ISBN 978-88-6242-525-4
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Prima edizione Dicembre 2021 © LetteraVentidue Edizioni © Testi e immagini: rispettivi autori È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. A cura di Fabio Ciaravella Ricerche Fabio Ciaravella, Mimì Coviello, Cristina Amenta, Stefania Spiazzi Consulenza su accessibilità Cristina Amenta Progetto grafico Raffaello Buccheri Stampa Arti Grafiche Lapelosa – Salerno LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia
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Le ricerche alla base del libro sono state avviate nell'ambito del progetto Architettura della Vergogna, coprodotto dalla Fondazione Matera Basilicata 2019 e l’associazione culturale “Architecture of Shame” per Matera 2019 Capitale Europea della Cultura in partnerariato con Federcasa, Archivio di Stato di Matera, ATER Matera, ATER Venezia. “Architecture of Shame” (AoS) Gruppo di ricerca composto da Cristina Amenta, Fabio Ciaravella, Mimì Coviello e Clara Cibrario Assereto, che indaga le relazioni tra architettura e vergogna in Europa. Il gruppo è nato a Matera in dialogo con il processo di candidatura della città a Capitale Europea della Cultura 2019. Oggi sta lavorando per costruire un centro di ricerca e documentazione che ha lo scopo di individuare casi di studio e avviare dibattiti pubblici sull'architettura come strumento per comprendere valori condivisi contemporanei.
POP HOUSING NUOVI IMMAGINARI PER LE CASE POPOLARI
A CURA DI FABIO CIARAVELLA
ININDIDICE CE 9 → FEDERCASA PER POP HOUSING Riccardo Novacco 11 → POP HOUSING: LA RICERCA PER LE CASE POPOLARI Alessandro Almadori, Luca Talluri 14 → POP HOUSING. IL BELLO NELLE CASE POPOLARI Fabio Ciaravella 240 → NUOVI METODI DI INTERVENTO NELLE CASE POPOLARI: TRA INTERDISCIPLINARIETÀ, IMPEGNO CIVICO E CONSAPEVOLEZZA GESTIONALE Fabio Ciaravella 253 → BIOGRAFIE
23 → PALERMO → QUARTIERE Z.E.N. 2 Diventare giardino Pietro Airoldi 43 → CATANIA → QUARTIERE LIBRINO La città è un Pegaso d’acciaio Intervista ad Antonio Presti 63 → ROMA → CORVIALE Modello Corviale Francesco Careri 79 → TERNI → VILLAGGIO MATTEOTTI Il Villaggio Matteotti Paola Savoldi 97 → MILANO → QUARTIERE CORVETTO Rappresentare il cambiamento Intervista ad Almudena Gonzales de Pablo (Casapace Milano)
109 → TORINO → VIA ARQUATA, VIA ARTOM, VIA GALLUPPI, CORSO VIGEVANO Urrà Torino Rita Cararo, Anna Marta Henry 127 → BOLZANO → QUARTIERE DON BOSCO, QUARTIERE EUROPANOVACELLA Bolzanism Campomarzio, Cooperativa 19 147 → VENEZIA → COMPLESSO RESIDENZIALE ALLA GIUDECCA Unfolding Pavillion 2018 Davide Tommaso Ferrando, Sara Favargiotti, Daniel Tudor Munteanu 163 → MATERA → RIONE SERRA VENERDÌ Indagine Sui Non Abitanti Architecture of Shame (F. Ciaravella, M. Coviello, C. Amenta)
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NUOVI IMMAGINARI PER LE CASE POPOLARI
Pop Housing. Il bello nelle case popolari Fabio Ciaravella
C’è del bello nelle case popolari. Nonostante spesso a scriverlo sia chi non ci abita, nonostante i molti limiti di gestione e gli errori progettuali che hanno contribuito a rendere più dura la vita di persone già in difficoltà, non possiamo smettere di pensarlo e di provare a dimostrarlo come stanno facendo l’insieme di pratiche ed idee virtuose in Italia che descriveremo nelle prossime pagine. Il lavoro che autori ed attori diversi, dal Nord al Sud Italia, sta conducendo in questo campo dimostra che il bello delle case popolari non parla di edifici, ma delle relazioni tra le persone, l’architettura e lo Stato come potenzialità per migliorare il futuro. Queste pratiche sono un esempio significativo di lavoro interdisciplinare dove s’incontrano ricerche sul futuro delle conquiste democratiche dell’architettura moderna, la visione delle periferie italiane come risorsa per i grandi cambiamenti demografici in corso, l’impegno civico dell’arte contemporanea nello spazio pubblico e le idee sul rinnovamento nella gestione dei beni comuni. Approfondire cosa possa essere il bello nelle case popolari tocca un’attenzione trasversale, sia da parte di diversi settori della ricerca accademica, sia per la politica e la pubblica amministrazione, sia per il pubblico generalista. Garantirne una diffusione più ampia possibile, rendere “pop” questo soggetto, permette di guardare a soluzioni concrete per problemi complessi che vediamo all’orizzonte, come l’integrazione dei nuovi cittadini, il diritto allo spazio pubblico e la nuova definizione di qualità di vita, come crescita collettiva del Paese nel riconoscimento di un valore costituzionale1 e di un patrimonio materiale. Il patrimonio dell’architettura italiana del secondo dopoguerra è infatti ancora in gran parte poco riconosciuto fuori dai contesti di settore2.
