Abbreviazioni
ASP – Archivio di Stato di Palermo ASR – Archivio di Stato di Ragusa ASS – Archivio di Stato di Siracusa ANS – Archivio Notarile Distrettuale di Siracusa ASN – Archivio di Stato di Siracusa, sezione di Noto (SR) ABB – Archivio Bruno di Belmonte DBC – Dipartimento Beni Culturali, Università di Padova PAS – Parco Archeologico di Siracusa, Eloro, villa del Tellaro e Akrai
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I luoghi del tonno
INDICE 6
Introduzione Paola Barbera
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Premessa
I PARTE 27
I Calascibetta di Piazza baroni di Santa Panagia
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L’ammodernamento dell’opificio (1764-1782)
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Il nuovo stabilimento del tonno sott’olio (1900-1903)
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La tonnara di Santa Panagia Un’architettura in continua evoluzione tra legami professionali e saperi tecnico-costruttivi
II PARTE 113
La tonnara di Avola in Mare vecchio Un’attrezzatura suburbana a supporto della città
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La tonnara di Marzamemi Il borgo e le trasformazioni del paesaggio urbano
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La tonnara di Capo Passero Un complesso produttivo autonomo a margine di Portopalo
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Appendice documentaria
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Bibliografia
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Indice dei nomi
I luoghi del tonno
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Introduzione Paola Barbera
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a tonnara di Santa Panagia è oggi un rudere. In atto non ha alcuna funzione eppure è capace di raccontare storie molteplici: è un frammento di paesaggio che evoca tempi lontanissimi e anni più recenti, è un simbolo della nostra difficoltà di immaginare scenari contemporanei per i beni che il passato ci ha consegnato, è una sfida per un futuro che speriamo assai prossimo. Il libro di Federico Fazio illumina, attraverso un’analitica ricerca documentaria, le vicende che hanno portato alla costruzione della tonnara e alla sua trasformazione, partendo dagli anni tra Seicento e Settecento che videro protagonista della storia del sito e della tonnara la famiglia Calascibetta di Piazza Armerina. Il succedersi delle generazioni e dei proprietari costituisce la fitta trama della ricostruzione proposta nel testo che individua, dopo una prima fase legata ai Calascibetta, altri due momenti nodali per la storia della fabbrica: nella seconda metà del Settecento e negli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento. Committenti, tecnici e maestranze si alternano nel sito di Santa Panagia; seppure in maniera discontinua, come testimoniato dai documenti opportunamente trascritti nell’appendice al testo, le fabbriche della tonnara sono oggetto di interventi e modifiche che, nel corso di due secoli, trasformano il luogo e gli edifici mantenendo tuttavia inalterato il carattere di un sito di lavoro e produzione. Oggetto di un consistente cantiere nella seconda metà del Settecento, la tonnara, con la sua chiesa e gli edifici per la lavorazione del tonno, è un importante elemento nelle strategie di affermazione delle famiglie nobiliari che ne detengono la proprietà attraverso generazioni che si susseguono, matrimoni ed eredità. Alla famiglia Bonanno di Linguaglossa va attribuita la conduzione della tonnara nel corso dell’Ottocento, con ricadute economiche rilevanti che porteranno ai consistenti investimenti dell’inizio del Novecento, in sincronia con quanto avveniva nelle isole Egadi e nella tonnare di proprietà della famiglia Florio. La stipula di un accordo tra i proprietari e un imprenditore genovese sancisce una nuova fase caratterizzata da una trasformazione dell’attività che
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assunse dimensione industriale e innovativa, con macchinari e attrezzare che rispondevano alle esigenze di un ciclo produttivo moderno. Santa Panagia si inserisce in una “costellazione” di tonnare della Sicilia sud-orientale (Avola, Marzamemi, e Capo Passero) che ancora oggi costituisce un sistema ricco di potenzialità e la seconda parte del libro di Federico Fazio, attraverso brevi schede, fissa i caposaldi di questo sistema di tonnare e ci porta, in un veloce excursus nel tempo, dalle origini fino ai nostri giorni. Nei secoli interventi diversi hanno dovuto difendere la tonnara da molteplici fattori: incursioni, terremoti, incuria. Come ricostruisce Fazio, la posizione strategica di Santa Panagia, di fronte al porto di Augusta, ne ha fatto scenario di guerra (“per timore delle galere di Francia, le quali di continuo gli davano impedimento, e perciò li Padroni di detta tonnara di Santa Panacia furono costretti a formare un bastione per difesa della tonnara”); il sito non è stata risparmiato dai terremoti che hanno interessato a più riprese il banco di roccia su cui si fonda la tonnara. Eppure gli attacchi più pericolosi sono quelli degli ultimi decenni. Progetti di sviluppo diversi e spesso incompatibili hanno segnato la Sicilia del secondo Novecento: il sogno dello sviluppo industriale, il miraggio del petrolio, la storia agricola dell’isola e la sua vocazione turistica si sono intrecciati e sovrapposti generando conflittualità. Gli straordinari ruderi della tonnara, su una costa di una bellezza che – ancora oggi e nonostante tutto – lascia senza fiato, si stagliano in un panorama che ha come sfondo le ciminiere e l’area industriale di Augusta. Nelle immediate vicinanze, la tonnara sembra subire l’assedio di un’espansione edilizia che non ha riconosciuto le ragioni della storia né quella della geografia del territorio. La sfida della contemporaneità è più ardua forse di quelle imposte dalle guerre o dai terremoti negli anni precedenti. Studi come quello che qui presentiamo costituiscono una premessa indispensabile per un progetto che ambisca a vincere questa sfida. Introduzione
