Pianificazione aperta

Page 1



INDICE

8

Prefazione di Gabriele Pasqui

11

Introduzione Il processo di pianificazione è aperto

15

1960-2019 Timeline interpretativa della Pianificazione Aperta 1. 1960-2020 - ATLANTE ECLETTICO DELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

28

Cronologia ragionata sulle Teorie e le Politiche di Pianificazione aperta nel contesto internazionale.

30

Quattro grandi tradizioni della teoria pianificatoria

35

Offenen Planung, pianificazione aperta

39

Progettazione e partecipazione

50

Urbanisme Spatial, Instant city e architettura mobile

57

Pianificazione strategica

67

Tre direttrici interpretative della Pianificazione Aperta


2. IN ITALIA 111

SAGGI FOTOGRAFICI • • • • • • • • • • • • • • •

“cittàinattesa” a cura di Giovanni Hänninen “Palingenesi”, a cura di Francesco Radino Augusta-Siracusa Documentary Film, a cura di Saverio Pesapane Iglesias, Masua, Nebida photo inquiry, a cura di Filippo Romano Passeggiata Ri-Voglio Palazzolo, a cura di Floriana Onidi “Übermut Project”, a cura di Kevin McElvaney Ex Fadda, a cura di Xfoto Esperienza Pepe, a cura di Cyrus Cornut Made in Mage, a cura di Edoardo Delille “tracing”, Landworks Sardinia 2012, a cura di Ettore Cavalli Landworks Plus Argentiera 2017, a cura di Filippo Romano “Il Bel Paese”, a cura di Claudio Sabatino Pompei photo inquiry, a cura di Filippo Romano Badolato-Riace photo inquiry, a cura di Filippo Romano Temporaneo illimitato,a cura di Filippo Romano

137

Italia fragile, il BelPaese o Italia 4.0?

138

Italia post terremoto, alluvioni, smottamenti terreno, l’avanzata del bosco

151 154

Intervento Stefano Boeri Intervista Fabio Renzi

157

Dismissioni urbane, abbandono territoriale, ghost towns e flussi migratori

164

Dismissioni di grandi impianti e siti industriali ed estrattivi

175 178 181 193

Intervista Luciano Ottelli Le grandi opere infrastrutturali Intervista Dario A. Inti Intervento Carlo De Vito

195

Il BelPaese e l’inganno della retorica

202

Industria 4.0 / Manifattura 4.0 / Agricoltura 4.0

206 218

Intervista Annibale D’Elia Intervista Alessandro Coppola


223

VISION E PROGETTI • • • • •

Reconstruction Common Ground lab_ Norcia, Castelluccio, Visso | a.y. 2017-18 Ghost town Laboratory_ Badolato, Riace | a.y. 2016-17 Ghost town Laboratory_ Iglesias, Masua, Nebida | a.y. 2015-16 Pompei Laboratory_ Heritage and Urbanism | a.y. 2014-15 LaboratorioBrindisi | a.y. 2013-14

3. PIANIFICAZIONE APERTA / OPEN URBANISM 263

Disegnare e attivare dei processi di rigenerazione territoriale: linee guida per l’azione, dispositivi da metter in campo per l’azione Cosa ne pensi della Pianificazione Aperta? / What about Open Urbanism? Interviste:

285 288 291 295 299 302

Camillo Boano Leopoldo Freyrie Pierfrancesco Maran Philipp Oswalt Stefan Tischer Francesca Venier


