Prefazione La ragione come principio e la bellezza come fine
Ma come Dio ha detto, accavallando le gambe, vedo che ho creato fin troppi poeti ma non abbastanza poesia». Charles Bukowski, Consiglio amichevole a molti giovani e a molti vecchi
Dopo aver radunato le domande che avevo deciso di porgli, dopo avergliele esibite e aver registrate le sue risposte, dopo averle meticolosamente trascritte e dopo aver curato il progetto editoriale del libro che avete in mano in questo momento, adesso, solo adesso, posso dirlo: intervistare Alberto Campo Baeza è (quasi) inutile. Come si può notare anche a una svogliata lettura del testo, infatti, Campo Baeza è un intervistato irrequieto e a tratti riottoso, pronto a sabotare l’ordinaria prevedibilità delle domande che gli ho posto, assecondando il ritmo irregolare delle sue voglie e dei suoi ricordi. Ama molto parlare degli eventi e delle persone che lo hanno formato – la sua infanzia, la sua famiglia, i suoi maestri, le sue passioni – molto meno di sé, come invece ci si aspetterebbe in un’intervista. Mi dichiaro dunque colpevole, Vostro onore. Ma se mi è concessa l’opportunità d’un’attenuante, è sfogliando i suoi testi e le sue monografie che proverò a trovarla. È infatti la stentorea flagranza delle sue opere, la chiarezza dei suoi intenti e dei sui scritti, che rendono ridondante ogni quesito. Se l’architettura è la formalizzazione d’un’idea, come più volte Campo Baeza ha scritto, è indubbio che le sue opere ne siano il commentario più esauriente. È anche per questo motivo che l’intervista che segue aspira a mettere in luce gli anni 5
Alessandro Mauro intervista Alberto Campo Baeza MADRID 2019/2020
Alessandro Mauro: Hai vissuto l’infanzia e l’adolescenza a Cadice, ma nasci a Valladolid. Qual è il luogo d’origine della tua famiglia? Alberto Campo Baeza: Valladolid. Mio nonno, il padre di mia madre, era l’architetto municipale1 e ha realizzato un edificio importante a Valladolid, un circolo ricreativo, che riprendeva lo stile francese dei primi del Novecento2. Aveva nove figli: otto femmine e un maschio; mentre nella famiglia di mio padre erano undici figli, e mio padre era l’undicesimo. Quella di mio padre era una famiglia di contadini, ma lui aveva comunque studiato medicina all’Università di Valladolid. Era stato uno studente brillantissimo, si è laureato con il massimo dei voti e agli ultimi due esami i professori, anziché scrivere il voto massimo, hanno scritto “ammirevole”: era un tipo straordinario. Dopo la laurea mio padre ha fatto un concorso a Madrid per diventare medico militare, era il 19363; durante la guerra civile ha combattuto dalla parte dei repubblicani, poi si è sposato con mia madre nel 1942. Avendo avuto un trascorso con la sinistra, il suo posto a Valladolid venne assegnato a qualcuno con le idee politiche più gradite al franchismo, per questo motivo dopo pochi anni è stato trasferito a Cadice. Poteva sembrare un dramma e invece 13
come una casba musulmana, ma anche razionalista, bianca. Qualcuno ha detto che questo progetto era più di Campo Baeza che di Cano Lasso, e io devo invece dire, non per gratitudine, che l’edificio era tanto di Cano Lasso quanto mio. Questi edifici per l’istruzione di cui hai accennato sono caratterizzati da forme distese sul paesaggio, composizione per nuclei aggregati e uso del mattone. Con Casa García del Valle e Casa Fominaya, le tue prime opere, hai assecondato questa composizione, anche per l’uso dei mattoni, riconosci un debito verso Cano Lasso? Naturalmente. Non si può fare un giorno nero e il giorno dopo bianco. Con il progetto per Casa Balseiro, e ancora di più con il progetto per la sede dell’Ordine degli architetti di Siviglia la complessità è racchiusa in forme elementari e bianche. Qui forse comincia un primo, timido passo, in quel cammino verso l’astrazione. Da cosa o da chi sei stato influenzato? Non voglio certo dimenticare la Casa García del Valle o la Casa Fominaya, perché sono opere che fanno parte di un percorso logico. Queste prime case 30
hanno delle caratteristiche, mentre Casa Balseiro o il progetto per la sede dell’Ordine degli architetti di Siviglia ne hanno altre, sono opere un po’ più puriste, però io posso considerare la mia prima vera opera la Casa Turégano. In questa casa c’è un livello di purismo o astrazione – mai di “minimalismo”, parola che odio – ma è un purismo che asseconda anche l’economia. Per Casa Turégano infatti non c’era un grande budget, e così abbiamo fatto un cubo e la finestra collocata in alto, a sud-est, per fare penetrare la luce solida. Successivamente, e anche io me ne sono reso conto solo dopo, è stata associata alla casa pompeiana, che ha effettivamente lo stesso meccanismo: una finestra in alto che cattura la luce del sole. Con queste prime opere, come Casa Balseiro o la Sede dell’Ordine degli architetti di Siviglia c’era un’ispirazione ai Five Architects? Non posso dire di no. Chiaramente Richard Meier, Peter Eisenman e i Five Architects erano allora nell’Olimpo dell’architettura, e la mia astrazione un po’ è certamente debitrice dei loro progetti. Anche la stessa Casa Turégano.
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Casa Turégano, Pozuelo de Alarcón, Madrid, 1986-88 32
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Casa De Blas, Sevilla la Nueva, Madrid, 1999-2000 58
quello che si sta facendo è la stessa operazione che hanno fatto gli architetti del Partenone. Prima di realizzare il Partenone i Greci hanno realizzato l’Acropoli: cioè l’idea di fissare un piano in alto dove gli uomini possono incontrarsi con gli Dei. Naturalmente io non ho fatto un podio per incontrare gli Dei, ma ho fatto un podio per definire un piano orizzontale. Io sono convinto che il piano orizzontale sia decisivo, quando lo si fissa all’altezza giusta. Per la Casa dell’infinito, avendo a disposizione più soldi, e più tempo che per la Casa De Blas, ho fatto un modello con le corde. Abbiamo deciso l’altezza del piano orizzontale nel punto migliore, nel punto dove si vedeva meglio il mare e l’orizzonte. E la stessa cosa la abbiamo fatto per il progetto Entre Catedrales. Ma questa non è una cosa di Campo Baeza, ogni architetto deve lavorare così: deve lavorare con la luce, con il piano orizzontale. La Casa De Blas è molto radicale, nel basamento ci sono tutte le funzioni della casa mentre la teca, come dice Antonio, all’opposto è trasparente. Anche con questo vetro, un vetro di modesto spessore, a volte, quando fa freddo, nella scatola di vetro si crea la condensa, ma è una casa realizzata con un piccolo budget. La Casa Olnick-Spanu è bellissima ma non ha la radicalità e la purezza della Casa De Blas. 59