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L’AMMODERNAMENTO DELL’OPIFICIO (1764-1782)
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erso la seconda metà del XVIII secolo, dopo un trentennio di sconvolgimenti “internazionali” che sancirono l’incoronazione di Carlo III (1735), la Sicilia destava un notevole interesse per le sue potenzialità economiche data la sua posizione di convergenza dei traffici nel Mediterraneo. Siracusa, come altre città demaniali, era un’importante crocevia di «negozianti esteri»: nel porto Grande giungevano navi da ogni parte del Regno «per prendere li rispettivi carichi, ò sia comestibili, come sono olive, vino, formaggio, tonnina ed olive, ed altre sorti, ò siano generi incomestibili, come sia carbone, canape e altri generi»1. La produzione e la commercializzazione di materie prime, tuttavia, gravava pesantemente sull’economia siciliana dal momento che, per acquistare gli stessi prodotti che ritornavano nell’Isola sotto forma di manufatti lavorati in altri Stati, bisognava pagarne un prezzo molto più alto. In tale contesto cominciarono ad affermarsi alcune strutture legate alla produzione, dette comunemente opifici, realizzate a margine dei centri abitati o in aree suburbane. Simboli di magnificenza ed opulenza dell’aristocrazia, gli opifici associavano in un unico organismo polifunzionale diversi corpi edilizi adibiti alla trasformazione delle materie prime in prodotti finiti da immettere nel mercato. La meccanizzazione dei processi produttivi e la concentrazione della “manifattura riunita” in opifici, più o meno grandi, ebbero profonde ricadute non solo sulla produttività, ma anche sulla qualità del prodotto2. Nella seconda metà del Settecento la commercializzazione del pesce salato in Sicilia rispondeva alle esigenze di un mercato in espansione e si manifestava in una precipua attenzione all’approvvigionamento e allo stoccaggio di scorte adeguate. La lavorazione del tonno, prima dell’avvento dell’industria 1. ASS, Not. Vincenzo Innorta, vol. 12709, 2 ottobre 1765, c. 186. 2. Gasca 2006.
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nel territorio di Siracusa. Figlio del barone Michele Bonanno (†1767)30 e di Maria Landolina Rau (sorella del marchese di Trezzano), Giuseppe era stato educato dallo zio Gaetano (1728-1806) decanus ecclesie Syracusane in theologia magister, futuro vescovo di Siracusa (1802-1806)31; quest’ultimo, «per lustro e decoro» delle nozze, donò al nipote prediletto una «carrozza con suoi cavalli», diversi poderi fra cui il Luogo di Villotta «consistente in vigne, alberi, case ed altre commodità» e altri possedimenti dalle parti di Noto Antica. Pochi anni dopo il matrimonio, Giuseppe Bonanno cominciò la sua ascesa nei ranghi dell’aristocrazia investendosi dei feudi di Maeggio (1782) e di Delia (1802) e ricoprendo la carica di senatore della città di Siracusa nel biennio 1787-1788. Come è evidente tali intrecci familiari, dettati da ragioni socio-politiche, furono indispensabili per il “futuro” della tonnara di Santa Panagia, gestita ininterrottamente dai Calascibetta di Piazza per quasi un secolo. Infatti, dopo la morte di Giuseppe Calascibetta nel 1747, i Landolina, i Gargallo e gli Statella ora imparentati con i Vigo e con i Bonanno di Linguaglossa si alternarono a vario titolo nella gestione dell’impianto e nell’ammodernamento del vecchio malfaraggio. Fra di loro si distinse maggiormente il citato Giuseppe Bonanno, che acquisì le quote dei Landolina e prese le redini della tonnara a cavallo tra Sette e Ottocento. I suoi eredi, come si dirà nel capitolo seguente, contribuirono all’ampliamento dell’opificio agli inizi del XX secolo. Secondo una recente definizione di Fernanda Cantone, il cantiere è un insieme di attività finalizzate alla realizzazione o al recupero di un edificio, o di una sua parte, che necessita di una organizzazione di risorse umane, di materiali, di competenze, al fine di ottimizzare il risultato, economizzando in spazi, tempo, risorse economiche e materiali, pur mantenendo un alto livello qualitativo32. Fatta questa premessa, è opportuno chiarire le vicende che ruotano attorno all’ammodernamento della tonnara di Santa Panagia avvenuto nella seconda metà del XVIII secolo (1764-1782). Tale processo rientrerebbe nel programma autocelebrativo delle “nuove famiglie” che hanno ritenuto necessario
IL CANTIERE: BENFATTI, ACCONCI E REPARI
Michele sposò la quindicenne Margherita Beneventano, figlia di Francesco Maria Bernardo barone del Bosco e di Anna Trigona dei marchesi di Canicarao. 30. Michele acquistò il feudo di Delia presso Modica nel 1766. 31. Gaetano Bonanno, dottore in Teologia, da decano del Capitolo nel 1790 aveva fatto eseguire a sue spese per la Cappella della S. Patrona i due medaglioni marmorei del Vescovo S. Eutichio e di S. Lucia dallo scultore Ignazio Marabitti. Il 27 aprile 1806, Re Ferdinando III con R. Dispaccio autorizzò il Vescovo a restaurare l’ex monastero di S. Teresa (nell’attuale Ronco Capobianco) per fondarvi il Reclusorio delle Zitelle Povere del SS. Salvatore. O. Garanà, I Vescovi di Siracusa, Siracusa 1994, pp. 204-207. 32. Per approfondimenti: F. Cantone, S. La Delfa 2011.
