ISBN 978-88-6242-235-2 Prima edizione italiana Giugno 2017 Prima ristampa Dicembre 2017 © LetteraVentidue Edizioni © Stefano Amato Tutti i diritti riservati È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico e impaginazione Giuseppe Scirè Banchitta Illustrazioni Giuseppe Scirè Banchitta LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa Web www.letteraventidue.com Facebook LetteraVentidue Edizioni Twitter @letteraventidue Instagram letteraventidue_edizioni
Stefano Amato
Archimede di Siracusa
INDICE
Introduzione
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PARTE PRIMA – VITA
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Un uomo in anticipo di 2500 anni
Viaggio ad Alessandria La vite di Archimede La Syracusia "Eureka"
PARTE SECONDA – OPERE Sull'equilibrio dei piani La quadratura della parabola Della sfera e del cilindro Sulle spirali Sui conoidi e sferoidi Sui corpi galleggianti La misura del cerchio Arenario Stomachion Metodo dei teoremi meccanici Il problema dei buoi
PARTE TERZA – MORTE
L'assedio di Siracusa La catapulta L'artiglio di Archimede Specchi ustori Fine dell'assedio e morte di Archimede
PARTE QUARTA – RESURREZIONE Il palinsesto di Archimede Conclusione
Bibliografia e Link
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ARCHIMEDE DI SIRACUSA
ÂŤEra totalmente assorbito dalle sue scoperte, e non si curava minimamente di quanto gli accadesse su questa terra, come Archimede durante la presa di SiracusaÂť Charles Dickens, Dombey e figlio
INTRODUZIONE UN UOMO IN ANTICIPO DI 2500 ANNI
N
ell’Assedio di Siracusa, un film “spade e sandali” del 1960 diretto da Pietro Francisci, Archimede – interpretato da Rossano Brazzi – è il protagonista di un melodramma bellico. Nonostante sia promesso sposo alla figlia di re Ierone II (Gino Cervi), s’innamora di Artemide (Tina Louise, più nota probabilmente per L’isola di Gilligan), la quale lascerà la Sicilia per Roma, dove cadrà tra le braccia di Marcello, il generale romano che guiderà la presa di Siracusa. Inutile dire che per Archimede difendere la propria città e riconquistare Artemide saranno due facce della stessa medaglia. Forse grazie al suo attore protagonista – Rossano Brazzi era uno degli italiani che ce l’aveva fatta a Hollywood – il film fu esportato in America con il titolo Siege of Syracuse [1]. È interessante dare un’occhiata al poster americano del film. Con sullo sfondo una Siracusa in fiamme, Archimede è ritratto dietro a una specie di grossa antenna satellitare che sembra emettere potenti raggi laser. In effetti un riquadro in basso ci dice che “Egli sfruttò l’energia del sole per distruggere l’intera flotta romana!” Aitante e con i capelli neri nonostante in realtà al tempo dell’assedio fosse già ultrasettantenne, il nostro pare avere qualche difficoltà a manovrare il grande specchio ustorio, non tanto per le dimensioni dell’attrezzo, quanto perché nel frattempo una discinta ragazza gli si è appesa impaurita a una gamba. In un altro riquadro, una cartina del Mar Mediterraneo informa il pubblico americano su dove si trovino Roma, Siracusa e Cartagine (la quale, forse per motivi di spazio, viene posizionata a Malta).
