Il gusto della congettura, l’onere della prova

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Contemporanea

Architettura, città, storia Collana diretta da Fabio Mangone e Paola Barbera Comitato scientifico Gemma Belli (Università di Napoli Federico II) Federico Bucci (Politecnico di Milano) Dirk De Meyer (Ghent University) Antonella Greco (Università di Roma Sapienza) Michelangelo Sabatino (Illinois Institute of Technology Chicago) I volumi di questa collana sono sottoposti a peer review di due referee anonimi

ISBN 978-88-6242-290-1 Prima edizione Marzo 2018 © LetteraVentidue Edizioni © Maria Domenica Viggiani A cura di: Gemma Belli, Andrea Maglio, Fabio Mangone, Massimiliano Savorra È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Progetto grafico: Francesco Trovato LetteraVentidue Edizioni Srl Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italy Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni


Maria Luisa Scalvini

Il gusto della congettura, l’onere della prova


I curatori desiderano ringraziare quanti, aderendo con entusiasmo all’iniziativa nell’affettuoso ricordo di Maria Luisa Scalvini, hanno contribuito a renderla possibile: il Magnifico rettore dell’Università degli studi di Napoli Federico II, Gaetano Manfredi, ha sostenuto con entusiasmo questa pubblicazione; Minga Viggiani ha autorizzato la pubblicazione. Fulvio Irace, Massimo Pica Ciamarra e Francesco Rispoli hanno fornito importanti testimonianze; Valeria Pagnini, Simona Rossi, Raffaella Russo Spena e Rosa Sessa hanno alacremente lavorato all’acquisizione dei testi; Barbara Bertoli, Fortuna Giosafatto ed Emma Labruna hanno contribuito alla costruzione dell’elenco degli scritti; Florian Castiglione ha realizzato ad hoc alcuni bellissimi scatti; l’Ufficio personale docente e ricercatore dellʼateneo napoletano ha consentito l’accesso agli archivi.


Indice

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Premessa Fabio Mangone

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Metodi Massimiliano Savorra Introduzione

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Simbolo e significato nello spazio architettonico

39

Architettura fra retorica e logica

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L’architettura come semiotica connotativa

91

Ornamento: semiosi?

111

L’architettura e l’analisi storico-critica: due modelli a confronto

131

Il gusto della congettura, l’onere della prova

139

Letture Andrea Maglio Introduzione

145

Architettura: la «rimozione del nuovo»

165

ʻModernoʼ e ʻContemporaneoʼ nella storiografia architettonica

181

La querelle sulle proporzioni architettoniche nella Francia del tardo Seicento: protagonisti e “comprimari”


I curatori del volume hanno voluto proporre i testi di Maria Luisa Scalvini ivi raccolti esattamente nella forma originaria, scegliendo di non modificarli nemmeno per uniformarli a una norma editoriale generale.


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Vitruvio “mis en françois”, da Jean Martin a Claude Perrault

205

“Stile” e “identità”, fra localismi e orgoglio nazionale: temi e punti di vista nel dibattito eclettico

219

Arti e architettura nella Vienna della finis Austriae 18901918: die Welt von Vorgestern

233

Narrazioni Gemma Belli Introduzione

239

D’Aronco nel periodo napoletano

251

Austria e Germania negli scritti di Persico

269

La facciata neogotica per il Duomo di Napoli nell’itinerario eclettico di Enrico Alvino

285

Introduzione a Some Architectural Writers of the Nineteenth Century di N. Pevsner

Appendice 317

Breve profilo biografico

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Scritti di Maria Luisa Scalvini