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Chiesa della tonnara di Santa Panagia (foto di Federico Fazio) Conferimento d’incarico ad Antonino Alì e Saverio Alminara per valutare le opere eseguite da Gregorio Amodeo. ASS, not. Francesco Saverio Zivillica, vol. 12531, 15 giugno 1766.
restaurare fabbriche fatiscenti, ma anche riformare in modo ordinato una disorganica aggregazione di edifici, pur nella consapevolezza dei rischi che il considerevole investimento avrebbe comportato. Il rapporto tra le preesistenze e i luoghi naturali implicò, in ogni caso, capacità tecniche in ambito architettonico33. Ricostruiamo, dunque, le fasi più significative di questa trasformazione da semplice malfaraggio a centro logistico per la pesca del tonno. Attesterebbe l’inizio del cantiere l’incarico conferito il 13 settembre 1764 al mastro Pasquale Carrubba e a Gregorio Amodeo Capomaestro delle Regie Fortificazioni di Siracusa per costruire la nuova chiesa della tonnara di Santa Panagia. Amodeo e la squadra di muratori demolirono le «cantonere vecchie» della chiesa seicentesca, che venne ingrandita utilizzando pietra e malta di calce impastata ad «arena di acqua dolce». Particolare attenzione venne rivolta alla mostra del portale, alle cornici delle finestre e al rosone quadrilobato da collocarsi in facciata, tutti da eseguire in blocchi di calcare provenienti dalle cave del Plemmirio nel territorio di Siracusa; all’epoca il materiale da costruzione giungeva soprattutto dalla contrada Marsa Oliveri, a sud-est del porto grande, «mentovata per una celebre petraja, donde per l’intera parte orientale di Sicilia si 33. L’ammodernamento della tonnara di Marzamemi durò invece solo tre anni (1752-1755), grazie alla determinazione del palermitano Bernardo Calascibetta e Landolina (1717-1764).
L’ammodernamento dell’opificio (1764-1782)
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Ortofoto dell’opificio della tonnara (foto di Eliseo Lupo)
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LA TONNARA DI SANTA PANAGIA Un’architettura in continua evoluzione tra legami professionali e saperi tecnico-costruttivi
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sempio di architettura industriale minore, la tonnara di Santa Panagia è uno straordinario complesso polifunzionale. Esso va considerato come un vero e proprio “monumento del lavoro” capace di raccontare la storia dell’imprenditoria privata, i tentativi d’introduzione delle nuove tecnologie nelle organizzazioni manifatturiere, le interrelazioni tra le attività pescherecce e quelle di trasformazione del prodotto nonché l’organizzazione della vita e dell’habitat dei tanti operai che vi hanno lavorato. Allo stato attuale, la tonnara caduta nell’incuria è purtroppo divenuta discarica abusiva e teatro di attività illecite legate alla microcriminalità. Nonostante il grave degrado, il complesso conserva ancora le tracce delle configurazioni antecedenti che costituiscono un eccezionale palinsesto di epoche storiche, di materiali e di metodologie costruttive. Dal punto di vista architettonico, il vecchio stabilimento presenta una pianta apparentemente disorganica contraddistinta da un articolato sistema di percorsi e spazi, frutto di una coesione armonica di volumi eterogenei che integrano pieni e vuoti, in un’alternanza di cavedi e corpi edilizi. La sua storia edilizia, alquanto complessa, s’intreccia con la crescita urbana di Siracusa, che nell’arco di due secoli ha modificato il suo aspetto da piazzaforte militare a città borghese; nonostante la posizione marginale rispetto ai luoghi del commercio e dei traffici mercantili che gravitavano nel porto Grande, la tonnara costituiva un punto di riferimento per l’approvvigionamento di beni essenziali come il pesce fresco o salato. All’indomani dell’incoronazione di Ferdinando III di Borbone (1759) l’abitato di Siracusa, allora chiuso fra le mura Ortigia, era un grande cantiere a cielo aperto. La ricostruzione seguita al sisma del 1693 fu occasione di rinnovamento architettonico e di adeguamento di alcuni edifici al linguaggio tardo-barocco, che si sviluppava in Sicilia nella seconda metà del XVIII secolo. L’abbattimento delle mura, promosso tra Otto e Novecento dalla nuova classe borghese, provocò l’espansione della città in terraferma e la formazione
