Indice ***
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Perché Francesco 13
Gli inizi 25
La forma nel luogo 41
La forma nuda 53
La forma resistente 67
La geometria della forma 85
La forma dell’antichità 105
Cosa resta di Francesco? 117
Appendice 123
Apparati
PerchĂŠ Francesco ***
L’
affinità che sentiamo per i maestri che più ammiriamo si nasconde spesso dietro il velo dell’ineffabile, e si fa cosciente solo più tardi, lungo il corso della vita e dell’esperienza, attraverso un rigoroso e accurato impegno di osservazione e conoscenza critica delle loro opere. La distanza tra il loro tempo e il nostro, tra un’esperienza già conclusa e un’altra che non è ancora tale, segna un divario irrisolvibile, dove la loro opera emerge come l’unico nostro punto di appoggio. Ma in momenti eccezionali, il rapporto fra noi e l’opera riesce a trascendere il dialogo silenzioso del nostro sguardo con l’architettura, e possiamo percepire un’affinità in cui riconosciamo noi stessi. Come se guardandoli attraverso la loro opera, potessimo volgere lo sguardo dentro noi stessi, scoprendo quell’affinità di spirito in relazione alle forme di cui ci parla Henri Focillon1; o, viceversa, quell’affinità delle forme rispetto ai nostri pensieri, che ci lega profondamente ad alcuni autori, di cui la collana editoriale “Figure” è una testimonianza. «Pensiamo che loro hanno pensato – direbbe Paul Valéry – e possiamo così trovare nelle loro opere quel pensiero che è sorto anche in noi»2.
1. H. Focillon, Vita delle forme seguito da Elogio della mano, Einaudi, Torino 2002, pp. 26-27. Versione originaria: H. Focillon, Vie des Formes suivi de Éloge de la main, Presses Universitaires de France, Paris 1943. 2. «Nous pensons qu’il a pensé, et nous pouvons retrouver entre ses oeuvres cette pensée qui lui vient de nous: nous pouvons refaire cette pensée a l’image de la nôtre». P. Valery, Escritos sobre Leonardo da Vinci, La balsa de la Medusa, Madrid 2010, p. 15. Versione originaria: P. Valery, Introduction à la méthode de Leónard de Vinci, Gallimard, Paris 1957.
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Restituzione assonometrica del salone dipinto nella biccherna Pio II impone il cappello cardinalizio al nipote Francesco Piccolomini Todeschini del Archivio di Stato di Siena.
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La scelta calcolata di maestri e influenze che si può intuire fin dalle sue prime opere è una conseguenza della decisione di sviluppare una personalità al di fuori delle convenzioni sociali12. Allo stesso tempo, indica un’intuizione precoce dei cambiamenti che stavano portando a una profonda trasformazione della società del momento. Una percezione accurata dei nuovi bisogni dell’epoca che diventerà poi decisiva per la sua formazione, una perspicacia e un acume grazie ai quali Francesco svilupperà quelle attitudini singolarissime che lo renderanno un architetto in consonanza con quelle sfide che hanno contraddistinto il suo percorso. Infatti, nella bottega del Vecchietta assimilò una tendenza all’astrazione pittorica che fu decisiva per la costruzione del suo immaginario architettonico. Per esempio, le architetture disegnate nei dipinti e rilievi realizzati nei primi anni di lavoro in collaborazione con i compagni di bottega – Benvenuto di Giovanni e Neroccio di Bartolomeo13 – svelano una sincera riflessione sulle idee apprese dal suo maestro, riflessione che anticipa i principi architettonici delle sue opere mature. Nonostante ciò, è probabile che Francesco abbia avuto nel suo apprendistato una formazione nella pratica dell’architettura civile e militare proprio nei cantieri diretti dal suo maestro, collaborando attivamente nelle 12. F.P. Fiore, L’architettura… cit., pp. 74-75. 13. A. Angelini, Francesco di Giorgio pittore e i suoi collaboratori, in L. Bellosi (a cura di), “Francesco di Giorgio e il Rinascimento a Siena”, Electa, Milano, 1993, pp. 284-290.