Premessa di Fabio Mangone


Premessa

Articolato in tre sezioni, questo volume costituisce la prima antologia degli scritti di Maria Luisa Scalvini, a breve distanza dalla sua scomparsa. Non a caso esce postuma, perché immersa negli interessi scientifici del presente, e non di rado incline a sottovalutare l’importanza dei propri contributi, l’Autrice non ha voluto mai promuovere raccolte dei suoi scritti, e nemmeno riedizioni di alcuni suoi volumi particolarmente richiesti. Talché alcuni suoi saggi di notevole importanza sono rimasti confinati all’interno di libri introvabili, o di vecchie annate di riviste anche difficili da reperire. Da studiosa di storia della storiografia, e pioniera di un felice filone di studi dedicato alla costruzione del mito dell’architettura moderna, dei propri scritti tendeva a riconoscere l’appartenenza a uno specifico contesto culturale e temporale, piuttosto che la perdurante attualità di dati, tesi, o intuizioni. L’obiettivo di questa antologia, però, non è tutto compreso nella opportunità di offrire ai lettori il facile accesso a saggi introvabili e tuttavia di raro acume. Si è inteso, anche e soprattutto, ricostruire seppure per frammenti il senso di una traiettoria intellettuale singolare, tutt’altro che scontata, segnata peraltro dal succedersi di plurime curiosità, dal rispondere a molteplici stimoli, con prospettive in grado di trascendere l’ambiente in cui operava e la disciplina insegnata. Ad uno sguardo retrospettivo, il percorso risulta coerente e unitario, nonostante che le concrete opportunità di lavoro scientifico e accademico nelle varie fasi la abbiano necessariamente portata a misurarsi con ambiti disciplinari e con ambienti culturali assai diversificati. Come dimostra la selezione di testi scelti, necessariamente ridotta rispetto alla più vasta produzione (di cui si offre in appendice una prima complessiva ricognizione), per l’Autrice, assolutamente convinta che l’architettura nella sua complessità culturale non potesse leggersi in chiave meramente tecnicistica, l’interesse per gli aspetti teorici è rimasto sempre preminente, ancorché nelle

Fabio Mangone

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Metodi Introduzione di Massimiliano Savorra


Metodi

Tanto diversi per collocazione editoriale quanto omogenei per taglio culturale, i saggi raccolti in questa sezione si riferiscono al lavoro scientifico di Maria Luisa Scalvini riguardante temi “semiotico-strutturali” e rimandano alla ricerca – strettamente intrecciata all’impegno costante nella rivista «Op. cit.» diretta da Renato De Fusco – di una linea teorica in grado di chiarire questioni disciplinari di storia e di critica dell’architettura. L’interpretazione dei fenomeni artistici mediante l’approccio metodologico semiotico fu posta all’attenzione degli studiosi a partire dalla metà degli anni Sessanta, quando Scalvini affrontò i nodi del dibattitto in corso – particolarmente vivace in quel momento – sul problema della “valutatività” e sulla nozione di “valore” in campo estetico, anche per ciò che concerneva la dimensione storiografica. In quel periodo, la linguistica applicata all’architettura – una moda culturale che, come scrisse Umberto Eco, si auspicava durasse a lungo per produrre esiti interessanti – era diventata un campo di approfondimento della più generale scienza dei segni. Vi era, infatti, la convinzione che la disciplina scientifica che studiava i fenomeni della cultura, intesa come comunicazione, comprendesse anche gli ambiti progettuali e architettonici, destinati per loro natura a modificare la realtà a livello tridimensionale. Per le ricerche critiche e semiologiche in senso ampio che abbracciavano una pluralità di discipline, il 1968 fu un anno-chiave in cui apparvero numerosi capisaldi della letteratura in materia: Michel Foucault, Roland Barthes, Jacques Derrida e il gruppo di «Tel Quel» davano alle stampe la loro Théorie d’ensamble; György Kepes rieditava in francese Signe image symbole; Jean Piaget con Le structuralisme ampliava l’epistemologia genetica con nuove nozioni; Dan Sperber con Le structuralisme en anthropologie e Moustapha Safouan con Le structuralisme en psychanalyse dimostravano come le teorie e il metodo dello strutturalismo

Introduzione di Massimiliano Savorra

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Simbolo e significato nello spazio architettonico in ÂŤCasabellaÂť, n. 328, 1968


