06 Collana Alleli / Research Comitato scientifico Edoardo Dotto Nicola Flora Antonella Greco Bruno Messina Stefano Munarin Giorgio Peghin I volumi pubblicati in questa collana vengono sottoposti a procedura di peer-review da parte di esperti anonimi del settore ICAR 18
ISBN 978-88-6242-223-9 Prima edizione marzo 2017 © LetteraVentidue Edizioni © Chiara Ingrosso È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l'autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico e impaginazione: Martina Distefano Finito di stampare nel mese di marzo 2017 LetteraVentidue Edizioni Srl Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italia Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni
Indice
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Prefazione
13
Introduzione
21
La casa di proprietà
43
“La città privata”
62
Condomini
151
Un condominio sul Golfo
179 Biografie
PREFAZIONE di Alfonso Gambardella
A
vevo undici anni quando, un giorno del 1944, visitai Napoli. Vi ero già stato da bambino, qualche anno prima e mi era rimasto impresso il panorama da via Aniello Falcone e il Vesuvio fumante. Mi fu spiegato che il pennacchio annunziava una prossima eruzione che avvenne solo qualche tempo dopo, proprio in quel ’44, quando feci ritorno in città. Appena giunto fui investito da un insopportabile odore di polvere che impediva quasi di respirare. Mi resi conto che non era stato il Vesuvio a procurare ingenti danni ma i bombardamenti che avevano abbattuto centinaia di palazzi. Mi apparve una città semi distrutta con cumuli di macerie ovunque. Quando nel 1951 iniziai a studiare Architettura, Napoli divenne la mia città, il posto dove vivo ininterrottamente da sessantasei anni e dove mi sento figlio perché l’ho vissuta nei suoi tanti corpi e nella sua anima con intensità di cittadino e di studioso. In quel dopoguerra di sole splendente e di gravi contraddizioni vidi un sito che in sette anni si era in buona parte ricostruito, molti edifici nuovi e enclave urbane erano di notevole fattura. In Facoltà si dibatteva molto sulla validità dei nuovi interventi. Come spesso accade, le idee erano molto contrastanti e ad esporle, più volte, erano gli stessi autori delle opere. La Scuola di Architettura, fondata a metà degli anni Trenta, aveva docenti valorosi, come la prima laureata Stefania Filo Speziale, Carlo Cocchia, Giulio de Luca e il più anziano ma sofisticatissimo preside Marcello Canino. Tutti erano divenuti architetti prima della guerra e con loro insegnavano altri autori di grande spessore anche in discipline non direttamente compositive o progettuali concorrendo brillantemente alla formazione degli allievi. Inoltre, tanti giovanissimi autori svolgevano funzioni di assistente. Ricordo Michele Capobianco, Ezio Bruno De Felice, Alfredo Sbriziolo, Arrigo Marsiglia, Francesco della Sala, Steno Paciello, Marcello Angrisani e altri ancora di notevole qualità.
9
INTRODUZIONE
Il
condominio come oggi lo conosciamo nacque ufficialmente durante il fascismo, quando a partire dal 1939 furono introdotte le sub-unità catastali e i piani degli edifici poterono essere suddivisi in appartamenti di diversa proprietà. Nel dopoguerra, i processi di ricostruzione uniti a quelli di modernizzazione che coincisero con il boom economico (1958-1963) diedero il via alla proliferazione di questa modalità abitativa e quindi a nuove forme di sfruttamento intensivo del suolo. Oggi, all’indomani della crisi economica partita dagli Stati Uniti causata dai mutui subprimes, il tema continua ad essere di estrema attualità risultando drammaticamente evidente nell’economica mondiale l’importanza del mercato immobiliare basato sui capitali familiari e agevolato dai crediti bancari. Si tratta, insomma, come ha rilevato Maurice Aymard, di una storia di lunga durata e la diffusione del condominio rappresenta l’ultimo capitolo di una vicenda legata allo sviluppo della città contemporanea, che arriva fino ai nostri giorni1. Questo libro è un lavoro in itinere che vuole avviare una riflessione sul condominio come luogo dell’abitare moderno a Napoli nel secondo dopoguerra raccogliendo la letteratura sull’argomento e cercando di problematizzare alcune interpretazioni consolidate. Esso rappresenta, inoltre, l’esito di un impegno corale, poiché si è sviluppato in parallelo con i corsi di Storia dell’Architettura e del Design che ho tenuto tra il 2013 e il 2015 presso il Dipartimento di Architettura e Design della Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”, nonché mette insieme i risultati di una serie di tesi di laurea che ho seguito personalmente. Uno degli obiettivi del testo è di mettere in discussione il carattere di eccezionalità dell’architettura privata residenziale napoletana realizzata 1. LANARO Paola, La storia economica e l’edilizia: intervista a Maurice Aymard, in BARBOT Michela, CARACAUSI Andrea, LANARO Paola (a cura di), “Città & Storia”, n. 01-09, “Lo sguardo della storia economia sull’edilizia urbana”, Roma 2009, pp. 21-25.
