una continua oscillazione tra la generalità del tipo e la specificità di un luogo. Questi contributi danno conto di un simile percorso e cercano di restituire il fatto che non ho mai
9
Il portale con la corsa sospesa
Il breve saggio esce in un numero di Firenze architettura dedicato al tema della soglia (2.2012). Ăˆ anche un omaggio alle passeggiate che facevo da piccolo per Milano con mia nonna Gina Pischel, fissando negli occhi cose che stavano andando perdute o che forse non c'erano giĂ piĂš. Immagine del portale di Sant'Aquilino in folio da Civica Raccolta delle Stampe A. Bertarelli, Castello Sforzesco.
14
Il San Lorenzo in fregio al corso di Porta Ticinese è uno spazio antico che sta dentro alcuni straordinari luoghi di tempo sospeso. Il grande atrio di Santa Sofia a Costantinopoli, i pilastri del San Vitale di Ravenna, l'ambulacro di colonne binate in Santa Costanza a Roma. Non è piÚ solo la solida grandezza romana del muro e della volta costruiti nella massa. Interni capaci di logge e sguardi, inusitate trasparenze; muri che divengono sequenze di pilastri, archi a rincorrersi, infilate di piani successivi che dicono di litania e non di progressione armonica. Spazio che trascolora per leggerezza, alleggerisce la cupola, mostra un lavorio che conforma l'interno non piÚ come negativo di un sodo murario. Eppure di nuovo piante centrali, radicate alla terra, scavate quasi, frammento e incunabolo dell'antico ancora in grado di generare progetto. Gli archeologi hanno qui lavorato a lungo, ma ci affascina ancora quell'incertezza che fa oscillare le colonne di San Lorenzo come quel che resta del formidabile impianto delle grandi vie porticate romane (Krautheimer, 1983), oppure frammento del palazzo imperiale che qui aveva come su una platea composto in metafisica cosmogonia il palazzo imperiale, la cappella palatina, il circo. La stessa costellazione del resto ritroviamo a Costantinopoli sulla punta di Sultanahmet, ippodromo palazzo cappella, la stessa grande pianta di Villa Adriana all'origine, composizione all'ennesima potenza?
15
La strada porticata che forse era qui, si insegue nelle città romane d'Africa bagnate dal Mediterraneo, per altra via verso Oriente lungo la Egnatia e da lì – passato il Bosforo – in Asia arriva fino a Tarso, la città di San Paolo (lungo il fiume colonne di granito grigio) per poi perdesi verso Aleppo (che ne sarà oggi delle colonne che, tramezzate sulla sezione, hanno avuto seconda vita nel suq?). San Lorenzo è luogo obbligato di passaggio dell'imperatore, è porta di città posta subito dopo la cerchia interna del Naviglio, San Lorenzo è gluommero – direbbe Gadda – e addizione di cappelle intorno al core. Leonardo chiamato, tra l'altro, a rimediare all'apparentemente non risolvibile tiburio del Duomo, fa poche centinaia di passi e si appassiona ai contrafforti di San Lorenzo, e ci piace pensare che siano suoi gli schizzi che hanno la pianta centrale come ossessione e quella struttura antica come esercizio di conoscenza. La farà Leonardo quella grande pianta, la farà a Todi in Santa Maria della Consolazione, ma su un poggio a mirare le belle colline ed è mirata, resa astratta in terra d’Umbria rispetto a quella città antica cui apparteneva. San Lorenzo dunque è un luogo di mezzo, cui in modo particolare ci piacerebbe pensare come a uno spazio che sa farsi tempo per antica maestria di architetti che hanno mutato le distanze in sequenze in passi, quasi un ritmo di respiro che ci vien chiesto per percorrerli, a dirci appunto di un tempo più lento. Così le porte e i varchi ci dovrebbero far accorti di una trasformazione, di una mutata condizione per via di passaggio di stato.