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POP HOUSING. IL BELLO NELLE CASE POPOLARI
1. Il riferimento è all’art. 3 della Costituzione Italiana. «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso , di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche [cfr. art. 22], di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva
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partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese». 2. Basti pensare che nonostante l’Italia sia il paese con il più alto numero di siti UNESCO, solo uno – la città di Ivrea – è legato all’architettura successiva al 1945, come altri stati quali la Germania o la Francia, che hanno però un numero inferiore di siti iscritti (Italia 55, Francia 44, Germania 46). 3. Con l’espressione “qualità della vita” si fa riferimento al
Di questo periodo sembra essere inoltre poco metabolizzato il ruolo, nel bene e nel male, che gli edifici ed i programmi urbanistici dal 1948 ad oggi hanno avuto nel nostro Paese sul piano della definizione della società, dell’affermazione di diritti e disuguaglianze, della definizione dei parametri di qualità della vita3 nelle città che viviamo oggi. L’esperienza delle case popolari italiane è uno degli esempi più significativi di questo blocco collettivo4. Seppure ancora in maniera marginale il tema viene toccato nelle Università5, mentre gli incontri per esperti del settore provano a rimettere sul tavolo del dibattito pubblico uno dei percorsi più importanti di urbanizzazione della nostra Repubblica che, a giudicare dallo scarso interesse delle riviste e dei social, sembra destinato inesorabilmente ad un ruolo secondario nella critica d’architettura, nelle domande sul progetto contemporaneo, nelle ricerche sociali se non quando queste intendono occuparsi di marginalità e degrado6. Le case popolari sono quindi tema di serie B, principalmente cronaca, specie per l’opinione pubblica, e spesso cronaca negativa. Un approccio storico all’architettura delle case popolari, e quindi una nobilitazione del tema che si interessi a questa tipologia e alle sue diverse stagioni, sembra essere inibito dai giganteschi (letteralmente) errori, le cui conseguenze segnano la fisionomia italiana. Drammatiche periferie di cemento e di emarginazione, di assenza di servizi, di assenza dello Stato, evitate con imbarazzo dalle amministrazioni locali e dalla politica, sembrano avere completamente coperto di vergogna uno dei temi più nobili di cui può farsi carico la società e l’architettura: dare una casa ed una buona qualità di vita a chi non può permettersela. Tema che anche in Europa ha visto stagioni più e meno felici, e che in Italia vede differenze tra Nord, Centro e Sud più che significative. Edifici come Corviale a Roma, lo Z.E.N. a Palermo o le Vele di
PAPALERLERMO MO ↘
NEL 2018 LO Z.E.N. 2, IL QUARTIERE DI EDILIZIA POPOLARE PROGETTATO ALLA FINE DEGLI ANNI ’60 DAL GRUPPO GUIDATO DA VITTORIO GREGOTTI, SIMBOLO DEL FALLIMENTO DELLE SPERIMENTAZIONI UTOPICHE DI QUEGLI ANNI E DELLA SEGREGAZIONE SOCIALE CHE NE È CONSEGUITA, DIVENTA TEATRO DI UNO DEI PROGETTI PUBBLICI PIÙ RILEVANTI DELLA BIENNALE MANIFESTA 12: DIVENTARE GIARDINO, L’OPERA DI GILLES CLÉMENT E DEL COLLETTIVO COLOCO. OSSERVARE OGGI COSA HA PRODOTTO QUESTO INTERVENTO, NATO NEL CONTESTO DI UN EVENTO EFFIMERO COME UNA BIENNALE NOMADE, È UN ESERCIZIO IMPORTANTE PER ANALIZZARE CON DISTANZA CRITICA QUESTO TIPO DI PROGETTI E I LORO EFFETTI NEL TEMPO.
QUARTIERE Z.E.N. 2 PROGETTO → 1969 REALIZZAZIONE → 1979 (INCOMPLETO) GRUPPO DI PROGETTO → FRANCO AMOROSO, SALVATORE BISOGNI, VITTORIO GREGOTTI, FRANCO PURINI E HIROMICHI MATSUI ABITANTI → 16.000 CA.
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La città è un Pegaso d’acciaio
Intervista a Antonio Presti di Fabio Ciaravella Contesto Quartiere Librino Tipologia intervento Attività temporanee e permanenti promosse dalla Fondazione Fiumara d’Arte Anno di realizzazione Dal 2005 Gruppo di progetto Antonio Presti con artisti vari in collaborazione con la comunità residente
Fabio Ciaravella — Perché hai scelto di lavorare su Librino? Antonio Presti — Il mio interesse per Librino nasce nel periodo del mio trasferimento dalla Fiumara1 a Catania negli anni novanta-duemila. Quando sono arrivato in città gli amici, un po’ tutti a dire il vero, parlavano male di un luogo della contemporaneità, un luogo di periferia, un ghetto che era appunto Librino. Così ho sentito la necessità di andare e vedere cos’era. Librino sta a Catania come lo Z.E.N. a Palermo, Scampia a Napoli e tutte le periferie di una contemporaneità dell’epoca che erano nate per creare le “città utopiche”. Coinvolgendo i grandi architetti2 per disegnare “l’idea di città” erano stati creati viali enormi che non sono per niente di città, ma più luoghi all’americana, qui a Librino sono famose le “Spine Verdi”. Sotto queste grandi arterie, sotto i viadotti, sotto l’intreccio di strade, sarebbe dovuta nascere una tessitura sociale, un lato umano del quartiere che i progetti disponevano nei percorsi di mobilità pedonale e ciclabile. La città veniva attraversata nella sua anima, all’interno, da sotto, mentre sopra rimanevano grandi strade che collegavano tutto un quartiere. A dire il vero
CATANIA ~ LA CITTÀ È UN PEGASO D’ACCIAIO
