Dentro e fuori un’esperienza didattica

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Prefazione

Göteborg

Iscag

Tor Vergata

Staveco


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Ostia antica

Alife

Postfazione

San Vincenzo

Altre musealizzazioni


� È solo l'amore, l'eros, col quale un insegnante investe il sapere a rendere quel sapere degno di interesse per i suoi allievi, a renderlo oggetto capace di causare il desiderio […]. La trasmissione del sapere avviene solo per contagio, per testimonianza1 »


Un’autobiografia didattica senso e paradossi nell’insegnamento e nella prassi del progetto di architettura

Antonello Stella È strano come io (non) somigli a me stesso. Aldo Rossi, nella sua Autobiografia punto di partenza e costante riferimento di questo mio scritto, ovviamente molto distante dall’inarrivabile poetica contenuta nella sua Autobiografia scientifica, inizia il suo formidabile percorso narrativo affermando �a trent’anni si deve compiere o iniziare qualcosa di definitivo e fare i conti con la propria formazione. Ogni mio disegno o scritto mi sembrava definitivo in un doppio senso, nel senso che concludeva la mia esperienza e nel senso che poi non avrei avuto più nulla da dire2». Proprio mentre mi accingo a chiudere queste note, a testo ormai ultimato, ne ho appena compiuti esattamente il doppio, mentre a trentacinque anni Rossi aveva già scritto un altro memorabile testo sull’architettura e la città3. Avevo però esattamente trent’anni quando feci la prima delle tante e sempre 9


� Dovendo collocare delle opere d'arte, avere un sentimento critico da parte dell'allestitore può essere molto importante perché può essere un modo di interpretare e di rendere la collocazione molto più brillante a tutto vantaggio dell'opera, non della collocazione in se […] non è necessario che l’opera sia eminente […] anche perché non ci sono sempre opere di grande qualità 1 »


Un viatico per la disciplina

Gabriele Toneguzzi Nel documentario a egli dedicato, Carlo Scarpa ci offre un esempio di avvertimento critico nei confronti dell'artefatto: la posizione della Santa Cecilia nella galleria delle sculture al Museo di Castelvecchio è rovesciata per farne cogliere le peculiarità2. Lo scopo era ed è quello di indurre in modo naturale il visitatore a riservarle attenzioni speciali sfruttando strategie teatrali, agendo su aspetti psicologico-comportamentali instaurando, come evidenzia Manfredo Tafuri, un �rapporto divertito e pensoso ad un tempo con l'antico3». Pur in altri suoi lavori, Scarpa non punta a proporre esclusivamente livelli di lettura manifesti ma, tramite indizi seminascosti, allude a quelli meno palesi o dicibili creando divertissement asincroni, inserendo brandelli dialogici intimi comprensibili solo ai visitatori più accorti: �tali opere si rivolgono agli “intendenti”4». 31

1 C. Scarpa, in M. Cascavilla, G. Favero (a cura di), Un'ora con Carlo Scarpa, Rai, 11 novembre 1972. 2 P. Monti, Galleria delle sculture di Castelvecchio, 1964 ca., Fondo Monti, Beic, Milano, (cfr. foto [1] pagina successiva) 3 M. Tafuri, Architettura italiana 1944-1981, Einaudi, Torino 1982, p. 128 4 Ibidem, p. 129


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Casi studio

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Museo di Astronomia e Centro di Ricerca per Infn Tor Vergata, Roma, Italia

L’anno 6009 sarà la prima volta, dopo il 1961, nella quale sarà possibile ruotare il suo numero e ottenere comunque 6009, ma probabilmente tu ed io non vivremo abbastanza a lungo da poter assistere all’evento. La vita degli esseri umani non è abbastanza lunga; we will miss out on that. Quali altre cose stravaganti del futuro ci perderemo? Interrogativi come questo sollevano dubbi riguardanti il nostro ego come specie ma allo stesso tempo rischiano di alimentare la F.O.M.O. (Fear of missing out); l’Universo è smisurato, la nostra vita è breve, ma non dobbiamo necessariamente perderci tutto ciò che accadrà e la scienza gioca un ruolo fondamentale in tutto questo. Come sarà il futuro? Come incontrerà la sua fine l’Universo? Non ne saremo mai del tutto certi e mentre l’infinità di ciò che ci circonda oggi determina l’indeterminabilità del domani, una cosa resta chiara: l’Universo è appena iniziato. A seguito del palese fallimento dei propositi che portarono tra il 2004 e il 2012 alla costruzione della struttura nota come “la Vela” di Calatrava, la Città Metropolitana di Roma assieme alle giunte comunali e al Rettorato dell’Università di Tor Vergata, hanno espresso il loro interesse verso la possibilità di convertire il manufatto fino ad ora creato in spazi accademici, andando ad arricchire il variegato polo universitario. La proposta del progetto qui esposto strizza l’occhio a tali necessità in quanto la funzione primaria di Museo divulgativo scientifico (astronomia e fisica) funge da testa di ponte con il mondo accademico e di ricerca, creando di fatto un organismo nel cuore della città, la cui linfa

