Prefazione Dalla realtà dell’architettura alle Architesture
La Realtà è un brutto affare, non sono un grande fan della Realtà». Woody Allen, Che tempo che fa 9 maggio 2021
Questo piccolo libro-intervista del quale è protagonista Maurizio Ferraris – che si è rivelato piuttosto un intenso dialogo – aveva, inizialmente, un altro titolo, “La realtà dell’architettura”, scelto perché proprio questo tema aveva contraddistinto i nostri ‘primi incontri’ con il filosofo torinese. Il primo in assoluto fu, nel 2011, un invito a tenere una lezione dottorale a Napoli sulla sua teoria della documentalità1 durante la quale emersero interessanti possibili relazioni con l’Architettura a partire dalla considerazione che i documenti dell’architettura (cioè i monumenti nel senso più ampio che questo termine può assumere) hanno, nel loro essere scritti con la materia solida della pietra, una intrinseca e più lunga sopravvivenza di altri e si mostrano alla collettività, rappresentandone i valori condivisi, nella costruzione dello spazio urbano: da questo punto di vista quella che Ferraris ha definito come la più duratura delle scritture pone – si ragionava in quella occasione – questioni di natura non solo estetica ma anche etica. A questa occasione ne sono poi seguite altre e, in particolare, un ciclo di iniziative che hanno coinvolto più di una scuola di architettura in Italia e che, con il titolo di Architettura e realismo. Riflessioni sulla costruzione architettonica della realtà2, a poca distanza dal grande successo del Manifesto del 7
Federica Visconti Renato Capozzi intervistano Maurizio Ferraris NAPOLI-TORINO 2020/2021
ONTOLOGIA DELL’ARCHITETTURA ___ Visconti, Capozzi: Cos’è l’architettura? Qual è lo statuto, il corpus1, dell’arte del costruire? Maurizio Ferraris: Solitamente a queste domande si risponde proponendo un maestoso ritorno alle origini: l’essenza dell’architettura la troviamo nel tempio greco, o nella piramide egiziana. Ma in effetti ben poco di ciò che caratterizza la produzione e la progettazione di edifici ai giorni nostri ha qualcosa a che spartire con queste origini. Questo suggerisce un diverso approccio: non esiste una essenza dell’architettura, non più di quanto esista una essenza della filosofia, e non è certo risalendo alle origini che potremmo ricevere dei lumi su questo punto. Al massimo, risalire alle origini ci mette in contatto con delle forme più incomplete, dunque tutt’altro che più vere. Che cosa sia l’architettura, che cosa sia l’economia o che cosa sia la filosofia lo comprendiamo solo attraverso il divenire storico, ossia attraverso la somma delle diverse realizzazioni che si sono raccolte sotto il nome di “architettura”. Né si deve pensare che oggi per un qualche miracolo, la storia sia finita e l’essenza sia sotto i nostri occhi. 21
Albert Speer e Karl Piepenburg, Bunker del Fürer (Führerbunker), Berlino 1936-1943. (ridisegno di F. Spacagna) 26
come avverrebbe se uno adoperasse una crosta per coprire un pollaio. Può esistere – e, se sì, in che termini – una teoria dell’architettura distinta dalla teoria dell’arte? Certo che può esistere, ma credo che, proprio come le teorie dell’arte, sarebbe interessante più per i non architetti che non per gli architetti. Per un architetto, così come per un pittore, per un medico o per uno scrittore, sapere che cosa sia la disciplina che esercita offre un ben misero aiuto a risolvere i problemi dell’architettura, della pittura, della medicina o della letteratura. Mentre è molto utile per uno che non farà da grande il medico, l’architetto, lo scrittore o il pittore, avere delle cognizioni teoriche in materia, dal momento che non potrà mai esercitarsi nella pratica. Ecco perché i filosofi amano così tanto fare teorie. Di che natura sono gli oggetti (artefatti) architettonici e di che natura, da un lato, i progetti, e, dall’altro, le teorie e le idee ad essi soggiacenti? Gli artefatti architettonici sono cemento armato, vetro, acciaio, plastica, e qualche decennio fa anche amianto; i progetti erano carta e lucidi e da qualche 27
Giovanni Battista Piranesi, Carceri di invenzione, incisione 1745-1750. (ridisegno di F. Spacagna) 32
EPISTEMOLOGIA DELL’ARCHITETTURA ___ Quali sono, secondo te, le ragioni dell’architettura e quindi, dal punto di vista epistemologico, come si può rispondere alla interrogazione fondamentale: perché esiste l’Architettura? Perché senza un tetto sulla testa si vive male, e già che facciamo un tetto, tanto vale farlo nel migliore dei modi possibili. Che ruolo ha la ragione nella costruzione architettonica? È un caso che Immanuel Kant, nella sua Critica della ragion pura, usi il termine “Architettonica” facendolo, da aggettivo, diventare sostantivo e rinviando a quanto nella nostra conoscenza c’è di scientifico e, dunque, alla dottrina del metodo9? Non è un caso che Kant parli di architettonica così come non è un caso che un politico machiavellico architetti un piano diabolico. Architetto significa “primo artefice”, per cui può benissimo riferirsi all’architettare anche in casi che non hanno niente a che fare con le case. 33
In effetti, la città tradizionale non è una città fatta da architetti, ma prevalentemente da capomastri che seguono la tradizione e, in casi rari e importanti, di architetti chiamati a progettare edifici di particolare prestigio. Mi sembra un rapporto sensato ed equilibrato, ma che oggi non può più tenere, se non altro per via della esplosione demografica, della urbanizzazione e della standardizzazione. E, ferma restando la legittimità di atti creativi da parte degli architetti, il loro massimo impegno dovrebbe indirizzarsi oggi alla creazione di una nuova normalità, di uno standard medio e mediamente accettabile, quello che una volta offriva la tradizione oggi scomparsa. Questa impresa è particolarmente difficile in due Paesi, gli Stati Uniti (per il loro eclettismo) e l’Italia (per il nostro individualismo e per la varietà degli esempi e delle soluzioni architettoniche con cui ci troviamo a misurarci…). Nicola Emery, a sua volta, ha intravisto per l’Architettura, significativamente, un ruolo «non meramente riflessivo ma formante la realtà»21. Condividi questa posizione? Dovrei vedere il contesto. Perché da una parte mi sembra ovvio che gli architetti non si limitino 52
a riflettere ma costruiscono (altrimenti sarebbero storici dell’architettura) proprio come i politici non si limitano a insegnare scienze politiche ma agiscono politicamente. Dunque, è una posizione che non si può non condividere, un minimo sindacale dell’architettura. Ma immagino che Nicola intendesse anche altro; per esempio che gli architetti non possono limitarsi a teorizzare, e devono fare, pena tradire la loro ragion d’essere, come è avvenuto, per ragioni che possiamo studiare e comprendere, ma anche storicizzare e superare, in molta architettura accademica del secondo Novecento.
LES LIAISONS DANGEREUSES ___ I tuoi “contatti” – scambi diretti o anche solo tangenziali – col mondo dell’architettura sono stati, negli anni, moltissimi. Da Tracce. Nichilismo moderno postmoderno o Immagini del Post-moderno, con Paolo Portoghesi (1983) a La svolta testuale. Il decostruzionismo in Derrida, Lyotard, gli “Yale Critics” (1984), ancora al saggio Quel che resta nell’architettura sulla “Rassegna” di Gregotti (1988), al poderoso Estetica razionale (1997), al Mondo esterno (2001), fino a Documentalità. 53