L'adeguatezza di Asplund

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ISBN 978-88-6242-291-8 Prima edizione italiana febbraio 2018 © LetteraVentidue Edizioni © Luca Ortelli Come si sa la riproduzione, anche parziale, è vietata. L'editore si augura che avendo contenuto il costo del volume al minimo i lettori siano stimolati ad acquistare una copia del libro piuttosto che spendere una somma quasi analoga per fare delle fotocopie. Anche perché il formato tascabile della collana è un invito a portare sempre con sé qualcosa da leggere, mentre ci si sposta durante la giornata. Cosa piuttosto scomoda se si pensa a un plico di fotocopie. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico: Francesco Trovato Impaginazione: Martina Distefano Finito di stampare nel mese di febbraio 2018 LetteraVentidue Edizioni S.r.l. Corso Umberto I, 106 96100 Siracusa, Italia Web: www.letteraventidue.com Facebook: LetteraVentidue Edizioni Twitter: @letteraventidue Instagram: letteraventidue_edizioni


Luca Ortelli

L'adeguatezza di

Asplund


Indice ***


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Premessa 13

Introduzione 19

Paesaggi 35

Case 49

Monumenti 67

CittĂ 85

Architettura festosa 99

Adeguatezza 103

Bibliografia 110

Biografia


Premessa ***


Q

uesto testo presenta un legame particolare con due precedenti pubblicazioni della collana “Figure”: Le strade di Pikionis di Alberto Ferlenga e All'ombra di Pouillon di Giulio Barazzetta. Risale a oltre trent'anni fa la nostra amicizia e la comune avventura alla “scoperta” di architetti considerati per diversi motivi marginali rispetto alle storie dell'architettura moderna. Che cosa ci spingesse a cercare esempi ed esperienze al di fuori delle narrazioni canoniche non era altro che il desiderio di verificare i limiti dell'ortodossia modernista, insieme alla volontà di capire come fosse stato possibile, per alcuni, avventurarsi nel nuovo secolo praticando strade diverse da quelle tracciate dall'avanguardia. Si parlava in quegli anni dell'altro moderno, intendendo che fosse non solo legittimo ma addirittura necessario ridefinire il perimetro della modernità. Si trattò di un periodo molto intenso e produttivo, al quale dobbiamo una visione più ampia e meno rigida del “moderno”. Il punto di vista dal quale si osservavano i primi decenni del XX secolo permetteva di comprenderne le esperienze in una prospettiva non ideologica, come si ama ripetere oggi. Ciò che ci stava a cuore, però, era il risultato concreto di esperienze diverse da quelle celebrate dai cantori del Movimento moderno e le visioni che le avevano prodotte. Abbiamo viaggiato parecchio, in quegli anni, e siamo andati alla ricerca di libri dimenticati, a volte introvabili. Ognuno attratto da un universo particolare, ci ritrovavamo a discuterne in seminari e tavole rotonde. 9


Paesaggi ***


L

a vista che si apre sul Cimitero Sud di Stoccolma dall'ingresso principale è diventata un'icona dell'architettura scandinava: un vasto prato ondulato, una grande croce scura contro il cielo e sullo sfondo la foresta. A destra l'ondulazione del terreno si fa più netta e si scorge un gruppo di alberi sulla sommità della Collina della Meditazione mentre a sinistra, vicino alla grande croce, si intravvede una serie di pilastri preceduta da un muro chiaro. Nulla lascia presagire che si tratti della concentrazione delle più importanti funzioni cimiteriali. Presentando il Crematorio e le Cappelle annesse, a conclusione di un iter progettuale durato un quarto di secolo, Asplund si esprimeva in questi termini: «Dal mio punto di vista, la soluzione consisteva nel collocare le cappelle ben separate [...] con varie possibilità per il pubblico di ritirarsi in un patio tranquillo o in una sala. Da qui deriva pertanto la forma dispersa del fronte delle cappelle. Però c'era anche un altro motivo: il carattere e la dimensione del paesaggio non avrebbero potuto ammettere un edificio compatto e grande. La monumentalità fu intenzionalmente riservata al paesaggio biblico»1. Pochi architetti hanno espresso con tale lucidità la necessità di sottomettere l'architettura a un ambito più vasto, come il paesaggio che si presenta ai nostri occhi 1. E. G. Asplund, Krematoriebygget, in «Byggmästaren», n. 19, 1940, pp. 247270. Traduzione in spagnolo in J. M. López-Peláez, Erik Gunnar Asplund escritos 1906-1940. Cuaderno de viaje in Italia 1913, Biblioteca de arquitectura, El Croquis Editorial, Madrid 2002 p. 247.