sono le menti che vivranno liberamente spazi ora di studio, ora di testimonianza. Tali scelte rappresentano un investimento nel futuro del Paese e dimostrano senza dubbi l’importanza che si decide finalmente di dare alla cultura e all’innovazione. Il risarcimento e la redenzione di questo territorio, tristemente noto per uno degli sprechi di denaro pubblico più grandi mai registrati, non può e non sarà mai possibile senza una reale messa in discussione della nostra attuale scala di valori. Se da una parte è innegabile quanto irrisorie siano le risorse messe ogni anno a disposizione di campi come la Ricerca, dall’altra si apprezza come giovani grandi menti formatesi nei nostri atenei, continuino a svolgere il loro prezioso lavoro in strutture troppo spesso inadeguate; per tanto è stato oggetto di analisi l’adattamento della porzione dell’ex Palasport per ospitare una nuova sede dei laboratori di ricerca dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) e in particolare della sua affiliata nel territorio LNF (Laboratori Nazionali di Frascati). Giuseppe Consoli

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Unaffordable Italy scenario di ri-scrittura compositiva nella campagna a Roma Tor Vergata

�La Bigness può trasformare l’architettura in nuove forme di città […], dove non esiste nessun qualcosa collettivo, tutto diventa un meccanismo organizzativo […]. La Bigness entra in competizione con la città, se ne appropria, anzi diventa la città […]. La Bigness è l’ultimo baluardo dell’architettura, una iper-architettura […]. La Bigness lascia il campo al dopo-architettura1» Lo studio tipo-morfologico della città, come insieme dei suoi episodi e agglomerati urbani, è stato il punto di partenza all’approccio progettuale. Dal centro alla campagna emerge una discontinuità paesaggistica di cui lo Stadio Olimpico di Santiago Calatrava ne rappresenta il momento più simbolico, l’ultimo rudere contemporaneo di Roma. �Nella città non esistono zone amorfe, o là dove esistono, esse sono momento di un processo di trasformazione2», così Aldo Rossi descrive il complesso rapporto tra elementi primari di una città e il loro intorno, fino ad assumerne, a volte, il significato dell’area in cui sono collocati. Localizzato a Sud-Est della capitale, appena fuori dal Grande Raccordo Anulare, lo stadio si erge in contrasto dialettico nel mezzo della campagna romana, surreale e indisturbato. Si tratta di un’opera incompiuta, mai stata, bloccata nella sua condizione di manufatto non finito. Sono opere che per la loro scala difficilmente trovano una rifunzionalizzazione, �rappresentano per lungo tempo delle isole rispetto allo sviluppo generale; […] testimoniano i tempi diversi della città e nel contempo si configurano come grandi aree di riserva3». La sua irrisoluzione, nel progetto, diventa occasione di riscatto e ripensamento su scala

urbana. G.C. Argan scrive �le maree delle epoche sono passate e si sono ritirate lasciando sulla rena i relitti […], hanno attorno uno spazio prossimo e sconfinato, il mare e la spiaggia […]. Nuotando sotto il pelo dell’acqua si vedono i monumenti come scogli, i ruderi come arbusti di corallo. È la città che il Bernini e il Borromini avevano immaginato per uno spazio non terreno…4». Il riuso del manufatto architettonico si configura come distretto delle scienze dove la campagna diventa domestica, partecipata. Si innescano dinamiche di riattivazione dello spazio in cui gli sforzi della comunità scientifica si accentrano a costituire un grande laboratorio en plein air del fare scientifico. Dal paesaggio rurale, l’utente viene informato che qualcosa è in atto: uno spazio in divenire, evoluto, contaminato e ancora trascritto, dicotomico, sovrapposto e intercettato. Il museo è abbinato a spazi di ricerca, a un sistema integrato AI (Artificial Intelligence) di allestimento continuo e no standard exhibits, mettendo in crisi il rapporto visitatore/contenuto esposto. Lo studioso danese Jørgen Riber Christensen, scrive a proposito quanto il �meaning si è avvicinato al mondo contemporaneo del visitatore5» e nel progetto, di fatto, la gestione dei contenuti va in mano all’utente che "informa" lo spazio e prende parte attiva alle mostre – produzioni – incontri. Un museo open source, non un contenitore fisico e basta, bensì aspirazione alla libertà su tutti i campi della conoscenza. Carmelo Gagliano