Metodi

L’interpretazione semiologica come recupero del momento teorico Qualche anno fa, in un memorabile saggio sulla continuità storica dell’architettura europea1, centrato sulla funzionalità semantica del linguaggio critico contemporaneo, rispettivamente in rapporto all’architettura classica ed a quella moderna, Sergio Bettini concludeva la prima parte del suo scritto notando che l’arte come Erlebnis non è comunicabile, mentre ciò che è comunicabile è la struttura linguistica dell’arte stessa. E proseguiva, sottolineando le difficoltà insite in una direzione di ricerca così orientata, rilevando che «la quasi onninamente accettata identificazione di B. Croce tra i problemi, almeno, dell’arte e i problemi d’una linguistica generale, non ha portato a conseguenze strumentali sufficientemente articolate nella critica delle arti figurative, meno ancora dell’architettura. Si parla di linguaggi artistici; ma non se ne precisa la linguistica, neppure nell’ordine “pratico” di un De Saussure. Talché la stessa espressione “linguaggio figurativo; o architettonico”, ricorrente di continuo, non è strutturalmente (e sia pure schematicamente) articolata: il più delle volte essa, o ha un significato metaforico, o grammaticale – quindi non storico –; oppure rimanda alla teoria delle forme simboliche: la quale, sebbene sostenuta da “storicisti” programmaticamente avversi alle “metafisiche”, non può in realtà che rendere storicamente insolubile il problema dei linguaggi artistici». Il giudizio di Bettini sull’uso metaforico, o improprio, dell’espressione “linguaggio architettonico”, risulta particolarmente significativo e pertinente, a qualche anno di distanza, ora che, più o meno di recente, 1. S. Bettini, Critica semantica; e continuità storica dell’architettura europea, in «Zodiac» numero 2.

Simbolo e significato nello spazio architettonico

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Architettura fra retorica e logica in ÂŤOp. cit.Âť, n. 15, 1969


Metodi

Un ricorrente filone, della cultura contemporanea, tende a riproporre per il campo urbano-architettonico un approccio progettuale di tipo scientifico. Non intendiamo, con ciò, fare un ovvio riferimento ai tentativi di introdurre, nella elaborazione urbanistica in ispecie settoriale, metodi matematici particolari e una serie di applicazioni derivate dalla modellistica. Ci riferiamo piuttosto ai tentativi – e sono molti, nella letteratura più recente – per un inedito recupero della sistematica logica di ispirazione razionalista, e per la introduzione di una nuova nozione di oggettività (di natura complessa e inerente non tanto al «prodotto» quanto ai «valori»), da sostituire alla troppo storicamente circoscritta, e immanente al «prodotto», nozione della Sachlichkeit. Questi tentativi possono farsi risalire ad un generale impegno razionalizzante, volto cioè ad una esatta fondazione disciplinare dell’architettura (e dell’urbanistica), e alla conseguente possibilità di formulazioni teoriche e metodologiche sufficientemente rigorose. Le radici di esso vanno probabilmente ricercate nella nozione di «architettura come servizio», che in sostanza si colloca alla base di un filone fondamentale del movimento moderno; ma si tratta di radici remote rispetto alle attuali impostazioni, anche se utili per ancorare il fenomeno architettonico – se non alla sfera delle scienze di più salda tradizione logica in senso formale – quanto meno a quella delle scienze dell’uomo, traendolo dagli astratti splendori della sfera artistica. Ci proponiamo qui di centrare l’attenzione soprattutto sull’aspetto della valutatività, nel senso di tenere il problema dei valori come punto costante di riferimento al livello teorico (connessione organica e gerarchizzazione dei valori in una formulazione generale), al livello progettuale (scelte), a livello storico-critico (valutazioni in rapporto a). Sin qui infatti, e nonostante la denuncia reiterata della crisi dei valori tradizionali e della necessità di

Architettura fra retorica e logica

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Ornamento: semiosi? in «L’architettura. Cronache e storia», n. 257, 1977


