Il paesaggio al centro

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Isotta Cortesi Vito Cappiello

Il paesaggio al centro integrazione tra discipline


04 Collana Alleli / Events Comitato scientifico Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa) Nicola Flora (ICAR 16, Napoli) Antonella Greco (ICAR 18, Roma) Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa) Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia) Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)

I volumi pubblicati in questa collana vengono sottoposti a procedura di peer-review

ISBN 978-88-6242-261-1 Prima edizione italiana Dicembre 2017 © LetteraVentidue Edizioni È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Progetto grafico: Martina Distefano Impaginazione: Selene Vacchelli Le immagini di separazione tra i capitoli sono di Orazio Saluci: Labirinto della Masone, Fontanellato, 2017 (pp. 8-9) Saline di Marsala, 2016 (pp. 18-19) Mantova dal Lago di Mezzo, 2017 (pp. 54-55) Venezia, 2012 (pp. 132-133) Anneau de la Mémoire, Ablain-Saint-Nazaire, Francia, 2016 (pp. 444-445) Cave di Colonnata, 2017 (pp. 510-511) Le immagini di apertura nel capitolo “Apparato documentale tavoli di lavoro” sono di Franco Zagari e illustrano i tavoli “Le Passioni di Orlando, sei giardini di Franco Zagari per Roberto Domiziani, 2016”: Eros (p. 536) Estasi (p. 552) Gelosia (p. 572) Incanto (p. 586) Inquietudine (p. 604) Finito di stampare nel mese di Dicembre 2017 LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italia


INDICE

PRESENTAZIONI 11 Mario Rosario Losasso 12 Saverio Mecca 13 Carmine Piscopo 15 Giuseppe Zampino

CONTRIBUTI 135 Laura Andreini

Sostenibilità è armonia tra le parti. Armonia tra le parti è bellezza

141 Marcella Aprile Il paesaggio al centro?

147 Filippo Arfini, Marianna Guareschi Paesaggio, agricoltura e cibo

SAGGI 21 Vito Cappiello Verso nuovi temi per il Paesaggio che verrà

31 Isotta Cortesi

Il paesaggio al centro.

LECTIO 57 Tomaso Montanari

Una Repubblica fondata sul paesaggio

67 Henri Bava Un paesaggio rivelatore

81 João Ferreira Nunes Topografia

99 Juan Manuel Palerm Salazar Restaurazione paesaggistica di Punta de Abona

105 Pelin Tan

Geontologies of Landscape and Threshold Infrastructure

115 Giorgio Tartaro, Franco Zagari Conversazione

125 Franco Zagari

Il giardino risorsa strategica nell’evoluzione della città del Terzo Millennio Il caso del Parco della Pace a Vicenza

157 Guya Grazia Maria Bertelli Istantanee sul paesaggio

167 Rita Biasi

Agricoltura, paesaggio e benessere nell’habitat contemporaneo

173 Alessandra Capuano

La città come cura e la cura della città. Nuove configurazioni dello Streetscape

181 Lucina Caravaggi

Agricolture riflessive: cibo, socialità, biodiversità

191 Patrizia Caraveo Illuminare meno per illuminare meglio

197 Alessandro Castagnaro Il paesaggio e la pluridisciplinarietà

203 Umberto Caturano

Tecnologia, Paesaggio, Architettura Nuovi paradigmi

211 Gianni Celestini Strategia paesaggio

221 Biagio Cillo

Paesaggio, guerre, migrazioni, catastrofi

227 Dario Costi

Progetto per la città 4.0 Quattro distanze da ridurre


237 Valeria D’Ambrosio Progetto, ambiente, paesaggio

243 Fabio Di Carlo

Paesaggi. Tornare al progetto

251 Vincenzo Dina

Custodire la terra

255 Antonio di Gennaro

Il territorio rurale in contesto metropolitano: il caso dell’area napoletana

259 Giovanni Dispoto

Il paesaggio della costiera d’Amalfi nell’immaginario dei viaggiatori stranieri, dal Grand Tour ai giorni nostri

265 Adriana Ghersi

Paesaggi di qualità, tra vigneti urbani e etichette “parlanti”

275 Paolo Giardiello Riconoscere e fare luoghi

285 Gioia Gibelli

Paesaggi, natura, ecologia

299 Vincenzo Gioffrè Il progetto di paesaggio come cura dei luoghi

307 Biagio Guccione

Paesaggio, natura ed ecologia

313 Achille Maria Ippolito Nature urbane

323 Francesca Mazzino Architettura del paesaggio e ecologia

353 Mariavaleria Mininni

Città, territorio e giardino Saperi e sensibilità del progetto di paesaggio

361 Francesco Domenico Moccia

Ricucire i legami biotici Cibo ed agricoltura urbana impiegati per superare la frammentazione degli habitat e la separazione dell’uomo dalla natura

