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Introduzione
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La Teoria Generale dell'Urbanizzazione
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La peste del linguaggio
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Le letture di Giancarlo De Carlo
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I racconti di Bernardo Secchi
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I silenzi di Carlos MartĂ ArĂs
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Parole penultime
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Bibliografia
A chi esita Dici: per noi va male. Il buio cresce. Le forze scemano. Dopo che si è lavorato tanti anni noi siamo ora in una condizione più difficile di quando si era appena cominciato. E il nemico ci sta innanzi più potente che mai. Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso una apparenza invincibile. E noi abbiamo commesso degli errori, non si può negarlo. Siamo sempre di meno. Le nostre parole d'ordine sono confuse. Una parte delle nostre parole le ha stravolte il nemico fino a renderle irriconoscibili. Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiam detto? Qualcosa o tutto? Su chi contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti via dalla corrente? Resteremo indietro, senza comprender più nessuno e da nessuno compresi? O dovremo contare sulla buona sorte? Questo tu chiedi. Non aspettarti nessuna risposta oltre la tua. Bertolt Brecht, 1935
Introduzione «Le nostre lettrici ci perdoneranno se ci fermiamo un momento nello sforzo di capire quale potesse essere il pensiero che si nascondeva nelle parole enigmatiche dell'arcidiacono: Questo ucciderà quello. Il libro ucciderà l'edificio. […] Era il presentimento che il pensiero umano, cambiando di forma, avrebbe cambiato nel modo di espressione, che l'idea capitale di ogni generazione non sarebbe più stata scritta con lo stesso materiale e nella stessa maniera, che il libro di pietra, così solido e durevole, avrebbe fatto posto al libro di carta, più solido e più durevole ancora. Sotto quest'aspetto la formula vaga dell'arcidiacono aveva un secondo senso; significava che un'arte avrebbe detronizzato un'altra arte. Voleva dire la stampa distruggerà l'architettura»1. Era il 1831 quando Notre-Dame de Paris fu pubblicato per la prima volta. E i fatti hanno dimostrato che l'idea di Victor Hugo non è più sostenibile: il libro non è stato, e certamente non sarà, l'artefice di nessuna prematura dipartita. La situazione si è completamente ribaltata: «sempre più la scienza, l'informazione e il sapere in tutte le sue 1. Hugo V., Notre-Dame de Paris, Mondadori, Milano, 1985, p. 132.
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La Teoria Generale dell'Urbanizzazione La fondazione della disciplina urbanistica nasce in biblioteca. Tra letture e riflessioni. Tra ricerche disciplinari e approfondimenti di campi contigui alla pianificazione. È Ildefonso Cerdà a dirlo, rivolgendosi Al lettore, nelle prima pagine della Teoria generale dell'urbanizzazione: «dopo aver gettato un rapido sguardo sui grandi centri urbani, mi convinsi che essi, con il loro organismo prodotto da civiltà pressoché statiche, oppongono numerosi intralci e ostacoli» che «dovranno essere rimossi se questa nuova civiltà non vuole condannarsi ad un immobilismo che è incompatibile con i suoi elementi costitutivi ed essenziali […]. Esaminai allora i cataloghi di tutte le biblioteche nazionali e straniere con l'intenzione di fare un inventario di tutti i libri che trattavano questo argomento. Ma grande fu la mia sorpresa nel constatare che niente, assolutamente niente era stato scritto su un soggetto di tale importanza e portata»1. Françoise Choay l'ha definita «un'opera paradigmatica» perché «questa teoria, pubblicata nel 1867 dall'ingegnere spagnolo Ildefonso Cerdà per fondare e giustificare la scelta dell'assetto da lui adottato 1. Cerdá I., Teoria generale dell'urbanizzazione, Jaca Book, Milano, 1985, p. 72.
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nel suo Piano per la città di Barcellona (1859), è in effetti contemporaneamente la prima in ordine di tempo e la più pienamente sviluppata»2. Punto di partenza è il mutamento in atto che avrebbe trasformato radicalmente le sorti della città e del territorio: «confrontando il passato con il presente, capii che l'applicazione del motore come forza motrice segnava per l'umanità la fine di un'epoca e l'inizio di altra e che in quel momento ci trovavamo in un vero periodo di transizione»3. Ecco perché Cerdà può affermare: «inizierò il lettore allo studio di una materia completamente nuova, intatta, vergine. Poiché tutto era nuovo, ho dovuto cercare e inventare parole nuove per esprimere idee nuove, la cui spiegazione non si trovava in alcun lessico. Posto d'innanzi all'alternativa di inventare una parola o di smettere di scrivere, ho preferito inventare e scrivere piuttosto che tacere»4. L'atto di fondazione della disciplina urbanistica non è quindi segnato da programmi costruttivi, planimetrie, sezioni stradali, ipotesi progettuali ma da «parole nuove per esprimere idee nuove». È la riformulazione radicale delle metafore, del lessico e dei confini disciplinari. E parte da un'esigenza: «la prima cosa da fare è dare un nome a questo mare magnum fatto di persone, cose, interessi di ogni genere, di mille elementi che sembrano funzionare, in maniera indipendente […] chiamato città»5. 2. Choay F., La regola e il modello, Officina, Roma 1986, p. 304. 3. Cerdá I., Teoria generale…, op. cit., p. 72. 4. Ivi, p. 81. 5. Ibidem.