PREFAZIONE

PREFAZIONE

di Gabriele Pasqui

Cosa vuol dire “pianificazione aperta”? O per meglio dire, utilizzando la più felice espressione inglese, cosa significa “open urbanism”? Da una parte, mi sembra possa significare che, seguendo tradizioni anche molto lontane, dovremmo pensare all’attività del pianificare come a un processo che avviene nel tempo, nel quale incidenti, inciampi, condizioni di incertezza, fallimenti possono giustificare cambiamenti di rotta, biforcazioni, spiazzamenti. La contingenza, in altre parole, è la condizione del pianificare se operiamo in contesti caratterizzati da incertezza e pluralismo radicale. Dall’altra, la pianificazione è aperta perché è una faccenda di molti. È cioè una intrapresa collettiva, non un esercizio autoriale. È cioè un complesso processo di interazione sociale, che coinvolge un gran numero di attori, regolato per via istituzionale, nel quale interessi, passioni, concezioni del mondo e forme di vita si incontrano e confliggono. Il libro di Isabella Inti prova a navigare tra queste due diverse flessioni del concetto di “aperto”, attraverso tre mosse. La prima è la ricostruzione di un “atlante eclettico” di riferimenti, che restituisce più il percorso dell’autrice che un quadro strutturato delle idee e degli orientamenti disciplinari. L’atlante suggerisce un percorso “indisciplinato”, tra tradizioni, approcci e autori accostati, in qualche caso, in maniera audace. La seconda mossa, per me la più interessante, restituisce terreni di lavoro per l’approccio di “pianificazione aperta” proposto dall’Autrice intorno al nodo del riuso e della rigenerazione in territori in molti casi fragili, e in contesti differenti del nostro Paese (da Pompei all’Iglesiente, da Brindisi a Norcia, da Badolato a Milano). Le situazioni sono quelle dei territori della fragilità idrogeologica e sismica, ma anche quelli del riuso e della rigenerazione di infrastrutture e di impianti industriali abbandonati. Questa seconda sezione del libro non va intesa come un regesto di buone pratiche guardate a distanza, ma come una auto-bio-grafia, che restituisce esperienze di consulenza e di progetto percorse dall’Autrice in prima persona e con i suoi collaboratori, entro pratiche didattiche e in qualche caso nell’ambito delle attività dell’Associazione Temporiuso, di cui Isabella Inti è fondatrice e animatrice. In questa seconda sezione del libro alcuni dei temi evocati nella prima parte prendono concretezza, si radicano in esperienze di collaborazione con istituzioni e con soggetti privati, si declinano in contesti specifici. Al tempo stesso, nel loro accostamento, alludono ad alcuni temi centrali per il governo del territorio nel

8


9

PREFAZIONE

nostro Paese, che in questi anni ha evitato di mettere il territorio al centro dell’azione di governo, con esiti visibili e drammatici. Si tratta di temi quali il riuso di aree e manufatti in abbandono, la manutenzione del patrimonio infrastrutturale e del welfare materiale, la prevenzione del rischio sismico e idrogeologico nei territori fragili. Nell’ultima sezione l’Autrice ricapitola, in forma di Manifesto, alcune linee guida per l’azione, in una prospettiva concettualmente non dissimile da quella sperimentata sul terreno degli usi temporanei, su cui Isabella Inti ha lavorato, tra i primi nel nostro Paese, con grande determinazione e che trova in questo libro una sua cornice. In modo ancora una volta empirico, le linee guida dell’open urbanism proposte da Isabella Inti mi sembrano caratterizzarsi per tre tratti, che ritengo effettivamente interessanti anche in una prospettiva più ampia. Il primo non è la natura tattica delle strategie ma la natura strategica delle tattiche, lungo una linea di riflessione che pensa alla tattica come una mossa strategica. Il secondo è il riconoscimento che l’innovazione dei dispositivi non ha senso se non si riflette sui meccanismi di interazione sociale entro cui i dispositivi sono chiamati a manifestare la propria efficacia. Il terzo è la centralità delle temporalità plurime, che mostrano la connessione forte tra il tempo breve dei progetti di uso temporaneo e il tempo lungo dei progetti di rigenerazione territoriale di lunga durata. Su questi spunti anche l’Autrice è chiamata a lavorare ancora, attraverso un approccio che sia in grado di mettere a valore, e di dare robustezza culturale e teorica ad esperienze certamente interessanti, in quanto sintomatiche delle condizioni di contesto del fare pianificazione nella contemporaneità.