13
CONDOMINI
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1.
Edifici in via Mergellina 2 Vittorio Amicarelli, 1949-50
2.
Edificio in via Orazio 6 Antonio Scivittaro, 1951
3.
Edificio in via Orazio 10 Renato Avolio De Martino, 1948
4.
Villa Orazio, via Orazio 28 Renato Avolio De Martino, 1964-68
5.
Edificio in via Orazio 52 Marcello Angrisani, Stefano Paciello, 1953-55
6.
Palazzina in via Orazio 105 Francesco Di Salvo, 1968
7.
Edificio in via Manzoni 131, ex Parco Fossataro Francesco Di Salvo, Vittorio Amicarelli, 1948-54
8.
Parco Sereno, via Petrarca 74 Raffaello Salvatori, 1952-55
9.
Edificio in via Petrarca 141 Stefania Filo Speziale, 1953
10.
Palazzine in via Petrarca 203-205-207 Davide Pacanowski, 1950-59
11.
Palazzo Della Morte, corso Vittorio Emanuele 167 Stefania Filo Speziale, 1951-57
12.
Edificio in via Francesco Giordani 23 Giulio De Luca, 1956-60
13.
Palazzine al parco Comola Michele Capobianco, Arrigo Marsiglia, 1952-55
14.
Edificio in via Cappella Vecchia 3 Fernando De Blasio, 1958
15.
Edificio in via Partenope 11 Renato Avolio De Martino, 1953-58
16.
Palazzo Decina al parco Grifeo Michele Capobianco, Giulio De Luca, 1956-60
17.
Edificio in via Palizzi 63 Carlo Cocchia, 1957
18.
Casa Sacchi, via Timavo 49 Luigi Cosenza, Gregorio Nunziante, 1959-64
19.
Palazzina in p.tta Santo Stefano Michele Capobianco, 1956-59
20.
