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indice 7 berlino e le sue analogie Valerio Paolo Mosco

11 osservazioni preliminari 19 bilderatlas Dieci idee estetiche per la forma di architettura

45 berlin transfert 169 appendice Note sul Purgatorio e sul potere delle immagini

175 glossario* 185 nota bibliografica

* per parole sottolineate e seguite da asterisco si vedi il glossario



berlino e le sue analogie Valerio Paolo Mosco

«L’idea è più della cosa, e l’idea dell’idea è più dell’idea» Michel Tournier, Le Meteore

Le immagini raccontano. Tra di loro intessono narrazione incrociate, fatte di rimandi e accelerazioni che si pongono al di là della nostra volontà, fluttuando in un’atmosfera instabile che altro non è che la proiezione del nostro inconscio. Forse era proprio questo il senso di ciò che Baudelaire intendeva quando affermava di voler “glorificare il culto delle immagini”: non aver paura di quest’atmosfera instabile, tuffarcisi dentro e godere delle infinite corrispondenze che le immagini generano; corrispondenze talmente sostanziali da risultare persino autonome rispetto agli oggetti che le avevano generate. Lo andava dimostrando proprio Baudelaire nei suoi resoconti dai Salon in cui veniva esposta l’arte del suo tempo. Ad ogni autore Baudelaire dedicava un breve e denso scritto tutto giocato su corrispondenze ed analogie di ogni sorta. Oggi nessuno più ricorda la gran parte dei pittori citati, mentre sono proprio queste corrispondenze a rendere ancora attuali quegli scritti tanto da poterli considerarli antesignani della letteratura artistica moderna.

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dieci idee estetiche per la forma di architettura

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Nota bene L’atlante che segue si compone di dieci pannelli su cui sono state apposte riproduzioni eterogenee (disegni, schizzi, fotografie, collage, opere d’arte, fotogrammi di film, eccetera) di provenienza diversa: libri, autori del libro, autori discussi nel libro e soprattutto la rete digitale, nel cui mare magnum possono essere ‘pescate,’ da qualsivoglia dilettante come l’autore del libro. Ogni immagine è identificata, nell’ordine, dalle seguenti voci: |titolo| anno | autore soggetto |provenienza| autore riproduz. | descrizione La lettera Il segno

A –

significa Autore anonimo. significa voce assente, o non nota.

La prima immagine di ogni pannello identifica il tema del pannello stesso, con cui le immagini interagiscono sia per via positiva, che per via negativa, come se evidenziassero il tema del pannello stesso (e dell’idea estetica in esso identificata per frammenti) con il suo contrario, o secondo una tonalità inappropriata, come discusso nel testo principale, in cui si trovano rimandi puntuali ai pannelli stessi quando l'idea estetica è identificata per la prima volta.


atlante dieci idee estetiche per la forma di architettura

1. la forma come rovina p. 48 2. la forma come sorpresa (fronte/retro) p. 57 3. la forma come witz ineffabile p. 64 4. la forma come inversione di energia p. 90 5. la forma come collage di frammenti temporalizzati p. 98 6. la forma come stimmung/ sentimento del tempo p. 119 7. la forma come fantasma p. 126 8. la forma come traccia mnestica p. 133 9. la forma come percezione ed esperienza p. 142 10. il je-ne sais-quoi della forma p. 67


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1. La forma come rovina 1. La Torre di Babele | 1563 | PieterBruegel, il Vecchio | Kunsthistorisches Museum, Vienna | olio 1b. Rovina berlinese |1945 | A | foto aerea 2a. The monument | 1989 | Sybille Bergemann | foto 2b. Berlin | 1989 | Sybille Bergemann | foto 3. Lobe Block | 2018 | brandlhuber+ | conrad-bercah

4a. Colonna della vittoria | 1945 | A | foto 4b. Nikolaikirche, sostituzione guglie per il 750º anniversario | 1987 | A | A 5a. Bauhaus Archive Museum | 2018 | BFM | render 5b. An imagined view of the Bank of England in ruins | 1830 | Joseph Michael Gandy | Sir John Soane’s Museum, London | olio 6. Das Treffen | 2013 | Neo Rauch | Sammlung Hildebrand, Leipzig 7. Böschung | 2002 | Tim Eitel | olio

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1d 3a. Axel Springer Campus | 2013 | Kuehn Malvezzi | disegno 3b. House of One | 2012 | competition entry) Kuehn Malvezzi | rendering 3c. Axel Springer Campus | 2013 | Kuehn Malvezzi | disegno 5a. Berlin morgen | 1990 | O.M. Ungers | da: Das Neue berlin, 1980 5b. IBA 1980 | 1980 | OMA | disegno