CAPITOLO 1

INTRODUZIONE

10


Il processo di pianificazione è aperto

11

INTRODUZIONE

Nell’attuale contesto di incertezza politica, economica, sociale, ambientale è ancora possibile disegnare e attivare processi di rigenerazione territoriale? Il libro qui proposto è composto da tre parti che introducono, narrano, esemplificano, propongono e problematizzano il tema della pianificazione territoriale. Le tre parti compongono un libro palindromo, che permette due o più letture: dall’atlante eclettico della Pianificazione, alle vision e progetti in corso per una Italia fragile, il BelPaese o Italia 4.0, sino alla sequenza di mosse suggerite per un processo di pianificazione aperta, o al contrario. Nei testi vengono adottati diversi registri narrativi tra indagine scientifica, racconto personale e riflessione corale, attraversando storie, territori e luoghi accompagnati da ricercatori, amministratori pubblici, imprenditori, attivisti, artisti, fotografi, studenti ed abitanti. Oggi è quanto mai necessario adottare nuovi strumenti territoriali di Pianificazione Aperta quale processo, provando tentativamente anche a riattualizzare la definizione di Offenen Planung/Pianificazione Aperta data con lungimiranza nel 1968 dal filosofo Lucius Burkhardt. Il percorso non sarà predittivo e lineare, ma si suggeriscono delle possibili sequenze di mosse: l’indagine sul campo; l’identificazione di una vision; un piano-palinsesto con linee guida per la trasformazione; avviare e mantenere attivi diversi momenti di dibattito pubblico, workshop, consultazione e interazione con la cittadinanza e le Istituzioni sia nelle fasi di indagine locale, come poi per le ipotesi di intervento; successivamente attivare dei progetti pilota d’uso temporaneo e tactical urbanism, per sperimentare nuove vocazioni, economie e comunità di cura e nel tempo sedimentare usi, pratiche, valori, memorie e risignificazioni di un territorio e paesaggio evolutivo. La pianificazione aperta è allora anche una ricerca-azione, un living-lab, un laboratorio permanente, la cui efficacia o erroneità potrà essere sempre verificata dandone riscontro pubblico, attraverso l’interazione tra Istituzioni, cittadinanza, le diverse parti interessate. La pianificazione non è dunque autonoma, ma è parte di un sistema sociale e alcuni membri di una collettività hanno l’incarico di organizzare il processo democratico di trasformazione. Chi fa urbanistica deve “scegliere la parte” suggeriva Giancarlo De Carlo. Interviste ad esperti, amministratori pubblici, ricercatori, attivisti e progettisti di processi di pianificazione come Camillo Boano, Leopoldo Freyrie, Pierfrancesco Maran, Philipp Oswalt, Stefan Tischer, Francesca Venier sono voci diverse, talvolta con opinioni discordanti ma, unite nel tentativo di contrastare le cause e gli effetti della nostra situazione economica, politica, sociale ed ambientale, incominciando col recuperare la “speranza progettuale”. È necessario allora condividere un processo aperto, delle linee guida e dei dispositivi


INTRODUZIONE

da metter in campo per l’azione perché, come diceva Tomas Maldonado, possa tornare “la nostra fiducia nella funzione rivoluzionaria della razionalità applicata”. Vision, strategie, tattiche e sperimentazioni architettoniche tornano ciclicamente nel vocabolario e nelle pratiche dell’Urbanistica. Nella prima parte, un’indagine e cronologia ragionata, ma non esaustiva, prova a rileggere i tratti salienti di due secoli di teoria della pianificazione nel contesto internazionale e definire tre possibili direttrici interpretative della Pianificazione Aperta. Un Atlante eclettico della Pianificazione urbanistica, che non segue rigorosamente una singola tradizione, indirizzo o metodo di intervento, ma seleziona da diverse correnti alcuni principi, riflessioni e strumenti, secondo un preciso criterio di adattabilità, flessibilità e inclusività. Una timeline 1960-2020 evidenzia in chiave iconografica le tradizioni e possibili direttrici della teoria pianificatoria, con autori, testi e progetti esemplari di John Friedmann, Jane Jacobs, Lucius Burckhardt, John Turner, Giancarlo De Carlo, Paolo Fareri, Yona Friedman, Archigram, Constant Nieuwenhuys, Klaus Kunzmann, Stefano Boeri, Charles Waldeheim, Gilles Clèment, Stefan Tischer, Philipp Oswalt, Temporiuso, Rahul Mehrotra, Cameron Sinclair, Elemental. Questi hanno saputo interpretare, interrogare e dar risposta tentativamente alle criticità dei nostri territori. La seconda parte ed ambito di ricerca in Italia si interroga su tre dimensioni e narrazioni dell’Italia, come Italia fragile, il BelPaese o Italia 4.0. Attraverso ricerche, laboratori di progettazione urbanistica, articoli, interviste e reportage fotografici e grazie allo scambio dato da seminari didattici e incontri pubblici con numerosi interlocutori Istituzionali ed Enti di ricerca, come pure professionisti, attivisti, organizzazioni non governative, studenti ed abitanti delle comunità locali, si vogliono qui restituire diversi immaginari, sui quali proiettare, in modo tentativo, un processo di Pianificazione Aperta, quale nuovo metodo di intervento territoriale. La sezione Italia è corredata da saggi fotografici a cura di Ettore Cavalli, Cyrus Cornut, Edoardo Delille, Giovanni Hänninen, Kevin McElvaney, Floriana Onidi, Saverio Pesapane, Francesco Radino, Filippo Romano, Claudio Sabatino, Xfoto. Le immagini ci permettono di esplorare effetti ambientali e paesaggi ibridi di una Italia post-terremoto, tra alluvioni, smottamenti del terreno, l’avanzata del bosco, ma anche i luoghi delle dismissioni urbane, dell’abbandono territoriale, le ghost towns e i nuovi flussi migratori; poi i paesaggi rinaturalizzati tra lo stratificarsi di impianti di escavazione ed essenze arboree della macchia mediterranea negli ex siti minerari e siti industriali estrattivi, ma anche gli interventi di sensibilizzazione con opere landart e performance ambientali di paesaggisti; un Bel Paese di grandi manufatti edilizi ereditati dal passato e paesaggi agro-pastorali; la scommessa della reinvenzione di spazi con infrastrutture temporanee, arredi con materiali di riciclo, micro-architetture gonfiabili, per fab-lab, manifattura 4.0, ostelli, ristoranti sociali in ex magazzini industriali, palazzine urbane, cantine vinicole rurali, caserme militari.