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Ruderi della ciminiera (foto di Federico Fazio)
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regolatore di Siracusa (1889), che sancì l’abbattimento delle mura di Ortigia e l’espansione della città in terraferma. Nel 1917, sotto la sindacatura di Alessandro Specchi marchese di Sortino (1844-1929), elaborò il successivo piano di ampliamento condensandovi le indicazioni di carattere igienista di Luigi Mauceri (1910), ma aggiornandole secondo una nuova prospettiva di matrice giovannoniana60. Cristina propose, tra l’altro, degli interventi di diradamento e di rettifica su alcune porzioni di tessuto urbano nonché l’isolamento dell’Apollonion nell’area della caserma spagnola all’ingresso di Ortigia (operazione concretizzata solamente in epoca fascista)61. In tale contesto, su incarico dell’arcivescovo Giacomo Carabelli (1886-1932)62 coadiuvò Sebastiano Agati (1872-1949) architetto della Soprintendenza, per “liberare” la Cattedrale dagli stucchi settecenteschi (1924)63. La “fortunata” collaborazione con il barone Bonanno, sembrerebbe frutto di legami politici maturati nel corso del dibattito sull’abbattimento delle mura e sul nuovo piano regolatore di Siracusa (1889). Cristina faceva parte dei tamburini: fondatori del quotidiano di rivendicazione politica il Tamburo (1880), espressione dell’ala progressista della borghesia liberale di Antonio Starrabba marchese di Rudinì64, noto per aver commissionato il “grandioso” stabilimento enologico di Marzamemi (1897)65. All’interno del gruppo si collocavano alcune figure chiave come i commercianti Antonino Bozzanca e Luigi Parlato, il capitano marittimo Giovanni Manca Vella, i cavalieri Giambattista Rizza e Francesco Abela, gli ingegneri Gioacchino Majelli, Luciano Storaci e lo stesso Cristina, che svolsero un ruolo di mediazione tra il mondo delle professioni e quello del commercio e dell’impresa intorno a un coerente progetto di modernizzazione e di sviluppo economico66. Sostenuti dal senatore del Regno d’Italia On. Giovanni Francica Nava (18471935)67, tra l’altro cognato del barone Bonanno, i tamburini gestirono l’amministrazione comunale dal 1885 al 1890, contribuendo alla “modernizzazione” 60. Cristina 1918. 61. Sulla liberazione dell’Apollonion: Fazio 2016. 62. Giacomo Carabelli fu Arcivescovo metropolita di Siracusa dal 1921 al 1932. 63. Cristina era allora Vice Presidente della sezione siracusana dell’Associazione Nazionale Ingegneri ed Architetti Italiani e membro del Consiglio dell’Ordine. 64. Questo ceto politico, nuovo nell’età e anche nelle idee, anche se spesso radicato in vecchi ceppi familiari legati alla terra e alle professioni, esprimeva le tensioni ideali e le contraddizioni di una città in crescita, che si stava faticosamente inserendo nei cicli dell’economia internazionale e nella struttura amministrativa dello stato unitario, ostacolata in questo percorso da una classe dirigente inadeguata per cultura politica ed economica. Sulla nascita del gruppo delTamburo, si veda: Russo 1983, pp. 21-28; Adorno 1998, pp. 148-149; Astuto 1998, pp. 35-77. 65. Vedi capitolo sulla tonnara di Marzamemi 66. Adorno 1998, pp. 148-149. 67. Giovanni Francica Nava era fratello di Anna Maria, moglie del barone Michele Bonanno.