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4. La forma come inversione di energia 1a. Palazzo di Carlo V | 1526 | A | vista aerea 1b. Alhambra di Granada | 1232 | - | disegno 1c. Moschea di Cordoba | - | A | vista aerea 1d. Moschea di Cordoba | c.a 600 | A | disegno 2. L’impero delle luci | 1954 | Renè Magritte | MoMA | olio

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8. La forma come traccia mnestica 1a. Bauhaus Archive Museum | 2018 | BFM | render 1b. Bauhaus Archive Museum | 2018 | BFM | render 2. Gropiushaus | 2015 | BFM | foto 3a. Berlino: muro e bunker | 1989 | A | foto

3b. La torcia Olimpica | 1936 | A | foto 3c. Berlin bunker | 2013 | conrad-bercah | foto 3d. Berlin bunker | 1990 | A | foto 3e. No Wall | 1989 | A | foto 4. Rovina romantica | - | A | disegno

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«Il tempo, come l’uccello Occasione, ci sfugge e spicca il volo. Questo intangibile, questo fuggitivo che ci attrae e insieme ci sfugge, possiamo tuttavia sfiorarlo. Se ci aspettassimo di trovare qualche cosa, saremmo delusi: il tempo non è niente. Ma poiché è anche diverso da niente, se ne deve concludere che è quasi niente. Il tempo è un non-so-che» Vladimir Jankélévitch, Le Je-ne-sais-quoi et le Presque-rien (Parigi, PUF, 1957)

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I lavori di brandlhuber (b+) sono realizzati il più delle volte in cemento armato trattato in maniera diversa, dal grezzo al liscio.2 Un cemento armato che assume un evidente valore simbolico. Il cemento infatti esprime un senso di nudità esistenziale e al tempo stesso è come se introiettasse in sé, nelle sue trame e nella sua grana, lo scorrere del tempo, presagendo quando l’edificio diventerà rovina. Tutto ciò è riassumibile da una famosa frase di Perret, secondo cui solo i grandi edifici producono maestose rovine (vedi atlante, pannello 1). Oltre Perret esiste anche una teoria delle rovine più scomoda, quella di Albert Speer, che in occasione delle Olimpiadi berlinesi aveva dato delle direttive estetiche per le nuove realizzazioni. La Ruinenwerttheorie di Speer ipotizzava che l’architettura dello Stato avrebbe dovuto esprimere il suo messaggio anche dopo l’eclissi o la scomparsa del suo committente.3 La teoria chiedeva pertanto agli architetti un compito pressoché impossibile: progettare edifici che, una volta crollati, potessero diventare rovine piacevoli e paradossalmente umili, come quelle del Foro romano, che da sempre affascinano i viaggiatori tedeschi, Goethe in primis. Alcuni hanno voluto vedere questa teoria come un’estensione di quella di Gottfried Semper sull’uso di materiali naturali e dunque la sua propensione per l’eliminazione delle travi di ferro, ma la teoria si distingue oggi per due aspetti. Innanzitutto per la riproposizione di quell’interesse estetico per le magnificenze in rovina, che dal Rinascimento al Romanticismo ha tenuto insieme la cultura occidentale. In secondo luogo per essere l’unica teoria conosciuta che si sia preoccupata della vita della forma architettonica dopo la sua stessa morte, l’unica che si sia cioè preoccupata del suo nachleben*. Considerato ciò si può affermare che l’identificazione operata da Brandlhuber tra cemento armato e rovina cercasse il punto di equilibrio tra queste teorie, rinnovandole nella contemporaneità. Non solo: la nudità del cemento armato a faccia vista è come se stimolasse in noi la percezione e la comprensione dei valori concettuali dell’opera, un aspetto questo molto caro a Brandlhuber. Nudità, concetto e rovina definiscono quindi i vertici di un ipotetico triangolo in cui è possibile collocare il suo lavoro.4 Un triangolo che è come se venisse visto dall’esterno da un sofisticato sguardo ironico, da sempre il marchio di fabbrica di questo architetto berlinese.

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2. Brunnenstrasse, vista assonometrica, lato strada


7. Lobe Block, Hand buch


e una vita futura auspicabile. In altre parole sembrerebbe che ciò che interessa a Brandlhuber non sia il dar forma alla contemporaneità intesa come immediato presente, ma quella che potremmo definire un’etnografia della forma architettonica, capace di tessere insieme l’attualità e la tradizione del moderno, la sua storia che il tempo ha ormai stabilizzato in icone condivise che, se interpretate in maniera adeguata, dimostrano una inaspettata vitalità. Ecco allora che appare il valore del lavoro di Brandlhuber: la scoperta di un nuovo spogliato del feticismo della novità. Per questa ragione egli può essere considerato uno dei pochi architetti antagonisti, che hanno forza e risorse per opporsi al mondo così come è, prospettandone un’alternativa sia operativa che di linguaggio. L’antivilla (2010-2015) di Potsdam-Krampnitz è un’altra opera che è necessario considerare. Anche in questo caso Brandlhuber è cliente di sé stesso, per mettere in pista quella che potremmo definire una sofisticata provocazione. Prima di conoscere una nuova celebrata vita mediatica, l’anti-villa conduceva un’anonima sopravvivenza come edifico semi-abbandonato dell’epoca della DDR, un qualcosa di assimilabile a un ‘rifiuto della storia’. Ma per Brandlhuber la storia non conosce rifiuti: tutto fa parte della tradizione che ereditiamo e l’abilità degli artisti è quella di prendere i suoi prodotti (qualunque essi siano) per donargli nuova vita. D’altronde cosa avevano fatto gli artisti con le rovine? Ne avevano esaltato lo scarto della storia per farne nuovo materiale estetico.