Metodi

In un recente saggio1, Joseph Rykwert ha analizzato con l’abituale acume gli aspetti più significativi della figura di Carlo Lodoli, mettendo in luce come il suo vero pensiero circa il rapporto tra “funzione” e “rappresentazione” non debba essere ricondotto alla versione reçue che ne dà l’Algarotti, bensì ad una più complessa interpretazione, derivabile dal Memmo, e inoltre da un lato da un recupero del significato che i termini “funzione” e “rappresentazione” hanno nella cultura del tempo, dall’altro da un’analisi che lo stesso Rykwert svolge su quanto rimane dell’unica opera superstite, che rifletta il pensiero architettonico del frate veneziano: l’ospizio per i pellegrini in Terra Santa, presso la chiesa di San Francesco della Vigna. L’articolo sviluppa una tematica complessa, che qui è impossibile riassumere; tuttavia, ai nostri fini, molte delle conclusioni cui Rykwert giunge possono essere sintetizzate nel giudizio secondo cui «Lodoli non fu assolutamente quel nemico di ogni ornamento che Algarotti ha tratteggiato»2; perché anzi il suo atteggiamento nei confronti del passato e della conoscenza storica è caratterizzato da tratti complessi, assai più ‘sottili’ di quanto non sia stato accreditato tramite l’immagine ‘semplificata’ che ci è stata trasmessa: tutto questo, evidentemente, getta una 1. Cfr. J. Rykwert, Lodoli on Function and Representation, in «The Architectural Review», n. 953, luglio 1976. 2. «Emphatically Lodoli was not the enemy of all ornament Algarotti had made him: he had had a much more subtle attitude to the imitation of the past than Algarotti allowed him. Lodoli was not a ‘typical’ enlightenment figure. True, the experimental activities, which led to his ideas about structure and ornament, testify to his self-confessed devotion to the Baconian ethos and to Galileo. But there was another and different Baconian to whom he was also closely related: Giambattista Vico, … to whom the verum and factum of Baconian experimental philosophy had an important corollary: that the touchstone of the verifiable and knowable was what we and our like had made. And that therefore historical, and not geometrical knowledge could provide us with the only real certitude» (J. Rykwert), cit.

Ornamento: semiosi?

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Metodi

applicare l’apparato concettuale suggerito da Ricoeur. Il gusto della congettura e l’onere della prova sono tratti che accomunano settori anche molto distanti del lavoro scientifico, dalla matematica alle “storie”. In uno dei più bei saggi contenuti nel volume Verso Gerusalemme (1982), «…nel vero non si ritrova storie che habbino ordine» – il cui titolo è tratto da un brano dove Vasari parla dei dipinti di Giorgione – Lionello Puppi si poneva l’ipotesi «concretamente giustificata e assai affascinante» di indagare sulla relazione fra Giorgione e l’architettura: un procedimento apparentemente arbitrario, ma suscettibile – qualora si esca da una concezione «paralizzante, improduttiva» del «genere» artistico per entrare in un’ampia «problematica contestuale» – di tradursi, come in effetti in quelle pagine accade, in «una stimolante operazione di riflessione critica», ricchissima di suggestioni – come ad esempio dove si osserva che «alla coscienza culturale di Giorgione non doveva affatto essere estranea la concezione di matrice albertiana onde un legame stretto deve unire il poeta, il pittore e l’architetto». 136

Come si sa, l’intreccio di fonti plurime – un metodo a Puppi assai caro – sta alla base delle suggestive “letture” proposte per interpretare gli “oggetti” massimamente intriganti – si pensi, per restare a Giorgione, ai Tre filosofi e alla Tempesta nella rigorosa analisi di Salvatore Settis – sottoposti allo scandaglio dello storico dell’arte, ma anche dello storico dell’architettura. E a chi sia attento all’intreccio delle culture figurative nell’Italia quattro e cinquecentesca, non appare certo casuale il fatto che un nome-chiave come quello dell’Alberti, se pure per motivi beninteso differenti, ricorresse anche già nel 1951, quando nella prima edizione della sua monografia su Piero della Francesca, a proposito di un dipinto enigmatico come la Flagellazione, Kenneth Clark si fondava sui caratteri stilistici albertiani delle architetture raffigurate nel celebre dipinto per respingerne la datazione (1444 o subito dopo) proposta dal Longhi. Poche opere come la Flagellazione si prestano a discutere sul rapporto congettura/prova. E ritorna qui, di nuovo, il nome di Carlo Ginzburg. Ma non soltanto, sarebbe sin troppo ovvio, per le pagine di Indagini su Piero (1981), nella cui “scia” bizantina si è ultimamente inserita Silvia Ronchey. Piuttosto, per una sua più generale riflessione sul lavoro dello storico, che molti – credo – amerebbero fare propria.