367 Giulia Annalinda Neglia

Ricostruire i paesaggi culturali Siria, Medioriente e Mediterraneo tra identità, migrazioni e ricostruzioni

377 Luigi Picone

Paesaggio agricolo e agricoltura paesaggistica tra passato e futuro

383 Sara Protasoni

Il progetto di paesaggio nei luoghi abbandonati della città

395 Michelangelo Pugliese

Clavel Del Aire. Il viaggio non finisce mai

405 Mosè Ricci

Il paesaggio è rotondo

409 Marina Rigillo

Paesaggio, Natura, Ecologia nella ritrovata attualità del “progetto di suolo”

417 Michelangelo Russo

Progetto urbanistico tra resilienza e sostenibilità

425 Marella Santangelo

Monterrey, scoprire una città lontana

333 Annalisa Metta

431 G. Pino Scaglione

343 Pasquale Miano

437 Andrea Sciascia

I fiumi non esistono

Paesaggi archeologici di guerra: prima, durante e dopo

Cibo Natura Abitare

Architettura e paesaggio tra forma e tempo


ESITI TAVOLI DI LAVORO 447 Adriana Ghersi, G. Pino Scaglione

Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, agricoltura e cibo

451 Maria Gabriella Errico

Agricoltura sostenibile vs prodotti di qualità

503 Marta Crosato

Natura e cultura: gli strumenti digitali come medium interpretativo unitario

507 Stefano Cusatelli

Nella città di Lombardia: il paesaggio del progetto

455 Vincenzo Gioffrè, Mariella Zoppi

Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, catastrofi e cambiamenti climatici

461 Mattia Leone

Paesaggi, catastrofi e cambiamenti climatici: il progetto multiscalare della resilienza

465 Luigi Latini, Paolo Giardiello

Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, guerre e migrazioni

471 Cristina Mattiucci

Sulla soglia. Paesaggi di ordinaria eccezione

475 Sara Protasoni, Michelangelo Russo

Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, natura e ecologia

CONCLUSIONI 513 Marcella Aprile

Perché parlare del paesaggio

517 Carmine Piscopo

Paesaggio e Governance

521 Francesco Rispoli Parole nuove

527 Andrea Sciascia

Il progetto al centro

531 Vito Cappiello

Il progetto di paesaggio come scoperta e governo delle nuove emergenze

481 Federica Dell’Acqua

Il paesaggio tra flussi di risorse e responsabilità progettuali

485 Marella Santangelo, Guya Grazia Maria Bertelli Documento di sintesi del tavolo: paesaggio, città e nuove identità

APPARATO DOCUMENTALE TAVOLI DI LAVORO 537 Paesaggio, agricoltura e cibo

491 Viviana Saitto

553 Paesaggio, catastrofi e cambiamenti climatici

495 Francesca Fasanino

573 Paesaggio, guerre e migrazioni

Poeticamente [ancora] abita l’uomo

Paesaggio al centro di/in trasformazione

499 Marco Di Perna

Il paesaggio per ri-cucire la città

587 Paesaggio, natura e ecologia 605 Paesaggio, città e nuove identità



PRESENTAZIONI


La cittĂ di Matera esprime il rapporto fra paesaggio antropizzato e tracce di paesaggio naturale


Presentazioni

Prof. Mario Rosario Losasso Direttore del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Napoli Federico II

L’interesse per il Paesaggio come tema centrale nel dibattito contemporaneo non può essere circoscritto a un solo campo operativo ma va inquadrato nella sua vasta portata di valore culturale, sociale e ambientale. Per questo motivo quello del Paesaggio è un tema che riscuote grande considerazione all’interno delle strutture di formazione e ricerca dell’Ateneo Federico II e del Dipartimento di Architettura. Il paesaggio naturale e il paesaggio antropizzato rappresentano infatti un patrimonio che costituisce un insieme indissolubile e un bene da salvaguardare. In questi termini si esprimeva Cesare Brandi a proposito del “paesaggio insidiato”, in uno dei suoi numerosi pamphlet in cui la valorizzazione dei patrimoni culturali e naturali veniva ricondotta a un problema non di politica ma di civiltà. Il volume, che pubblica contributi e riflessioni a valle del convegno tenutosi nel maggio del 2017 dal titolo Il paesaggio al centro, è stato curato con efficacia, impegno e passione da Vito Cappiello e Isotta Cortesi, che hanno inteso articolare in una rassegna di grande valore scientifico i numerosi avanzamenti disciplinari sulle molteplici tematiche relative al paesaggio. Il tema si è prestato a un confronto tra specifiche angolazioni culturali e punti di vista che hanno restituito un significativo panorama di aspetti che, partendo da quelli dell’architettura del paesaggio, riguardano la progettazione architettonica, la pianificazione urbanistica, la progettazione ambientale, la conservazione e il restauro, la storia dell’architettura, la valutazione e la rappresentazione. Il titolo del volume è quanto mai appropriato: la centralità del paesaggio rappresenta un attrattore che determina convergenze di molti saperi, di numerose esperienze, di tematiche che coinvolgono la componente fondamentale del paesaggio che è sostanzialmente culturale. Nell’evoluzione della sua concezione, il paesaggio si configura come una mediazione tra più aspetti e, per questo motivo, si consolidano il suo valore di attrattore culturale e il suo ruolo centrale negli assetti del territorio, dei processi di antropizzazione e delle componenti di naturalità. In tal modo, come ricorda Salvatore 11