Librino non può essere considerato solo un quartiere, poiché parliamo di settantamila persone. Pensare che sia un quartiere rispetto a Catania3, visto il numero dei suoi abitanti, mi sembra banale: Librino non è un quartiere è una città. Ed in questa città io sto, con la mia attività artistica, da più di vent’anni. In questo periodo ho assistito al cambio di tanti poteri politici, al cambio di tanti poteri anche interni al quartiere come nel Consiglio di quartiere, ed oggi questa gestione è affidata al Consiglio di quartiere con i patronati. Tutti gli elementi che caratterizzano Librino vengono individuati dall’esterno sempre con l’identità del disagio, con etichette di luoghi a rischio, della malavita. Così accade nelle città/quartieri contemporanei a Librino: sono tutte uguali, sono state costruite tutte con la stessa
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architettura e poi sono state abbandonate. Anzi non è giusto dire abbandonate, perché dopo vent’anni di incuria in cui si è parlato ora di carenza di fondi ora di altri impedimenti, si deve parlare di volontà, di principio: in tutto il Paese, in tutte le periferie non c’è stata la volontà di completare “la città orizzontale”, ma sono stati creati solo luoghi verticali tutti uguali. Quando parliamo di luoghi di questa contemporaneità etichettati come luoghi del disagio, quelle periferie uguali, in tutte non è stato risolto il “piano orizzontale” dove si sarebbe dovuta identificare la città, negli spazi pubblici, nei giardini, nella piazza o nella ricucitura delle attività commerciali. Guarda ad esempio Librino dove ci sono settantamila persone con settanta attività commerciali. È impensabile. Bisogna interrogarsi perché una città da
Il Villaggio Matteotti Un’impresa pubblica
Testo Paola Savoldi — DAStU, Politecnico di Milano
Tra processo e risultati: il successo di un progetto interrotto La porzione del villaggio Matteotti progettata da Giancarlo De Carlo non è nota al pubblico come una delle più rilevanti architetture italiane del Novecento, eppure ci sono diversi buoni motivi per affermare che sia uno degli episodi più promettenti nella storia della realizzazione di case popolari. Tafuri lo considera uno dei quattro esempi di intervento residenziale di respiro internazionale insieme a Monte Amiata al Gallaratese, a Milano, Corviale a Roma e Zen a Palermo1. La narrazione e la critica dell’esperienza di Terni sono fin da subito connotate da un forte accento sul metodo di lavoro che portò a definire il progetto. Il suo valore attiene, sempre secondo Tafuri, non tanto e non solo ai risultati, quanto al processo che lo ha reso possibile2. Realizzato il primo lotto del progetto, la pubblicistica nazionale e internazionale insistono sull’interazione con i futuri residenti e le soluzioni adottate nella organizzazione dello spazio, privato e pubblico3. Nel 1977 la rivista Casabella ospita un servizio tematico a più voci, in cui si da’ conto dell’esperienza4. È il primo luogo in cui De Carlo riscrive e ricostruisce il percorso
TERNI ~ IL VILLAGGIO MATTEOTTI
progettuale condotto a Terni, per un pubblico italiano di addetti ai lavori, ricorrendo a un titolo che allude al metodo, più che all’esito: “alla ricerca di un diverso modo di progettare”. Per quali ragioni? La prima ragione riguarda un autentico interesse da parte dell’autore per una interpretazione del progetto sensibile alle forme dello spazio in relazione ai suoi usi. Questa traiettoria di ricerca è del resto annunciata in un contributo pubblicato nel 19705. Sebbene non vi sia alcun riferimento esplicito al progetto del Villaggio Matteotti che aveva preso avvio un anno prima, può esserne considerato il manifesto programmatico. La seconda ragione ha a che vedere con le sorti del progetto. Dopo aver disegnato l’intero quartiere, ne viene realizzata una sola porzione. Gli esiti sono estremamente interessanti in termini di qualità e articolazione degli spazi abitativi, ma, a fronte dell’incertezza sulla realizzazione degli altri lotti del comparto, se ne può invece celebrare il successo, quanto al percorso
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compiuto e al metodo adottato. In un moto di reciproca formazione e contaminazione, abitanti e progettisti hanno determinato le soluzioni progettuali. La figura di De Carlo è centrale, ma il gruppo di lavoro comprende anche altri profili che svolsero un ruolo incisivo tanto nella relazione con il committente, le Acciaierie Terni, quanto nel disegno delle diverse fasi di coinvolgimento degli abitanti, per la socializzazione e la definizione di alcuni importanti aspetti del progetto. Tra questi Domenico De Masi, ricercatore nel campo delle scienze sociali, e Cesare de Seta, all’epoca in qualità di designer, sono chiamati a nutrire progetti culturali e iniziative pubbliche in capo alle Acciaierie, su mandato dell’allora segretario generale dell’azienda, Gian Lupo Osti.
↑ IL QUARTIERE MATTEOTTI DI TERNI, 1977, FOTOGRAFATO DA GABRIELE BASILICO. © ARCHIVIO GABRIELE BASILICO.
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proponendo a ragazzi e ragazze uno spettacolo fatto da attori e attrici che collaborano con l’associazione, come spunto di riflessione ed elemento di partenza di un percorso più lungo sulla gestione dei conflitti, la violenza di genere, l’omofobia ed altre forme di tensioni o disparità sociali. In altri casi coinvolgiamo proprio gli studenti e studentesse in un breve percorso teatrale che porta alla creazione di un Forum da condividere con la scuola. Dal 2010 Casapace propone dei laboratori annuali di sperimentazione teatrale rivolti ad adulti e anche dei momenti formativi più brevi focalizzati su una tematica o una tecnica teatrale specifica. A novembre 2019 abbiamo organizzato un seminario residenziale internazionale, con un bando Erasmus+. Era una formazione per operatori giovanili sul teatro sistemico, con formatori provenienti
←← TEATRO-FORUM AGIT PROP, 14 GIUGNO 2019, CORTILE DI VIA DEI 500 N. 14. FOTO: CHIARA ASSOLI.