Maria Luisa Scalvini, Il gusto della congettura, l’onere della prova


Metodi

Nel suo recente volume, Rapporti di forza, riferendosi al titolo dell’edizione inglese (History, Rhetoric, and Proof), in una “Nota” di apertura Ginzburg replica a Perry Anderson, che gli aveva obiettato di avere a torto parlato di proof e non, come a suo parere meglio sarebbe stato, di evidence: «una distinzione che l’italiano prova ignora...». Ma, prosegue Ginzburg, «in italiano, come in altre lingue moderne, la parola “prova” è associata a un’altra ambiguità, forse più istruttiva. “Provare” significa da un lato “convalidare”, dall’altro “tentare”, come osservò Montaigne parlando dei propri Essais. Il linguaggio della prova è quello di chi sottomette i materiali della ricerca a una verifica incessante: “provando e riprovando”, come suonava il motto famoso dell’Accademia del Cimento. La formula corrispondente in inglese moderno – trial and errot – evoca nella parola trial la verifica (test) e il tentativo (attempt), il tribunale e la zecca. Chi controlla le leghe dei metalli è il saggiatore (in inglese, assayer): la parola che piacque a Galileo. Si va a tentoni, come il costruttore di violini che procede battendo delicatamente le nocche sul legno dello strumento: un’immagine che Marc Bloch contrappose alla perfezione meccanica del tornio per sottolineare l’ineliminabile componente artigianale del lavoro dello storico».

Nota bibliografica K. CLARK, Piero della Francesca, London 1951; N. FRYE, The Anatomy of Criticism. Four Essays, Princeton 1957; G. DUBY, Le Dimanche de Bouvines, Paris 1973; H. WHITE, Metahistory. The Historical Imagination in Nineteenth Century Europe, Baltimore-London 1973; S. SETTIS, La “Tempesta” interpretata. Giorgione, i committenti, il soggetto, Torino 1978; G. DUBY, Dialogues, (Paris 1980), ed. it. (da cui si cita), Il sogno della storia, Milano 1980; F. HARTOG, Le miroir d’Hérodote, Paris 1980; C. GINZBURG, Indagini su Piero. Il Battesimo, il ciclo di Arezzo, la Flagellazione di Urbino, Torino 1981; L. PUPPI, Verso Gerusalemme. Immagini e temi di urbanistica e di architettura simboliche tra il XIV e il XVIII secolo, Roma-Reggio Calabria 1982; N. ZEMON DAVIS, Le retour de Martin Guerre, (Paris 1982), ed. it., Il ritorno di Martin Guerre. Un caso di doppia identità nella Francia del Cinquecento, Torino 1984, con una Postfazione di C. Ginzburg; P. RICOEUR, Temps et récit, vol. I, Paris 1983, ed. it. (da cui si cita), Tempo e racconto, Milano 1986; P. BURKE (a cura di), New Perspectives on Historical Writing, Cambridge 1991, ed. it., La storiografia contemporanea, Roma-Bari 1993; J. TOPOLSKI, Narrare la storia. Nuovi principi di metodologia storica (con la collaborazione di R. RIGHINI), Milano 1997; C. GINZBURG, Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Milano 2000; S. RONCHEY, Malatesta/Paleologhi. Un’alleanza dinastica per rifondare Bisanzio nel XV secolo, in “Byzantinische Zeitschrift”, 93/2, 2000, pp. 521-67.

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Letture Introduzione di Andrea Maglio


Letture

I testi raccolti in questa sezione, dedicata alle “letture”, si situano in un arco cronologico abbastanza ampio, di circa trenta anni, nel corso dei quali il “mestiere” dello storico subisce rilevanti trasformazioni, specialmente nelle metodologie adottate. L’ipotesi dell’esegesi semiotica, utile in primis per una critica dell’architettura prima ancora che per la storia, lascia il passo a strumenti differenti, fondati su analisi testuali approfondite, in grado di rileggere impianti teorici del passato, e sull’individuazione di cronologie utili sia all’interno dello specifico disciplinare che per stabilire rapporti con le altre “storie”. Quando nel 1978 la rivista «Op. cit.» pubblica il saggio Architettura: la «rimozione del nuovo», la temperie post-modernista occupa un posto già rilevante nei media specializzati e non. L’autrice riconduce però la vasta gamma di posizioni teoriche che si confrontano nel dibattito internazionale ad un nodo critico di maggiore interesse, ossia la dialettica tra white e grey, o tra “neo-razionalismo” e “neo-realismo”, per usare le definizioni di Mario Gandelsonas e del milieu che ruota intono a «Oppositions». L’idea di una continuità rispetto all’esperienza del cosiddetto “movimento moderno” non è condivisa da Peter Eisenman, che al suffisso “neo” sostituisce quello di “post” per evidenziare la contrapposizione alla stagione del razionalismo “eroico”. Torna quindi la consueta dialettica tra forma e funzione, allorché Eisenman rifiuta il tradizionale motto secondo cui «form follows function», abusato quanto frainteso. Scalvini offre una chiave interpretativa della posizione eisenmaniana in raffronto a quella di Gandelsonas, giocata sulla lettura semiotica dell’architettura. Smontato il banale assunto, secondo cui la funzione corrisponde al significato, si ricorre invece alla semiotica connotativa, in cui «il piano dell’espressione è a sua volta una semiotica». Assodato che per l’architettura è impossibile stabilire una corrispondenza fra il piano del contenuto e quello dell’espressione, ossia tra

