Tradizione, Traduzione, Tradimento

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29 Collana Alleli | Research Comitato scientifico Edoardo Dotto Nicola Flora Antonella Greco Bruno Messina Stefano Munarin Giorgio Peghin

Comune di Cercivento Questo volume è stato realizzato con il sostegno di:

SIOT-GRUPPO TAL

ISBN 978-88-6242-334-2 Prima edizione Agosto 2018 © LetteraVentidue Edizioni © Comune di Cercivento © Federico Mentil È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. Progetto grafico e impaginazione Marco Ragonese_ CFCstudio LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italy Web www.letteraventidue.com Facebook LetteraVentidue Edizioni Twitter @letteraventidue Instagram letteraventidue_edizioni


Tradizione, Traduzione... Tradimento? Federico Mentil

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Scenografia artefatta o analogia critica? Pietro Valle

L’equivoco tradizionale Marco Ragonese

La cucina degli avanzi? Luca Gibello

Con vasche pesciolini e tanti fiori di lillà Davide Tommaso Ferrando

Continuità senza imitazione. Verso un’architettura alpina moderna Giovanni Corbellini

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Federico Mentil

TTT TRADUZIONE, TRADIZIONE... TRADIMENTO?


L

a pratica progettuale in architettura è regolamentata da una serie di norme pensate con lo scopo di tutelare i contesti fisici in cui opera e la vita di chi ne usufruisce. Alcune hanno lo scopo di proteggere gli utenti dai pericoli delle avversità della natura come gli incendi, le catastrofi provocate da alluvioni, dalle frane e dai terremoti. Le costruzioni devono poi rispondere a standard che riguardano la dimensione minima degli ambienti, l’altezza degli interpiani, i rapporti aero illuminanti. Affinché nessuno si senta escluso dalla sua fruizione devono essere soddisfatte norme riguardanti l’accessibilità delle persone con disabilità e le nuove costruzioni devono poi, attraverso la proposizione di tecnologie innovative essere sostenibili dal punto di vista energetico. Si regolamentano anche questioni che definiscono la “giusta” distanza tra le costruzioni. Queste norme, contenute nei regolamenti di conformità in materia di igiene urbanistica, nascono con l’auspicio di generare un ambiente urbano più salubre alla vita dell’uomo. A queste norme di natura tecnica si aggiungono un corpo più o meno esteso di prescrizioni volte a preservare la sensibilità rispetto al “bello costituito”. I valori culturali rappresentati dai centri storici e dal loro intorno o gli ambiti naturalistici in cui si conservano pezzi di paesaggio rurale, sono luoghi a cui riferirsi, da riproporre nei nuovi interventi cercando di tutelarli dall’attacco di trasformazioni potenzialmente in grado di alterare la presunta “autenticità”. Il folto corpo di regole atte alla “conservazione identitaria” si palesano negli abachi delle forme e dei materiali, quali estensioni delle norme tecniche di attuazione dei piani regolatori. Ove non fosse sufficiente si mettono a disposizione manuali per la progettazione i cui contenuti grafici costituiscono la traccia da cui attingere modelli tipologici di rifermento. La “tradizione” diventa così una verità da prendere come esempio, modello culturale assoluto a cui riferirsi, linea di demarcazione tra il “bello” – che incarna adeguatezza e conformità – e il “brutto” – inopportuno poco consono al contesto “consolidato”. Ma la tradizione, a cui si allaccia l’idea di identità, è frutto di un processo evolutivo che nel tempo ha generato forme in continuo mutamento. La storia ci insegna come esse non siano “definitive” e immutabile come si vorrebbe credere. Se questo è condivisibile, allora si può dire che le forme della tradizione sono rivisitabili attraverso modifiche più o meno incisive, attuando diversificate azioni di traduzione dai modelli a cui siamo costretti riferirci. La conseguenza della trasformazione dalle forme tradizionali genera negli abitanti una sorta di frustrazione: essa aumenta al 9


Giovanni Corbellini

CONTINUITÀ SENZA IMITAZIONE. VERSO UN’ARCHITETTURA ALPINA MODERNA


Enrico Scaramellini, Giussano/Madesimo Microrifugio alpino, Madesimo, Italia 2010

Baumschlager Eberle, Vienna Hotel Cube, Biberwier, Austria 2005-07

Daniele Marques e Bruno Zurkirchen, Lucerna Recupero di una stalla, BergĂźn, Svizzera 1994-96

studio Albori (Emanuele Almagioni, Giacomo Borella, Francesca Riva), Milano Casa solare, Vens, Italia 2010-11

Dekleva Gregoric, Lubiana Chimney House, Logatec, Slovenia 2012-16


N

elle proprie aspirazioni, l’architettura non avrebbe bisogno di aggettivi. Quando raggiunge il suo massimo di intensità, dice Le Corbusier, si presenta come “spazio indicibile”, ineffabile esperienza percettiva, geometrica e materiale che le parole non possono cogliere e tantomeno specificare1. Se poi riesce ad assumere un significato permanente, insiste il maestro svizzero, le sue realizzazioni diventano “prodotti standard del pensiero umano”2 (il tempio greco, la cattedrale gotica, la cupola rinascimentale, la stecca modernista) capaci, per le loro caratteristiche, di stabilire le condizioni locali piuttosto che esserne determinati. Il progetto della modificazione ambientale – ci suggerisce ancora Corbu, comparando il Partenone a una Delage Grand-Sport3 – condivide il medesimo sguardo critico

del design industriale, incessantemente impegnato a “porre in modo nuovo la domanda sulla forma e la funzione delle cose”4. Tuttavia, se e quando parliamo di un’architettura legata a un tempo e a uno spazio specifico è perché esercitiamo il nostro approccio disciplinare dentro un ruolo sociale più mediato e “contestuale”, nel senso che si propone di riconoscere, interpretare e amplificare le connessioni con il tessuto del reale, i suoi luoghi e le sue storie, le aspettative collettive e i desideri individuali che lo compongono, le possibilità, i vincoli e le occasioni che ci presenta. Ciò, naturalmente, non è esente da difficoltà, tanto nella negoziazione tra aspirazioni progettuali e loro possibilità di realizzazione, quanto nel tentarne una interpretazione, a partire da una spesso impervia definizione del campo. 18