dalla Spagna (Tr3s Social), su come usare questo strumento per lo sviluppo di comunità. Tr3s Social aveva già collaborato con noi durante il Festival 2019. In questo momento stiamo cercando nuovi metodi e spunti per contaminare il TdO e aumentare le potenzialità nei nostri ambiti di lavoro (scuole, territorio, minoranze marginalizzate). FC — Perché avete deciso di applicare questo metodo a Corvetto? AGdP — Casapace Milano è un centro di nonviolenza attiva; lo sviluppo di comunità e la gestione nonviolenta dei conflitti sono due elementi fondamentali dell’azione dell’associazione, che dal 2000 ha la sua sede a Corvetto. Nel 2016, dopo
↓ TEATRO-FORUM MONOCROMO, COMPAGNIA INCAPACIS, PRESSO LICEO EINSTEIN, 15 GIUGNO 2019. FOTO: LISA BOCCACCIO.
→→ PERFORMANCE VOCI NEGATE, 14 GIUGNO 2020. FOTO: CHIARA ASSOLI.
MILANO ~ RAPPRESENTARE IL CAMBIAMENTO
un’esperienza laboratoriale che coinvolgeva alcuni abitanti del Corvetto, custodi sociali e altre persone che si stavano avvicinando al TdO, venne creato uno spettacolo di Teatro-Forum che parlava di conflitti tra vicini di un caseggiato popolare e del senso di abbandono e trascuratezza che prevale nel quartiere. Lo spettacolo venne rappresentato proprio in un cortile gestito da Aler. La partecipazione fu molto numerosa e le sostituzioni da parte del pubblico sembravano non esaurirsi mai. Fu un momento molto emozionante per il gruppo, per i vicini e vicine del Corvetto e per noi, alle prime armi con la conduzione di TdO. Insieme ad altri gruppi e attivisti che praticavano Teatro dell’Oppresso a Milano, e traendo ispirazione dal festival di TdO che nel 2014 venne organizzato nel quartiere Sanità di Napoli e al quale alcuni di
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noi avevano partecipato, decidemmo di organizzare un festival a Milano, che vide la sua prima edizione a ottobre 2017. Furono tre giorni che avevano come obiettivi far conoscere il TdO, trasformare in teatro e punti di aggregazione alcuni spazi poco frequentati o degradati del quartiere, creare occasioni di scambio fra gli abitanti del quartiere, e dare continuità al lavoro di rete nazionale iniziato a Napoli, poiché invitammo gruppi e compagnie provenienti da diversi punti dell’Italia. Fu un’esperienza positiva (più di 120 persone da fuori Milano, di cui 40 partecipanti internazionali; 12 collettivi teatrali; 10 spettacoli di teatro forum; 5 laboratori; 2 presentazioni; 3 performance/flash mob; più di 350 spett-attori). Tuttavia non riuscimmo a coinvolgere attivamente il quartiere come avremmo voluto
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VIA ARTOM / VIA F.LLI GARRONE — L’AREA SI TROVA A MIRAFIORI SUD, QUARTIERE CONOSCIUTO A LIVELLO INTERNAZIONALE QUALE SEDE DELLA “GRANDE FABBRICA”, LA FIAT. NONOSTANTE IL QUARTIERE ABBIA PERSO LA SUA VOCAZIONE INDUSTRIALE DA ORMAI VENT’ANNI E NON SIA PIÙ, DI FATTO, IL QUARTIERE OPERAIO, TALE RIMANE NELL’IMMAGINARIO DELLA CITTÀ. VIA ARTOM RESTA IL SIMBOLO DEGLI ANNI PIÙ “CALDI” DI MIRAFIORI, ASSOCIATO – DAGLI ANNI OTTANTA – A DELINQUENZA E DEGRADO. GLI IMPORTANTI INTERVENTI DI RIQUALIFICAZIONE DEI PRIMI ANNI DUEMILA, HANNO AVVIATO UN PROCESSO DI
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COSTRUZIONE DI NUOVA IDENTITÀ DEL QUARTIERE, CHE PERÒ FATICA A RISCATTARSI DALLA SUA NOMEA. FOTO: COSIMO MAFFIONE.