12


13

INTRODUZIONE

Geologi e sociologi, urbanisti e archeologi, economisti e scienziati della Terra, sismologi e architetti, vulcanologi e film-makers, storici e informatici. Molte le interviste e le opinioni incontrate tra cui Luciano Ottelli, Stefano Boeri, Carlo De Vito, Dario Alessandro Inti, Fabio Renzi, Annibale D’Elia, Alessandro Coppola. Tutti, a modo loro, narratori di una nuova idea di Nazione. Il lavoro da fare è enorme. Grazie ai laboratori di progettazione urbanistica condotti negli ultimi 5 anni alla Facoltà di Architettura, Urbanistica e Ingegneria delle Costruzioni del Politecnico di Milano, si è potuto mettere alla prova dei team multidisciplinari, composti da docenti, tutor, studenti ed esperti esterni, con i quali si è tentativamente provato ad indagare e dar risposta progettuale alle fragilità del nostro Paese. Nel a.a. 2013-14 con LaboratorioBrindisi, con Ghost Town Laboratory_Iglesias, Nebida, Masua a.a. 2015-16 e Ghost Town Laboratory_Badolato, Riace a.a. 201617 e ancora con Reconstruction Common Ground Lab_Norcia, Castelluccio, Visso a.a. 2017-18. Come pure abbiamo provato a reinterpretare le enormi potenzialità date dal “petrolio” del BelPaese, il patrimonio materiale ed immateriale, con strategie più complesse di produzione culturale e progettazione urbanistica per la città diffusa contemporanea, con Pompeii Laboratory_Heritage and Urbanism aa 2014-15 o ancora messo a sistema la ricerca di una modernità, le dinamiche economiche e di sviluppo attraverso l’infrastrutturazione con grandi opere, e gli effetti delle nuove tecnologie, con le aspettative ed istanze sociali, interrogandoci su quali sono le nuove forme di produzione economica e che tipo di vision e geografie possiamo accompagnare nel processo di definizione. Le ragioni per cui è necessario attraversare, sostare, ascoltare e conoscere i paesaggi, il patrimonio naturale, storico ed architettonico, le tradizioni materiali ed immateriali del territorio italiano, sono urgenti. Avviare dei processi di pianificazione aperta, ridisegnare delle strategie condivise, per valorizzare e risignificare i luoghi fragili, il Bel Paese e dare spazio a nuove economie e metabolismi territoriali, è una scommessa, a cui tutti siamo chiamati a cooperare. Iniziamo.


26

CAPITOLO 1


1960-2020 Atlante eclettico della Pianificazione territoriale

27


CAPITOLO 1

CRONOLOGIA RAGIONATA SULLE TEORIE E LE POLITICHE DI PIANIFICAZIONE APERTA NEL CONTESTO INTERNAZIONALE Quali strumenti di pianificazione e progettazione territoriale possono oggi meglio adattarsi alle dinamiche di trasformazione del territorio italiano (e non solo) dovute ai cambiamenti economici, politici, sociali e climatici? Qual’è il ruolo delle attuali classi dirigenti politiche ed amministrative e delle élite intellettuali di Istituzioni, Fondazioni, enti di ricerca, reti creative nell’istruire dei percorsi di indagine delle criticità del nostro territorio e provare a dare risposta in tempi brevi, medi e di lunga durata alle emergenze dovute a calamità naturali quali terremoti, frane, smottamenti del terreno? Lo sviluppo economico e territoriale del nostro Paese quanto è ancor oggi legato alla modernizzazione delle grandi infrastrutture logistiche di reti e nodi di trasporto e dei poli di produzione industriale? Quali sono le nuove forme di produzione economica e che tipo di geografie definiscono? O ancora come interagire localmente con i grandi flussi dei fenomeni migratori e del turismo internazionale? Come dare ascolto alle istanze sociali legate a nuove forme della produzione e del lavoro, alla dinamicità dei nuclei familiari e dell’abitare? Come riconoscere e regolamentare i nuovi modelli di common ground, spazio pubblico e spazi per lo svago? È possibile formalizzare forme di sussidiarietà tra welfare state e i nuovi servizi autorganizzati di una cittadinanza attiva? Prima di guardare alle attuali correnti della pianificazione e progettazione urbana e territoriale, sarà utile un’indagine e cronografia ragionata che provi a rileggere i tratti salienti di due secoli di teoria della pianificazione nel contesto internazionale. Un Atlante eclettico della Pianificazione urbanistica, che non segue rigorosamente una singola tradizione, indirizzo o metodo di intervento, ma seleziona da diverse correnti alcuni principi, riflessioni e strumenti, secondo un criterio di adattabilità, flessibilità e inclusività. Una timeline 1960-2020 evidenzia in chiave iconografica le tradizioni e le nuove correnti della teoria pianificatoria, gli autori, i testi ed i progetti esemplari che interpretano, interrogano e danno risposta tentativamente alle criticità dei nostri territori. La pianificazione scientifica come liberazione dal passato feudale L’idea che una conoscenza della società fondata su basi scientifiche potesse realmente applicarsi al miglioramento delle sue condizioni sociali, abitative, lavorative, si manifestò per la prima volta nel corso del diciottesimo secolo. Così inizia il secondo capitolo di “Pianificazione e dominio pubblico. Dalla conoscenza all’azione” dell’urbanista John Friedmann (1989). Quale padre della pianificazione scientifica viene eletto Saint-Simon, che avrà numerosi seguaci ed eredi in diverse discipline come la sociologia (Gouldner 1958), le scienze politiche