17
sino al mausoleo di Diocleziano a Spalato e alla rotonda di San Giorgio a Salonicco, altre più veloci anticipazioni che da Villa Adriana, attraverso alcuni battisteri, ci portano al San Lorenzo di Milano. Nella complessa vicenda di questo tipo emerge infatti la ricerca verso la cupola leggera. Una sorta di liberazione dal colossale per sostenere le ragioni di quella che Pier Luigi Nervi avrebbe definito naturale espressività estetica di una buona soluzione costruttiva. Lo spazio acquisisce articolazione e ricchezza, la luce diviene vero e proprio materiale da costruzione, capace di dar forma e conformazione all'interno. Come per tutti i tentativi, un'esperienza fatta di sbilanciamenti e ritorni, falsi movimenti e consolidate permanenze, osmosi di confine e adesione a riferimenti irraggiantisi da un centro ufficiale (e quale poi, Roma o Persepolis?). Una buona occasione forse per rimettere in discussione una visione eurocentrica dell’esperienza dell’architettura nel tempo, includendo invece nello studio del tipo a pianta centrale mondi e vicende distanti, che tengono al centro la forma e le necessità di un’aula che è luogo collettivo per eccellenza, piuttosto che luogo legato a una specifica ritualità e liturgia. A voler tracciare una genealogia si potrebbe porre all'inizio di questa nostra riflessione il padiglione di accesso alla piazza d'Oro in Tivoli, duecento anni prima della sala degli Orti Liciniani o Minerva Medica in Roma, per questa via arrivando fino alla piena maturità del tema con la vicenda di quei luoghi paralleli e analoghi che ci fa ritrovare il Santi Sergio e Bacco
49
Più piccola è la casa e più in grande dobbiamo pensare
Il breve saggio esce in un numero di Firenze Architettura dedicato al tema più con meno (2.2016). Accompagna il pezzo la tavola esecutiva di Tessenow per la casa atelier Nau-Roser, Lostau/Burg presso Magdeburg, 1912 (Faßauer-Archiv a Dresden/ Hellerau, courtesy Paolo Fusi, Theodor Böll, Volker Linke e Dietmar Katz per la riproduzione).
68
Più piccola è la casa e più in grande dobbiamo pensare. Ein gewisses grosses Denken, secondo Tessenow. Una forma alta di pensiero, a maggior forza messa in atto quando ci dobbiamo occupare di questioni che paiono minute. I giardini situati davanti alla casa, le finestre, le controfinestre, le porte, i pavimenti, i battiscopa, le pareti e i tetti, la stufa, i mobili. Ecco l'indice della parte dedicata alle abitazioni per lavoratori e piccolo borghesi di Der Wohnausbau (Tessenow, 1914), libro composto da Heinrich Tessenow con straordinari disegni e introdotto da un testo che entra nel dettaglio di questioni pratiche che la maggior parte degli architetti di oggi considererà fuori luogo o inattuali. Ed ecco, a seguire dopo l'indice, la sequenza serrata degli spazi per le abitazioni di piccole dimensioni: l'andito, il salotto, la cucina, la dispensa, la cantina, la scala, la camera da letto, il tetto, il lavabo, il bagno, il gabinetto, la stalla, il giardino. Per continuare a ragionare su simili questioni, ci si potrebbe permettere la libertà di un giudizioso accoppiamento tra due case che Tessenow progetta per una committenza molto diversificata. La casa-atelier NauRoser (1912) e il capanno abitabile nella Siedlung dei reduci di guerra a Rähnitz/Dresda (1919). Case figlie di una stagione in cui si costruiva in legno, non per moda, ma per necessità. Come sempre dovrebbe essere. E dentro questa economia di costruzione, comunque pensare generosamente allo spazio e alla vita. Generosamente! Cioè con animo grande, come
69
Pensiero alto, fatto con poco
Breve saggio dedicato al quartiere Ponti di Franco Albini a Milano pubblicato in Firenze Architettura n.1.2015, quaderno dedicato a costruire con poco. L'immagine – di provenienza IFACP poi IACPM e ora archivio Aler Lombardia – rappresenta la via centrale che infila le piccole corti e le teste interne delle schiere.