La tonnara di Santa Panagia
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Tonnara di Santa Panagia (Bonanno di Linguaglossa)
Siracusa
Tonnara di Avola (Loreto)
Tonnara di Marzamemi (Nicolaci di Villadorata) Tonnara di Capo Passero (Bruno di Belmonte)
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LA TONNARA DI AVOLA IN MARE VECCHIO Un’attrezzatura suburbana a supporto della città
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el Medioevo Abulae era un insediamento fortificato «a forma d’un serpente alato»1, arroccato sull’altopiano Ibleo, che dominava il territorio delimitato a nord dal fiume Cassibile e a sud dal fiume Asinaro2. Concessa in baronia ad Orlando d’Aragona Sormella nella seconda metà del Trecento, Avola sviluppò un’economia agricola basata soprattutto sulla coltivazione del frumento e sulla produzione di canna da zucchero nelle aree umide vicino alla costa. La città medievale, interamente distrutta dal sisma del 1693, fu rifondata nel feudo Mutubè dal marchese Nicolò Pignatelli Aragona Cortès (1648-1737), già Viceré di Sardegna (1687) e nipote di papa Innocenzo XII3. Il nuovo sito venne scelto innanzitutto per la fertilità del suolo irrorato da cinque sorgenti: Carcellita, Qualleci, Margio, Palmeri e Borgellusa. La pianura di origine alluvionale permise, oltre allo sviluppo delle colture cerealicole, anche l’impianto di vigneti e di ampie distese di oliveti; inoltre i migliorati collegamenti territoriali stimolarono la crescita urbana. La “nuova Avola” venne progettata dall’architetto gesuita Angelo Italia (1628-1700)4. Ispirandosi ai trattati rinascimentali, Italia concepì una pianta esagonale – più volte accostata allo schema di “città fortificata” del senese Pietro Cattaneo – tracciata pochi mesi dopo il terremoto5; contestualmente furono realizzati la chiesa Madre (1693-1741) e le residenze delle maggiori famiglie aristocratiche, fra i quali i palazzi Guttadauro, Modica, Lutri, Loreto, Azzolini e Sirugo6. 1. Gubernale 1910: 29. 2. Gringeri Pantano 1995. 3. Per approfondimenti: Dufour, Raymond 1993; Gringeri Pantano 1996. 4. Fra i progetti di Italia, si ricordano: la Chiesa di Sant’Angelo Carmelitano a Licata (1653), la Chiesa Madre di Palma di Montechiaro (1666), la Chiesa di San Girolamo a Polizzi Generosa (1681), la Chiesa di San Francesco Saverio a Palermo (1685) e la basilica di Santa Maria Assunta ad Alcamo (1699). Sull’attività a Licata, si veda: D’Arpa 2000: 39-52. 5. Dufour, Raymond 1993. 6. Gringeri Pantano 1996: 113.
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di Chiusa di Carlo all’ingresso di Avola per costruirvi la dimora estiva in cui accentrare il controllo sulla produzione agricola; il cantiere iniziò nel 1900 ma non venne mai ultimato44. Agli inizi del XX secolo Avola viveva un periodo di floridezza economica, grazie all’attività di alcuni molini a vapore (Piccione G. e C.) e pastifici (Cappello Paolo e Soci) nonché piccoli stabilimenti per la produzione di mattonelle di cemento (Paolo Vindigni) di acido citrico, di marzapane e di essenze odorifere45. Da parte sua Carlo Loreto, nominato cavaliere della Corona d’Italia (1901)46, concentrò il suo interesse sul nuovo stabilimento del tonno sott’olio in Mare vecchio alla cui direzione dedicò molto del suo tempo, specie durante il periodo estivo, per meglio controllarne l’attività. Esponente nella “nuova” borghesia imprenditoriale, Loreto aderì nel 1923 al Partito Nazionale Fascista e fondò il Circolo dell’Ordine (1919), frequentato da possidenti agrari e imprenditori locali. Negli anni Venti, mentre era podestà Corrado Santuccio (1888-1947)47 Avola si arricchì di opere pubbliche; 44. Sulla villa dei Loreto, si veda: S. Calabrò, La personalità eclettica di un uomo d’altri tempi. Il Cav. Carlo Loreto, in «Avolesi nel mondo», a.7, n.1, maggio 2006, pp. 5-8. 45. Fra le fabbriche di acido citrico si ricordano quelle di Antonio De Luca e di Francesco De Santis. L’incdustria di marzapane venne fondata nel 1910 dalla ditta Giuseppe D’Agata e figli. Picone Leone 1925: 144. 46. Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n.220, sabato 14 settembre 1901, p. 4430. 47. Il 21 aprile 1927 Corrado Santuccio venne nominato Podestà, carica che mantenne fino al 1936. In quel periodo Avola conobbe un notevole aumento della popolazione passando dai 20.388 abitanti del 1924 ai 23.614 del 1931 e si arricchì di nuove opere pubbliche come la Villa comunale (1927) e il viale Lido (1929).