TORINO ~ URRÀ TORINO
Nasce così Urrà Torino, un progetto che sperimenta l’arte come veicolo generativo di nuove narrazioni urbane e innesco di processi virtuosi di riappropriazione di spazi e relazioni in quattro complessi ATC della città, da sud a nord: via Emanuele Artom/via Fratelli Garrone, via Pasquale Galluppi, via Arquata, corso Vigevano. Urrà Torino. Il progetto Urrà Torino — URban RegenerAction in Torino6 è un progetto che affronta i temi della rigenerazione urbana a base culturale attraverso un processo di immaginazione e innovazione civica promuovendo la partecipazione attiva dei residenti di quattro aree di edilizia residenziale pubblica di Torino. Il gruppo di lavoro composto da innovatori sociali, ricercatori e curatori artistici, si interroga sul ruolo dell’artista nei processi di accompagnamento alla nascita di comunità di luogo e se ci siano linguaggi che si adattano meglio a questo scopo. L’arte, in questo percorso, è stata utilizzata come strumento per coinvolgere e attivare gli abitanti, per renderli parte di processi di costruzione di senso e identità collettiva, per portare relazioni e bellezza in quegli spazi, affinché diventino degni di attenzione e cura e gli abitanti ritrovino l’orgoglio e il piacere di abitarli e viverli. Le quattro esperienze osservate, sviluppate con forme d’arte tra loro molto diverse, hanno dinamiche, evoluzioni e tempi differenti, ma possiamo individuare alcune azioni ricorrenti che possono entrare a far parte della “scatola degli attrezzi” di nuove esperienze:
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Ʌ Condividere: l’attività degli artisti è partita da una richiesta di condivisione indirizzata agli abitanti. L’oggetto della condivisione è cambiato di volta in volta: la propria storia, gli oggetti personali, lo spazio pubblico e privato; Ʌ Connettere: nel corso della Residenza le persone sono passate dall’IO a essere NOI attraverso l’artista che ha funzionato da elemento connettore. Si sono create dunque relazioni e reti effimere ma che rappresentano un possibile inizio; Ʌ Co-creare: le storie, gli oggetti, le idee, i sogni degli abitanti sono diventate parte di un’opera alla cui realizzazione ha partecipato una collettività. Nel corso degli incontri sono emersi diversi input e idee, costituendo nucleo ed ispirazione per attività che le comunità locali potranno realizzare nel prossimo futuro. Il percorso si è articolato in due fasi principali: dapprima è stato realizzato il diagnostico urbano, un’analisi quantitativa e qualitativa volta a conoscere i territori su cui si è scelto di intervenire, utile anche a selezionare gli artisti e le residenze d’artista; nella seconda fase, attraverso bando, sono stati selezionati i quattro artisti per le rispettive residenze di cui si sono concluse, per il momento, le prime due. La prima fase di diagnostico urbano, curata da Kallipolis insieme al Politecnico di Torino e ATC, è stata anche l’occasione di iniziare a raccontare il progetto ai residenti, individuare i più interessati, “preparare il terreno” all’artista. Quest’azione “preliminare” risulta importante in contesti come quelli in cui si è intervenuto, dove spesso i soggetti esterni che entrano in relazione con gli inquilini
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pièce teatrale, un racconto narrato ed una performance che si snoda attraverso i quartiere Don Bosco ed Europa Novacella. Il museo offre inoltre I Bolzanism Lab: laboratori didattici e percorsi interattivi per bambini, ragazzi ed adulti che stimolano la riflessione sui temi dell’urbanistica, dell’architettura e del social housing, coinvolgendo i partecipanti nel processo di riattivazione e di riappropriazione dello spazio pubblico. L’infopoint del museo, infine, diventando parte integrante del processo di inserimento del Bolzanism Museum nel tessuto sociale e urbano del quartiere, è pensato per essere un riferimento iconico e riconoscibile dal quale partono le esplorazioni performative del quartiere ed è stato realizzato attraverso l’organizzazione di un workshop di progettazione e autocostruzione in collaborazione con la locale Facoltà di Design e Arti della Libera Università di Bolzano. Il Bolzanism Museum, primo museo sul social housing in Italia, ha inaugurato ufficialmente l’8 luglio 202010. L’attività si è rivolta non solo ad abitanti e cittadini ma anche a visitatori e turisti interessati a scoprire il lato nascosto della città. I dati raccolti attraverso un’attenta azione di monitoraggio e valutazione (realizzata anche attraverso la somministrazione ai visitatori di questionari di gradimento)11 confermano l’intuizione relativa alle potenzialità intraviste nella “periferia” come nuova destinazione pur sottolineando la presenza dei rischi sottesi a progetti espositivi come questo: musealizzazione, mitizzazione, costruzione di falsi scenari. Consapevoli dell’importanza di evitare l’innesco di tali dinamiche, si è voluto costantemente indagare la percezione degli abitanti verso il Bolzanism Museum. I dati raccolti restituiscono un giudizio molto positivo
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sulle attività, ma siamo consapevoli che lo sviluppo sostenibile del progetto e la chiave in grado di assicurarne il successo, sia rinnovare e parallelamente consolidare le relazioni con chi abita nel quartiere. Consapevolezza, coinvolgimento e comunicazione. La periferia come spazio di libertà Bolzanism è innanzitutto un modo di narrare i luoghi che vengono chiamati “periferia”, di raccontare e comunicare il valore di quei quartieri e quelle architetture agli abitanti e ai visitatori. Arricchire la narrazione di un luogo è un lavoro che si scontra con un uso radicato di determinate parole e concetti, di una retorica scritta da chi la periferia non la abita ma che produce inesorabilmente il frame descrittivo e valoriale in cui le persone “delle periferie” finiscono per riconoscersi. Favorire un processo di ridefinizione e riappropriazione identitaria, storica ed estetica, attraverso la celebrazione dei luoghi, della micro-storia e del vissuto domestico è l’obiettivo trasversale di tutte le azioni realizzate dal progetto Bolzanism: comunicare tutto questo ad un pubblico più eterogeneo possibile ci ha obbligato ad una riflessione sul modo di narrare le cose, sul riuscire a comunicare concetti complessi in modo semplice ma senza impoverire il messaggio. La scelta di un “tono-di-voce” ironico e diretto per le campagne di comunicazione o quella di fotografare le case popolari con il drone suggerendone prospettive nuove e, più in generale, il voler valorizzare l’immagine grafica e la sua riconoscibilità, non è da considerare come sovrastruttura bensì parte integrante della narrazione. Il logo e l’immagine coordinata di Bolzanism parlano di questo:
BOLZANO ~ BOLZANISM
INFO-POINT DEL BOLZANISM MUSEUM, PROGETTATO E REALIZZATO CON GLI STUDENTI DELLA FACOLTÀ DI DESIGN E ARTI DELLA LIBERA UNIVERSITÀ DI BOLZANO COME ATTIVITÀ DI SVILUPPO E PROMOZIONE DEL BOLZANISM MUSEUM, 2020. FOTO: VALENTINA CASALINI.
