Dall'interno

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Indice 6 Introduzione 10 Dalla tipologia alla topologia 38 Dal contesto al palinsesto 70 Dallo spazio al luogo 106 L'interno come campo d'azione 114 Bibliografia


Introduzione Da parecchio tempo, ormai, si ripete che il progetto d'interni, in un vicino futuro, avrà un ruolo determinante per il prossimo sviluppo architettonico e urbano. Oggi, però, quest'idea sembra superare i limiti di un contesto storicamente ricco e morfologicamente stratificato come quello europeo, per interessare gran parte dei paesi economicamente più avanzati1. Questo perché, negli ultimi trent'anni, l'integrazione sempre più rapida dei sistemi economici globali ha prodotto un doppio effetto che ha iniziato a cambiare profondamente l'uso della città contemporanea2. Da un lato, cioè, la decentralizzazione territoriale della produzione industriale ha portato alla dismissione di interi settori urbani; e dall'altro, la concentrazione metropolitana delle economie dei servizi avanzati ha richiesto tutta una nuova serie di spazi, caratterizzati da una diffusione capillare, un'alta flessibilità e un basso grado di identità funzionale. Se a tutto ciò si aggiunge, poi, l'incremento esponenziale della popolazione urbana degli ultimi cinquant'anni e il contemporaneo consolidamento di una coscienza ambientale 1. Branzi Andrea, La progettazione degli interni nella città contemporanea, in Cornoldi Adriano (a cura di), Architettura degli interni, Il Poligrafo, Padova, 2005, pp. 41-43. 2. Sassen Saskia, Cities in a World Economy, Pine Forge Press, Thousand Oaks, 1994.

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sempre più marcata3, non sembra improprio pensare che quell'economia predominante basata sull'adattamento e sulla trasformazione del patrimonio esistente possa orientare definitivamente l'ideale tradizionale di crescita urbana verso un processo continuo e diffuso di riuso delle sue strutture fisiche4. In altre parole, l'idea è che più le città diventeranno dense e il loro programma funzionale più variabile, più inizieranno a svilupparsi adattando il sistema dei loro spazi interni come una specie di infrastruttura autonoma. E mentre quest'attività ininterrotta di rigenerazione metterà in discussione il classico catalogo tipologico su cui si basava la pianificazione e il governo della città, architetti e progettisti guarderanno progressivamente agli interni come al vero centro di funzionamento di gran parte delle operazioni urbane, in un processo che, almeno a parole, dovrebbe essere incrementale5. A ben vedere, molto di questo ha già cominciato ad avvenire, anche se in modo spontaneo e non coordinato. Allo stesso tempo, però, malgrado un improvviso protagonismo – teorico o reale che sia –, fino a oggi gli interni sono stati considerati quasi esclusivamente come una condizione al contorno o una semplice contingenza locale per interventi di adattamento e riuso6. 3. Kretzer Manuel e Hovestadt Ludwig (a cura di), Alive: Advancements in Adaptive Architecture, Birkhäuser, Basel, 2014, p. 18. 4. Cunningham Storm, The Restoration Economy, Berrett-Koehler Publishers, Oakland, 2002. 5. Baum Martina e Christiaanse Kees (a cura di), City as Loft: Adaptive Reuse as a Resource for Sustainable Urban Development, gta Verlag, Zurich, 2012. 6. Tra i differenti studi dedicati al riuso, per esempio, si possono riconoscere

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Dalla tipologia alla topologia

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Come scrive Ignasi de Solà-Morales nel 1999 – in un articolo che ancora oggi viene considerato un riferimento metodologico fondamentale – nessun percorso critico sulla progettazione che voglia essere contemporaneo può evitare il confronto con il tramonto di un modello esplicativo di matrice idealista e con l'apertura di campo introdotta dall'epistemologia foucaultiana1. Almeno a partire da Foucault, infatti, è stato sempre più chiaro che i fatti non sono altro che i nodi delle relazioni che li legano; e che la conoscenza che si può raggiungere a proposito di un determinato insieme di fatti dipende dalla capacità di trovare il maggior numero di connessioni fra di essi2. Nel pensiero contemporaneo, cioè, la consapevolezza dell'intenzionalità e della strumentalità di ogni interpretazione ha sostituito la ricerca di una pretesa oggettività e di un modello teorico unificante. Allo stesso tempo, però, a un incremento dei fattori soggettivi è corrisposta un'apertura inedita e senza preconcetti verso la forza dimostrativa dei semplici fatti. Tant'è che anche le scienze pure, negli ultimi decenni, non si sono sottratte a questa forma di complessità, accettando la coesistenza di modelli teorici differenti, senza la necessità di stabilire reciproci criteri di falsificabilità3. La ricerca scientifica, in altre parole, 1. De Solà-Morales Ignasi, Pratiche teoriche, pratiche storiche, pratiche architettoniche, in “Zodiac”, n. 21, 1999, pp. 46-59. 2. Foucault Michel e Deleuze Gilles, Les intellectuels et le pouvoir, in “L'Arc”, n. 49, 1972, pp. 3-10. 3. Basti pensare, per citare l'esempio più noto, alla pacifica coesistenza fra relatività generale e meccanica quantistica che, in realtà, si contraddicono a vicenda. Rovelli Carlo, Sette brevi lezioni di fisica, Adelphi, Milano, 2015, pp. 47-48.