28


Alle origini della Pianificazione radicale Una visione più realista nella prima età industriale si affermò con la pubblicazione della “Filosofia della povertà” di Proudhon nel 1846, in coincidenza con l’insurrezione di Parigi del “Manifesto comunista” di Marx e Engels. Qui le idee radicali della pianificazione si incastonarono nelle dottrine dell’anarchismo e del materialismo storico. In parallelo la visione conservatrice si sviluppava sotto il vessillo della “Religione dell’Umanità” di Comte (1846). La pianificazione radicale si distinse per il suo messaggio politico. Questo si indirizzava non alla classe dominante, come invece era stato per Saint-Simon e per Compte, ma al proletariato urbano, il vero veicolo per una battaglia rivoluzionaria. Le esclamazioni di Proudhon “la proprietà è un furto!” e di Marx ed Engels “proletari di tutto il mondo unitevi!” guardavano ad un cambiamento nei rapporti di forza, negando la legittimità di ogni forma coercitiva di potere, chiedendo riforme strutturali nei rapporti di lavoro, nei modelli abitativi. Le nuove idee radicali vedevano la risposta ai poteri di pianificazione di un oppressivo stato borghese in un’ampia mobilitazione sociale dei lavoratori.

29

1960-2020 - ATLANTE ECLETTICO DELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE

(Vidal 1959), l’amministrazione (Ionescu 1976 e Krygier 1979), nel socialismo e nell’intervento dello Stato nell’economia (Durkheim 1958, Bernstein 1955). La pianificazione è vicina a tutte queste discipline e tradizioni filosofiche. Partendo dalla fisiologia sociale, Saint-Simon suggerisce un’immagine della società come corpo sociale, nella quale i medici sono scienziati e ingegneri del lavoro al servizio dell’umanità. Come compito pratico i medici scienziati della società avrebbero offerto la propria conoscenza a quanti fossero stati capaci di guidare il progresso dell’umanità verso il nuovo ordine industriale: ingegneri, imprenditori, finanzieri, banchieri, artisti, scrittori, musicisti, leaders politici come orchestratori dell’intero insieme. Al tempo in cui Saint-Simon formulava le sue teorie, la vittoria dell’industrialismo non era affatto certa. Successivamente la borghesia si impadronì delle sue teorie servendosene come un’arma ideologica nella battaglia per l’egemonia. Come classe, essa avrebbe tratto grande beneficio da una filosofia che vedeva la pianificazione scientifica come levatrice della liberazione dell’umanità dalla oscurità di un passato feudale.



IN ITALIA Italia fragile, il BelPaese o Italia 4.0?


Sesto San Giovanni (MI) Milano Lido di Venezia (VE) Pozzolengo (BS)

Visso (MC)

Castelluccio|Norcia (PG)

Roma Argen�era (SS) Pompei (NA) San Vito dei Normanni (BR) Iglesias|Monteponi (CI) Masua|Nebida (CI)

Badolato (CZ)

Augusta|Siracusa

110


SAGGI FOTOGRAFICI

111

IN ITALIA - ITALIA FRAGILE, IL BELPAESE O ITALIA 4.0?