Barcone di migranti nel Mediterraneo


Vito Cappiello

Verso nuovi temi per il Paesaggio che verrà Università di Napoli Federico II

Nuovi temi emergono per il Paesaggio, in relazione ai grandi cambiamenti in atto nel mondo, e vorrei provare ad elencarli, assieme a qualche riflessione problematica su cui è necessario lavorare. Queste tematiche sono state sintetizzate nei titoli che sono stati indicati nel programma del convegno Il paesaggio al centro, e cioè: • Paesaggio, agricoltura e cibo • Paesaggio, catastrofi e cambiamenti climatici • Paesaggio, guerre e migrazioni • Paesaggio, città e nuove identità • Paesaggio, natura e ecologia 1) Paesaggio, agricoltura e cibo Un primo tema è rappresentato dal rapporto fra paesaggio, agricoltura e cibo. Emilio Sereni, in Storia del paesaggio agrario in Italia ci dice che «il paesaggio (agrario) è quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini delle sue attività produttive e agricole coscientemente e sistematicamente imprime al paesaggio naturale». Per Paesaggio progettato, invece, noi assumiamo «quella forma che l’uomo, nel corso ed ai fini del suo benessere psico-fisico, coscientemente e

sistematicamente imprime al paesaggio naturale». È indispensabile porsi, a questo proposito, alcuni interrogativi, ripartendo dall’insegnamento di Emilio Sereni. Innanzitutto bisognerebbe incominciare a chiedersi quanto sia ancora valida l’idea, sottesa nella definizione di Sereni, che presuppone un atteggiamento comunque rispettoso della terra, nelle trasformazioni legate ai cicli produttivi agrari contemporanei, rispetto alle modifiche introdotte dall’avanzamento delle tecniche produttive dell’agricoltura dagli anni ’50 ad oggi. È, inoltre profondamente cambiato il rapporto fra aree di produzione massificata (o a monocolture estensive) ed aree di produzione di nicchia. Già solo queste prime tematiche ci devono far riflettere su quanto i nuovi criteri produttivi abbiano influenzato ed influenzeranno le trasformazioni del paesaggio. Un ulteriore elemento è costituito dal dibattito sull’introduzione degli OGM, che riguarda i paesaggi attuali ed è in qualche misura legato anche alla difesa nelle nicchie di colture residuali di antica origine. Connesso a questo aspetto, bisognerà anche chiedersi quale dovrà 21


JĂŠrĂŠmie Dru, Le voyageur incertain, 2013


Isotta Cortesi

Il paesaggio al centro

Università di Napoli Federico II

Premessa Questa pubblicazione costituisce l’esito delle riflessioni seguenti le giornate del convegno internazionale svoltosi nel maggio 2017 a Napoli. Essa non si pone quale resoconto o collazione di contributi, piuttosto intende proporsi come la risposta corale di elaborazioni sullo stato dell’arte degli studi di paesaggio, per scavare, nel presente, il nuovo inizio di un cammino condiviso che, pur con le singole specificità, ha posto il progetto di paesaggio al centro del dialogo, delle relazioni e dei saperi dei partecipanti. Il convegno da me organizzato, con il prof. Vito Cappiello, ha visto l’articolazione di Lectio di ospiti illustri quali Tomaso Montanari, Franco Zagari, Henri Bava, Juan Manuel Palerm Salazar e João Ferreira Nunes e, con un impegno sperimentale, ha costituito un “dialogo di lavoro” tra studiosi che in modo organizzato, ma informale, si sono radunati attorno alle “Passioni di Orlando”1. Ho così voluto ritrovare modalità diverse per nutrire la nostra ricerca, su piani tra loro paralleli ma interrelati. Ho inteso porre il paesaggio al centro, come tema della discussione sul nostro presente in un confronto tra elaborazioni dotte e puntuali degli ospiti