112
Il tram arancione, come usa qui, infila diritto le vie dal centro verso la periferia, terminando con un gran carosello la sua corsa dopo aver tagliato per il lungo tutto il quartiere cresciuto fuori da Porta Vittoria. A Franco Albini lo IFACP assegna un lotto sghimbescio, parallelogrammo un po' coricato in direzione di quello che sarà, anni dopo, l'ortomercato. Ancora una volta, da parte di Franco Albini, un esercizio di raffinata resistenza ai capricci del Piano e dei ritagliatori di lotti, che usavano la terra quasi fosse pasta per ravioli. E se Broglio, già architetto delle Amministrazioni socialiste, lavora nel Piano e con il Piano al punto più avanzato che gli è permesso, raggiungendo una elevata qualità e proponendo isolati definiti intorno alla domestica e collaudata misura del cortile milanese (non lontano dalla maniera dei migliori Höfe della Vienna Rossa), Albini cerca invece di buttarsi oltre l'ostacolo, dando luogo a una particolarissima illuminata forma di garbato contrasto al Piano. Aveva già affrontato il tema in modo esemplare nel quartiere Fabio Filzi in viale Argonne (1936) successivo alle prime sperimentazioni di San Siro, che sono del 1932. Albini cerca qui – nel quartiere Ponti – ancora una volta di far l'isolato senza il blocco chiuso (1939). Uno schema semplice e raffinato al contempo, composizione per una nota sola accoppiata e ripetuta per leggeri scostamenti e ricercate combinazioni. Pensiero alto, fatto con poco. Il tema del costruire povero ritorna nei quartieri
113
milanesi di Albini, sempre trasformato in occasione per architettura alta. I limiti sono qui una chance: paiono traversie e sono occasioni? Il programma obbligato di un'economia espressiva veramente ridotta all'osso, nel quartiere Ponti si fa nobilissimo cimento capace di evocare – per questi spazi che si inframmezzano tra le case – la qualità di piccole strade e piazze, realizzate pure in questa, che sarà città per i poveri. Erano tre le piccole corti/piazze che si susseguivano in sequenza, còlte traguardando la enfilade centrale che taglia il lotto per undici schiere di case, da erigersi secondo l'originario schema di Albini, tracciato con Renato Camus e Giancarlo Palanti. Nove furono costruite e oggi ne restano sette, che due schiere per complessivi quattro corpi di fabbrica vennero abbattute. Sette le file di case che sono oggi da vedere, a tre per tre intorno a due corti quadrate (col resto di una, posta in testata verso la città). Poco importa che oggi le recinzioni egoiste cerchino di fare a pezzi un'idea bella; essa resiste intelligente, più forte della stupidità fiscale e amministrativa che regge le recinzioni ed è piegata al particulare. Da dentro a fuori, come anche per le case si dovrebbe sempre fare. Le corti interne, per chi le veda dall'esterno del tutto inaspettate, sono una sospensione del ritmo rigoroso delle schiere parallele. Albini rispetta i fili stradali, ma non asseconda le testate al Piano, come al solito ruota gli isolati, li svincola dalle strade, segue il giro del sole. I frontespizi divengono le facciate
115
Une petite maison
Commento al volume di Le Corbusier pubblicato in Firenze architettura n.2. 2015 numero monografico dedicato a LC.
150
Più piccola è la casa e più in grande bisogna pensare (lo abbiamo detto altrove a proposito di Tessenow). Questa è la lezione che ci piace ogni volta rinnovare scorrendo le pagine de Une petite maison. Un libro che, come nella più parte delle pubblicazioni di cui LC è autore (eccezion fatta per il monumento Œuvre Complète), non è episodio di una collana, ma pezzo unico a sé stante. Ogni libro un capo d'opera, di un'opera unica, esemplare (12 cm x 16,4 di altezza). Ogni coppia di facciate una tavola messa in tensione e magistralmente bilanciata. Lo scritto alterna colpi secchi che non attendono replica (“Mére musicienne, père fervent de la nature”) alternati a un racconto che ti prende dentro e che mostra la durata semplice delle cose e gli occhi stupiti che si incantano a guardarla. I materiali da costruzione di questa casa sono l'acqua di lago e il monte davanti, al pari della paulonia e del ciliegio, del cemento e del ferro …le mur s'arrête et le spectacle surgit: lumière, espace, cette eau et ces montagnes... I materiali da costruzione di questa casa sono il sole che sorge, portato a penetrare nel sodo del muro per via di un lucernario, ma anche il passare del tempo, che sul tetto-terrazza ci sorprende col geranio selvaggio d'autunno che dilaga fin sui bordi della copertura. Il muro, origine e destino di ogni architettura: le mur qui ferme la vue è un'ala leggera in ombra che si staglia sul cielo, ci dirige lo sguardo, è capace di fare un “dentro” anche se per volta abbiamo il cielo.
