ISBN 978-88-6242-474-5
Michael JakobLa capanna di Unabomber
o della violenza
Titolo Indice
Titolo Unabomber
La capanna di Ted Kaczynski, meglio conosciuto come Unabomber, è un oggetto paradossale: costruita e abitata dal suo artefice per vivere in disparte, lontano dal mondo, non soltanto non ha mai cessato, dal 1996 ad oggi, di essere riprodotta, ma è stata anche spostata, esposta, ricostruita, copiata e contraffatta. L’oggetto, un tempo situato nel cuore delle foreste del Montana nei pressi della cittadina di Lincoln, si è trasformato in un segno polivalente, che continua ad attirare l’attenzione degli artisti, mentre Kaczynski, che ha scambiato la sua capanna extra-territoriale con la reclusione nel carcere di massima sicurezza a Florence, nel Colorado – dove sta scontando l’ergastolo – è sparito dall’attenzione dell’opinione pubblica.
La capanna, separata dal suo artefice, rappresenta ben più di un residuo: è un elemento che insieme attira e disturba, è una strana reliquia, ed è, soprattutto, sul piano semiologico, un segno che non smette di interrogarci. D’altronde, il suo statuto attuale non è semplice da definire, ed è questo uno dei punti di partenza della nostra indagine. Che significa, infatti, la persistente presenza culturale e politica di questo oggetto, piuttosto banale di per sé? Perché riappare incessantemente? Due aspetti cruciali, che non sono stati ancora sufficientemente evidenziati dai commentatori della celebre capanna, paiono particolarmente pertinenti. Innanzitutto, l’estrema contraddizione tra un tipo di abitazione intimista e “primitiva”, un “nido protettore” da un lato, e la volontà – da parte del suo autore ed utilizzatore esclusivo – di far saltare in aria coloro che
considerava suoi nemici, dall’altro. Con la capanna di Ted Kaczynski, l’Arcadia scopre e ingloba il Terrore: l’eremita mette al mondo delle bombe [1]. Come rifugio, la costruzione proteggeva il corpo dello scienziato pazzo, mentre gli ordigni assemblati nel cuore della wilderness dilaniavano, altrove, i corpi delle vittime. Come spiegare il progetto di far esplodere in mille pezzi la società da parte di una persona che praticava una forma estrema di autismo sociale? E, una volta spostato e isolato sia l’autore della minaccia che la sua capanna, cosa rimane della carica esplosiva?
Il secondo aspetto che ci interpella è quello della copia. Kaczynski, da scienziato atipico qual era, ha costruito un riparo che non è soltanto, in quanto tale, una copia di copie: è l’incipit di una nuova serie, il punto di partenza di una sequenza di copie che sembrano non avere fine. I suoi crimini, inutile dire, seguivano anch’essi la logica seriale: si tratta di crimini “a calco”. Quest’ultimo aspetto orienta la nostra indagine in una direzione duplice. Dopo aver rintracciato il tragitto (pseudo-)originale di Kaczynski, dobbiamo risalire due piste: una, retrospettiva, va dal presente al passato (Rewind), apre uno spazio-tempo complesso, ed è guidata dalla domanda: da dove proviene questo artefatto? Cosa racconta del gesto architettonico? Dei diversi modi di abitare il mondo? L’altra pista, prospettica, va dal presente al futuro (Forward) e riguarda la stupefacente metamorfosi della capanna: tutto ciò dopo che, col tempo, l’interesse per il personaggio principale si è ormai ridotto quasi a nulla.