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Carlo Loreto e Preziosa Modica (archivio privato) I coniugi Loreto in una foto d’inizio Novecento (archivio privato) Ritratto fotografico di Carlo Loreto (archivio privato)
venne tracciato l’asse di viale Lido (1929) allo scopo di collegare la città al mare e rafforzato lo scalo marittimo di contrada Pantanello. Il progetto, elaborato nel 1924 da Gaetano Vinci (1888-1964)48, noto architetto Liberty, prevedeva la sistemazione di oltre 700 mq di superficie tramite «conguagliamento e rinterro degli avvallamenti […] compreso la spicconatura delle parti rocciose»; la banchina venne ricoperta da uno strato di calcestruzzo e ingrandita ai lati con dei robusti «ciglioni di conterminazione»49. La nuova opera comunale, dunque, modificò l’aspetto di Mare Vecchio migliorando il waterfront prospiciente il complesso della tonnara. Lo stabilimento, che impiegava 20 operai addetti alla confezione del tonno sott’olio50, venne gestito inizialmente da Carlo Loreto e successivamente dalla società anonima
Muscato Daidone 2005, p. 174. 48. L’architetto Gaetano Vinci naque ad Avola nel 1888, iniziando a lavorare col padre Sebastiano, costruttore edile, in giovane età. Dal 1904 per cinque anni frequentò i corsi di disegno, pittura e scultura presso la “Regia Scuola d’Arte applicata all’Industria”, al termine dei quali conseguì la licenza tecnica presso la “Regia Scuola Tecnica” di Siracusa. Dal 1910 al 1914 frequentò l’Istituto di Belle Arti di Firenze, conseguendo il titolo di professore di disegno architettonico e diverse borse di studio ministeriali. Tornato alla natia Avola, su richiesta del padre, progetto e realizzò diverse opere, architettoniche, scultoree e di arredo, propugnando una moderna semplificazione e stilizzazione degli ornamenti architettonici, secondo i dettami dello stile liberty. 49. Archivio storico comunale di Avola. G. Vinci, Progetto dei lavori di rafforzamento dello scalo marittimo, 1924. 50. Nel 1925 si raggiunsero i 290 quintali di pesce, per un prezzo complessivo di L. 116.000. Camera di Commercio 1925: 115-162.
La tonnara di Avola in Mare vecchio
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LA TONNARA DI MARZAMEMI Il borgo e le trasformazioni del paesaggio urbano
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razione del Comune di Pachino tra il golfo di Vendicari e l’isola di Capo Passero, Marzamemi è nota per il suggestivo borgo dei pescatori la cui storia è strettamente connessa all’omonima tonnara. Il toponimo testimonierebbe le origini arabe del sito: Tommaso Fazello lo definì Saracino Marzameno (1555)1; Giuseppe Antonio Massa lo descrisse come un «ridotto di navi, di nome moresco» (1709)2; Michele Amari (1872)3 e Luigi Rinaldi (1906)4 ipotizzarono, invece, che derivasse dall’arabo Mars-el Hamàn cioè porto delle colombe. Nel Medioevo l’approdo di Marsameme era parte integrante dell’antico feudo Xibini (o Scibini), sede di una torre anticorsara edificata alla fine del Quattrocento; al margine di un’ampia zona paludosa, l’insenatura era protetta da due piccole isole non lontane dalla costa. Data la posizione strategica vicino al caricatore di Vindicari, alla fine del XVI secolo l’ingegnere militare Tiburzio Spannocchi (1543-1606) e il «Commissario generale delle fabbriche delle torri e guardie marittime» Giambattista Fieschi proposero la realizzazione di una torre di avvistamento alle «Perriere di Marsameme»5 (latomie): la struttura fortificata venne menzionata da Giovanni Andrea Massa (1709)6, dal tenente colonnello Castellalfero (1713)7, da Jean Levesque de Burigny (1788)8 e dal capitano William Henry Smith (1824)9, ma nessun riscontro archeologico finora ne ha confermato l’esistenza. 1. Fazello 1573, p. 161. 2. Massa 1709, p. 255. 3. Amari 1872, p. 881. 4. Rinaldi 1906. p. 7. 5. Gazzè 2012, pp. 378-380. 6. Massa 1709, p. 322. 7. «Indi, passati li isolotti di Marzamemi di rocche e scogli, si entra nel porto di Marzamemi, capace solo di piccole filuche e simili, et ivi vi è una torre, ma rovinata in gran parte e necessaria a rifarsi a spese dé tonnari». Di Matteo 1994, p. 109. 8. Levesque de Burigny 1788, p. 247. 9. «The port, defended by a miserable towerbattery, is very small and shallow». Smith 1824, p. 180.
