La giuria della tredicesima edizione del Premio Bruno Zevi è composta da: / The juries of the thirteenth edition of the Bruno Zevi Prize are: Donatella Calabi Claudio Gamba Lindsay Harris Rosario Pavia Paolo Scrivano Traduzioni / Translate: Marianna Cozzi Editing: Marianna Cozzi, Maria Spina Segreteria di redazione / Editorial Office: Angela Santoro Segreteria del Centenario / Secretariat of the Centenary: Layla Shukor
Questo volume è stato pubblicato con i fondi erogati dal Ministero dei beni e delle attività culturali nell’ambito delle celebrazioni del Centenario della nascita di Bruno Zevi. / This volume has been published with funds distributed by the Ministry of Cultural Heritage as part of the celebrations for the centenary of the birth of Bruno Zevi. ISBN 978-88-6242-553-7 Prima edizione Ottobre 2021 First edition October 2021 © LetteraVentidue Edizioni © Fondazione Bruno Zevi © Irit Carmon Popper Tutti i diritti riservati È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura. Nel caso in cui fosse stato commesso qualche errore o omissione riguardo ai copyrights delle illustrazioni saremo lieti di correggerlo nella prossima ristampa. / No part of this book may be reproduced or transmitted in any form or by any means, including photocopying, even for internal or educational use. Italian legislation allows reproduction for personal use only, provided it does not disadvantage the author. Therefore, reproduction is illegal when it replaces the actual purchase of a book as it threatens the survival of a way of transmitting knowledge. Photocopying a book, providing the means to photocopy, or facilitating this practice by any means is similar to committing theft and damaging culture. If mistakes or omissions have been made concerning the copyrights of the illustrations, we will gladly make a correction in the next reprint. Progetto grafico / Book design: Stefano Perrotta LetteraVentidue Edizioni Srl Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa, Italia www.letteraventidue.com
INDICE CONTENTS
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INTRODUZIONE INTRODUCTION Adachiara Zevi
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CON GLI OCCHI DA ARCHITETTO E L’ANIMA DA ARTISTA. MARCEL JANCO E LA COLONIA DI ARTISTI EIN HOD THROUGH THE EYES OF AN ARCHITECT, THE SOUL OF AN ARTIST. MARCEL JANCO AND EIN HOD ARTIST COLONY
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BIOGRAFIA BIOGRAPHY
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INDICE ILLUSTRAZIONI ILLUSTRATION REFERENCES
IRIT CARMON POPPER
CON GLI OCCHI DA ARCHITETTO E L’ANIMA DA ARTISTA Marcel Janco e la colonia di artisti Ein Hod
THROUGH THE EYES OF AN ARCHITECT, THE SOUL OF AN ARTIST Marcel Janco and Ein Hod Artist Colony
Lo studio è stato realizzato durante il mio PhD alla facoltà di Architettura e Urbanistica del Technion IIT a Haifa, in Israele, eccezionale e non sarebbe stato possibile senza il sostegno del mio supervisore, la professoressa Alona Nitzan-Shiftan. Desidero ringraziarla per il suo decisivo contributo alle tesi fondamentali della ricerca. Il presente lavoro ha ottenuto la borsa di studio della Fondazione Balaban-Glass a cui esprimo gratitudine. Sono altresì grata alla Fondazione Bruno Zevi e alla giuria del Premio Bruno Zevi per averlo selezionato e pubblicato. The study was carried out during my PhD research at the Faculty of Architecture and Town Planning at the Technion IIT in Haifa, Israel, and would not have been possible without the exceptional support of my supervisor, Professor Alona Nitzan-Shiftan. I would like to thank her decisive contributions to the fundamental assumptions of the research. The study was awarded a scholarship by the Balaban-Glass Foundation, which I gratefully acknowledge. I’m also grateful to the Fondazione Bruno Zevi and its jury of the Prize for the selection and publication of the study.
«E così riuscii a percepire con il mio sguardo interiore da architetto e da artista […] che questo non era un comune villaggio arabo, bensì un antico e storico sito, con enormi pietre che solo i Romani potevano cesellare […] Grazie al nostro intervento, i lavori di demolizione del villaggio furono interrotti e ci diedero il tempo di […] mantenere la sua integrità»1.
«And thus I could perceive with my inner architect eyes and artist eyes […] that this was no ordinary Arab village, but an ancient and historical site, with huge stones that only the Romans could chisel […] Thanks to our intervention, the demolition of the village was stopped, and we were given time to […] maintain the village’s integrity»1.
«[…] quello spirito che è dato solo dalla mano e dall’occhio dell’esecutore non può essere richiamato. Un altro spirito può essere dato da un altro tempo ed è allora un nuovo edificio»2.