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1 R. Koolhaas, S, M, L, XL, The Monacelli Press, New York, 1995 2 A. Rossi, L’architettura della città, Quodlibet Abitare 4, Macerata, 2011 3 Ibidem 4 G.C. Argan, Introduzione al catalogo Roma interrotta, Officina Edizioni, Roma, 1978 5 J.R. Christensen, Four steps in the history of museum technologies and visitors’ digital participation, Journal of media and communication research, Danimarca, 2011


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Kajskjul 113 una Casa dell’Arte per la rigenerazione del porto di Göteborg

Il progetto concerne il recupero di uno storico magazzino portuale noto come Kajskjul 113 e localizzato all’interno del dismesso Frihamnen, il porto franco di Göteborg. La città risulta divisa dal fiume Göta in due sezioni: il centro storico sulla riva orientale, e la prominente area industriale sulla riva opposta, ove si localizza l’area d’intervento. Incluso nel Piano Älvstaden – il più vasto progetto di sviluppo urbanistico in Scandinavia – Frihamnen ambisce a costituirne il fulcro, convertendosi in un punto di connessione tra le due rive. Il recupero del Kajskjul 113 si pone come intervento preliminare al futuro sviluppo dell’area. Il magazzino è costituito da un corpo regolare e lungo con forti connotazioni di carattere modernista. Inizialmente si è deciso di preservarne i principali elementi architettonici, quali le ampie balconate, le finestre, le facciate in mattoni olandesi ed i montacarichi. Successivamente, l’obiettivo postosi riguardava la conversione del magazzino in un centro culturale partecipativo, creando un luogo d’incontro senza confini tra produzione artistica, scambio di idee ed eventi innovativi, al fine di migliorare l’accessibilità e la partecipazione alle attività culturali. Il progetto si focalizza sull’adattabilità dell’edificio, garantendo un’esperienza dinamica e in continua evoluzione, rispondendo in ultima analisi alle mutevoli esigenze d’uso. La strategia compositiva si basa su una “indeterminatezza pianificata”, ispirata dalle iniziative museali di Alexander Dorner1 , dalle proposte radicali di Cedric Price2, e dalle composizioni “non gerarchiche” di Aldo Van Eyck.

L’interno del Kajskjul 113 è configurato da elementi mobili e flessibili, generatori di �spazi interattivi volti a garantire un’esperienza diretta di movimento continuo»3 . Il volume esistente alloggia la “fabbrica d’arte”, con le relative attività di produzione artistica, mentre il volume aggiuntivo ospita gli spazi espositivi. Quest’ultimo costituisce una continuazione in altezza del fabbricato, che si traduce in termini formali in un semplice volume regolare traslucido, rivestito in alabastro. L’attenzione, più che alla forma, è stata volta alla continuità strutturale, rimarcata dalla sequenza ritmica degli elementi in facciata, all’illuminazione degli spazi interni, all’uso dei materiali in una forma innovativa e sostenibile. Con la proposta progettuale si è cercato di comprendere la relazione fra il centro di Göteborg e il Frihamnen, che oggi appare come frammento disconnesso del tessuto urbano nonostante il suo potenziale e le sue peculiari caratteristiche. Il riutilizzo del Kajskjul 113, nel rispetto delle sue caratteristiche storiche, ambisce a distinguersi come un faro per l’area, un luogo di aggregazione, condivisione ed interazione accessibile a tutti. I progetti culturali guideranno la rigenerazione della città4. Nicholas Dellai, Marco Pallaoro

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1 A. Dorner, Il superamento dell’arte, Adelphi Edizioni, 1964 2 C. Price, Re:CP, LetteraVentidue Edizioni, 2011 3 S. Holl, Parallax, Postmedia Books, 2004 4 Raumlaborberlin, Art City Lab, Jovis Publishers, 2014


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I musei e la formazione degli architetti il ruolo della museologia

Anna Maria Visser Travagli Quale tipo di formazione proporre per gli architetti che devono affrontare il tema del museo? Quale impostazione deve avere l’insegnamento, quali contenuti e quali metodi deve adottare? L’obiettivo fondamentale consiste nel cercare di formare studenti che possano affrontare il progetto del museo, sia che si tratti di un nuovo edificio che di un ampliamento o di un adeguamento, con sufficiente maturità e consapevolezza. Il museo è un organismo complesso che va preliminarmente compreso e rispettato nelle sue finalità e nelle sue caratteristiche e non va solo inteso come un contenitore per conservare ed esibire delle opere. �Cosa c’è da esporre»? chiedono sovente gli studenti, e non solo, di fronte alla proposta del progetto del museo. Non è questo il problema.



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