Paesaggi del Novecento. Autori e progetti

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paesaggio e ambiente Direttore della collana Alessandra Capuano Comitato Scientifico Jordi Bellmunt Gianni Celestini Philippe Poullaouec-Gonidec Luca Reale Giuseppe Scarascia Mugnozza Fabrizio Toppetti Redazione Viola Corbari Federico Di Cosmo Daniele Frediani Progetto grafico Viola Corbari

La collana adotta un sistema di valutazione dei testi basato sulla doppia revisione paritaria e anonima (double blind peer-review). I criteri di valutazione adottati riguardano: l'originalità e la significatività del tema proposto; la coerenza teorica e la pertinenza dei riferimenti rispetto agli ambiti tematici propri della collana; l'assetto metodologico e il rigore scientifico degli strumenti utilizzati; la chiarezza dell'esposizione e la compiutezza dell'analisi. Nella pagina accanto: Carl Theodor Sørensen, Il giardino musicale, Herning, Danimarca, 1954-1983 (foto di Helle Aagaard Rasmussen).



Indice 8

Presentazione Alessandra Capuano • PAESAGGI DELLA MEMORIA

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Il "disordine apparente" nelle opere di Luigi Moretti e Dimitris Pikionis Alessandra Capuano

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Il progetto di Pikionis per l'Acropoli di Atene tra immaginario e normative Stefano Damiano

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Il Parco Archeologico di Selinunte di Porcinai e Minissi Vincenzo Gioffrè

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La cicatrice aperta: il Vietnam Memorial di Maya Lin a Washington Luca Reale • • PAESAGGI DOMESTICI

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Vittoriano Viganò. P come Paesaggio Isotta Cortesi

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Luigi Moretti e le sequenze dinamiche del Villaggio Olimpico e Decima Daniele Frediani

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I giardini del Pedregal di Luis Barragán Sara Protasoni

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Selvatico-domestico in due giardini di Roberto Burle Marx Eleonora Tomassini


• • • PAESAGGI D'INVENZIONE 120

Michel Corajoud: il progetto di paesaggio in Francia e il Parc du Sausset Fabio Di Carlo

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L'Open Space Sequence e il Freeway Park di Lawrence Halprin Benedetta Di Donato

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Il parco di Pinocchio a Collodi di Zanuso e Porcinai Achille Maria Ippolito

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La vision paysagère de Bernard Lassus, pour un art de la transformation Philippe Poullaouec-Gonidec • • • • PAESAGGI DELL'EMERGENZA

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Etica, estetica ed emergenza nell'opera di Kengo Kuma Giulia Cazzaniga

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Le grandi barriere nei paesaggi del rischio Federico Di Cosmo

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Garrett Eckbo: Landscape for living Annalisa Metta

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Da La Vallée all'emergenza ambiente nel pensiero di Gilles Clement Laura Zampieri



PAESAGGI DELLA MEMORIA


••• Il "disordine apparente" nelle opere di Luigi Moretti e Dimitris Pikionis Il Parco dell'Appia e il Filopappo tra nuovo e antico Alessandra Capuano Sapienza Università di Roma


Tra la metà e la fine degli anni Cinquanta, Dimitris Pikionis e Luigi Moretti si trovano a progettare in due zone archeologiche tra le più celebri al mondo: l’Acropoli e la collina di Filopappo di Atene e l’area dell’Appia Antica a Roma. È sorprendente guardare i disegni di progetto di questi architetti e notare alcune analogie. Gli autori si dedicano con grande cura ed entusiasmo agli incarichi che investono temi di architettura del paesaggio e pertanto attraversano le diverse scale del progetto. Essi si interrogano su come preservare il contesto antico e delicato delle aree e come introdurre nuove modifiche. La natura e il carattere peculiare dei luoghi obbligano a circostanziate riflessioni su come valorizzare il patrimonio monumentale, disporre i nuovi interventi nello spazio, tenere conto delle inquadrature panoramiche, collocare la vegetazione. Come dice Alberto Ferlenga a proposito dell’Acropoli di Pikionis: Dal momento che nessuna finzione può restituire ciò che costituiva nell’antichità il necessario completamento dei templi, il paesaggio deve essere evocato, ricomposto per frammenti, per relazioni episodiche attraverso la messa in evidenza di parti che sappiano rappresentare il tutto1.