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Frammenti sparsi di Metafore nello spazio, Ettore Sottsass (1972-1979).

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montagna. E poi, ancora, un pavimento di fili di cotone che – esattamente come la griglia di Albini – misura uno specchio d'acqua sottostante, un arco che risponde al vento, ma anche intere architetture virtuali, che servono solo a inquadrare, scomporre e attrarre la natura in una prospettiva pienamente umana. Perché ogni installazione serve sempre a qualcosa, come dichiarano le scritte a corredo dei disegni; rimanda, cioè, a un modo di abitare che non è mai stereotipato, ai gesti microscopici e alle azioni elementari che restituiscono il senso della propria posizione. Il tutto, in un'identità totale fra lettura e scrittura dello spazio che sposta il nodo interpretativo in un campo molto più soggettivo di quanto il concetto di misura possa lasciar pensare. Dall'interpretazione alla riscrittura L'idea di misura, in un certo senso, può sembrare fuorviante da un punto di vista operativo, perché rischia di sottintendere l'esistenza di un principio oggettivo e consequenziale di interpretazione dell'esistente. Se si pensa a un palinsesto, invece, bisogna sempre tener presente che la concretezza del suo significante non corrisponde a un'oggettività di significato33. Perché un palinsesto non è un'opera, non costituisce il risultato di un'intenzionalità creativa; al contrario, nella pluralità 33. Dillon Sarah, The Palimpsest: Literature, Criticism, Theory, Continuum, London-New York, 2007.

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Dettagli di Piazza San Nazaro in Brolo, Umberto Riva, Milano (1989-1992).

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viene ripensata come se fosse un livello archeologico precedente e collocata a una quota più bassa, mentre la statua di Sant'Ulderico viene riposizionata, ruotata in direzione della chiesa e sollevata su un basamento ellittico solcato da un “canale”, che rimanda alla sua originaria collocazione su un ponte del naviglio.In generale, è la stessa piazza a essere divisa in ambiti distinti, con una zona alberata pensata per schermare gli interventi di ricostruzione del secondo dopoguerra, separata da quella del sagrato da un attraversamento carrabile e riconnessa a essa dal compluvio centrale. Ma ancora più interessante è la sua conformazione, in una giustapposizione di matrici formali autonome, allineamenti discordanti, dettagli pieni di immaginazione; come se ogni episodio fosse stato pensato attraverso una propria logica e messo a confrontarsi con gli altri nella più assoluta libertà. Il tutto, però, nella chiarezza di segno e nella semplicità di un intervento minimale che, con pochi tratti, reinterpreta il paesaggio urbano in modo pienamente originale37. Naturalmente, questa libertà non riguarda solamente la sensibilità poetica di un singolo progettista, né un unico tipo di spazio, ma si sviluppa al crescere delle esigenze abitative che, in qualche modo, lì devono essere 37. Come scrive Francesco Cellini, «l'architettura di Riva non è ambientalistica, non parte dalla lettura del luogo, non usa strategie di analisi consolidate, non prevede metodi […]. Il luogo c'entra, naturalmente; […] c'entra, però, senza regole: […] esso va a costituire la sostanza, inizialmente magmatica poi poetica, del progetto». Cellini Francesco, Quattro progetti esemplari di restauro urbano, in Tarsetti Mauro e Turchi Marco (a cura di), Umberto Riva: Sistemazioni urbane, Officina, Roma, 1993, p. 12.

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La casa di Arne Korsmo, Oslo (1952-1955).

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colarati distribuiti sul suo perimetro – è un soggiorno che, sollevando la scala mobile di connessione con il primo piano, si trasforma in una scena; i pannelli pivotanti che formano la parete di fondo sono neri da un lato e bianchi dall'altro, e servono alternativamente come lavagna o come schermo di proiezione. La cucina è anche un laboratorio di scultura, con un tornio che appare nel momento in cui delle pannellature scorrevoli chiudono le tre pareti attrezzate. Ma è al piano superiore che l'arredo mostra tutta la sua capacità di articolare un unico spazio indifferenziato in una serie di ambienti estremamente caratterizzati e ricchi di possibilità d'uso. Il più piccolo, interamente foderato in legno e comunicante con il bagno attraverso una scarpiera passante, è uno spogliatoio ma anche una camera degli ospiti, con il suo letto a scomparsa; quello intermedio, a seconda di come si regolino i terminali mobili, è uno studio privato, un archivio o un salottino, mentre in quello più grande, usato anche per ricevere i clienti, accanto ai tavoli di lavoro si trovano i contenitori dei letti, che vengono allestiti solo durante la notte. In questo modo, cioè, Korsmo progetta «una casa […] resistente all'uso, semplice da riorganizzare e […] sufficientemente neutrale da soddisfare i diversi usi»65; il tutto, «adoperando […] esclusivamente strutture d'arredo e di finitura […] e negando qualsiasi possibilità semantica alla struttura tettonica […], poiché è il sistema d'arredo che ne definisce i sensi e i significati e 65. Ibidem.

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