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Unfolding Pavilion 2018 Le case popolari alla Giudecca come laboratorio di sperimentazione curatoriale PROSPETTO EST DEL COMPLESSO DI CASE POPOLARI ALLA GIUDECCA DI GINO VALLE. © LAURIAN GHINITOIU.
Testi Davide Tommaso Ferrando Sara Favargiotti Daniel Tudor Munteanu Contesto Isola della Giudecca Tipologia intervento Temporaneo Anno di realizzazione 2018 Produzione Daniel Tudor Munteanu, Davide Tommaso Ferrando, Sara Favargiotti, Ana Victoria Munteanu, Eliza Rabiniuc Mocanu, Magda Vieriu, Octavian Hrebenciuc Fotografi Nicolò Galeazzi, Stefano Di Corato (atelier XYZ), Laurian Ghinitoiu (laurianghinitoiu.com) Ricerca Davide Tommaso Ferrando, Sara Favargiotti, Pietro Valle Website https:// unfoldingpavilion2018. tumblr.com/
VENEZIA ~ UNFOLDING PAVILION 2018
Unfolding Pavilion 2018: le case popolari alla Giudecca come laboratorio di sperimentazione curatoriale Jane Rendell ha dedicato una parte importante delle sue ricerche accademiche al fenomeno delle critical spatial practices: termine da lei stessa coniato nel 20031 per raccogliere sotto un unico cappello una serie di esperienze difficilmente categorizzabili secondo la tradizionale distinzione tra arte e
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architettura. Per Rendell, tratto caratterizzante delle critical spatial practices è l’attivazione dello spazio urbano per mezzo di opere capaci di fare emergere le relazioni di potere che lo sottendono. Tali opere non vanno intese come «oggetti posizionati tra le persone», ma piuttosto come «serie di scambi o economie coreografate composte di azioni, cose, persone, eventi e luoghi»2. Inserite nelle pieghe tra arte e architettura, le critical spatial practices svolgono “funzioni” tipiche di entrambe: costruiscono
MAMATETERA RA ↘
LA DEFINIZIONE DI “NON ABITANTI” È IL SOGGETTO DELLA RICERCA ED IL FILO ROSSO CHE COLLEGA LE CITTÀ COINVOLTE. LA STORIA DEI QUARTIERI DI MATERA — SERRA VENERDÌ — E VENEZIA — CAMPO DI MARTE ALLA GIUDECCA — PRESI IN CONSIDERAZIONE DA INDAGINE SUI NON ABITANTI È ACCOMUNATA DA UN RADICALE RINNOVAMENTO URBANO DOVE INTERI GRUPPI DI ABITANTI SONO STATI SPOSTATI EX LEGE DALLA CITTÀ STORICA E RICOLLOCATI NELLA CITTÀ “MODERNA”, ALL’INTERNO DI ALLOGGI RISPONDENTI ALLE NUOVE CONCEZIONI ABITATIVE.
CASE ATER PRESSO CAMPO DI MARTE ALLA GIUDECCA PROGETTO → 1984 REALIZZAZIONE → 1986 (INCOMPIUTO) GRUPPO DI PROGETTO → ÁLVARO JOAQUIM DE MELO SIZA VIEIRA (PROGETTO URBANO); ALDO ROSSI, CARLO AYMONINO, ÁLVARO JOAQUIM DE MELO SIZA VIEIRA, JOSÉ RAFAEL MONEO VALLÉS (SINGOLI EDIFICI) ABITANTI → 800
RIONE SERRA VENERDÌ PROGETTO → 1952 REALIZZAZIONE → 1954 PROGETTISTA → LUIGI PICCINATO ABITANTI → 3.000
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Indagine Sui Non Abitanti Dall’“Architettura della vergogna” al valore delle case popolari italiane
Testi Fabio Ciaravella Mimì Coviello Cristina Amenta Contributi Stefania Spiazzi Andrea Curtoni Mario Nardulli Giardini Venerdì e Scuola del Terzo Luogo Contesto Rione Serra Venerdì, Matera Tipologia intervento Temporaneo e permanente Anno di progetto 2016-2019 Anno di realizzazione 2019
Indagine Sui Non Abitanti (ISNA) è una ricerca avviata a Venezia e conclusa a Matera, finalizzata a formulare un metodo di analisi ed intervento sullo spazio pubblico dei quartieri di case popolari italiani. Il metodo ha l’obiettivo di migliorare la qualità abitativa delle aree comuni e pubbliche dei quartieri ERP al fine di rafforzare il legame tra inquilini e quartieri, dimostrare la valenza urbanistica del contributo che i quartieri di ERP possono offrire su temi chiave delle città italiane (periferie, integrazione sociale, crisi alloggi), valorizzare e promuovere il patrimonio nazionale delle ERP sia sul piano materiale che su quello sociale. ISNA nasce da un’idea del collettivo Architecture of Shame, è stata sviluppata in sinergia con le ATER di Matera e Venezia, Federcasa, Fondazione Matera Basilicata 2019, Archivio di Stato di Matera, con Chalmers University di Gotheborg insieme ad altre istituzione e supportata nelle sue fasi attuative dal Comune di Matera. L’approccio di ISNA va inquadrato nel progetto più ampio delle relazioni tra architettura e vergogna in Europa che Architecture of Shame ha sviluppato tra il 2016 ed il 2019 in occasione di Matera Capitale Europea della Cultura1. La ricerca propone di vedere l’architettura delle case popolari come tema a due
MATERA ~ INDAGINE SUI “NON ABITANTI”
SERRA VENERDÌ, EDIFICI “CINQUE PIANI” APPENA ULTIMATI, FINE ANNI ’50 . FOTO: ARCHIVIO DI STATO, MATERA.