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Cimitero sud, Stoccolma, Cappella del Bosco, 1918-21: sezione longitudinale e pianta («Arkitektur», n. 7, 1921). Veduta del Castello di Liselund («Arkitektur», n. 3, 1919).

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Cimitero sud, Stoccolma, Cappella del Bosco, 1918-21: fronte principale (ÂŤArkitekturÂť, n. 7, 1921) e veduta.

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Tribunale della Centena di Lister, Sรถlvesborg, 1917-21: sezione longitudinale e pianta del livello principale.

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Tribunale della Centena di Lister, Sรถlvesborg, 1917-21: fronte sud e vista della sala delle udienze (fotografia di J. Nilson).

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di accesso all'ingresso principale. Forse queste due aggiunte, nella loro sobrietà, si ponevano l'obiettivo di non interferire con quanto già realizzato, e in questo senso l'intervento andrebbe valutato positivamente, ma il problema che qui si pone con evidenza consiste nel fatto che Asplund, in questo frangente, sembra meno a suo agio che nelle prove precedenti. Oppure si può pensare che l'adesione al “funkis” non comportasse soltanto l'adozione di un linguaggio diverso ma anche la rinuncia all'intensità evocativa di cui l'architetto aveva dato prova nei progetti precedenti. L'adesione di Asplund ai nuovi precetti costituisce un altro aspetto enigmatico del suo lavoro e della sua personalità. “Acceptera”14, il libro-manifesto pubblicato a seguito dell'Esposizione del 1930, porta anche la sua firma. Che l'Esposizione sia correntemente considerata come l'evento che sancisce l'adesione della Svezia all'architettura funzionalista è un'ipotesi ragionevole, ma quello che non convince è la perentorietà che la maggior parte dei critici e degli storici vi hanno ravvisato, anche se va riconosciuto che lo stesso Asplund, attraverso il suo lavoro, sembra confermare questo repentino cambio di rotta. Il caso esemplare è costituito dall'interminabile serie di progetti per l'ampliamento del Rådhus di Göteborg.

14. Gli autori del libro, che ripropone non senza originalità alcuni temi tipici della propaganda modernista, sono Gunnar Asplund (1885-1940), Wolter Gahn (1890-1985), Sven Markelius (1889-1972), Gregor Paulsson (18891967), Eskil Sundahl (1890-1974), Uno Åhrén (1897-1977).

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Biblioteca municipale, Stoccolma, 1920-28: ingresso con la scala centrale che conduce alla sala dei prestiti e le scale laterali che conducono agli uffici (fotografia di C. G. Rosenberg).

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partecipare senza condizione alle nuove idee, Asplund sembra comunque aver imboccato una strada solitaria, nonostante fosse circondato da un gruppo di colleghi per la pubblicazione di “Acceptera”. La sua presenza fra gli autori del libro-manifesto lascia perplessi, come sempre succede quando si ha a che fare con conversioni repentine. La sua partecipazione a “Acceptera” ha il valore di una lucida rinuncia in nome del riconoscimento di un nuovo assetto della società civile. Il manifesto si apre con una serie di interrogativi che fanno riferimento alla dicotomia individuo–massa. “Qualità o quantità?” si chiedono gli autori. E subito rispondono “Quantità e qualità, massa e individuo”, con le due congiunzioni in grassetto. L'autonegazione architettonica di cui Asplund si era mostrato capace nell'Esposizione del 1930 annunciava forse qualcosa di più profondo, come la silenziosa uscita di scena di un architetto che, pur avendo dimostrato di saper utilizzare con maestria il nuovo linguaggio, considerava che il mondo dovesse intraprendere un cammino diverso, dove fatalmente non c'era più spazio per quella leggerezza così giocosa e nello stesso tempo così seria. Il mondo che aveva nutrito i suoi entusiasmi giovanili e i progetti più sorprendenti e spericolati, si era definitivamente dissolto, oppure Asplund tentava di ridefinirne le figure? Così Asplund a poco a poco si allontana da quel mondo cercando di mettersi alla prova, aspirando a dire le stesse cose con parole nuove. Il risultato è notevole. Ritroviamo nel complesso del Crematorio la stessa compassionevole attenzione di 100


altri progetti ma l'approccio è più concettuale: le forme dell'architettura si sono scarnificate, ridotte all'essenziale, trasformate in assemblaggi sapienti di elementi tanto generali nella loro definizione formale da apparire astratti. Il tentativo estremo di Asplund fu quello di superare i limiti di un'adeguatezza sostenuta da un repertorio formale condiviso e popolare per percorrere una nuova via, dove gli elementi dell'architettura assumono una dimensione tautologica nella loro aspirazione alla massima generalità. Forse Asplund pensava che in questo modo sarebbe riuscito a superare la dimensione drammaticamente personale della sua architettura e a indicare un cammino più “comune” e accessibile.

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