Introduzione di Andrea Maglio

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Letture

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nei confronti dell’antico”, emerge quale quaestio di primaria importanza anche il problema terminologico, ossia delle specifiche parole francesi usate per la traduzione. Evidentemente, quello dell’analisi testuale è un procedimento complesso, fondato sull’esegesi interpretativa e sulla correttezza del metodo, in grado però di illuminare nodi storiografici di rilevante interesse. Tali nodi sono inevitabilmente connessi alla “storia politica”, come ancora più chiaramente appare in determinate fasi storiche. Un caso esemplare, in tal senso, è quello dell’architettura ottocentesca “degli stili” e in particolare nell’Italia post-unitaria. Proprio a questo aspetto è dedicato il saggio del 2000, “Stile” e “identità”, fra localismi e orgoglio nazionale: temi e punti di vista nel dibattito eclettico, incentrato sul tema del rapporto tra “stile” e “identità”, indagato partendo da una ricognizione storiografica sulla cronologia dell’eclettismo. Se il Novecento ha ricevuto l’ormai contestata definizione di “secolo breve”, l’Ottocento quale “secolo lungo” mostra in realtà confini cronologici altrettanto labili, che potrebbero collocarsi nel 1815 e nel 1914. L’individuazione dei termini d’inizio e conclusione di un’epoca non implicano un ragionamento fine a se stesso ma, come tutti i saggi qui raccolti dimostrano, divengono allo stesso tempo conseguenza di una riflessione già critica e premessa indispensabile di un’indagine più approfondita. I limiti cronologici sono infatti legati ai fenomeni storici di ogni tipo e nel campo dell’architettura possono non coincidere con quelli della storia politica, da cui però difficilmente prescindono. La situazione italiana tra il 1870 e il 1914, pur nella sua condizione di “ritardo” rispetto al contesto europeo, sembra richiamare il filo di tale ragionamento grazie alla centralità del dibattito sullo stile “nazionale”, ma con continui richiami, a seconda dei luoghi, all’identità “locale”. Sul piano dell’indagine metodologica, Scalvini individua alcune categorie interpretative, quali, oltre a nazionale/locale, anche permanente/effimero e nuovo/vecchio, utili a costruire un quadro esegetico generale. L’individuazione di specifiche cronologie, tanto nelle biografie individuali quanto negli intrecci complessivi, risulta indispensabile anche nella rilettura della Vienna fin de siècle. Nel paragone con le altre capitali europee, e soprattutto con Berlino, Vienna dimostra la sua unicità, ma l’analisi specifica, condotta su ambiti culturali come quello del milieu ebraico, e sul tema dell’interconnessione tra i saperi, riconduce a un quadro complessivo in cui la dialettica tra tradizione e innovazione vede prevalere il secondo termine, magari lontano da Vienna e dopo

Maria Luisa Scalvini, Il gusto della congettura, l’onere della prova


Letture

molto tempo. L’intera vicenda della finis Austriae sembra costituire un endogeno termine ad quem, relativo allo specifico contesto absburgico da un lato e all’intera storia europea dall’altro. Su un piano metodologico, i saggi qui riproposti mostrano una vasta gamma di possibili approcci, talvolta più sperimentali nei percorsi e nella delimitazione degli ambiti disciplinari, e in altri casi fondati su strumenti più tradizionali per sciogliere nodi storiografici decisivi. Gli esiti appaiono sempre di grande originalità, anche grazie all’incrocio dei saperi e delle competenze e quindi all’apporto della storia politica, della letteratura, della musica e delle diverse arti. La querelle del XVII secolo e l’ambiguo concetto di “eclettismo”, con le sue incerte collocazioni cronologiche, rappresentano due esempi ideali di tali “nodi” significativi per la vicenda dell’architettura contemporanea. Esiste un fil rouge preciso che collega gli interessi da cui derivano questi scritti, dalle conclusioni non necessariamente coincidenti con le ipotesi interpretative iniziali. Come ci si deve attendere, infatti, la scrittura conduce talvolta ad esiti inaspettati e lo rimarca Charles Perrault nella citazione che chiude proprio il saggio su Moderno e contemporaneo: «il en est des livres comme des voyages; on ne suit presque jamais exactement, en faisant et les uns et les autres, la route qu’on s’estoit proposée».