che hanno presentato con modalità tradizionali, le magistrali e generose lezioni, elargendo conoscenza e esperienza; allo stesso tempo ho voluto dar forza e rilievo alla costruzione delle relazioni tra i diversi saperi che, in un tempo limitato, hanno elaborato, coadiuvati dall’ospite del tavolo e dal coordinatore scientifico, un dialogo sui diversi argomenti per ogni tema di conversazione. Ho invitato dunque al confronto sia docenti di diverse università italiane che da anni elaborano e ricercano il progetto di paesaggio, sia progettisti internazionali sia esperti nazionali. Il titolo del convegno identifica la specificità delle discipline afferenti al paesaggio, e insieme afferma per converso, l’importanza della sintesi, quale significativo contributo alla necessaria integrazione tra differenti saperi. Ho voluto dare forma a questo convegno con l’obiettivo di istituzionalizzarlo con cadenza annuale quale momento di profonda riflessione sul paesaggio affinché, a sua volta la città metropolitana di Napoli, possa da questa iniziativa raccogliere sostanza, idee, contenuti e verificare nel tempo gli esiti, magari istituendo (tramite l’Università e alcune fondazioni) un Osservatorio sul 31


Frederick Law Olmstead e Calvert Vaux, The Ramble, Central Park, New York, 1857-1873

generato un esito documentale dove prevale l’apparato protezionistico e di salvaguardia a discapito della potenza trasformativa e innovativa intrinseca del progetto di paesaggio che per sua natura è dinamico e ciclico nella sua dimensione temporale. Certamente non è da considerarsi esaustiva la rappresentanza sotto l’egida della sostenibilità di Stefano Boeri con il Bosco Verticale e di Mario Cucinella con i suoi progetti tettonici di cretti abitati, ospiti, credo, in qualità di esperti del progetto di paesaggio. E questo sta a dimostrare la poca chiarezza che vi è, tra i più, sulla sostanza del progetto di paesaggio e sulla sue capacità nel costruire relazioni; così, abbiamo potuto facilmente riconoscere come, in occasione degli Stati Generali, il progetto di paesaggio venga equivocato con l’esausto, non in quanto esaurito ma in quanto spesso distorto, tema della sostenibilità in un vero e proprio processo ingannevole di greenwashing4. Questa distorsione allo stesso tempo ci deve dare coraggio per approfondire e strutturare meglio i limiti del progetto di paesaggio, gli strumenti e la teoria nell’insegnamento e le tecniche della 34

prassi applicata della costruzione e trasformazione dello spazio aperto nella certezza che molte sono le cose ancora da specificare e consolidare. Mi è interessato porre in evidenza la densa concomitanza di avvenimenti che hanno promosso, nel nostro paese, approfondimenti sul paesaggio raccontando di natura e di ecosistemi, di produzione di cibo e di consumo delle risorse e anche del futuro delle nostre città; eventi da me sopraelencati per ribadire la centralità del tema e per esortare ad approfondire la rete di relazioni tra il progetto di paesaggio, la terra come corpo vivente (spazio geografico della biodiversità) e il mondo (come spazio culturale). Per interrompere la ricerca di definizioni Il paesaggio è una componente fondamentale del nostro patrimonio culturale: conforma le identità delle popolazioni e contribuisce al loro benessere fisico e psicologico. Il paesaggio realmente è un’entità viva e mutevole nel tempo, una nozione che concilia la dimensione scientifica con Isotta Cortesi


Nelson Byrd Woltz Landscape Architects, The Dell, University of Virginia, Charlottesville, 2003

quella percettiva profondamente legata all’esperienza culturale dei luoghi. Il paesaggio è sintesi di natura e cultura (lo spazio fisico, con i suoi segni stratificati). Le numerose definizioni di paesaggio che conosciamo5 e che rincorriamo, di volta in volta, non possono, per la loro stessa lettura, essere esaustive ed esaurienti perché il tema non è un oggetto, quanto piuttosto un sistema di relazioni dal valore polisemico che non può esaurirsi in definizioni, inseguendo la dialettica del primato quanto piuttosto può contribuire all’amplificazione delle relazioni in un processo inclusivo e molteplice. La Convenzione Europea del Paesaggio parla di «Landscape means an area, as perceived by people, whose character is the result of the action and interaction of natural and/or human factors», in questo modo inequivocabile afferma che siamo di fronte ad un fenomeno di interrelazione tra lo spazio fisico (territorio ed ambiente qui presentato come an area - il dato oggettivo) e lo spazio cognitivo -emotivo e percettivo- così come elaborato dall’uomo (il dato cognitivo, esito del processo intellettuale di conoscenza e di trasformazione). La CEP afferma, Il paesaggio al centro