Edificio in via Ponte di Tappia 62-82 Raffaello Salvatori, 1949-63
63
01. EDIFICI IN VIA MERGELLINA 2 VITTORIO AMICARELLI, 1949-50 Il progetto per i due edifici ad uso abitativo nei pressi di Largo Sermoneta, commissionato dalla Società Immobiliare di Mergellina nel 1949, prevedeva la realizzazione di due fabbricati, uno accessibile da via Mergellina e l’altro accessibile anche da via Orazio, entrambi rivolti verso il golfo di Napoli. Le scelte progettuali dell’architetto furono improntate all’uso di sistemi razionali, con moduli e forme estremamente semplici, secondo i principi del funzionalismo. Il primo fabbricato, di otto piani fuori terra, ospita solo due appartamenti per piano di diverse dimensioni e tipologia, pensati come ambite residenze di lusso per l’alta borghesia. L’intera costruzione si aggancia a ‘’U’’ attorno al blocco dei collegamenti verticali e a un chiostro interno che dà luce agli ambienti di servizio, collocati al piano primo. L’immagine dell’edificio rimanda all’idea di un cubo, il cui fronte strada è un quadrato perfetto di circa 28 metri di lato. Ogni appartamento è composto da un ampio ingresso, salone, cucina, tripli servizi, tre camere da letto, una stanza per la servitù e ampie balconate, di 66
cui una rivolta verso la strada principale. Il secondo edificio, con accesso da via Sermoneta, è posto a una quota superiore rispetto al primo, con un portico parzialmente carrabile collegato con il cortile del sottostante fabbricato e occupa una superficie maggiore, permettendo la disposizione di quattro appartamenti per piano. L’articolazione planivolumetrica è più complessa per ragioni legate alla particolarità dei salti di quota esistenti e presenta soluzioni linguistiche in sintonia con l’immagine del precedente, ma con elementi di maggiore interesse sul piano tipologico. Gli ultimi due livelli del grande edificio multipiano sono infatti occupati da appartamenti duplex incentrati su un soggiorno a doppia altezza, con una scala interna che porta a uno studiolo con affaccio sull’ambiente sottostante e dal quale si accede alle camere da letto. Si tratta di una soluzione cui Amicarelli dovette attribuire una certa importanza, dal momento in cui decise di realizzare un plastico degli interni completo di tutti gli elementi di arredo, nel tentativo di offrire
Foto da Largo Sermoneta, primi anni ‘50 (AVA) Prospetto sud del fabbricato “B” (AVA)
modelli poco sperimentati a Napoli fino ad allora, come mostra anche la presenza di servizi comuni e di una lavanderia centralizzata. (VS)
Prospettiva dei due edifici visti da Largo Sermoneta, disegno a china di V. Amicarelli (AVA)
Fonti e bibliografia: Archivio privato Vittorio Amicarelli; MENNA Giovanni, Vittorio Amicarelli Architetto 1907-1971, ESI, Napoli 2000; “Domus” n. 271, giugno 1952, pp. 64-66. 67
70
02. EDIFICIO IN VIA ORAZIO 6 ANTONIO SCIVITTARO, 1951 L’edificio insiste su di un terreno originariamente di proprietà della SPEME (Società Partenopea di Edilizia Moderna ed Economica) ubicato all’inizio del costone di Posillipo, immediatamente sopra il porticciolo di Mergellina. L‘immobile occupa una superficie totale di circa 800 mq e doveva originariamente ospitare locali espositivi, commerciali e residenziali. Per andare incontro a tali esigenze, Scivittaro decise di separare nettamente tali funzioni, dividendo l’edificio in tre parti. La parte basamentale, con ingressi indipendenti e destinata alle attività commerciali, si distacca nettamente rispetto al resto dell‘edificio sia dal punto di vista dell’uso dei materiali che dal punto di vista morfologico. Questa parte è infatti in pietra (mentre la parte superiore è in intonaco bianco liscio), aggettante rispetto ai piani superiori e si adatta alla forte pendenza di via Orazio. La parte centrale, che costituisce il cuore dell’edificio, è destinata invece alle residenze e si sviluppa su sei livelli, ciascuno con quattro alloggi per piano, serviti da due vani scala a cui si accede dal retro dell’edificio. L’alloggio tipo, di circa 200 mq, è composto da una zona giorno orientata a sud con soggiorno, sala da pranzo, studio
e camera da letto, mentre la cucina è posizionata a nord insieme ai servizi e a una seconda camera da letto. Le piante degli alloggi seguono le regole delle cellule razionaliste “in linea” e l’orientamento dei vani è stato accuratamente studiato in modo da sfruttare al massimo la vista sullo splendido panorama del Golfo; a testimonianza di ciò i balconi sono leggermente inclinati rispetto al profilo dell’edificio. Il piano attico, dove si trova l’alloggio del proprietario (il costruttore), si innesta sul volume dell’edificio, creando insieme alle rampe, ai tornanti e alla pendenza della strada, una composizione fortemente dinamica. Il merito principale di Scivittaro in questo progetto è stato quello di creare un edificio che si inserisce perfettamente nel paesaggio, dialogando con esso come se ne fosse parte integrante. (OT-NG) Fonti e bibliografia: TINTORETTO Filippo, Antonio Scivittaro attività professionale, studi progetti concorsi e opere realizzate dal 1946 al 1976, E.S.I., Napoli, 1976, pp, 15-16; CASTAGNARO Alessandro, Architettura del '900 a Napoli. Il noto e l'inedito, ESI, Napoli 1998; “Architetti”, n. 21-22, Firenze 1953.