Introduzione di Andrea Maglio

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Maria Luisa Scalvini Breve profilo biografico


Appendice

Nasce a Napoli l’8 marzo 1934 Maria Luisa Scalvini, ma per tutti sarà sempre e solo Billie. Il padre Alessandro era nato a Napoli nel 1908, mentre il nonno Carlo, di origini bergamasche, era stato trasferito nella città partenopea nel 1906 dalla Ercole Marelli & C., ditta milanese specializzata nella produzione di apparecchi elettromeccanici. Il senso lombardo del rigore, ereditato dal nonno, sarà da lei ricordato in più occasioni e l’accompagnerà per tutta la vita. Nell’anno accademico 1952-53 si iscrive alla Facoltà di Architettura dell’Università degli studi di Napoli; alternando allo studio esperienze lavorative, si laurea l’8 maggio 1961. Subito dopo inizia la sua attività all’Istituto di Architettura e Urbanistica nella Facoltà di Ingegneria del medesimo ateneo, prima come assistente volontario e poi come laureato addetto alle esercitazioni alla cattedra di Architettura e Composizione architettonica, ruolo che ricoprirà sino al 31 ottobre 1968. Nel 1962, grazie a una borsa biennale del Ministero della Pubblica Istruzione, inizia una ricerca sulla questione delle strutture psichiatriche nell’ambito di una più ampia indagine teorica sul tema dell’edilizia ospedaliera. Collabora sin dalla fondazione nel 1964 alla rivista «Op. cit.», diretta da Renato De Fusco, con cui instaura un duraturo e fertile dialogo intellettuale. Il suo impegno è rivolto al campo semiotico e alla letteratura architettonica, non escludendo interessi per il paesaggio industriale, i rapporti fra le nozioni di città e le forme concrete del suo materializzarsi. Su questi temi scrive saggi e recensioni, partecipando a numerose conferenze e seminari (memorabili quelli diretti da Zygmunt Stanislaw Makowski, 1962; Derrick Rigby Childs, 1965; Hans Bernhard Reichow, 1966; Édouard Utudjian, 1967). Nel 1965 pubblica il volume Destino della città, in cui indaga i processi della crescita e della terziarizzazione dei centri urbani,

Breve profilo biografico

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Appendice

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Maria Luisa Scalvini, Il gusto della congettura, l’onere della prova