appunto, che il paesaggio non è solo oggetto e non è più soltanto soggetto ma piuttosto è l’interrelazione tra questi due ambiti, la relazione tra spazio fisico e spazio cognitivo, fino a divenire risorsa identitaria che stabilisce il senso di connessione e appartenenza dell’individuo al paesaggio. I più recenti studi di neuroscienza affermano che il nostro cervello per prima cosa percepisce le relazioni, e che l’oggetto in sé è il risultato della spoliazione delle relazioni; questo processo non è attuabile sul paesaggio perché esso non è un oggetto ma piuttosto la compresenza di unʼorditura di relazioni, un sistema di legami da comprendere ed interpretare attivamente per “Vivere di paesaggio”6 come intreccio di correlazioni spazio temporali. Il paesaggio costruisce di sé un’immagine auratica che spinge l’uomo a fare una riflessione su se stesso e il mondo. Ragionare sul paesaggio implica inevitabilmente elaborare un pensiero sulle trasformazioni del nostro presente e sulle conseguenze delle nostre azioni per il futuro dello spazio abitato e della specie umana, in un impegno che attraversa le scale di 35


PROAP, Ribeira das Naus, Lisbona, Portogallo


João Ferreira Nunes

Topografia

Istituto Superior de Agronomia, Universidade Técnica de Lisboa Fondatore e CEO PROAP

Buongiorno a tutti e grazie per avermi invitato e per avermi dato questa opportunità di discutere del lavoro che conduciamo, delle idee che sostengono il nostro lavoro e grazie anche dell’opportunità di ritornare a Napoli, di rivedere vecchi amici e conoscerne nuovi. Mi sembra che questa nostra capacità di ritrovarci in luoghi straordinari come questo, e la capacità di costruire con le nostre esperienze, una cultura che in questo momento non esiste, che stiamo facendo noi, costruita da pensieri che prima non c’erano, è la nostra più grande ricchezza. In questo periodo sono molto interessato al lavoro fatto sull’idea di infrastruttura. Abbiamo fondato in Italia una nuova società di progettazione che si interessa soprattutto di infrastrutture e che cerca di guardare l’infrastruttura come un vettore, come uno strumento di costruzione del paesaggio cercando di considerarla, in tutta la sua potenza, come un argomento che crea spazialità. Fino adesso abbiamo guardato all’infrastruttura come qualcosa che è costruita da un approccio funzionalista: una definizione di un profilo, di una sezione. Questa sezione viene moltiplicata per una distanza e si costruisce una sorta

di idea molto astratta che viene inserita prepotentemente sul territorio senza una riflessione sulla sua spazialità, senza una riflessione sull’architettura che produce. Quello che ci interessa è precisamente questo punto di vista. Questo punto di vista c’entra con questa immagine. Vediamo un indiano messicano che indossa Adidas e controlla le mail dal suo iPhone. È un’immagine che sintetizza la quantità di cose possibili oggi. Mi sembra straordinariamente importante capire la qualità sintetica dei giorni di oggi e il modo in cui tante cose diverse possono coesistere nello stesso spazio e nello stesso tempo. Questo è qualcosa che succede per la prima volta e che sviluppa un modo diverso di capirci e un modo diverso di capire il mondo e un modo diverso di capire cosa facciamo e cosa potremmo fare. Quando parliamo di paesaggio parliamo di una dimensione soprattutto dinamica. “Dinamica” è la prima parola sulla quale dobbiamo riflettere. Dobbiamo capire che sul paesaggio i ragionamenti si fanno in un modo diverso rispetto ai ragionamenti che si applicano per la ricerca della stabilità costruttiva di un 81


PROAP, Centrale di Trattamento delle Acque Reflue (ETAR) di Alcântara, Lisbona, Portogallo

una bella pulizia e abbiamo tolto tutte le cose che offendevano la sua dignità di struttura costruita, tutto quello che nascondeva la sua perfezione geometrica. Ma non siamo riusciti ad eliminare proprio tutto quello che volevamo eliminare: gli alberi, per esempio, avremmo dovuto eliminarli, e invece sono rimasti, perché tagliare un albero oggi è una cosa molto difficile. Ci è attribuita la capacità di dire quando e dove piantumare un albero, però non ci è socialmente riconosciutala capacità di dire quando tagliarlo, e quando diciamo che quest’albero deve essere tagliato ci tagliano la testa e ne dicono di tutti i colori nei giornali e in televisione. Un’operazione di pulizia che dovrebbe restituire questa struttura in una condizione molto più integra, molto più pulita, per esempio alcuni alberi avremmo dovuto tagliarli ma non è stato fatto 92

per mancanza di forza politica. Però, una volta eseguita questa operazione di pulizia della vecchia e grande struttura, abbiamo applicato sopra una struttura nuova completamente scollegata, quasi galleggiante su un altro tempo, su un’altra dimensione fisica. Questo nuovo sistema che ha ridotto al minimo possibile la sua dimensione (giusto la larghezza per riuscire a camminarci), e anche ridotto al minimo possibile per riuscire a misurare. Dunque questo progetto è una regola, è una cosa che misura, misura con il passo, misura con la dimensione di queste pietre che sostengono il passo e ci permettono di recuperare la leggibilità della perfezione geometrica della struttura, e ci permettono di riconoscere la perfezione degli angoli, e ci permettono di astrarre la struttura stessa alla sua dimensione prettamente geometrica. È una geometria, una linea, João Ferreira Nunes