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I luoghi del tonno
LA TONNARA DI CAPO PASSERO Un complesso produttivo autonomo a margine di Portopalo
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l Promontorium Pachyni, tra mare Ionio e mare Mediterraneo, fu abitato già almeno dal IV secolo d.C., come testimoniano le tracce del cosiddetto «borgo antico» esplorato alla fine dell’Ottocento dall’archeologo Paolo Orsi (1859-1935) e quasi completamente cancellato dall’impianto estensivo dei vigneti1. A questo nucleo dovevano essere collegati gli ipogei e una piccola catacomba paleocristiana2 nonché alcune vasche di salagione di epoca ellenistico-romana presso Scalo Mandrie (ossia “ridotto delle Mandre”)3, dove ab antiquo c’era un approdo4. Il promontorio rimase disabitato per diversi secoli, fatta eccezione per un insediamento peschereccio sviluppatosi in età medievale vicino torre Fano5; il sito ricadeva allora nella Signoria feudale di Capo Passero, che dava il nome all’omonima tonnara citata in un diploma angioino del 12756. Dopo il terremoto del 1693 il malfaraggio si trasferì, molto probabilmente, nell’attuale insenatura a nord di Portopalo. 1. P. Orsi, Pachino. Abitazioni di caverniculi presiculi, e costruzioni di età bizantina riconosciute nel territorio del comune, in «Notizie degli Scavi di Antichità», Roma 1898, p. 37. 2. Agnello S. L. 1953, pp. 167-183. 3. Massa 1709, p. 379. 4. Dietro le vasche, è stato intercettato un ambiente o area coperta con tettoie, pavimentata, sul quale si svolgeva la macellazione e pulitura del pescato nonché la relativa discarica, con strati di lische di tonno bruciate in superficie e poi interrate. Per approfondimenti: Bacci 1982-1983, pp. 345-349; Basile 1992, pp. 55-86; Felici 2018. 5. La torre ricadeva nel feudo del Burgio, di proprietà dei baroni Landolina. Costruita agli inizi del XV secolo per volere del re Martino, garantiva la sorveglianza del litorale a difesa della popolazione locale e delle attività agricole e commerciali. La torre venne irrimediabilmente danneggiata dal terremoto del 1693 ed abbandonata. Capodicasa 2009. 6. Ad istanza del vescovo, Simone da Lentini, e dei canonici prebendati della cattedrale di Siracusa, re Carlo d’Angiò ordina a Giacomo Niffulo, regio Secreto della Sicilia, di far versare alla chiesa siracusana le decime degli antichi diritti della curia della Valle di Noto, così come erano state pagate sin dai tempi dei re normanni di Sicilia, nonché le decime ab antiquo stabilite sui proventi della salina della Marza e della tonnara di Capo Passero. ASS, Not. Sebastiano Innorta, vol. 11353, 28 settembre 1743, copia del diploma originale. Si ringrazia per la segnalazione il prof. Antonello Capodicasa. Sulla baronia della tonnara di Capo Passero, si veda: De Spucches 1924, pp. 245-247.
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Vienna) specializzata nella fabbricazione di «puleggie in ferro, trasmissioni americane sistema Sellers, macchine idrauliche e motori a gas Otto»44. Tra il 1896 e il 1898 Bruno di Belmonte fece eseguire degli interventi di miglioramento al vecchio marfaraggio45, ricostruì la banchina erosa dal mare e sistemò la via di accesso per agevolare il transito dei cavallari. Restaurò la chiesa settecentesca e il quarto di amministrazione ridotto «in pessime condizioni di manutenzione e stabilità» con i tetti parzialmente crollati, i pavimenti divelti, le pareti «annerite dal fumo». Il prospetto principale venne rinforzato con un grosso muro di sostegno che fungeva sia da avan-portico sporgente, sia da balconata per il piano nobile. Don Pietro organizzò, inoltre, la cucina e i servizi igienici sino allora inesistenti; riservò per sé l’ala sinistra a nord della sala principale e destinò l’ala opposta all’alloggio del personale46.
44. Sull’industria Langen & Wolf, si rimanda a: E. Trevisani, Rivista industriale e commerciale di Milano e Provincia, Milano 1894, p. 343. Si vedano le due fatture emesse dalla società Langen & Wolf del 15 febbraio 1899 e del 31 maggio 1907 (ABB). 45. «Tutto quell’insieme di loggie, tettoie, magazzini, case d’abitazione di marinai, e basso personale, camperia, campo e simili comodità assume il nome di marfaraggio e comprende altresì la Chiesa e quei locali in cui vengono riposti gli attrezzi e i barcarecci». ABB, Ing. Salvo Randone, relazione di perizia tonnara di Capo Passero, 28 luglio 1902. 46. ABB, Ing. Salvo Randone, relazione di perizia tonnara di Capo Passero, 28 luglio 1902.
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I luoghi del tonno
Ritratto fotografico famiglia Bruno di Belmonte, inizio sec. XX (ABB, per gentile concessione) Carta intestata società Langen & Wolf, particolare (ABB, per gentile concessione)
Il nuovo stabilimento, progettato dal cav. Nunzio Costa Quartarone ingegnere di sezione dell’Ufficio Tecnico Provinciale e già commissario straordinario di Catenanuova (1896), sorse accanto alla tonnara settecentesca47. Furono quindi abbattuti i due magazzini della sorra e del sughero per ampliare la superficie dell’appiccatojo (Loggia) e sul campo, lastricato in pietra calcarea, venne costruita la batteria servita da un’alta ciminiera in mattoni (ancora oggi esistente). Attorno all’area, efficientemente organizzata, si distribuivano le latrine degli operai, il deposito del sale, due grandi serbatoi d’acqua e la chianca (bancone di macellazione) coperta da una tettoia con incavallature in legno. Il campo era collegato tramite una gradinata ai laboratori di confezionamento e al vano-caldaia per la sterilizzazione delle latte; accanto venne realizzato il casotto della macchina motrice che alimentava la pompa a mare per il convogliamento dell’acqua necessaria ai diversi usi della tonnara. Vicino ai laboratori erano disposti una serie di magazzini per la conservazione dell’olio e delle scatole imballate. Nella camperia, a nord dello stabilimento, fu demolita la fornace dell’olio del carcame e realizzato un ampio magazzino, in sostituzione di quelli abbattuti per ampliare la loggia; accanto furono costruiti gli alloggi per i tagliatori, cuocitori e stagnini dotati di cucine e latrine indipendenti. La parte ovest del complesso venne destinata invece all’asciuttatojo, ove si facevano raffreddare i pezzi di tonno prima di essere inscatolati. Fu spianato, dunque, il banco roccioso e realizzato un baraccone pilastrato, simile alla loggia, in modo che «l’aria vi circoli liberamente e si rinnovi facilmente»48.