«[…] that spirit which is given only by the hand and eye of the workman, can never be recalled. Another spirit may be given by another time, and it is then a new building»2.
Introduzione
Foreword
Il villaggio di Ein Hod, sulle pendici del monte Carmelo nel Nord di Israele, fu fondato come società cooperativa con scopi residenziali. Il suo riconoscimento ufficiale nel 1953 preludeva a un’unica tipologia di stanziamento ebraico: “il villaggio arabo” come colonia di artisti. La colonia prese vigorosamente forma tra il 1948 e il 1953. Il suo ideatore fu Marcel Janco, artista e architetto d’avanguardia, il cui intento era quello di trasferire gli artisti ebrei
The village of Ein Hod, on the slopes of Mount Carmel in northern Israel, was founded as a cooperative society for settlement. Its official recognition in 1953 heralded a unique type of Jewish settlement – “the Arab village” as an artist colony. The colony took shape with vigor between 1948 to 1953. Its mastermind was avant-garde artist and architect Marcel Janco, who wished to settle Jewish artists in the remains of Ein Hawd, an Arab village that had
Marcel Janco
John Ruskin
Marcel Janco
John Ruskin
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2. Il villaggio di Ein Hawd prima del 1948, fotografo sconosciuto. Ein Hawd village before 1948, unknown photographer. (Beit Gertrud Kraus Historical Archive, Ein Hod)
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3. Immigrati marocchini mentre lavorano alla costruzione dell’insediamento residenziale di Ein Hod, 1949, foto di Zoltan Kluger. Immigrants from Morocco preparing the construction for Ein Hod residential settlement, 1949, photo by Zoltan Kluger. (The National Photo Collection of the Photography Department in Israeli Government Press Office)
Con gli occhi da architetto e l’anima da artista / Through the eyes of an architect, the soul of an artist
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10. Riunioni e incontri di Janco e dei suoi compagni artisti, Ein Hod, anni cinquanta, fotografo sconosciuto. Meetings and gatherings of Janco and his fellow artists, Ein Hod in the 1950s, unknown photographer. (Beit Gertrud Kraus Historical Archive, Ein Hod)
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Con gli occhi da architetto e l’anima da artista / Through the eyes of an architect, the soul of an artist
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11. Il pittore Menashe Kadishman (a sinistra); Galia Polin, Yehuda Termy, Itche Mambush e Gdalya Ben Zvi (sotto), Ein Hod, 1950, fotografo sconosciuto. Painter Menashe Kadishman (left); Galia Polin, Yehuda Termy, Itche Mambush and Gdalya Ben Zvi (below), Ein Hod, 1950, unknown photographer. (Beit Gertrud Kraus Historical Archive, Ein Hod)
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vernacolare, che appartiene alle tradizioni islamiche del Mediterraneo orientale (né eterne, né bibliche)52, furono completati dagli stessi artisti con l’aiuto di manovali e costruttori arabi locali53. Questi ultimi installarono, ad esempio, tetti spioventi di calcestruzzo, per permettere alla luce di entrare da sud, ricavarono nuove finestre nei muri e divisero gli spazi in piccole unità abitative. Le parti architettoniche aggiunte furono costruite secondo lo stile originario palestinese, principalmente utilizzando archi e pietre locali. Fu mantenuta anche la struttura del villaggio, inclusi la strada di accesso e i vicoli, come pure la densità edilizia e la topografia generale [11]54. Originariamente, la moschea, ubicata nel cuore del villaggio, era un’ampia sala ad archi con muri disadorni, senza immagini o statue in bassorilievo, e includeva un giardino di cipressi. Fino al 1948, era stata utilizzata per le preghiere quotidiane, gli studi religiosi e come luogo di incontro per gli uomini. Dal 1953, convertita in ristorante-bar-caffè, fungeva da luogo di ritrovo centrale, emulando il modello dadaista del Cabaret a Zurigo. L’utilizzo di un luogo sacro in cui si vendevano liquori e maiale, entrambi proibiti dall’Islam, aveva scatenato recriminazioni tra arabi ed ebrei55. Alla fine, nel 1959, si trovò una “soluzione” con la “secolarizzazione” della preesistente moschea. Si raggiunse così un compromesso: gli abitanti mussulmani del villaggio accettarono di trasformare il ristorante in un circolo di lettura e, in cambio, il ministero degli Affari religiosi avrebbe dato il proprio contributo per la costruzione di una sala di preghiera per mussulmani nel nuovo villaggio di Ein Hawd al-Jadida [12]56. Tuttavia, si continuò ad avere un approccio conservativo sulla tutela della dimensione fisica e materiale del villaggio arabo. Il verbale Con gli occhi da architetto e l’anima da artista / Through the eyes of an architect, the soul of an artist