la più ridotta possibile, vicina alla sua concezione astratta, all’interno della quale si può camminare. E questa linea ci porta via, cerca di trovare i modi possibili per ricostruire una continuità che in alcuni punti era andata persa. Procedo velocemente nell’illustrare questi progetti che hanno soprattutto a che fare con la tettonica. Questo progetto per Lisbona è un progetto che è stato elaborato a seguito di un concorso per una grande stazione di depurazione di acque reflue: parliamo di una città fondamentalmente disegnata dalla topografia dove una valle è un elemento importante della struttura del suo disegno. Parliamo di una valle che tradizionalmente è produttiva in termini agricoli, parliamo di una condizione in cui questa agricoltura si mescola evidentemente con condizioni di gioia, di vita, di celebrazione della convivenza e parliamo di una situazione in cui ad un certo punto questa bucolica immagine è sostituita da un accumulo di segni di carattere infrastrutturale. L’infrastruttura prima leggera, un semplice acquedotto che incrocia la valle, si incrocia nell’Ottocento con una delle prime linee ferroviarie della città. Negli anni Trenta la costruzione dei primi grandi raccordi carrabili produce una trasformazione importante che è quella dell’incanalamento del fiume e la costruzione di una nuova quota per il fondovalle. Si trasforma la topografia, si è colmata la valle e si produce un nuovo strato su cui a un certo punto si disegna un’avenida. Si chiama Avenida de Ceuta celebrata nella iconografia, come nelle cartoline postali dove si mostrava la cancellazione dell’immagine agricola della valle e la formazione dell’immagine di progresso contemporanea coincidente con l’infrastruttura. Poi si Topografia

aggiungono le infrastrutture carrabili di accesso al nuovo ponte. Nel 1983 si realizza il primo depuratore e nel 2009 si bandisce il concorso di cui vi parlavo che ha avuto per tema la ricostruzione del depuratore. Le condizioni tecniche di questo depuratore disegnano una condizione fisica di assoluta chiusura: tutte le attrezzature devono essere chiuse dentro qualcosa che deve essere un edificio e che ha le dimensioni corrispondenti ad otto isolati della città Lisbona. L’idea di un edificio grande come otto isolati è un’idea che fa un po’ paura però quando cominciamo a pensare a questa operazione non come un edificio ma come ad un’operazione topografica viene fuori la bellissima opportunità di ripensare la topografia che discende dall’impianto del primo depuratore, che taglia un pezzo importante della valle e che può essere un’opportunità per produrre una sorta di ridisegno protesico della valle stessa. Questo significa che l’architettura non è solo guidata dall’invenzione della spazialità collegata con la necessità di ospitare le attrezzature che devono definire vuoti importanti, perché sono attrezzature importanti, e dunque non è un’architettura solo guidata da dentro a fuori ma è guidata anche da fuori a dentro attraverso la conduzione di una linea di sezione che cerca sempre di ricondurre la posizione topografica della valle. Questo significa che alla fine si produce un edificio il cui prospetto è il più astratto possibile ed ha invece una copertura ridotta alla dimensione di una grande calotta di cemento, che è una topografia che varia in accordo con le condizioni altimetriche del luogo. Quello che facciamo è ridisegnare e riavvicinarci a questa superficie esattamente come prima ci si avvicinava alla valle. Quindi è un luogo di produzione 93


Vista generale di piazza Victor Hugo, Saint Denis. Il suolo, in granito a macchie chiare e scure, è senza pieghe né spigoli: un piano morbido e fluido che si dispiega come un panneggio mosso da un colpo di vento, conferendo alla superficie in pietra un carattere di movimento e leggerezza

che il museo dove feci il ginnasio si chiama proprio Museo del Paesaggio. È vero che c’è Troubetzkoy e Segantini e quindi mi sembra indicato come nome perché ha delle collezioni di arte che in qualche modo si rifanno all’orogenetica, al luogo, al genius loci. Però volevo andare proprio su questo, cosa che in qualche modo avevi accennato: un conto è progettare il paesaggio, il parco, il giardino, la piazza un conto è avere cura del contesto naturalistico in cui si inserisce. Sono cose che possono andare assieme ma forse di discipline diverse che dovrebbero dialogare. Franco Zagari: Una volta c’era una naturale continuità e c’era anche un tempo che filtrava questo passaggio. Il paesaggio si modificava ma con armonia, dolcezza, pezzo per pezzo, 118