In alto, una scritta in maiuscolo rosso recita “L’INCREDIBILE SCIENZA SEGRETA DI ARCHIMEDE …”; e subito sotto, in minuscolo: “L’uomo in anticipo di 2500 anni sul proprio tempo”. Nonostante poco, pochissimo, si sappia della vita del matematico, fisico e inventore siracusano, è comunque facile puntare il dito sul gran numero di inesattezze contenute nella sceneggiatura del film e nel suo poster americano. Ma su qualcosa non possiamo che trovarci d’accordo: che fosse davvero un uomo in anticipo sui propri tempi. In anticipo Archimede non lo fu soltanto per le sue invenzioni pratiche come gli specchi ustori (che, come vedremo, è probabile nemmeno siano esistiti), ma anche e soprattutto per la quantità di scoperte che fece nel campo della matematica, della fisica, dell’ottica, della meccanica, dell’astronomia, dell’idrostatica e della statica (due scienze, queste ultime, che in pratica fondò). Gli storici sono d’accordo nell’affermare che le sue dimostrazioni e il modo in cui le esponesse mostravano un’originalità e al tempo stesso un rigore che niente hanno da invidiare a lavori analoghi della geometria contemporanea. Per citare solo alcuni dei suoi contributi alla matematica: • Archimede applicò il concetto di infinito e il metodo di esaustione (una forma ancestrale di integrazione) per dimostrare una serie di teoremi geometrici, come il calcolo della superficie di un cerchio, il volume di una sfera, l’area racchiusa in una parabola, anticipando, e di molto, il moderno calcolo infinitesimale e l’analisi matematica. • Ricavò un valore approssimativo di π – il pi greco – che lascia tuttora esterrefatti per la vicinanza al valore reale. • Descrisse e studiò la spirale che, non a caso, chiamiamo ancora oggi “archimedea”. • Inventò un metodo innovativo – e, di nuovo, in largo anticipo sui tempi – per rappresentare numeri troppo grandi per essere tracciati su una pergamena, servendosi di qualcosa di simile a quelli che oggi chiamiamo esponenziali. • Fu tra i primi ad applicare concetti matematici a fenomeni fisici che niente parevano avere a che fare con il mondo dei numeri, in risposta a quesiti quali: perché certi corpi galleggiano mentre altri affondano? Perché una leva si comporta come sappiamo?
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PARTE PRIMA. VITA
azione ci meravigliamo di non averci pensato prima noi. In realtà, nonostante porti il nome di Archimede e si consideri una sua invenzione, qualcuno potrebbe averci veramente pensato prima di lui. Alcuni autori, come Strabone (60 a.C.-24 d.C. circa), descrivono viti simili impiegate per irrigare i mitici giardini pensili di Babilonia, sebbene quelle fossero di bronzo e funzionassero con un meccanismo più complicato e pesante da avviare. Una teoria potrebbe essere quindi che Archimede, vista una vite rudimentale in azione in Egitto, potrebbe averne perfezionato il funzionamento; usando materiali più leggeri come il legno rese il meccanismo più efficiente, e al ritorno in Sicilia introdusse la sua versione della vite nella cultura ellenistica. È un fatto comunque che lo strumento porti ancora oggi il suo nome, e che sia tuttora possibile vederlo usare per irrigare i campi in alcune regioni rurali dell’Egitto. Non solo: evoluzioni della vite di Archimede vengono impiegate ai giorni nostri per bonificare alcune zone paludose dei Paesi Bassi. Nel 2001 uno strumento simile ha permesso di stabilizzare la Torre di Pisa, rimuovendo del terreno saturo d’acqua dal lato settentrionale della Torre, e lasciando poi al peso della struttura il compito di compensare il vuoto creato.
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Il bello di una vite di Archimede è che funziona anche all’inverso: ovvero, anziché trasformare energia cinetica in movimento dell’acqua, può trasformare il movimento dell’acqua in energia cinetica, come nel caso di alcuni tipi di turbine impiegate nelle centrali idroelettriche. Sul principio della vite archimedea si basa, stringi stringi, anche il concetto di elica usata come mezzo di locomozione. Che cos’è un’elica se non una vite archimedea estremamente compatta e potente? Forse non è un caso che il prototipo di elicottero rudimentale progettato da Leonardo Da Vinci prevedesse la presenza di una vite archimedea in cima al veicolo. O che il primo piroscafo a vapore a utilizzare un motore a elica, varato nel 1839, fu battezzato SS Archimedes. A proposito di navi: tornato dall’Egitto a Siracusa, Archimede impiegherà la sua vite proprio su una nave. Una nave enorme, infinita, che imbarca talmente tanta acqua che l’unico modo per non farla affondare è dotarla di un sistema di pompe a vite capace di sversare l’acqua fuori bordo. Si chiamava Syracusia, e a progettarla fu proprio lui, Archimede. LA SYRACUSIA
A parlarci della Syracusia – definita dagli storici della navigazione “la più grande nave da trasporto dell’antichità” – è nel II secolo d.C. Ateneo di Naucrati. Lo fa nel quinto libro dei Deipnosofisti tramite uno dei personaggi, Moschione, il quale ce la descrive nei minimi particolari. A volere la costruzione della Syracusia fu attorno al 240 a.C. il solito Ierone II, forse in un momento di megalomania. Ne affida la progettazione all’amico e parente Archimede, e la realizzazione ad Archia di Corinto. Pare che il re fosse talmente entusiasta dell’opera da presenziare di persona ai lavori. Il progetto è grandioso, forse troppo. Al punto che, scrive Ateneo … “… per il legno, [Ierone] fece tagliare una quantità di alberi sull’Etna che sarebbero stati sufficienti per costruire sessanta triremi”. Una volta finita, la nave era lunga 110 metri e poteva trasportare un carico di 1800 tonnellate, con una capacità di 1942 passeggeri e 200 soldati.