Prospetti (OT-NG) Foto del prospetto dell’edificio su via Orazio (GL) 71
07. EDIFICIO IN VIA MANZONI 131, EX PARCO FOSSATARO FRANCESCO DI SALVO, VITTORIO AMICARELLI, 1948-54 Nel 1948 Francesco Di Salvo redasse un piano di lottizzazione corredato di un planivolumetrico per un grande parco che si sarebbe sviluppato su quella parte della collina di Posillipo compresa tra Via Nevio e Via Manzoni e sottoposta a convenzione tra il Comune di Napoli e la SPEME. Si trattava di un parco composto da palazzine 82
tutte di impianto marcatamente razionalista, diverse per tipologie e dimensioni e orientate a sud, verso il Golfo. A Di Salvo fu affidata inoltre la progettazione dell’edificio piÚ a nord del complesso ubicato in Via Manzoni, insieme a quello in via Scapece e di due edifici accessibili da via Nevio (contrassegnati dai numeri 1, 2, 8 e 9 del
Foto dell’edificio in via Manzoni, prima metà degli anni ‘50 (AVA)
planivolumetrico), ma non è dato sapere se l’architetto fosse stato incaricato della progettazione esecutiva anche delle altre palazzine del parco. La lottizzazione fu sottoposta dalla SPEME a regolare approvazione da parte della Commissione per il Panorama della Soprintendenza. Nella lettera che dava l’assenso alla realizzazione del progetto si faceva esplicito riferimento all’altezza dell’edificio numero 9, corrispondente a quello che attualmente coincide con il civico 131 di via Manzoni, considerato in linea di massima troppo alto, e il cui eventuale ridimensionamento era consigliato in
fase di esecuzione. Si suggeriva altresì la possibilità di ridurre i suoi otto piani, ricavando ulteriori vani in un corpo di fabbrica da ricavarsi sotto il piano stradale di via Manzoni. Il progetto di Di Salvo recepì il suggerimento di ridurre i piani prevedendo un nuovo fabbricato sottoposto, ma, nonostante ciò, la Soprintendenza sospese i lavori quando l’edificio su via Manzoni era ancora in fase di cantiere ed era stata eseguita la sua struttura a scheletro in cemento armato. Era quindi stato impostato l’impianto planivolumetrico dell’edificio, con il lato lungo disposto lungo la dorsale collinare. 83
10. PALAZZINE IN VIA PETRARCA 203-205-207 DAVIDE PACANOWSKI, 1950-59 Nel 1950 l’impresa Laudiero affidò a Davide Pacanowski il progetto per un complesso residenziale da realizzarsi su di un lotto ceduto dalla SPEME lungo la via Panoramica (ora via Petrarca). Quel tratto della strada si presentava al momento dell’acquisto ancora per lo più libero, né era sbancato il terreno su cui sarebbero state realizzate le palazzine, essendo ancora occupato da un massiccio costone tufaceo. Modellando il tufo in modo da sfruttare al massimo la panoramicità del sito, Pacanowski fa realizzare a partire dal 1951 due terrazzamenti collegati da un viale privato, disponendo sul piano sovrapposto due palazzine (del tipo “C” e “B”) collegate a formare un unico complesso residenziale, mentre lungo la strada colloca una palazzina (del tipo “A”) che verrà affiancata da altri due edifici della medesima tipologia, ultimati nel 1959. Le palazzine sono tutte orientate verso il Golfo e l’apertura verso il mare è ribadita dalla presenza sulle facciate principali, disposte a Mezzogiorno, di ampie terrazze con 94
aggetto variabile, profonde fino a tre metri. Complessivamente, gli ambienti di rappresentanza sono a Sud e sono dotati di ampie finestrature, mentre gli ambienti di servizio sono disposti sul retro, rivolti verso il costone di tufo, così come tutti gli ambienti che si vuole schermare dal sole. Da questi spazi meno visibili e di servizio (dove sono ubicati anche i garage) partono le scale elicoidali esterne, collocate al centro delle facciate, che articolano in maniera imprevista il retro degli edifici e che di fatto costituiscono le uniche scale dei manufatti. La loro presenza testimonia, oltre che un’abile trovata per risparmiare cubatura, la perizia costruttiva del progettista e l’influenza della lezione di Le Corbusier, cui le scale sono debitrici per la forte valenza plastica. L’attenzione per gli aspetti costruttivi si evince, oltre che dalla struttura in cemento armato calcolata dallo stesso Pacanowski, dalla scelta di una serie di soluzioni tecnologiche avanzate per l’epoca, come gli ascensori molto innovativi, il sistema di riscaldamento, di acqua calda e di radio e tv centralizzato, l’isolamento dei solai.