sperimentando, smontando, rimontando. Oggi abbiamo una situazione dinamica degli avvenimenti che è velocissima ed è di entità fino ad ora sconosciuta. Noi siamo in presenza di migrazioni che fanno pensare alle invasioni barbariche. Lo dico non perché ritenga barbari i poveri migranti ma perché l’emergenza ci mette di fronte al fatto che l’integrazione sarà un processo lungo e doloroso. Questi sono i problemi che abbiamo noi di fronte. E non dimentichiamo anche che noi rappresentiamo diverse culture e con diverse visioni della natura e diverse visioni del patrimonio. Vorrei essere fuori di equivoco: io sono pronto alle battaglie più dure per difendere il patrimonio, ma credo che non ci sia nessuna parte del patrimonio che debba essere ritenuta immodificabile. Giorgio Tartaro, Franco Zagari


Giorgio Tartaro: Hai introdotto anche il concetto del tempo e questo mi porta a rileggere la tua opera che hai diviso, in questo ultimo testo, nel tuo La parola ai progetti, libro che si scrive negli anni, in otto temi. La cosa che più mi ha colpito, e che già avevo intuito nel tuo pensiero, è l’atemporalità del progetto. Tu hai messo assieme dei progetti di epoche diverse del tuo lavoro proprio per affinità e non per cronologia che è un’altra tassonomia a cui siamo culturalmente e forzatamente abituati. Quindi l’idea di raggruppare dei lavori per affinità è molto importante: è il valore che dai al tuo lavoro, dall’inizio della tua esperienza fino a quello che arriverà. Franco Zagari: Io, forse per un’incapacità di essere abbastanza distante dalla mia opera, non sento l’età dei miei progetti. E questo è un dato di narcisismo, un dato palesemente deteriore. Suonano delle spie di allarme in questa cosa. Ma “dare la parola ai progetti”, come ho titolato nel mio ultimo libro, significa accettare coscientemente un rischio, che si montino da sé in una sequenza che possa essere anche ingovernabile. E così è stato, si sono cercati, misurati, contraddetti, esposti da sé. E tutto sembra funzionare. Giorgio Tartaro: Tu scrivi che il progetto è, per forza di cose, un’alternanza tra indizi e intuizione. Questa cosa mi è piaciuta molto. Vorresti spiegarcela un po’ meglio. Franco Zagari: Io ritengo che quando il nostro saper vedere, il nostro saper ascoltare, il nostro saper prendere in carico quello che un ambito umano e fisico ha da trasmetterci, penso che tutto ciò richieda necessariamente un Conversazione

indizio. Dobbiamo sapere un po’ cosa cerchiamo. Tutti i lavori che partono con grandi campagne analitiche non portano di solito a nulla. Tanto più sono sviluppate e costose queste campagne analitiche tanto più sono inutili perché non mettono a fuoco le vere criticità. Se voi avete un indizio, che vi è dato dall’intuito, e verificate quel luogo con un’ipotesi, allora è così che scatta una risposta. A volte è una risposta di rifiuto e bisogna tornare indietro. Però questa cosa così elementare credo che non la troviamo in Norberg-Schulz, non la troviamo nel libro sulla Città di Padova di Aymonino, sono tutti testi dove da cosa dipende cosa. Giorgio Tartaro: È una teoria suggestiva. Ho ultimamente letto che in realtà la crosta terrestre non si è formata dalla terra ma è, in qualche modo, piovuta dal cielo quattro miliardi e mezzo di anni fa. Leggendo l’articolo alla fine capisci che non cambia nulla. Però ogni tanto gira, soprattutto sui social network, una volontà di rileggere la storia anche geofisica del nostro pianeta, quindi di noi, del nostro intorno. Secondo te da un punto di vista della comunicazione, del racconto degli sviluppi della scienza, queste teorie servono a qualcosa o possono essere una rilettura delle certezze che noi abbiamo? Sono comunque sempre delle supposizioni. Franco Zagari: Qui siamo finalmente in acqua alta, nel cuore della questione del progetto del paesaggio e le sorprese sono molte. Due argomenti fra i tanti: il Papa che scende in agone su temi che la Chiesa aveva esorcizzato fin dai tempi di San Francesco, un’idea di natura nella quale il sentimento religioso dialoga con armonia con le visioni laiche più avanzate, che nasce da una profonda 119


Harold Norman Fisk, Ancient courses. Mississippi River Meander Belt, 1944


Annalisa Metta

I fiumi non esistono

Università Roma Tre

«Il tempo di pace è una guerra silenziosissima di tutti contro tutti.» Francesco Pecoraro, La vita in tempo di pace, 2013