Come segno, la capanna costruita nel Montana dal futuro Unabomber è un amalgama di innumerevoli strati precedenti. Il primo strato, presente in quest’oggetto realizzato principalmente in legno, è quello essenziale legato al discorso sull’origine dell’architettura. Il testo fondamentale è qui evidentemente il De Architectura di Vitruvio, e la sua evocazione, nel Libro 2.1, delle prime abitazioni umane. L’architetto romano vi delinea gli elementi principali di ciò che si sarebbe trasformato nel mito stesso della capanna. Notiamo, innanzitutto, che l’attività costruttiva primitiva segna il passaggio dallo stato animale a quello umano, e che, nel contempo, l’esperienza che gli corrisponde è definita come la base della società umana:
«Anticamente gli uomini nascevano, come il resto degli animali, nelle foreste, nelle grotte e nei boschi, non avendo a disposizione per cibarsi che frutti selvatici. Tuttavia, degli alberi fitti, violentemente agitati dalla tempesta, presero fuoco a causa dello sfregamento dei rami. L’impetuosità della fiamma spaventò gli uomini che si trovarono nelle vicinanze e li fece fuggire. Ben presto rassicurati, si avvicinarono a poco a poco e sentirono tutto il vantaggio che potevano ottenere per il loro corpo dal dolce calore del fuoco. Aggiunsero della legna, tennero la fiamma accesa e fecero venire altri uomini, ai quali si fece comprendere a segni l’utilità di questa scoperta. Gli uomini così riuniti articolarono diversi suoni che, ripetuti ogni giorno, formarono per caso alcune parole la cui espressione abituale fu usata per designare gli oggetti; e ben presto essi ottennero un linguaggio che permetteva loro di parlare e di comprendersi a vicenda [4]. Così è stata la scoperta del fuoco che condusse gli uomini a riunirsi, ad associarsi tra di loro, a vivere insieme, ad abitare in uno stesso luogo. Dotati inoltre di molti vantaggi che la natura
17. Copertina Time Magazine, 15 aprile 1996.
di Theodor Kaczynski sono coerenti con gli ideali di Henry Thoreau»15. Oleson distingue giustamente un Kaczynski antisociale, cinico e vendicativo (quello che diceva: “I believe in nothing ”) da un Kaczynski socialmente rivoluzionario che dispone di argomenti per quello che ha deciso di fare (ritirarsi dalla società), compresi i suoi atti estremi. L’uso della violenza strumentale da parte di Kaczynski può essere spiegato – ovviamente non giustificato – a partire dalle finalità argomentate nel suo saggio Industrial Society and its Future. Certo, uccidere tre persone e ferirne più di venti per far conoscere la propria teoria è un prezzo esorbitante da pagare, se lo scopo è la ricezione di un pensiero filosofico16. Dall’analisi di Oleson, tuttavia, si capisce benissimo che gli scritti e le azioni di Kaczynski sono delle reazioni, e non delle azioni. In altre parole, sono presenti in Kaczynski un filo conduttore e una razionalità. Ciò che egli intraprende segnala una presa di posizione contro; non in modo astratto contro la società in generale, ma contro la violenza che essa esercita su uomini oppressi e trasformati in schiavi moderni. Questa violenza della società – che deriva principalmente dalla tecnologia e che, secondo lui, provoca apatia, anomia,
15. «in many ways the criminal acts of Theodor Kaczynski are consistent with the ideals of Henry Thoreau», Ibid., p. 213.
16. «Kaczynski uccise tre persone e ne mutilò molte altre per aumentare l’interesse per questo saggio. Quale messaggio potrebbe mai giustificare una tale sofferenza? Cosa potrebbe avere da dire che giustifichi una tale violenza?»