In effetti ciò che Pikionis e Moretti fanno nell’affrontare il delicato tema del progetto in aree archeologiche è costruire un paesaggio fatto di rimandi, di scorci, di sorprese, disegnando il territorio tramite percorsi e scenari che fanno ampio uso di cannocchiali visivi per riallacciare rapporti e relazioni perdute, spazi contemporanei e luoghi della memoria. In tutti e due i contesti occorre tenere insieme parti eterogenee secondo pratiche compositive che potremmo definire “pittoresche“, un’estetica che nasce, come è noto, nella cultura del Settecento. I giardini inglesi introducono una tecnica narrativa nella quale trovano spazio realtà diverse, o addirittura frammenti di esse, in una successione spazio-temporale. Nella concezione di Uvedale Price: “the picturesque, whose characteristics are intricacy and variety, is equally adapted to the grandest and to the gayest scenery [...] for it is on the shape and disposition of its boundaries that the picturesque in great measure must depend“2. Come ha scritto Pisana Posocco il pittoresco è, dunque, un ordinamento libero e vario dove “emerge ed è riconosciuto il ruolo della percezione che entra [...] nelle scelte del progetto“3 e “l’opera trova la sua completezza non in sé, ma attraverso l’osservatore, che diventa, nell’atto della percezione, parte, ordinatore, produttore di senso“4. Facendo uso di materiali naturali e artificiali, che si accostano nello spazio in modo imprevisto, e suggerendo “uno

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Alessandra Capuano


Pietro Porcinai, Franco Minissi, Matteo Arena, Parco Archeologico di Selinunte, Castelvetrano, 1966-71. In questa pagina: prospettiva di dettaglio dell'ingresso. A fianco: l’opera realizzata (foto Vincenzo Gioffrè, 2016).

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Il Parco Archeologico di Selinunte di Porcinai e Minissi


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Vincenzo Gioffrè


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PAESAGGI DOMESTICI


••• Luigi Moretti e le sequenze dinamiche del Villaggio Olimpico e Decima Daniele Frediani Dottorato in Paesaggio e Ambiente


L’interesse di Luigi Moretti per le implicazioni dinamiche dello spazio architettonico è ben noto dalla lettura del suo saggio Strutture e sequenze di spazi, pubblicato sulla rivista Spazio nel 19531. Nel testo l’autore si interessa alle relazioni tra ambienti concatenati e disposti in progressione, spostando così l’attenzione dai caratteri architettonici alle forme del vuoto e alle soglie di passaggio da un ambito all’altro. Proprio attraverso la lettura concatenata di più ambienti adiacenti, Moretti intende riconoscere un valore primario al movimento necessario per coglierne l’intima continuità. Secondo Stefano Catucci, nell’architettura di Moretti è in effetti possibile riconoscere un’intenzione registica paragonabile a quella ricostruita da Sergej Ejzenštejn per la salita all’Acropoli di Atene nella sua Teoria generale del montaggio2. In questo testo il regista russo descrive l’accesso all’Acropoli come un montaggio cinematografico ante litteram, costituito da fotogrammi bidimensionali composti figurativamente, poi montati insieme all’interno di una sequenza dinamica che coincide con il percorso che il visitatore deve compiere per salire dai piedi della rupe fino alla spianata del Partenone. Allo stesso modo si può constatare come la costruzione visuale, per immagini pittoriche, che sottende alle opere di Moretti “allude a un passaggio di stato, cioè alla fisicità della percezione nello spazio reale, tridimensionale, ma che in sé ha tutti i caratteri sufficienti per definire la propria dinamicità, il proprio movimento, la sua interna e complessa ritmicità”3. Con questa chiave “cinematografica” si tenterà, nelle pagine che seguono, di decifrare le modalità che sottendono alla costruzione dello spazio aperto urbano nell’opera di Moretti, prendendo a caso studio i suoi due celebri quartieri romani del Villaggio Olimpico e Decima. ••• Luigi Moretti “regista“ tra pittoresco e modernità Riportando le parole con cui Auguste Choisy descrive l’Acropoli nell’Histoire de l’architecture, Ejzenštejn invita il lettore a figurarsi come un visitatore che, protagonista di un lungo piano sequenza, si inoltri nel recinto dell’area sacra disvelandone scorci e prospettive scenografiche: “L’apparente asimmetria di questa [nuova] Acropoli è solo un sistema per rendere pittoresco questo gruppo di edifici, disposti con un’arte molto più grande di qualunque altro”4. Dalle parole di Choisy si chiarisce come egli si proponga di restituire una dimensione compositiva alla veduta pittoresca, facendone risalire le sue origini addirittura all’architettura greca. È proprio in questo