12. Ristorante/bar di Ein Hod nella moschea di Ein Hawd, anni cinquanta, fotografo sconosciuto. Ein Hod restaurant/bar in Ein Hawd mosque in the 1950s, unknown photographer. (Beit Gertrud Kraus Historical Archive, Ein Hod)
fences and typical details»58. In 2015, a master plan for the preservation of the site was prepared [13]. In the late 1990s, the international preservation discourse was permeated by participatory theories that led to radical policy changes. The praxis of the discipline, i.e., the various charters it produces, evidences a gradual change in relation to locality, sense of place, the vernacular architecture, and the community as legitimate values or modes of action. Moreover, a new generation of preservationists emerged beyond the scope of traditional government organizations, who challenged the authority of 43
14. Un artista di fronte al suo cavalletto, Ein Hod, anni cinquanta, fotografo sconosciuto. An artist in front of his easel, Ein Hod in the 1950s, unknown photographer. (Beit Gertrud Kraus Historical Archive, Ein Hod)
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«Il paesaggio vuole essere amato a occhi chiusi»59 «La bellezza del posto era sconcertante», ricordava Janco. Furono lo spirito del luogo e la bellezza delle rovine ad attirare il suo sguardo60. Secondo Leshem, questo momento di “scoperta” avvenne quando all’aspetto minaccioso delle rovine si sostituì il loro fascino. Da un punto di vista teorico postcoloniale, le rovine erano percepite solitamente come ostili e spaventose, come memento ossessionante dell’Altro che contraddice e minaccia l’esistenza fisica e la fibra morale della “casa nazionale ebraica”. La casa nativa araba veniva perciò rimaneggiata come qualcosa di estraneo al progetto della modernità, e il palestinese percepito come astorico, la personificazione, secondo la descrizione orientalista, del contadino in quanto custode della cultura biblica [14]61. Sebbene Janco abbracciasse la visione sionista della realtà come una continuazione lineare del vagheggiato passato biblico ebraico, si considerava anche un pioniere alla scoperta di una nuova terra, la sua patria come fonte di ispirazione creativa. I disegni che realizzò dagli anni trenta agli anni quaranta sono caratterizzati da scene antisemite che esprimono il trauma di chi ha vissuto il pogrom di Bucarest del 1941, come pure da ritratti e paesaggi arabi, e da maschere africane fatte in uno stile realista-socialista62. Inoltre, le influenze stratificate nella sua arte, tra cui la cultura africana, l’architettura regionale, l’architettura vernacolare del Medio Oriente, il modernismo soft e il realismo socialista, si fondono nell’idea della purificazione dell’Altro, come fonte autentica, intuitiva e istintiva della creazione [15]. Gli studiosi postcoloniali, quali Leshem, descrivono Janco come un rappresentante consolidato Con gli occhi da architetto e l’anima da artista / Through the eyes of an architect, the soul of an artist
the trauma of witnessing the Bucharest pogrom in 1941, as well as Arab portraits and landscapes, and African masks made in a social realist style62. Moreover, the multilayered influences on his art, including African culture, regional architectural preservation, Middle Eastern vernacular architecture, Soft Modernism and social realism, coalesce into the idea of the purification of the Other, as an intuitive, instinctual, authentic source of creation [15]. Postcolonial scholars, as Leshem, describe Janco as a consolidate agent of European avant-garde culture and Zionist territorial nationalism, which overcomes the foreignness of Arab space. They object to recognizing it as a case of reaction to top-down, state-sanctioned planning or even as a third space where hybrid oppressive and subaltern identities are formed simultaneously. In a recent article, Susan Slyomovics analyzes Janco’s art projects, together with Jacqueline Kahanoff’s writings, as examples of “settler art”, in the context of the settler ideologies of ownership of 1948 Israel. She coined the term “Dada colonialism” – Dadaism and Zionist colonialism based on the myth of natural occupancy of the Jews as the true natives: «Ein Hawd was both destroyed and preserved», she argues. The colonial process as experienced by the Palestinian refugee through his home was twofold, adds Irus Braverman, since first he was dispossessed and then the house was preserved in the form of an “Arab house”63. How can we explain the blindness of the artists’ “imagined community”, perceived by itself and others as cutting-edge avant-garde, critical of power and tolerant of the Other?64 A similar form of blindness characterizes the New Horizons art group of the 1950s, whose formal abstraction art permitted them to be 47