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facce: una prima faccia problematica esito di errori progettuali e amministrativi; una seconda virtuosa che pone l’ERP tra i mattoni fondamentali della storia del welfare europeo del secondo dopoguerra. La seconda prospettiva sulle case popolari viene generalmente offuscata dal clamore della prima, più forte per il vigore della cronaca sull’opinione pubblica e focalizzata su un periodo specifico dell’esperienza delle case popolari2. Tale proporzione induce a vedere le case popolari come “un’architettura della vergogna” costruendo una narrazione miope sul piano materiale e su quello dei contenuti che non tiene conto dell’esperienza abitativa stratificata nelle città d’Europa come in Italia. Facendo riferimento a quanto accaduto a Matera dal 1950 al 1993, quando la città passò da essere “la vergogna d’Italia” a patrimonio dell’Umanità, i documenti, le azioni e gli incontri condotti da Architecture of Shame e dai partners nel periodo dal 2016 al 2020, hanno invitato a pensare alle case popolari in modo critico e fuori dalle polemiche mediatiche per distinguere gli aspetti che fanno di questa tipologia una risorsa per l’Europa, da quelli che la pongono come vergogna per la società civile3. ISNA ha proposto di rafforzare il riconoscimento dei quartieri di case popolari sul piano pubblico, locale, nazionale ed in dialogo con realtà europee, affrontando temi controversi, indagando sugli errori e al tempo stesso, provando a mostrare alcune delle qualità peculiari di questi luoghi, in particolar modo sullo spazio pubblico. Il metodo di ISNA è costruito utilizzando un approccio psicoanalitico che vede la ricerca di una propria definizione identitaria a partire dal riconoscimento di un problema, di uno stato di disagio, di frustrazione o di un fallimento4 e dal suo
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esame, considerando tutto questo un’occasione evolutiva, una risorsa. Seguendo questo percorso, la percezione negativa sulle case popolari viene affrontata costruendo strumenti per una valutazione condivisa di problemi reali e dei pregiudizi. Tale valutazione individua difetti e pregi di un quartiere, li rapporta ad un sistema di valori condivisi, e indica strade da seguire per migliorare condizioni irrisolte e rafforzare la qualità abitativa attraverso lo spazio pubblico. ISNA segue un percorso interdisciplinare che unisce ricerca archivistica, processi partecipativi sviluppati attraverso linguaggi vicini all’arte contemporanea, interventi d’arte e architettura nello spazio pubblico. Negli anni di lavoro sono state coinvolte figure professionali diverse dagli antropologi agli attivisti, dai dirigenti ATER ai rappresentanti delle istituzioni, dagli inquilini agli studiosi passando per architetti, artisti e rappresentanti della società civile, con l’obiettivo di costruire un discorso sulle case popolari che affronti i problemi trasformando l’idea di “architetture della vergogna” da gabbia riduttiva a strumento per la costruzione di un dialogo.
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SERRA VENERDÌ, AREA OGGETTO DEL CONCORSO INDAGINE SUI NON ABITANTI, 2018. FOTO: ARCHIVIO AOS.
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Stefania Spiazzi ATER VENEZIA Dalla ricerca alla costruzione urbana
I quartieri di edilizia pubblica costituiscono una risorsa infrastrutturale di grande rilievo sia per la loro posizione geografica che per la loro dimensione che consente interventi organici e complessi di rigenerazione del tessuto preesistente. Su questi quartieri si può far leva per attuare politiche di tipo ambientale, per il rilancio dello sviluppo socio-economico del territorio e per promuovere politiche attive finalizzate a ridurre la crescente povertà e la diseguaglianza sociale. Come molte delle aziende Casa nazionali, anche l’ATER di Venezia in qualità di Ente che opera per il conseguimento dei fini di interesse pubblico nel campo dell’edilizia residenziale, è attivo non solo nella progettazione e realizzazione di case, ma anche nella gestione successiva degli stessi. La sua azione coniuga l’aspetto tecnico a quello sociale perché vasta e particolarmente approfondita è la conoscenza che i servizi aziendali hanno del territorio, del succedersi delle esigenze che i cittadini esprimono e di come, negli anni, sia mutata la domanda di abitazioni e di coloro che la formulano. Per questo gli interventi che avvia sul patrimonio pubblico nell’ambito della rigenerazione urbana mirano ad anticipare temi e soluzioni in materia di innovazione tecnica e di sostenibilità che la frammentazione del patrimonio privato non può affrontare in modo organico e completo. Ricerca, ascolto, azione – Da Campo di Marte a Indagine Sui Non Abitanti L’esperienza di Indagine Sui Non Abitanti trae origine dalla iniziale ricerca che l’Associazione Architecture of Shame ha svolto all’interno degli archivi di ATER Venezia sul “vergognoso” stato di degrado socio-abitativo, conseguente la modifica del quartiere di Campo di Marte nell’isola della Giudecca e sulle ricadute che la sua