La sezione Italia è corredata da saggi fotografici a cura di Ettore Cavalli, Cyrus Cornut, Edoardo Delille, Giovanni Hänninen, Kevin McElvaney, Floriana Onidi, Saverio Pesapane, Francesco Radino, Filippo Romano, Claudio Sabatino, Xfoto. Le immagini ci permettono di esplorare effetti ambientali e paesaggi ibridi tra lo stratificarsi di impianti di escavazione ed essenze arboree della macchia mediterranea negli ex siti minerari dell’Iglesiente tra Masua e Nebida, i vasti orizzonti tra mare, cielo e siti industriali di Augusta-Siracusa, il ritorno della natura, di un terzo paesaggio tra le aree degli ex Scali merci di Milano; gli interventi di sensibilizzazione con opere land-art e performance ambientali di paesaggisti; la reinvenzione di spazi con infrastrutture temporanee, arredi con materiali di riciclo, micro-architetture gonfiabili, per fab-lab, manifattura 4.0, ostelli, ristoranti sociali in ex magazzini industriali, palazzine urbane, cantine vinicole rurali, caserme militari; le nuove relazioni tra l’uomo e le graduali trasformazioni che l’avanzare della tecnologia porta negli ambienti che questo popola; le passeggiate pubbliche e gli eventi di protesta tra centri storici spopolati, aree in trasformazione e cantieri abbandonati per il restauro di complessi produttivi; un Bel Paese di grandi manufatti edilizi ereditati dal passato che si affiancano in modo caotico a costruzioni più o meno recenti, reperti archeologici tra ponti, strade, palazzi, case; il recinto del sito archeologico di Pompeii tra i vigneti e le pendici del Vesuvio, il pulviscolo abitativo dell’area metropolitana di Napoli; il radicamento dell’agricoltura e di tecniche costruttive arcaiche tra i pendii franosi e le ghost towns di Badolato e i villaggi pedecollinari della costa Ionica; gli insediamenti abusivi e le opere incompiute lungo la Statale 106; alcuni squarci sul terremoto tra i crolli del patrimonio architettonico di Norcia, i paesaggi agro-pastorali dell’Appennino tra Castelluccio di Norcia e Visso e le nuove infrastrutture ed architetture della ricostruzione tra new towns, centri agroalimentari di archistar, roulottes, container, casette in legno, yurte, stalle, capannoni, talvolta realizzati dallo Stato, oppure autocostruiti da popolazioni resistenti.


Giovanni Hänninen “cittàinattesa”


Francesco Radino “Palingenesi”


136

CAPITOLO 2


ITALIA FRAGILE, IL BELPAESE O ITALIA 4.0?

137

IN ITALIA - ITALIA FRAGILE, IL BELPAESE O ITALIA 4.0?

Il secondo ambito di ricerca in Italia si interroga su tre dimensioni e narrazioni dell’Italia come Italia fragile, il BelPaese o Italia 4.0. Attraverso ricerche, laboratori di progettazione urbanistica, articoli, interviste e reportage fotografici e grazie allo scambio dato da seminari didattici e incontri pubblici con numerosi interlocutori Istituzionali ed Enti di ricerca, come pure professionisti, attivisti, organizzazioni non governative, studenti ed abitanti delle comunità locali, si vogliono qui restituire diversi immaginari, sui quali proiettare, in modo tentativo, un nuovo metodo di intervento territoriale. Le ragioni per cui è necessario attraversare, sostare, ascoltare e conoscere i paesaggi, il patrimonio naturale, storico ed architettonico, le tradizioni materiali ed immateriali del territorio italiano, sono urgenti. Ridisegnare delle strategie condivise, per valorizzare e risignificare i luoghi fragili, il Bel Paese e dare spazio a nuove economie e metabolismi territoriali, è una scommessa, a cui tutti siamo chiamati a cooperare.


Intervista a

Fabio Renzi Segretario generale Fondazione Symbola

Giugno 2018, teatro Comunale, Treia (MC)

CAPITOLO 2

Isabella Inti: Quale vision per la ricostruzione post terremoto nelle Marche e area del Cratere? Quali strumenti mettere in campo? Fabio Renzi: Penso che dovremmo fare lo sforzo di andare oltre le difficoltà, i ritardi, le contraddizioni di questa lunghissima fase dell’emergenza post terremoto dalla quale non siamo ancora usciti e che vede la ricostruzione ancora non avviata. Quando sono attese solo nelle Marche più di 40.000 domande di risarcimento per ricostruire e per mettere in sicurezza le abitazioni e ne sono arrivate neanche 2.000 e licenziate solo qualche centinaio, significa che c’è un problema molto grande. Si tratta di affrontare senza ipocrisie e pavidità la questione delle difformità edilizie che interessano il 60% delle abitazioni del cratere. ANCI Marche, Legambiente, Symbola, Confindustria, Confartigianato, Cna, Cgil, Cisl, Uil e gli ordini professionali degli architetti, degli ingegneri e dei geometri hanno presentato al Governo e al Parlamento una proposta per superare l’attuale situazione di stallo che blocca la ricostruzione privata, i cui dati come abbiamo visto sono impietosi e preoccupanti. Non è una proposta di condono, infatti prevede che le norme per concedere le eventuali sanatorie valgano fino alla data dell’ultimo condono del 2003, che sia sanabile solo quello che oggi potrebbe essere concesso