Gli argomenti che si pongono su questo tavolo meritano estremo pudore. Siamo stati chiamati a dibattere di paesaggio, guerre e migrazioni, parole tonanti che richiedono la delicatezza incisiva che solo un’autentica e radicata competenza può esprimere, mettendo al riparo dalla genericità di informazioni di seconda o terza mano, da esercizi di saggezza e compassione a buon mercato e cuor leggero –seppur animati dalle migliori intenzioni–, da ottimistiche o, viceversa, scorate posizioni sul ruolo salvifico che il progetto di paesaggio potrebbe ricoprire in questa scena. Ebbene, io non posseggo questa competenza: non mi occupo di territori in guerra, né di migrazioni. Perciò non è di questo che potrò riferire; significherebbe sminuire il tenore della conversazione ben informata e consapevole degli altri studiosi raccolti attorno a questo tavolo, e al contempo oltraggiare le vicende delle innumerevoli vite fragili di chi, proprio malgrado, delle guerre e delle migrazioni fa esperienza in carne

e ossa. Spero, perciò, che la deriva che si troverà in queste righe possa essere intesa non come un trucco, uno sgambetto o una schivata, ma come la più gentile forma di rispetto e contegno che in questo frangente io sia in grado di manifestare. La deriva consiste in una riflessione sul tema della conflittualità che si fa spazio nell’habitat urbano, quotidianamente; di quali ricadute possa avere sul progetto; al contempo e viceversa, sul progetto dello spazio aperto come generatore o mediatore di contese. Si tratta –è del tutto evidente– di una versione edulcorata della domanda posta, alleggerita al limite della evaporazione; ma sebbene abbia una misura risibile o persino insultante rispetto ai drammi epocali con cui il tavolo è apparecchiato, ne è al contempo indizio probatorio, sintomo non trascurabile, microspia che registra tracce con efficace definizione. Vi si trovano le stesse figure e azioni: il confine e il bordo, il barricare e il trasgredire; lo spessore della frontiera, e il negoziarne continuamente lo spazio e il tempo pertinenti; le proprietà e i passaggi, l’attraversare e l’escludere; i corpi e i comportamenti che, con inesausta 333



CONCLUSIONI


Immagine tratta da Jean Baudrillard, L’America, Feltrinelli 1987


Carmine Piscopo

Paesaggio e Governance

Assessore al diritto alla città, alle politiche urbane, al paesaggio e ai beni comuni del Comune di Napoli, Università di Napoli Federico II

Forse il senso più utile, per un’Amministrazione, per parlare di paesaggio in un contesto così elevato di studi, di ricerche, di riflessioni, è di provare a focalizzare un’urgenza molto forte che riguarda la vita dei paesaggi con cui conviviamo giorno per giorno, provando a descrivere uno spazio, dove assetto normativo, realtà amministrative, conflitti di competenze, contraddizioni sociali e nuove geografie che avanzano, come una dimensione che spesso sfugge ai nostri studi e alla nostra osservazione, pongono oggi problemi e tematiche non più rinviabili. Troppo spesso, infatti, ci troviamo a confrontarci con paesaggi, le cui realtà amministrative non coincidono più con le realtà fisiche e sociali che ne hanno presieduto la formazione, le cui dinamiche agenti al loro interno si muovono secondo rotte che hanno altre origini e altre proiezioni. Luoghi, totalmente mutati nel tempo, le cui relazioni vanno oggi ricostruite seguendo altre geografie. Eppure, penso al quadro normativo vigente, ancora diviso in Paesaggio, Ambiente e Territorio. Non a caso, Settis, nel suo recente libro Architettura e democrazia, ribalta questa condizione auspicando che il paesaggio torni ad essere ciò che è sempre stato:

«il teatro della democrazia». Penso alla legge Delrio che ha istituito le Città Metropolitane italiane: una legge, secondo il mio punto di vista, con più luci che ombre, che stabilisce, per le scelte riguardanti il territorio, la redazione di un Piano strategico e di un Piano operativo. Tutto ciò, in un quadro normativo, in cui le Regioni, tra queste anche la Regione Campania, non riconoscono ancora del tutto i criteri di funzionamento delle Città Metropolitane. Penso al recente Decreto Minniti in materia di sicurezza urbana, che interviene sul disegno del paesaggio e sulle sue modificazioni, in un momento in cui il Mediterraneo è intriso di sangue e sta diventando la nuova Dachau. È di fronte a questo scenario, che con ogni evidenza ci pone in una sorta di dispersione non relazionata che attraversa la vita del paesaggio, che riemerge prepotentemente la questione della governance e il suo quadro di relazioni con i nostri studi e le nostre ricerche. Il primo interrogativo da porsi è se le nostre città siano ancora governabili. Noi sappiamo che oggi esistono alcune teorie che guardano alla città come un organismo non sempre linearmente comprensibile, le cui dinamiche 517



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