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Come mai Cerdà sente la necessità di accantonare il termine città? È solo una questione semantica? Oppure è un'impossibile coesistenza? Rispondere a questi interrogativi impone una precondizione: partire dalla Teoria Generale dell'Urbanizzazione come testo da leggere in maniera del tutto indipendente dalla Barcellona costruita sulla base del piano Cerdà. D'altronde si deve porre «molta attenzione a studiare separatamente opera scritta e opera costruita, perché non esiste un rapporto necessario di causa ed effetto tra loro […] si tratta di analizzare la forma formalmente e il testo testualmente […] in seguito si può eventualmente porre delle domande sul loro rapporto, ma sarebbe un grave errore se si postulasse una relazione necessaria fra i due termini»6. Pertanto, se il punto di osservazione privilegiato è il testo di Cerdà allora è possibile sostenere l'ipotesi che alcune delle sue idee rappresentano, ancora oggi, un patrimonio concettuale di straordinario valore. Che vale la pena di rileggere. Traslochi concettuali Tre affermazioni per un unico scenario. La prima: «l'urbanizzazione, di cui in genere si attribuisce l'origine e lo sviluppo al caso, obbedisce, invece, a dei principi immutabili, a delle regole fisse»7. La seconda: l'urbanistica ha «un proprio posto tra le scienze che insegnano all'uomo 6. Centi L., Tra forma ed immagine, dialogo con Françoise Choay su arte e architettura, in “Domus”, n. 713, febbraio 1990, p. 21. 7. Cerdá I., Teoria generale…, op. cit., p. 83.
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Le letture di Giancarlo De Carlo Giancarlo De Carlo è stato autore di un romanzo. Dietro lo pseudonimo di Ismé Gimdalcha ha scritto Il progetto Kalhesa. Le pagine del libro raccontano gli studi condotti, con Giuseppe Samonà, per il risanamento del centro storico di Palermo, tra il 1979 e il 1982. Benché sotto nomi inventati, i molti personaggi che si muovono tra il mondo della professione, la burocrazia, i partiti politici e il potere economico appartengono, tutti, alla realtà storica del periodo. Ne deriva un quadro sconfortante che infligge molte ferite alla città rispetto alle quali architettura e urbanistica sono totalmente disarmate. Sotto questo profilo, il libro non è, dunque, la nuda cronaca di una vicenda. C'è anche quella, ma c'è soprattutto una straordinaria capacità letteraria perché De Carlo formula un J'Accuse preciso e circostanziato che, se messo a frutto, sarebbe sufficiente per non ripetere più gli stessi errori. «Continuo a pensare all'origine della malattia di Fragalà e al suo improvviso e furioso dilagamento. […] Nelle città succede lo stesso. All'improvviso il codice immunitario annebbia e si confonde, i processi di manutenzione e sviluppo dirottano verso oscure direzioni, entrano in circolo materiali incongruenti che prendono a stratificarsi e
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I racconti di Bernardo Secchi È possibile ricostruire la biografia scientifica e professionale di Bernardo Secchi in vari modi: facendo riferimento a piani e progetti, agli anni di insegnamento, ai convegni, conferenze e, più in generale, a tutti gli incontri pubblici ai cui ha partecipato. Un elenco al quale si potrebbero aggiungere molti altri itinerari culturali, senza mai arrivare a un ritratto esaustivo. Tuttavia, c'è un aspetto che ha contraddistinto molti dei suoi scritti e dei suoi discorsi: il riferimento costante, e talvolta imprescindibile, alla letteratura. Una constatazione che obbliga a restringere drasticamente il campo di osservazione, limitando l'indagine a quegli aspetti che appaiono più strettamente connessi al rapporto tra letteratura e progetto. Punto di partenza è Il racconto urbanistico che, nell'introduzione, mette a fuoco tre mosse di ricerca finalizzate a interpretare quello «spesso strato di parole, di enunciati, di argomenti tra loro eterogenei» che occupano lo spazio tra «gli avvenimenti e le politiche tese a governarli o modificarli»1. 1. Secchi B., Il racconto urbanistico. La politica della casa e del territorio in Italia, Einaudi, Torino, 1984, p. XIX.
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I silenzi di Carlos Martí Arís Il rapporto tra letteratura e architettura attraversa tutti i libri di Carlos Martí Arís. È una scelta legata a un presupposto preciso: mettere «in evidenza come discipline tanto diverse tra loro, la letteratura, l'architettura, il cinema, la pittura e la scultura affondino le loro radici in una medesima caratteristica della conoscenza umana»1. Martí Arís ha sempre considerato la letteratura uno degli strumenti necessari per qualsiasi esperienza di ricerca; per mettere a fuoco la sua idea di architettura; per delineare una teoria del progetto rigorosa ed essenziale. Il rapporto con la letteratura è, pertanto, così articolato e complesso che sarebbe un errore coltivare l'ambizione di darne conto in maniera esauriente. Tuttavia, c'è un compagno di viaggio con il quale Martí Arís ha più volte trovato molteplici sintonie; con il quale è riuscito a stabilire una sorprendente comunanza di vedute; con il quale ha condiviso un vero e proprio sodalizio culturale: Jorge Luis Borges. La relazione di interdipendenza con lo scrittore argentino appare chiaramente da una pluralità di indizi. 1. Martí Arís C., Silenzi eloquenti, Christian Marinotti, Milano, 2002, p. 14.
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