sulla base dei piani casa regionali vigenti (max 20% aumento volumetrico) e che la ricostruzione e/o messa in sicurezza della parte sanata non venga finanziata con denaro pubblico ma sia a carico del privato. Se non si risolve la questione della doppia conformità la ricostruzione rimane al palo e il tempo che scorre la rende sempre più improbabile e inefficace. Rischiamo di ricostruire solo seconde case perché nel frattempo la popolazione che si è spostata lungo la costa difficilmente ritornerà e chi vive nelle casette, le famose SAE Soluzioni Abitative di Emergenza, non ci resterà per gli almeno 10 anni previsti e probabilmente acquisterà una nuova abitazione nei centri costieri e collinari. Stiamo perdendo la parte più giovane della comunità che, essendosi spostata sulla costa per motivi di emergenza, molto probabilmente non rientrerà più, soprattutto se queste famiglie hanno bambini piccoli o adolescenti, che messi davanti ad una diversa qualità della vita, maggiore densità di relazioni, alle diverse offerte culturali e ricreative di questi luoghi, faranno fatica a tornare. Come dice il sindaco di Arquata del Tronto “al lavoro sono ritornati tutti ma c’è il 30% di bambini in meno, nonostante le nuove scuole siano state ricostruite”. E rispetto alle vision future, come è possibile definire un percorso oggi?

154


La ricostruzione post sisma non può essere intesa come un’economia? Nei termini materiali di nuove filiere produttive di materiali per l’edilizia antisismica, di filiere del legno, ma anche di enti di ricerca dedicati alle tecnologie avanzate? Da unire poi a realtà della filiera agro-alimentare e ad enti che potrebbero curare i paesaggi agropastorali e forestali come Università della Montagna? Nell’Appennino il terremoto ha sempre svolto una funzione di distruzione creativa. Questo terremoto arriva al

termine della parabola di una modernità che ha messo al margine questi territori, che da prossimi li ha resi distanti, da luoghi di una manifattura ricca e importante li ha resi luoghi di emigrazione, che li ha allontanati dal centro della scena culturale. Questa lunga parabola che ha avuto nel ‘900 una accelerazione si è conclusa, perché questi territori sono tornati ad essere territori prossimi, perché nuovamente desiderati in conseguenza dei nuovi orientamenti etici e culturali, del cambiamento degli stili di vita nel segno della sostenibilità, della salubrità, della bio diversità, della biologicità, dell’autenticità, dell’esperenzialità. Il Parco Nazionale dei monti Sibillini, totalmente ricompreso nell’area del cratere,nel 2015 (prima del terremoto) ha avuto un milione e centomila visitatori, di cui l’11% di turisti stranieri, cifre che trent’anni fa non avrei mai osato immaginare. Oggi, e qui sta la tragica opportunità della ricostruzione, dobbiamo ripensare questi luoghi cogliendo e combinando insieme i mutamenti culturali, non solo dei fruitori ma anche e soprattutto dei residenti in questi territori, e le possibilità date dalle recenti innovazioni tecnologiche. Mentre i sindaci continuano a fare piccole scuole attraverso le donazioni private, destinate a chiudere nel giro di pochissimi anni per mancanza di alunni, sono le famiglie, le mamme che invece chiedono di avere un unico campus scolastico per otto comuni nella valle del Fiastrone con una offerta formativa e culturale che per raggiungere la necessaria massa critica qualitativa e quantitativa deve per forza di cose essere di livello territoriale. Queste mamme ci dicono che la scuola è un investimento sul futuro e non più un risarcimento dell’isolamento come nel passato, sono loro che ci indicano come pensare un Appennino nuovo. Per questo bisogna andare oltre l’immagine dell’Appennino elusivo, resiliente e resistente che continua a pensarsi e percepirsi come area interna, marginale, svantaggiata. Le stesse esperienze positive di resilienza che si sono affermate e diffuse in questi anni ci indicano che

155

IN ITALIA - ITALIA FRAGILE, IL BELPAESE O ITALIA 4.0?