151
Lo sguardo affina la ragione? E il paesaggio, per esser tale, non può che esser contenuto, inquadrato, limitato, dimensionato: ecco la decisione radicale boucher les horizons en élevant des mur et ne les révéler, par interruption de murs, qu'en des points stratégiques. La règle servit ici: murs nord, est et sud ont «cloîtré» le tout petit jardin carré de dix metres de côté et les en on fait une salle de verdure – un intérieur. Si fa sempre la stessa casa? I viaggi che abbiamo fatto, ritornano e sono materiale da costruzione per i progetti a venire. Ecco le case ottomane viste in oriente, ecco la piccola corte della certosa a Ema con le belle colline toscane sullo sfondo, ecco l'idea surrealista formidabile della Maison Beistegui da cui vedo i monumenti di Parigi posti sull'orizzonte artificiale di un muro che il guardo esclude. Questo è il luogo (e non il contesto, come lo chiameranno gli intellettuali, anni dopo): i muri di sostegno delle vigne sono la geografia della regione in apertura del libro, muri come i contadini li fanno; mentre tre linee increspate, a dire della terra del lago e del monte sono l'ultimo tratto colore verde acqua del volumetto, spalmato in inchiostro coprente e opaco. Che cos'è casa, allora? Saranno forse quei tre gradini intravisti dietro a una sedia in vimini senza tempo e quella porta a vetri che si apre verso l'esterno. Stagliata sull'interno di luce attenuata, una tenda vibra appena nel bianco che ce la porta avanti. Una colonnina esile sorregge lo sporto generoso del tetto cassettonato scuro. La luce e l'ombra sono, a maggior forza, materiali
153
Corazzate sepolte in cima al monte
Testo predisposto per il volume collettaneo Fortezze e vie d'acqua, esperienze di recupero in italia e in Europa / Fortification architecture and waterways, experiences of renovation on Italy and on Europe, Maggioli Editore, 2016 Santarcangelo di Romagna (RN). La fotografia in alto di Anna Positano mostra uno degli affacci del Forte di Pozzacchio (Trambileno – TN) verso la Vallarsa. (Restauro e recupero della fortezza ipogea austro-ungarica Forte Pozzacchio/Werk Valmorbia, 1997-2016: F.Collotti, G.Pirazzoli con S.Acciai, C.Balestri, M.Boasso, G.Cerri, N.Cimarosti, I.Corrocher, V.Fantin, G.M.Lalli, E.Medri, direzione lavori S.Aita, F.Collotti, G.Pirazzoli, strutture C. Senesi e Studio Aliboni-Tempesta). La fotografia in basso mostra una delle sale del Forte Belvedere / Werk Gschwent a Lavarone (TN). (Recupero della fortezza austroungarica di Belvedere/Werk Gschwent con destinazione a Museo della memoria della guerra e della pace, dei popoli e delle nazioni, della comunità e del territorio, 1998-2005: Francesco Collotti, Giacomo Pirazzoli con V.Fantin, S.Acciai, I.Corrocher, G.M.Lalli; consulente storico L.Fabi; direzione lavori F.Collotti e G.Pirazzoli; fotografie F.Collotti)
168
Dagli spalti di artiglieria bassi sul mare di Cadice fino – ad Oriente - alla mole, forse filaretiana, della fortezza di Gallipoli sui Dardanelli, i paesaggi fortificati cingono il Mediterraneo. E segnano i bordi delle montagne a Sella Nivea come a Pramand, marcano le coste le batterie a La Spezia o abbracciano il porto a Dubrovnik, spuntano in barbette ottagonali tra le isole delle lagune, oppure a tratti sembran gesti e corpi di giganti che stanno sottoterra e mostrano ogni tanto una schiena voltata, come l'aviorimessa ipogea di Pantelleria, o una vertebra di scale che arrampica una costa ripida dove la napoleonica Rocca d'Anfo si specchia nel lago. Aveva forse ragione quel vecchio che nei racconti di Mario Rigoni Stern - con un cercamine - vagava per i campi di battaglia della Grande Guerra ormai abbandonati, favoleggiando che anni addietro l'impero austroungarico avesse sepolto tra i monti incrociatori e corazzate piene di ogni materiale prezioso e di tesori nascosti. I paesaggi fortificati han vissuto stagioni diverse. E le fortezze abbandonate ebbero talvolta - per frammenti una seconda vita. CosÏ i bandoni calandrati di forte spessore costruiti negli arsenali degli Imperi sono andati a far stalle e porcilaie nel difficile successivo tempo di pace, e gli isolatori di porcellana e i quadri elettrici di marmo e ottone sono stati riusati nelle case civili ricostruite dopo l'esodo della guerra, cosÏ come del resto – tra l'ironia e il disprezzo - gli elmi col chiodo furono per anni usati in cima a un'asta di legno per svuotare i pozzi neri.