Nel nostro caso, stabilire cosa sia propriamente montano è infatti piuttosto difficile5. Quando correvo sugli sci, ad esempio, la Federazione sport invernali considerava il limite di altitudine di seicento metri dei comuni di residenza per distinguere tra “cittadini” e “valligiani”, ma è chiaro che applicare un criterio di questo tipo ai fenomeni architettonici non sarebbe particolarmente affidabile, tali e tante sono le variazioni morfologiche tra versanti, valli contigue e persino all’interno degli stessi villaggi. Per cogliere una specificità operativa, si può allora provare a indagare alcune condizioni condivise. Al di là di ogni possibile differenza in termini di collocazione, nazionalità, dimensioni, funzione, tecnologia, intenzionalità progettuale, le architetture di montagna affrontano infatti un clima caratterizzato da basse temperature e abbondanti precipitazioni; si situano in un paesaggio “naturale” e contraddistinto dalla terza dimensione, sia in termini di attacco a terra che di complessità di relazioni visive; devono soprattutto scendere a patti più che altrove con il tema scivoloso dell’identità, non solo in termini di autodefinizione, quanto, piuttosto, della spirale di contraddizioni alimentate dall’inevitabile confronto con le dinamiche del turismo e dall’esperienza della marginalità (come lontananza fisica e concettuale dal centro e, insieme, esposizione alla diversità delle altre, contigue marginalità che condividono confini comuni). Le cinque opere che ho proposto per questa mostra – piccole e grandi, disposte lungo l’arco alpino, di qua e di là dal confine italiano – trovano il loro senso nel trasformare le condizioni della montagna in motori del progetto, organizzando relazioni interessanti e innovative tra soluzioni costruite, processi di pensiero e narrative che li sostengono. Clima Forma e inclinazione dei tetti, dimensioni degli sporti, rapporti tra bucature e masse murarie, modi di bruciare la legna, scelte insediative e di orientamento caratterizzano le architetture tradizionali alpine, organizzandosi in insiemi di soluzioni coerenti, anche se spesso ispirate a strategie opposte e variamente intersecate. Falde molto inclinate impediscono alla neve di raggiungere carichi eccessivi ma coperture quasi piane possono trattenerla e sfruttarne il potere isolante, evitando pericolose cadute. Muri spessi con rare e piccole finestre garantivano una migliore conservazione della temperatura interna ma non appena i materiali trasparenti sono stati disponibili a costi accettabili si sono moltiplicate verande e altri dispositivi di guadagno termico. Il focolare aperto illumina gli ambienti oltre a scaldarli e i suoi fumi contribuiscono a tenere lontani i parassiti dalle strutture in legno 19


Marco Ragonese

L’EQUIVOCO TRADIZIONALE


Camillo Botticini, Brescia Alps Villa, Lumezzane, Italia, 2013-2014

Plasma Studio, Sesto Villa Drei Birken, Sesto, Italia, 2017

Pedevilla Architects, Brunico Pliscia 13, Marebbe, Italia 2012-2013

OFIS, Lubiana Alpine Barn Apartment, Bohinj, Slovenia, 2014-2015

Vudafieri e Saverino partners, Milano Stone House, Crana, Italia 1994-96


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L’edificio dovrà rispettare i caratteri formali della tradizione costruttiva del luogo” è una frase idiomatica che sempre più spesso si nasconde tra le righe dei bandi di concorso o delle norme attuative dei piani regolatori italiani. Soprattutto se l’intervento riguarda centri storici o contesti paesaggistici di pregio. Essa appare come l’estremo tentativo di resistenza culturale rispetto a una apparente globalizzazione capace di normalizzare tutto attraverso una riconoscibilità universale, priva di qualsiasi sensibilità per lo specifico e per le singole peculiarità. Spesso al concetto di “rispetto per i caratteri i formali” si associano degli abachi che raccolgono tassonomicamente – più in termini quantitativi che per rigore scientifico – elementi architettonici a cui attingere affinché l’edificio proposto possa essere conforme al contesto in cui viene inserito. Sporti, cornici, ringhiere, conci di chiave diventano vocaboli di un dizionario

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Pietro Valle

SCENOGRAFIA ARTEFATTA O ANALOGIA CRITICA?


Alessio Princic, Udine Hotel a Sauris, Italia 2008-2013

Geza, Udine GP Mountain House, Hohenthurn, Austria, 2008

Ceschia e Mentil, Venezia Unità Residenziale a servizio dell’Albergo Diffuso, Paluzza, Italia, 2010-2013

ELASTICOSPA+3, Torino Learning from Venturi. Casa unifamigliare a Polcenigo, Italia, 2013

Enrico Franzolini, Udine Case a schiera BA, Vittorio Veneto, Italia, 2005-2007


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