Dopo che per 30 anni siamo riusciti, attraverso la politica dei parchi, lo sviluppo del turismo, la crescita della qualità della ristorazione, della qualità della produzione agro-alimentare, ad interrompere e ad invertire la perdita di ricchezza della montagna verso la costa, realizzando una sorta di embrionale riequilibrio territoriale, oggi purtroppo ci ritroviamo nuovamente davanti ad un trasferimento di ricchezza e di risorse umane dalla montagna alla costa. Sarà difficile in queste condizioni realizzare la vision di cui si è parlato assieme, e quando verrà conclusa la ricostruzione, per chi sarà stata fatta? Ci ritroveremo in un grande Truman Show naturalistico, abitato nel fine settimana da turisti italiani e stranieri. Rischiamo una rottura profonda e non rimarginabile del nostro stesso immaginario culturale, del nostro pensare l’Italia. L’Aquila, Sulmona, Teramo, Ascoli, Norcia, Visso, Macerata, Camerino, Perugia...con l’epopea della fondazione dei liberi comuni sono stati l’epicentro della rinascita della cultura urbana in Europa. Territori e città da sempre segnati dalla prossimità, dalla vicinanza e dalla grande intensità creativa. Piero della Francesca perfezionò la prospettiva, non a Milano o a Roma, ma tra San Sepolcro, Urbino ed Arezzo, proprio in questi territori che dal 1000 al 15000 hanno dato all’Italia e all’Europa 5 secoli di crescita economica.


Vision ‘Njonica | Ghost Town Laboratory_ Badolato, Riace a.a. 2016-17 | Politecnico di Milano



E.O.S., Ecomuseum Open School | Heritage group | Ghost Town Laboratory_ Badolato, Riace a.a. 2016-17 | Politecnico di Milano


Mills Mills

Farms Farms

Pig Pighouses houses

Palazzi Palazzi

Churches Churches

TWIN TWIN MILL MILL

Terraces Terraces

Donkey Donkeyroads roads Existing Existingactivivities activivities


0

5

10

20


Agiculture and forestry group | Ghost Town Laboratory_ Badolato, Riace a.a. 2016-17 | Politecnico di Milano


Cosa ne pensi della

PIANIFICAZIONE APERTA?

CAPITOLO 3

What about Open Urbanism?

284


Intervista a

Camillo Boano Professor of Urban Design and Critical Theory, The Bartlett Development Planning Unit (UCL), UK

Dicembre 2017, Londra

Isabella Inti: Quali strumenti di pianificazione e progettazione sono a tuo parere più efficaci attualmente?

285

PIANIFICAZIONE APERTA / OPEN URBANISM

Camillo Boano: Per il contesto all’interno del quale lavoro io e per le sue condizioni specifiche di precarietà, temporaneità, incrementalità e molto spesso scarsità di risorse economiche e alto grado di vulnerabilità ed inegualità, quello che nella letteratura si chiama ‘città informale, gli strumenti e le ontologie del piano e del progetto che siamo abituati a considerare e con le quali siamo cresciuti non sono applicabili, per lo meno nella loro interezza. Il concetto stesso di piano, di design inteso come strumento per immaginare un futuro e un percorso per raggiungerlo, devono essere compresi in relazione ad una situazione globale d’ineguaglianza, di costruzione sociale del rischio, di vulnerabilità ambientali e sociali di marginalizzazione e di sfruttamento. Immaginare futuri possibili urbani deve partire dal riconoscere la grandezza dei piccoli gesti e degli sforzi, degli interstizi e delle potenzialità che azioni collettive hanno nel pensare e modificare lo spazio ed il territorio. Pensare che questa condizione sia marginale e non rilevante è semplicemente miope. Attualmente, oltre un miliardo di persone vive in “insediamenti informali”, un numero destinato a raddoppiare entro il 2030. Non un’eccezione quindi, ma una

norma. Una specifica forma urbana che per molti è l’unico accesso alla città. Il progetto qui non è un masterplan, ma deve configurarsi come un’architettura di engagement: una forma di progettualità situata, dialogica, relazionale (una volta forse avremmo solo parlato di partecipazione) che fa delle pratiche spaziali e dell’intervento nello spazio una critica e una speranza. Questo modo di intendere e approcciare il progetto deve certo la sua ispirazione alla visione anarchica dell’ ‘housing as a verb’ di John Turner, alla ‘architecture withouth architect’ di Nabeel Hamdi, ma anche alle più recenti ‘critical spatial practices’ di Jane Rendell, alle narrative situate di Helen Frichot o di Peg Rawes o anche delle ‘spatial agencies’ di Jeremy Till, Tatiana Schnider e Nishat Anwat o alla versione ispirata al lavoro di Jaques Rancière applicata all’architettura di Keller Easterling o al mio stesso ‘architecture of dissensus’. Gli strumenti non sono dati, non sono standardizzati ma devono costantemente essere negoziati rivedendo e ricalibrando il processo di progettazione all’interno della condizione urbana contemporanea, che potrebbe essere detto “nonprogettato” o anche “non-progettabile”. L’informalità urbana, se mi passi questo termine generico, ma che penso sia potente, è destinata a ricoprire una serie di situazioni in cui il patrimonio edilizio, il progetto, il programma delle funzioni



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.