47. ABB, Ing. Nunzio Costa Quartarone, relazione sull’ampliamento dello stabilimento per la lavorazione del tonno all’olio a Capo Passero, 25 agosto 1908. Figlio di Rosario, Nunzio Costa Quartarone nacque a Pachino nel 1841; la famiglia discende probabilmente dai Quartarone, coloni originari di Spaccaforno, che si trasferirono a Pachino nella seconda metà del Settecento. Frequentò il corso di studi in Architettura presso l’Università di Catania, dove si laureò nel 1867. Fu sindaco di Pachino (1874) e venne nominato Cavaliere della Corona d’Italia (1879). Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, n. 98, 26 aprile 1879. 48. Secondo l’ingegnere Costa Quaratarone, rialzando i tetti, era possibile collocare «50 cavalletti in legno sui quali possono prender posto 300 barelle contenenti quintali 120 di tonno cotto, quasi pari al prodotto di 480 quintali di pesce fresco».
La tonnara di Capo Passero
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I luoghi del tonno
Appendice documentaria L’appendice è composta da una selezione di ventotto documenti conservati presso l’archivio di Stato di Siracusa, concernenti lo stabilimento conserviero di Santa Panagia sorto agli inizi del XX secolo. La raccolta è costituita da una serie di atti notarili, delibere e lettere private, allo scopo di chiarire il ruolo del barone Michele Bonanno Cannizzaro (amministratore della tonnara dal 1877 al 1922) e di ricostruire, in particolar modo, il suo rapporto con alcune personalità, coinvolte a vario titolo nella vicenda (Giuseppe Castagnino, razionale, Fosco Cipollini imprenditore, Gaetano Cristina ingegnere, Francesco Laviosa mediatore, Giuseppe Marotta, appaltatore, etc.) Doc. 1 – 1899. Minuta di lettera di Michele Bonanno a Francesco Laviosa Doc. 2 – 17 ottobre 1899. Lettera di Francesco Laviosa a Michele Bonanno Doc. 3 – 12 dicembre 1899. Lettera di Francesco Laviosa a Michele Bonanno Doc. 4 – 23 dicembre 1899. Lettera di Francesco Laviosa a Michele Bonanno Doc. 5 – marzo 1900. Minuta di lettera di Michele Bonanno a Fosco Cipollini Doc. 6 – 9 gennaio 1900. Preventivo lavori Doc. 7 – 14 gennaio 1900. Atto notarile. Contratto stabilimento tonno sott’olio Doc. 8 – 17 luglio 1900. Lettera di Francesco Laviosa a Michele Bonanno Doc. 9 – 12 giugno 1901. Lettera di Carlo Muratorio a Michele Bonanno Doc. 10 – 23 gennaio 1902. Lettera di Fosco Cipollini a Michele Bonanno Doc. 11 – 12 marzo 1902. Lettera di Fosco Cipollini a Michele Bonanno Doc. 12 – 13 marzo 1902. Verbale condomini Tonnara di Santa Panagia Doc. 13 – 16 marzo 1902. Atto notarile Doc. 14 – 9 aprile 1902. Scrittura privata tra Michele Bonanno e Giuseppe Marotta Doc. 15 – 29 luglio 1902. Lettera di Gaetano Cristina a Michele Bonanno Doc. 16 – 12 gennaio 1903. Lettera di Fosco Cipollini a Michele Bonanno Doc. 17 – 21 gennaio 1903. Lettera di Gaetano Cristina a Michele Bonanno Doc. 18 – 12 marzo 1903. Lettera di Giuseppe Castagnino a Francesco Dierna Doc. 19 – 30 marzo 1903. Lettera di Gaetano Cristina a Michele Bonanno Doc. 20 – 4 aprile 1903. Lettera di Fosco Cipollini a Michele Bonanno Doc. 21 – 17 aprile 1903. Lettera di Fosco Cipollini a Michele Bonanno Doc. 22 – 23 maggio 1903. Lettera di Gaetano Cristina a Michele Bonanno Doc. 23 – 24 giugno 1903. Lettera di Gaetano Cristina a Michele Bonanno Doc. 24 – 14 agosto 1903. Lettera di Gaetano Cristina a Michele Bonanno Doc. 25 – 22 agosto 1903. Lettera di Gaetano Cristina a Michele Bonanno Doc. 26 – 4 settembre 1903. Lettera di Gaetano Cristina a Michele Bonanno Doc. 27 – 26 settembre 1905. Lettera di Fosco Cipollini a Michele Bonanno Doc. 28 – 10 ottobre 1905. Lettera di Fosco Cipollini a Michele Bonanno
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