Disegni originali dei prospetti (ADP)
Tutti gli spazi vuoti tra una palazzina e l’altra sono occupati da vegetazione e complessivamente tutti i piani terra sono sistemati a giardino. La passione per la botanica che caratterizza Pacanowski, e che costituisce il contraltare alla sua formazione tecnica, si evince chiaramente dal ruolo che egli dà al
Foto dei prospetti su via Petrarca, metà anni ‘50 (ADP)
verde nella composizione degli spazi, arrivando a progettare nel dettaglio le fioriere “a catena” come parte integrante delle balaustre delle terrazze. L’effetto di integrazione non mimetica del dato artificiale con quello naturale è amplificato dalla scelta dei colori accesi dei rivestimenti (giallo, rosso e verde) 95
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16. PALAZZO DECINA AL PARCO GRIFEO MICHELE CAPOBIANCO, GIULIO DE LUCA, 1956-60 Nel 1816 Ferdinando IV di Borbone donò alla moglie Lucia Migliaccio Grifeo, duchessa di Floridia, una villa ubicata sulla collina del Vomero, affidandone la ristrutturazione all’architetto Antonio Niccolini; quella che divenne Villa Lucia, uno degli esempi più illustri dell’architettura neoclassica partenopea, era circondata da una vasta tenuta che l’architetto Niccolini trasformò in un giardino “all’inglese”, oggi noto come parco della Floridiana. Fino alla fine del XIX secolo, Villa Lucia spiccava nel suo stile pompeiano sulla collina del Vomero interamente verde. Con l’apertura del viale Maria Teresa di Savoia (poi corso Vittorio Emanuele) alla metà del secolo e con l’inizio dell’urbanizzazione del quartiere del Vomero, nonché con il completamento a ridosso della collina di alcuni importanti brani del “Rione Principe Amedeo” a partire dal 1885, la vasta tenuta Grifeo si trovò al centro di un’area che stava rapidamente consolidando il suo ruolo di polo borghese della città. La proprietà Grifeo fu oggetto di diverse successioni fino a che fu venduta nel 1868 a Giacomo Enrico Young, il padre del noto architetto Lamont Young, che acquisì anche il diritto di accesso dal Corso Vittorio Emanuele attraverso una nuova strada che risaliva la collina.