Appendice

scritto con Pasquale De Meo, con il quale avvia un intenso rapporto di consuetudine e collaborazione, tanto nel campo della didattica, quanto in quelli della ricerca e della professione. In Spazio come campo semantico, apparso nel 1968, analizza l’apporto semiotico alla fondazione teorica dell’architettura, mentre in Programmi e tipologie per la psichiatria, fa il punto sulle strutture per la salute anche in rapporto ai nuovi orientamenti dell’Organizzazione mondiale della sanità e della legislazione italiana. Sempre nel 1968, in occasione della mostra “Ny Svensk Stadsplanering”, pubblica lo studio Presenza europea dell’architettura svedese, che esamina il ruolo dell’architettura scandinava nella cultura europea e il contributo della nozione di fùnkis all’elaborazione teorica del razionalismo mitteleuropeo e al tema del quartiere nel dopoguerra italiano. Contemporaneamente all’attività universitaria, inizia a portare avanti l’impegno professionale, partecipando, in collaborazione, a diversi concorsi di progettazione (nuova Borsa Merci di Napoli, 1964; fabbricati-tipo per l’Autostrada Salerno-Reggio Calabria, 1965; Istituto professionale Porzio di Napoli, 1972). Dal 1° novembre 1968 è assistente incaricato presso la cattedra di Tecnica urbanistica dell’Istituto di Architettura e Urbanistica di Napoli e il 1° agosto 1969, essendosi ternata con giudizio lusinghiero al concorso per assistente ordinario (DR 6 marzo 1969), passa di ruolo: sarà impegnata in tale posizione sino al 3 marzo 1977. Nel 1971, ottenuta all’unanimità la Libera docenza in Architettura e Composizione architettonica (la sessione di esami era stata indetta con DM 9 agosto 1969, l’abilitazione è concessa il 26 febbraio 1972 e la libera docenza sarà confermata l’11 maggio 1977), interrompe l’attività professionale per dedicarsi esclusivamente agli studi individuando due linee principali di lavoro, strettamente connesse agli insegnamenti dell’Ingegneria civile-edile. Riferendosi a questo periodo della sua vita, nel 1979 scriveva: «ho cercato di seguire, via via adattandone l’applicazione ai vari compiti in cui ero impegnata, essenzialmente due criteri: mediare le componenti e i contenuti di natura specificatamente tecnica e tecnologica, con quegli interessi di carattere più ampiamente architettonico anche in senso storico e critico, che ritengo indispensabili alla formazione culturale di chiunque operi nel campo dell’edilizia; collegare costantemente i problemi progettuali alle tematiche della ricerca teorica nel campo dell’architettura». Attenta al ruolo, ai metodi e ai mezzi della comunicazione dell’architettura, in rappresentanza della rivista «Op. cit.» partecipa a diversi incontri organizzati dall’IN/ARCH, come i “Lunedì dell’Architettura”,

Breve profilo biografico

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Appendice

Scritti di Maria Luisa Scalvini

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Maria Luisa Scalvini, Il gusto della congettura, l’onere della prova


Appendice

1964 • Tendenze e prospettive dell’edilizia ospedaliera psichiatrica, estratto da «La nuova Tecnica Ospedaliera», marzo 1964. 1965 • Destino della città. Strutture industriali e rivoluzione urbana, con P. De Meo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1965. 1966 • I criteri di valutazione dell’arte contemporanea, con R. De Fusco, N. Palmieri, in «Op. cit.», 5, gennaio 1966, pp. 5-30. • Ideologia e immagine nella città moderna, estratto da L’Uomo e la città, Istituto di Architettura e Urbanistica-Facoltà di Ingegneria, Università degli studi di Napoli, Napoli 1966. • Recensione a L’architettura della città di A. Rossi, in «Op. cit.», 7, settembre 1966, pp. 78-83. 1967 • Incontri di studi urbanistici, con U. Cardarelli, in «Op. cit.», 8, gennaio 1967, pp. 48-64. • Recensione a Disegno e progettazione di M. Petrignani, in «Op. cit.», 10, settembre 1967, pp. 64-68. • • •

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1968 Idea di un piano: il disegno dell’area napoletana, con C. Beguinot, U. Cardarelli, Istituto di Architettura e Urbanistica-Facoltà di Ingegneria, Università degli studi di Napoli, Napoli 1968. Per una teoria dell’architettura, in «Op. cit.», 13, settembre 1968, pp. 30-46 (trad. spagnola 1972). Presenza europea dell’architettura svedese, in Nuova urbanistica svedese / Ambienti di Cuba. Mostra convegno organizzata dalla sezione campana dell’IN/ARCH, Stamperia napoletana, Napoli 1968, pp. 11-45 . Programmi e tipologie per la psichiatria, Istituto di Architettura e UrbanisticaFacoltà di Ingegneria, Università degli studi di Napoli, Napoli 1968. Recensione a Changing Ideals in Modern Architecture 1750-1950 di P. Collins, in «Op. cit.», 11, gennaio 1968, pp. 94-103. Recensione a La costruzione logica dell’architettura di G. Grassi, in «Op. cit.», 12, maggio 1968, pp. 59-66. Simbolo e significato nello spazio architettonico, in «Casabella», 328, settembre 1968, pp. 42-47 (ripubblicato come prima parte del volume Spazio come campo semantico, 1968, trad. spagnola 1972). Spazio come campo semantico, Istituto di Architettura e Urbanistica-Facoltà di Ingegneria, Università degli studi di Napoli, Napoli 1968.

Scritti di Maria Luisa Scalvini

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