169
La natura si riprende il percorso capriccioso delle trincee sul Pasubio, tracciate per non farsi prender d'infilata dalle raffiche di mitragliatrice, la sabbia ricolma il silurodromo che sta allungato dietro alle Vignole, tra l'Arsenale di Venezia e la bocca di San Nicolò sorvegliata ancora da una delle più belle fortezze di Michele Sanmicheli, basamento in attesa di un palazzo che non verrà. Di alcuni luoghi tuttavia sarà bene recar ricordo, e trasformare questo fatto individuale in atto collettivo e corale, come solo la memoria sa fare (ci si sono cimentati Marco Paolini, Marco Baliani e i Wu Ming). E lo racconterai ai tuoi figli. Il passaggio è necessario per poi andare avanti. Per questa via, learning by doing, abbiam cercato col progetto di mettere in opera la memoria, con un gruppo di ricerca e di progetto che ha lavorato sul campo nell'arco degli ultimi vent'anni lungo il confine tra l'ex-impero austroungarico e l'Italia (con Giacomo Pirazzoli, un lavoro di lunga lena 1997-2017). Paesaggi riusati, ovvero della rivisitazione dei campi di battaglia attraverso il progetto di architettura. Messa in opera della memoria nei siti della Grande Guerra. Considerando la MEMORIA alla stregua di un bene culturale. Abbiamo dedicato molti anni a progetti e realizzazioni volte alla risignificazione di paesaggi fortificati attraverso operazioni di coltivazione architettonica dei luoghi. Alcuni musei ricostruiti tra gli enormi spessori di corazzate di pietra e cemento sepolte tra le montagne
171
Nella stessa collana: 01. Fabrizio Foti, Il paesaggio nella casa. Una riflessione sul rapporto architettura-paesaggio 02. Chiara Rizzica, L'inventario del costruito recente. Forme ed usi del quotidiano in Sicilia 04. Fabrizio Foti, Architettura. Realtà del divenire 05. Luigi Prestinenza Puglisi, Breve corso di scrittura critica 06. Paolo Giardiello, iSpace. Oltre i non luoghi 07. Marella Santangelo, Coderch e l'abitare collettivo 08. Pietro Giorgio Zendrini, Resistente – Widerrstandsfähig 09. Davide Vargas, Città della poesia. Una ricerca di [sopra]vivenza 10. Gennaro Postiglione, Interni. Metodi, azioni, tattiche [della ricerca] 11. Beniamino Servino, Architectura Simplex 12. Giovanni Corbellini, Housing is back in town 13. Luigi Spinelli, Gli spazi in sequenza di Luigi Moretti 14. Paolo Giardiello, Lettera (e non solo) ad uno studente di architettura 15. Giuseppe Todaro, Muratore di opera grave. Conversazione con Álvaro Siza Vieira. 16. Lorenzo Consalez, Pierluigi Salvadeo, Navigare sulla carta bianca 17. Alessandro Mauro, Tra virgolette2. 800 aforismi sull'architettura 18. Michela De Poli, Guido Incerti, Trasformazioni. Storie di paesaggi contemporanei 19. Fabio Guarrera, Insediarsi e costruire. Osservazioni sul progetto della piccola casa 20. Pietro Giorgio Zendrini, Architracce. L'intuizione dello spazio nell'uomo di montagna 21. Marella Santangelo, Lo spazio del corpo, I templi di Frida Kahlo 22. Enrico Frigerio, Slow Architecture, istruzioni per l'uso (eBook) 23. Pietro Giorgio Zendrini, Periplo. Circolo(i) nell'ordinaria natura delle cose 24. José Ignacio Linazasoro, La memoria dell'ordine, Paradossi dell'architettura moderna 25. P. Croset, G. Peghin, L. Snozzi, Dialogo sull'insegnamento dell'architettura 26. Angelo Torricelli, Palermo interpretata 27. Fabrizio Foti, Le Corbusier “La Clef ” 28. Alessandro Mauro, Il realismo e l'architettura italiana 29. Jacopo Leveratto, Dall'interno. Verso un approccio multiscalare all'abitabilità 30. Alberto Ulisse, Il Peso del Vuoto