Foto dell’edificio dal parco Grifeo , seconda metà degli anni ‘50 (Paolo Monti, AMC)
Alla morte dei genitori, Lamont Young divenne unico erede della Villa Lucia e del parco Grifeo, di modo che tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo esso divenne il suo privilegiato campo di sperimentazione. In particolare, qui realizzò il “castello Lamont”, costruito nel 1902 in stile neomedioevale, che divenne la sua residenza personale fino al 1904, quando fu acquistato dal banchiere Carlo Aselmeyer divenendo appunto “castello Aselmeyer”. Nei terrazzamenti del parco Grifeo, che salgono fino al Vomero, sono state costruite nel corso del Novecento numerose palazzine , tutte via via abitate dall’alta borghesia locale. Negli anni Venti anche Adolfo Avena aveva progettato una sua villa in stile eclettico proprio all’inizio della rampa d’accesso del parco, cui fu accostato tra il 1934 e il 1935 un altro edificio residenziale realizzato dalla Lamaro costruzione a testimonianza del perdurare dell’attività edilizia anche durante il regime. Il Piano Regolatore di Piccinato nel 1939 sancì invece la non edificabilità del parco Grifeo e di tutto il costone a ridosso del corso Vittorio Emanuele per l’alta valenza paesistica (zone panoramiche di primo grado). Nel secondo dopoguerra, ancora pieno di pini, il parco fu definitivamente densificato da un grande numero di nuove abitazioni, grazie a licenze in deroga che consentirono di ovviare al vincolo paesaggistico. Infatti a partire dal 1956, mentre Stefania Filo Speziale (con Carlo Chiurazzi e Giorgio di Simone) progettava 125
18. CASA SACCHI, VIA TIMAVO 49 LUIGI COSENZA, GREGORIO NUNZIANTE, 1959-64 La versione definitiva del progetto di Casa Sacchi risale al 1960 e reca la firma degli ingegneri Luigi Cosenza e Gregorio Nunziante. L’edificio sorse su di un suolo di proprietà dell’ingegner Serapione Sacchi, che si riservò la direzione del cantiere. L’edificio era stato progettato per ospitare oltre che residenze da immettere sul mercato, la casa e l’ufficio del costruttore Sacchi, e dei locali di pertinenza del circolo Tennis Vomero, storico club napoletano la cui sede principale dal dopoguerra si trovava nella non distante via Rossini. Dieci anni dopo il Tennis Club Napoli, a Cosenza, sta volta insieme a Nunziante, fu affidato il progetto per un altra piccola sede ricreativa dedicata al gioco del tennis. Il lotto occupa un’area in dislivello a ridosso di corso Europa, sulla collina del Vomero. La palazzina ha una forma compatta ad “H” ed è composta da due corpi di fabbrica paralleli e leggermente concavi, in modo da “aprirsi” verso il paesaggio, a loro volta raccordati da un corpo centrale adibito ai 134
collegamenti verticali e ai servizi, che ospita al piano terra la hall con la guardiola del portiere. Per ovviare alla scarsa illuminazione del corpo scale centrale, i progettisti collocano sul solaio di copertura un lucernaio in vetrocemento. Al di sotto della quota dell’ingresso, nel dislivello sono ricavati due piani parzialmente interrati per garage e depositi, mentre sul lato nord-ovest è ubicato l’accesso ai locali del circolo del tennis che al livello -1 è dotato di un’ampia terrazza. Il piano terra era originariamente adibito a negozi e retrobotteghe, all’alloggio del portiere e all’ufficio Sacchi, mentre i restanti cinque livelli erano per le abitazioni. L’appartamento per la famiglia del costruttore era al piano attico ed è progettato secondo il principio razionalista delle “ville sovrapposte”, vale a dire leggermente arretrato rispetto al filo dell’edificio e dotato di un sistema continuo di logge di coronamento. Complessivamente, la scelta tipologica, insieme alla disposizione del manufatto, permette il massimo soleggiamento
Prospetti. Sul prospetto ovest, si legge la terrazza del circolo del tennis (ALC)
agli ambienti interni distribuiti in base ad uno schema di pianta perfettamente funzionale. La pianta tipo è costituita da quattro alloggi di 110 mq, ciascuno articolato secondo i tre gruppi: soggiorno, letti e servizi. La zona giorno occupa la posizione privilegiata ed è articolata da un’ampia loggia, mentre i servizi, con accesso autonomo,