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Palazzo Bandini-Piccolomini, Siena. Prospetto dalla Via S. Vigilio.
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sue opere e viaggiando sotto la sua protezione per studiare dal vero le rovine dell’antichità14. Certi cantieri senesi legati a questo periodo e assegnabili alla cerchia del Vecchietta, come il Palazzo Calusi e la facciata della chiesa di Santa Caterina Fontebranda (1466-74), in particolare alcuni edifici probabilmente attribuibili a Francesco come la chiesa dell’Osservanza (1467), appoggiano questa teoria che gravita attorno all’idea di una sua attività giovanile come architetto; in questo modo, si spiegherebbe la conoscenza del mestiere che Francesco mostra già di avere nel momento in cui entra al servizio del Duca di Urbino15. D’altra parte, lo studio dei codici del Taccola gli permise di approfondire la conoscenza dell’arte della guerra e di studiare l’arte dell’idraulica, della meccanica e dell’ingegneria. Il rapporto, almeno indiretto, con il noto esperto di meccanica e fortificazioni potrebbe anche averlo introdotto nella cerchia della “Casa della Sapienza” senese, dove avrebbe potuto imparare alcuni rudimenti di latino per tradurre di prima mano il Vitruvio16. Per ultimo, l’influenza delle architetture dipinte da diversi artisti come gli sfondi architettonici del Sassetta, Masaccio o Masolino, e perfino quelle dei 14. F. Mariano, Francesco di Giorgio. L’architettura…, cit., p. 84; R. Toledano, Francesco di Giorgio Martini. Pittore e scultore, Electa, Milano 1987, p. 11. 15. Ch. L. Frommel, The Architecture on the Italian Renaissance. Thames & Hudson Ltd, London, 2007, pp. 70-71; M. Tafuri, Le chiese di Francesco di Giorgio Martini, in F. P. Fiore, M. Tafuri (a cura di), “Francesco….”, cit., pp. 25-26. 16. J. H. Beck, The Historical "Taccola" and Emperor Sigismund in Siena, in “The Art Bulletin”, vol. 50, 1968, pp. 309-320; F. P. Fiore, L’architettura…, cit., p. 74.
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In alto: Torrione della Data e facciata dei torricini del Palazzo Ducale dal Mercatale. In basso: Veduta della facciata a Valle.
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L’aggiunta dell’ala che collegava il palazzo con l’antico castellare rappresentò la struttura finale sia per quanto riguarda il prospetto occidentale del palazzo verso valle come per quello orientale verso la città. La facciata dei torricini s’integrava così nel nuovo fronte urbano orientato verso il paesaggio e diventava l’asse principale dell’edificio: fiancheggiata a nord dal grande spazio vuoto del giardino pensile costruito da Francesco e delimitata a sud dalla terrazza definita dal volume compatto e slanciato della Sala del Re, probabilmente essa stessa del Martini, accanto al centro del prospetto orientale. Entrambi gli spazi sottolineavano l’audace rotazione della facciata dei torricini ideata dal Laurana, articolandola dentro la logica architettonica del nuovo insieme. La singolare facciata ad ali risultante dall’unione del nucleo del palazzo con il castellare costituiva lo spazio di rappresentazione principale rivolto alla città. Anche la posizione della nuova cattedrale era essenziale affinché la piazza prendesse forma, delimitata in questo modo dalle due facciate ad angolo del palazzo e dal prospetto laterale del duomo. Il duomo progettato dal Martini rispondeva ancora una volta all’esigenza di articolare questo doppio orientamento del palazzo: mentre il muro della navata laterale e la facciata principale configuravano e ordinavano lo spazio della piazza cittadina, il presbiterio si sovrapponeva al pendio verso valle come una grande massa di mattoni in cui spiccavano i tre semicilindri delle absidi e il volume ottagonale della cupola. Le forme elementari del duomo facevano da contrappunto ai cilindri slanciati della 33
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Sezione del cortile del Palazzo Ducale di Urbino.
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Cortile del Palazzo Ducale di Gubbio.
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Interno di San Salvatore di Spoleto.
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Interno della chiesa di San Bernardino a Urbino.
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