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Seguendo questo ragionamento fino alle sue estreme conseguenze, Brandlhuber ha acquistato per sé il residuo della DDR – una piccola fabbrica che produceva capi di intimo femminile – e ha stabilito con esso un rapporto empatico, fiutandone le potenzialità, potenzialità che si sarebbero tradotte in forma operando delle effrazioni sul suo corpo, rispettando quasi del tutto il manufatto as found. Un esempio di interpretazione creativa del as found. Brandlhuber ha capito che non era necessario inventarsi nuove bucature. Non ha fatto altro che brandire personalmente un martello pneumatico e così, a casaccio e quasi senza un progetto, ha allargato le bucature esistenti rendendole dei grezzi squarci sul muro. Da questi squarci sarebbe apparso il lago antistante. Oltre alla gestualità brada, le bucature hanno anche un’anima colta. Guardando l’antivilla, vengono in mente sia gli squarci su tela di Lucio Fontana che quelli sugli edifici parigini di Gordon

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21. Sezione, House of One, 2021 22. Pianta piano principale, House of One, 2021


23. Rendering, House of One, 2021


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a 27. a. Ingresso, Palazzo Reale, Anni trenta, Berlino b. Palazzo Madama: fronte principale, Roma c. Palazzo Reale: fronte principale, Anni trenta, Berlino d. Arco di Constantino, Roma


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27. e. Pantheon, Roma f. Cattedrale Cattolica, Berlino g. Teatro dell’Opera, Berlino h. Villa La rotonda, Vicenza


41. Bauhaus-Archiv, 2015, Schemi assonometrici


un pavimento in calcestruzzo lucidato ed è rivestita in pannelli di legno oleato a caldo. Il volume del museo è abbastanza generico: contiene una pianta libera tale da permettere la massima flessibilità espositiva.

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Come suggeriscono gli stessi progettisti si può leggere la rampapromenade come un commento all’edificio vero e proprio, che appare quasi soggiogato da questo dispositivo architettonico sovradimensionato. BFM estendono la giacitura della rampa fino a farla diventare l’elemento di collegamento tra gli Archivi e il nuovo intervento, inoltre la fanno diventare l’accesso principale del nuovo volume. Ad essa inoltre il compito di affermarsi come l’elemento connotativo del progetto nel suo insieme. BFM descrivono il passeggiare lungo la nuova rampa come un camminare ‘amorevolmente inappropriato’ che contrasta con la presunta funzionalità dell’edificio. La coraggiosa promenade architecturale induce in chi la percorre una lentezza dolce che sembra venire utilizzata per infrangere la logica rigorosa e introversa del museo, così da creare interruzioni nell’esperienza percettiva delle esposizioni. Museo stesso, esposizioni e paesaggio circostante sono tenuti insieme dalla rampa nel suo svolgersi. Con mezzi del tutto diversi da quelli che aveva messo in campo Palladio, BFM propongono la loro interpretazione del rapporto tra edificio e paesaggio. Il nuovo edificio si presenta come una ‘collezione di vetrine urbane sovra-dimensionate ‘servite da un percorso principale dotato di sale di studio e lettura per l’auto-apprendimento informatico. Sia le stanze, simili a dei soggiorni collettivi, che la rampa vetrata possono essere utilizzate come spazi espositivi. Il progetto nel complesso determina una sorta di natura morta architettonica in cui i protagonisti sono l’edificio degli archivi di Gropius, il nuovo museo, il giardino e la città. È proprio la chiarezza con cui i singoli oggetti sono disposti a determinare una vera e propria messa in scena del tempo e dei suoi diversi strati che lo compongono, percepibile da una forma considerata come esperienza estetica (vedi atlante, pannello 9). Pathosformeln* è per Warburg una traslazione visiva, un tropo carico di emozioni. Nonostante il nome sembri suggerirlo, il pathosformeln non fornisce formule prestabilite per identificare i legami tra le immagini. Al contrario, fa appello all’immaginazione collettiva e individuale per trovare tali collegamenti. Il pathosformeln è dunque un agente che contrae in sé l’energia della memoria, per poi liberarla.

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