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PARTE PRIMA. VITA
Il ponte superiore, più ampio del resto della nave, era supportato, anziché da colonne, da statue in legno di Atlante. Otto torri erano equipaggiate con due arcieri e quattro soldati armati di tutto punto. Sulla prua della nave vi era una piattaforma sopraelevata per le battaglie, in cima alla quale si trovava una catapulta. Venti file di remi erano visibili dall’esterno, e tutt’intorno alla struttura vi era una passeggiata decorata di fiori e tende, oltre a un recinto di pali di ferro per evitare gli arrembaggi [4]. La nave era dotata di un giardino e di una piscina riscaldata. Per le decorazioni, Ierone non badò a spese: avorio e marmo la facevano da padrone, e tutti gli spazi comuni erano pavimentati con mosaici che illustravano la storia dell’Iliade. Sulla nave si trovava una biblioteca, una palestra e un tribunale per giudicare i reati commessi sulla nave. C’era perfino un tempio… “… dedicato ad Afrodite, con pavimenti di onice e di altri bellissimi minerali che l’isola poteva offrire. E le sue pareti e il suo tetto erano fatti di legno di cipresso, e le sue porte di avorio e di cedro profumato. Ed era arredato nel modo più squisito con immagini e statue, e con calici e vasi
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di ogni forma e dimensione immaginabile”. Terminata la costruzione di una nave di tali dimensioni e peso, però, c’è un problema a cui nessuno sembra avere pensato: come fare a vararla? Sembra di vederli, centinaia di operai, ingegneri, perfino Ierone II, grattarsi il capo per poi voltarsi all’unisono verso l’unico in grado di trovare una soluzione. Scrive ancora Ateneo: “E quando ci si chiese quale potesse essere il metodo più adatto per varare la nave, ci pensò Archimede con l’ausilio di poche altre persone. Dato che aveva ideato un argano che senza sforzo sollevò e spostò la nave, per quanto enorme, sull’acqua. E Archimede fu il primo ad avere inventato quel tipo di argano”. Questo è coerente con quanto ci dice lo stesso Plutarco in un altro passo delle sue Vite parallele: “Archimede, scrivendo a Ierone II […], aveva affermato che data una forza, qualsiasi peso può essere sollevato. […] Ierone, sbalordito da una simile affermazione, sfidandolo a metterla in pratica e a mostragli come avrebbe mosso un grande peso tramite un meccanismo più piccolo, gli indicò una nave da carico contenuta nell’arsenale del re, la quale non poteva essere portata fuori dal cantiere senza grande fatica di molti uomini: e [Archimede], caricandola di passeggeri e di merci, sedendo intanto a poca distanza, senza sforzo apparente, ma reggendo solo l’estremità di una gru in una mano e tirando una fune con l’altra, trascinò la nave in linea retta, così lentamente e senza strattoni che la nave sembrava muoversi sull’acqua. Il re, frastornato da ciò, e convinto del potere insito nell’arte di quell’uomo, la ebbe vinta su Archimede perché costruisse per lui dei macchinari utili, sia in fase difensiva che offensiva, in caso di assedio”. Ecco. Se mai ce n’è stato uno, questo è il momento in cui Archimede passa dall’essere il matematico nemico dell’igiene personale visto con sospetto dai concittadini, al costruttore di macchine belliche che passerà alla storia (anche) per essere riuscito a resistere per anni all’assedio della flotta e dell’esercito romano.