«Kaczynski murdered three people and maimed numerous others to increase interest in this essay. What message could possibly justify such suffering? What could he have to say that would warrant such violence?», ivi, p. 219. Rewind
capanna provocatoria, Le Corbusier indicava che ciò che conta qui e ora è il suo immediato conforto fisico. La capanna appariva quindi come un’architettura fatta su misura per il corpo umano, la capsula ideale per vivere diversamente, pur rimanendo vicino alla civiltà. Sebbene il contesto più ampio della capanna evocato tramite questi esempi non fornisca spiegazioni immediate – la capanna di Kaczynski fa parte di una serie, pur rappresentando un caso unico –, permette di collocare il gesto di Unabomber in un orizzonte più complesso. Se nell’opera di Heidegger e Wittgenstein l’atto costruttivo, il modo di vivere e il pensiero creativo formano un tutt’uno inscindibile – almeno per un certo periodo – allora, anche nel caso di Kaczynski, sembra appropriato analizzare il modo in cui l’isolamento e la scrittura si intrecciano. In altre parole, sosteniamo che grazie e attraverso la sua capanna, Kaczynski ha qualcosa da dire, e che non dobbiamo cedere alla tentazione di sottovalutare il suo “caso” chiudendo sia l’autore che il suo operato in categorie preconcette. Pretendere che sia solo un “terrorista”, o, al contrario, una vittima del capitalismo cinico e appariscente di fine secolo, confinarlo, con competenze psichiatriche a sostegno, in una sottocategoria della “follia”, vedere in lui un’espressione delle contraddizioni della società tecnologica – tutte queste spiegazioni escludono la possibilità di prestare ascolto a ciò che Kaczynski ha da dire su di noi. Sostenere che ciò che ha fatto ha comunque un senso – pur rimanendo legalmente o eticamente inaccettabile – è suggerito proprio dalla capanna stessa, che
28. Spostamento della
Montana a Sacramento, Idaho State Journal, 4 dicembre, 1997.
capanna dal 27. Spostamento della capanna dal Montana a Sacramento, CA (1997).soprattutto diventa mobile. Come abbiamo già sottolineato, il fatto che una costruzione di questo tipo inizi a viaggiare non è una novità. La capanna del presidente Abraham Lincoln e quella di suo padre Thomas hanno attraversato gli Stati Uniti; chalet e cottage sono stati spostati durante tutto il xix secolo; un intero villaggio alpino – il villaggio svizzero dell’esposizione del 1896 a Ginevra – ha viaggiato verso Parigi e Dublino (in seguito a queste peripezie, la fragile struttura in legno è caduta a pezzi); la ricostruzione del luogo di nascita di Henry Ford, Greenfield Village, a Dearborn, nel Michigan, ha comportato anch’essa il trasferimento di capanne vernacolari, ecc. Ciò che accomuna tutti questi spostamenti è il loro fine dimostrativo: esposti in fiere, mostre nazionali o universali, in musei e in luoghi di memoria, o semplicemente intravisti al loro passaggio, questi oggetti sono esibiti, fanno parlare di loro e attirano l’attenzione del pubblico. Questo è ovviamente ciò che accade, momentaneamente, anche con il rifugio del Montana, diventato oggetto di rappresentazione e di (di)mostrazione. Dal momento che Kaczynski, l’autore del delitto, non può essere esposto, è il manufatto che lo rappresenta ad esserlo («la capanna che funge da sostituto del suo proprietario spodestato»)2. Ma l’esibizione della sua cabina consente diverse letture possibili. Da un lato, la presenza della reliquia del crimine rende l’intera storia visibile e palpabile. Incarna la narrazione ripresa
2. «the cabin serving as proxy for its deposed tenant», ivi, p. 9.
La capanna di Ted Kaczynski, il criminale meglio noto come Unabomber, è un oggetto paradossale.
Costruita e abitata dal suo artefice per vivere in disparte, lontano dal mondo, non soltanto non ha mai cessato, dal 1996 ad oggi, di essere riprodotta, ma è stata anche spostata, esposta, ricostruita, copiata e contraffatta. La casetta, un tempo situata nel cuore delle foreste del Montana vicino alla cittadina di Lincoln, è diventata un segno polivalente. Separata dal suo artefice, la capanna rappresenta ben più di un residuo: è un elemento che insieme attira e perturba, una strana reliquia, ed è soprattutto un oggetto che non smette di interrogarci. D’altronde, il suo statuto stesso non è semplice da definire. Che significa, infatti, la persistente presenza mediatica e artistica di questo artefatto di per sé piuttosto banale? Perché riappare di continuo? Che ne è della violenza che conserva in sé, una volta che il suo autore è stato condannato alla detenzione a vita in un carcere di massima sicurezza? La capanna di Unabomber, trasformata in metafora culturale e discorsiva, appare come un potente simbolo della violenza contro la violenza.
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