Pianta del piano tipo (ALC)
presentano anche il tradizionale ambiente del tinello. Le camere da letto, tre per appartamento, sono disposte lungo i lati brevi della “H”. Tutti gli ambienti sono dotati di spazi esterni coincidenti con logge di diversa profondità. Le logge pertinenti ai servizi risultano progressivamente più arretrate man mano che si raggiungono quote 135
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20. EDIFICIO IN VIA PONTE DI TAPPIA 62/82 RAFFAELLO SALVATORI, 1949-63 L’edificio fu progettato da Raffaello Salvatori su committenza di Azzi, Troise e Serrano, quest’ultimo titolare dell’impresa che realizzò l’opera. Esso è collocato tra via Bracco, via Ponte di Tappia e Largo Torraca, un’area che costituisce il completamento del nuovo Rione Carità. L’edificio è di pianta trapezoidale con un cortile centrale e combina le tipologie “a corte”, “a torre” e “in linea”. È composto da dodici piani, con un basamento di quattro piani arretrato rispetto al filo della facciata, per lo più vetrato e adibito a garage e uffici, su cui si sviluppano le abitazioni. Vi si accede da tre ingressi, due su Via Ponte Foto del prospetto da Largo Torraca, inizio anni ‘60 (ARS)
di Tappia e l’altro su via San Tommaso D’Aquino. Ogni piano presenta tre appartamenti. L’alloggio compreso tra via Ponte di Tappia e via Tommaso d’Aquino ha una pianta quadrangolare di 180 mq circa e si divide funzionalmente in due parti ciascuna con un ingresso indipendente: la zona giorno che affaccia su via Ponte di Tappia, con un ampio soggiorno che si sviluppa in tre ambienti più una camera da letto, e la zona notte, con altre due camere da letto più i servizi, su via Tommaso D’Aquino. Una balconata continua corre lungo tutti i prospetti garantendo spazi esterni per ogni camera. Tutte le facciate dell'edificio sono decorate Foto dell’artista Tullia Matania mentre disegna i bozzetti dei pannelli di rivestimento dei prospetti (ARS) 147
UN CONDOMINIO SUL GOLFO Gli anni Cinquanta e Sessanta videro la diffusione in tutta Italia di modelli intensivi di abitare: palazzine multipiano isolate o inserite in parchi residenziali, condomini che seguono la trama della città consolidata aggregati a formare “cortine urbane” oppure, specie in contesti periferici, edifici isolati, conformati secondo i regolamenti edilizi, dotati di spazi collettivi e verdi, e così via. Esistono numerose analogie e temi ricorrenti nei condomini realizzati durante gli anni del boom nelle grandi città italiane, nonostante, nella maggioranza dei casi, esistano innegabili differenze in termini di qualità e sperimentazioni edilizie raggiunte, per esempio, a Milano rispetto a Roma e Napoli. Nel contesto romano, in virtù della morfologia urbana della capitale composta per interi brani da un sistema di lottizzazioni a scacchiera, ebbe ampia diffusione la palazzina. Tipologicamente essa si compone di un volume isolato sui quattro lati, di altezze variabili, e con chiostrina centrale. A Milano, invece, a causa del tessuto edilizio ripartito per isolati, furono realizzati complessi residenziali con cortili interni affiancati a creare cortine continue di altezze omogenee; la critica li ha chiamati condomini facendo esplicito riferimento al loro regime di proprietà103. A Napoli la palazzina fece capolino a partire dall’inizio del Novecento soprattutto nelle aree di espansione della città antica. Complessivamente, però, fino agli anni Trenta la tipologia residenziale più comune era costituita da blocchi multipiano “a corte”. Il condominio isolato si diffuse in molte aree urbane solo a partire dal dopoguerra e fu impiegato a seconda della normativa e della complessa orografia della città. Nonostante queste differenze, è possibile riscontrare numerose analogie tra le varie soluzioni ideate per articolare i volumi e i prospetti dei condomini delle tre città italiane. Alcune di esse si trasformarono
Termini e formule
103. IRACE Fulvio, Milano Moderna, Federico Motta, Milano, 1996, pp. 50-58.
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