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PARTE SECONDA. OPERE
Ovviamente non è che Archimede abbia inventato la leva. Era noto da tempo che un’asta e un masso posizionati nel modo corretto potessero aiutare a sollevare pesi altrimenti duri da smuovere. Alcune descrizioni della leva, per esempio, risalgono ai tempi della scuola peripatetica di Aristotele e sono attribuite ad Archita. La novità, nel nostro caso, sta nel fatto che Archimede fu il primo a descrivere in termini matematici il comportamento di una leva. E lo fa appunto in Sull’equilibrio dei piani; soprattutto nel primo dei due volumi, con il quale si propone anche di calcolare i centri di gravità di un parallelogramma, di un triangolo e di un trapezio. Il secondo libro, che cronologicamente viene dopo un altro trattato – La quadratura della parabola – si occupa non a caso di segmenti parabolici. Qui ci concentreremo sulla parte riguardante la leva. Innanzitutto: che cos’è una leva? In termini fisici una leva è definita una macchina semplice – non si può cioè scomporre in un meccanismo più elementare – utilizzata allo scopo di trasformare l’energia, possibilmente a nostro favore. La sua forma ideale è quella di un classico dondolo a bilico con cui tutti abbiamo giocato da bambini: un’asta o una tavola rigida poggiata su un punto fermo chiamato fulcro. I due bracci che ne risultano si chiamano uno braccio-potenza, l’altro braccio-resistenza, e a seconda della loro lunghezza relativa (ovvero della posizione del fulcro) la leva può essere più o meno vantaggiosa [6].
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Esempi di leva sono: un paio di forbici, delle tenaglie, una carriola, un remo, uno schiaccianoci, una carrucola, una molletta da bucato. Il primo volume di Sull’equilibrio dei piani consiste di 15 proposizioni e 7 postulati. È nella sesta proposizione che Archimede afferma: “Grandezze commensurabili [ovvero di cui è possibile individuare la misura di una rispetto all’altra, NdA] sono in equilibrio se sospese a distanze inversamente proporzionali ai loro pesi”. Ovvero: dati due pesi che chiameremo A e B; e data una leva divisa da un fulcro C in due bracci di lunghezze diverse – ma, come i pesi, commensurabili – con gli estremi chiamati E e D; la sesta proposizione del primo volume del trattato afferma che se poggiamo il peso A sul punto E, e il peso B sul punto D, la leva sarà in equilibrio, ma solo se i pesi sono inversamente proporzionali alle distanze dal fulcro [7]. Che è come dire, appunto: non ha importanza quanto pesante sia un corpo; per sollevarlo basterà allungare a piacere il braccio potenza.
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PARTE SECONDA. OPERE
Anche la trisezione di un angolo è ufficialmente impossibile, per lo meno con compasso e riga non graduata. In questo trattato Archimede ci riesce partendo da una spirale; ma lo fa servendosi di un righello graduato (per trisecare il segmento BC). L’impossibilità, quindi, resta: “Supponiamo di volere trisecare l’angolo ABC. Prima trisechiamo il segmento BC in modo che BD sia un terzo di BC. Disegniamo un cerchio con centro B e raggio BD. Supponiamo che il cerchio con centro B intersechi la spirale nel punto E. L’angolo ABE sarà un terzo dell’angolo ABC” [14].
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C D [14]
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SUI CONOIDI E SFEROIDI
Anch’esso indirizzato a Dositeo, questo trattato consta di trentadue proposizioni, ed è dedicato al calcolo delle superfici e dei volumi di alcuni solidi di rotazione, quelli cioè ottenuti facendo ruotare attorno al proprio asse (o a uno dei propri assi) alcune figure piane. È interessante notare come nell’incipit Archimede stesso citi la sua abitudine a estraniarsi dalla realtà se troppo concentrato su una dimostrazione: “Archimede a Dositeo, salute. Inserisco in questo libro non solo le dimostrazioni dei rimanenti teoremi non compresi fra quelli che ti ho mandato, ma ben pure le dimostrazioni di altri teoremi che ho scoperto in seguito e che hanno tenuto incerta la mia mente”.