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all’uso partecipato e alla trasformazione condivisa dello spazio pubblico: così si è nutrito ed è cresciuto nell’arco di diversi mesi, il progetto Giardini Venerdì. Il luogo è diventato il centro di una rete di relazioni basate sulla fiducia, sul desiderio di lavorare insieme con gioia, sulla periodicità degli Arboratori. Il comitato di quartiere, grazie a Pippo Viti, ha seguito tutte le fasi del progetto ed è stato di fondamentale aiuto al buon risultato; Pino il barbiere, è diventato per noi un punto di riferimento e generosamente ha messo a disposizione, con Pina, la parete del suo laboratorio come base per il murale che Mario Nardulli e Biagio Lieti hanno realizzato per l’inaugurazione dei Giardini a fine Luglio 2019. Francesco, un abitante del quartiere, ha commentato il lavoro svolto: “Per me la cosa più importante è che grazie a questo lavoro si parla di Serra Venerdì in maniera diversa”. Pinuccio ci ha fatto compagnia quando a pranzo tornava verso casa; Marilena, durante una passeggiata con il suo cagnolino, ci ha affidato la chiave del rubinetto del suo giardino, per poter annaffiare le piante che abbiamo messo a dimora;
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Saverio per tutta la torrida estate materana ha curato una parte dei Giardini; Pantaleone, della Masseria, e Agoragri che ci hanno supportato fornendoci le attrezzature tecniche e dandoci preziosi consigli. Questa lista sicuramente non è completa ma vuole solo rendere grazie a tutte le persone che hanno sostenuto il progetto, con la loro presenza e sostegno, e grazie alle quali il lavoro stesso ha acquistato senso e profondità. Ci siamo di certo scontrati con alcune criticità: intervenire nell’ambito di un grande evento ci ha portati a confrontarci con dei tempi e ritmi molto rapidi, difficilmente compatibili con la lentezza naturale del giardino, nonostante questo vincolo ci abbia spinto a trovare soluzioni innovative e creative; la mancanza di acqua nell’area ha complicato le operazioni di manutenzione e cura del giardino nei periodi in cui noi non potevamo essere presenti,
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Riflessioni — Il resoconto di un’esperienza tra successi e fallimenti Quando l’idea di Indagine Sui Non Abitanti (ISNA) si palesava come un progetto ed un possibile strumento per la costruzione di una coscienza collettiva sul futuro di quartieri popolari in Italia, a partire da Campo di Marte a Venezia, non avevamo idea che saremmo potuti arrivare così lontano al punto da concretizzare un’idea di metodo sperimentato sia sul piano teorico che su quello progettuale. ISNA ci ha consentito di testare il metodo di lavoro teorizzato nella ricerca di Architettura della Vergogna (ricerche, dialoghi, azioni), generando output importanti sia nel contesto veneziano che in quello materano. Costruendo relazioni sul territorio nazionale ed europeo, abbiamo avviato un progetto fatto di studio e confronto con gli Istituti di Edilizia popolare (ATER Venezia, ATER Matera, Federcasa), con le Università italiane e straniere (Università di Torino, University of Gotheborg), con Istituzioni importanti sul territorio (Comune di Matera, Fondazione Matera-Basilicata 2019, Archivio di Stato di Matera, Archivio Luigi Piccinato di Roma) con l’obiettivo di concretizzare il metodo in un’azione che approdasse a Matera nell’anno della Capitale Europea della Cultura 2019. Così è stato: il prototipo spaziale di Giardini Venerdì e la sintesi del lavoro sulle case popolari nella mostra “Architettura della Vergogna” che ha avuto luogo nel prezioso interrato dell’Archivio di Stato di Matera, hanno chiuso in parte un processo, complesso e virtuoso allo stesso tempo: dalla costruzione di partenariati alla volontà di gestire un processo culturale mettendo in relazione i ricercatori, i professionisti, e le istituzioni pubbliche,
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con l’idea di ripensare tutti insieme il futuro delle case popolari, attraverso azioni concrete e collettive. Nel delineare il metodo, di fondamentale importanza è stato lo strumento dei dialoghi. A partire dal 2017 nel Padiglione della Grecia in Biennale a Venezia ci siamo confrontati per la prima volta sulla relazione tra architettura e vergogna. Da quel momento, il confronto è stato fondamentale e nel corso di questi anni ha prodotto risultati concreti e documenti che sintetizzano il lavoro e propongono un nuovo approccio alla questione delle case popolari. Un primo risultato concreto e costruttivo, sono state le Lettere al Parlamento, scritte durante le giornate di lavoro sulle Case Popolari nel Novembre 2018 durante le quali i tavoli partecipati da istituzioni, gli esperti a diversi livelli e i cittadini, hanno aperto un dibattito e hanno cercato di rispondere alle questioni di metodo21, ad una prospettiva di futuro per le case popolari22 e all’importanza dei loro archivi di natura materiale e immateriale23. Poi la realizzazione di Giardini Venerdì, il prototipo vincitore del Concorso Internazionale Indagine Sui Non Abitanti. Partendo dal progetto vincitore, insieme al collettivo Soqquadro e a Scuola del Terzo Luogo, abbiamo calibrato gli interventi ed il progetto stesso, supportando nella realizzazione di un intervento nello spazio pubblico partecipato dalla comunità e che restituiva nei suoi spazi alcuni luoghi simbolo del quartiere, nei quali gli stessi abitanti si riconoscono come lo spazio sacro del falò di S. Giuseppe che ogni anno deve avere luogo a Serra Venerdì. Parallelamente al progetto spaziale, continuando a lavorare con la comunità, il collettivo ha coinvolto lo street artist Mario Nardulli per realizzare il murales “Black Elk”, che fa da cornice ai giardini e al falò.
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← TAGLIO DEL NASTRO ALL’INAUGURAZIONE DI GIARDINI VENERDÌ, LUGLIO 2019. DA DESTRA: IL DIRETTORE DELL’ATER F. GRAVINA; UN ABITANTE DEL QUARTIERE; IL PRESIDENTE DELL’ATER VITO LUPO; MIMÌ COVIELLO DI AOS. FOTO: ACTION COLLECTIVE.
↑↗→ CERIMONIA DELL’ALBERO DELLE CLASSI DELLA SCUOLA F.S. NITTI INTORNO ALL’AREA DEL “FALÒ DI S. GIUSEPPE”, PRIMA DI PROCEDERE CON LA PIANTUMAZIONE DI NUOVI ALBERI DURANTE LA FESTA DELL’ALBERO, NOVEMBRE 2019. FOTO: GIOVANNI MARINO.