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Daniele Frediani


frappone tra l’osservatore e l’esterno del quartiere per evitare che la vista si perda inseguendo prospettive troppo dilatate e sfuggenti. Il progettista agisce come un regista che assegna compiti e ruoli: l’architettura apre la vista verso l’orizzonte e la vegetazione la richiude, così da conferire unità e intimità al quartiere, pur in uno spazio aperto, fluido e permeabile. Laddove la trama edilizia si solleva dal terreno lasciando libero il piano di campagna e quindi la quota della città, la seconda orditura, quella vegetale, ricompone lo spazio pubblico in ambienti raccolti e misurabili tanto all’occhio del visitatore quanto all’uso degli abitanti15. Il registro compositivo con cui si vanno articolando le masse arboree è riassumibile in una serie di termini che rimandano al mondo della scenotecnica: le alberature e le masse arbustive si dispongono a seconda delle occasioni in forma di quinta, di fondale, di sipario, di boccascena. Ma se ci rivolgiamo alle opportunità di movimento che il piano libero e i pilotis offrono al soggetto in movimento, tutta l’esperienza del quartiere diviene d’improvviso assimilabile a un lungo piano sequenza. Una passeggiata nel quartiere alterna infatti spazi dilatati e compressi, come nella consuetudine morettiana, ma anche ambientazioni più urbane o tendenziosamente naturalistiche, oppure suoli vegetali e minerali alternati senza soluzione di continuità. La transizione dagli ambiti ombrosi e ribassati dei piani terra degli edifici in linea verso le spianate libere e assolate di piazza Grecia e Piazza Jan Palach, e poi oltrepassando le “crocette“ fino alle pendici di Villa Glori,16 si struttura secondo le regole di un piano sequenza che attraversa luoghi molto differenti (dal domestico al civico, dal suburbano al naturalistico), i quali possono trovare una loro organicità e coerenza solo attraverso il movimento del soggetto nello spazio. Questo “sentire“ non potrebbe che essere amplificato dall’infrastruttura vegetale pensata da Moretti e mai realizzata. Laddove la quota urbana è una superficie continua, che consente una pressoché illimitata facoltà di esplorazione attraverso i piani terra permeabili, le masse boscate sarebbero intervenute con vigore a definire il campo del conoscibile. La folta vegetazione immaginata dall’autore è in questo senso una presenza che interviene sul campo lungo più che sulla vista ravvicinata, ma è comunque indispensabile affinché lo sguardo non si trovi a vagare senza meta oltre le architetture, effetto che adesso, in parte, si verifica. Anche a Decima è un noto schizzo preliminare a chiarire le intenzioni iniziali dell’autore: ai rapidi tratti di pennello a china degli edifici si

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Luigi Moretti e le sequenze dinamiche del Villaggio Olimpico e Decima


Luigi Moretti, Vittorio Cafiero, Adalberto Libera, Monaco e Luccichenti, Villaggio Olimpico, 1958-60, una sequenza spaziale attraverso il quartiere (elaborazione fotografica Daniele Frediani 2020).

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Daniele Frediani


In questa pagina e a fianco: Michel Corajoud, Parc Départemental du Sausset, 1980 (foto Fabio Di Carlo, 2015).

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Michel Corajoud: il progetto di paesaggio in Francia e il Parc du Sausset


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Fabio Di Carlo


••• Il giardino come rifugio primordiale Considerare la catastrofe come un’opportunità per riflettere sulla relazione non sempre pacificata tra l’uomo ed il suo habitat è al centro della proposta presentata da Kengo Kuma alla XIX Triennale di Milano1. Egli ripensa lo spazio pubblico come una rete capace di accogliere e, in caso di necessità, far fronte al disastro, riportando in primo piano l’obiettivo di includere tra i diritti fondamentali degli individui l’esigenza di costruire relazioni, tra di loro e con l’ecosistema. Questo modo di pensare lo spazio dell’emergenza trova espressione attraverso un piano audace e avanguardista che risulta, ad oggi, un esperimento di grande interesse poiché tende a consolidare l’idea del paesaggio come bene primario per la vita dell’uomo e delle comunità. L’architetto giapponese, per mezzo di questa proposta, estremizza la condizione di interdipendenza e complementarità dell’uomo con la natura, insita nella sua cultura: l’uomo, secondo questa concezione, fa parte dell’ambiente e vive con esso un legame di reciprocità in cui il sentimento di cura si fonde con quello di appartenenza. In Giappone, più che in altre parti del mondo, infatti, si crede che un territorio eccezionalmente bello sia frutto di violente dinamiche geologiche ed atmosferiche, potenzialmente pericolose. Il clima relativamente mite, temperato, la vegetazione lussureggiante si affiancano alla conformazione vulcanica del paese ed ai frequenti sconvolgimenti a cui l’arcipelago va incontro. Nel Paese del Sol Levante si impara perciò ad apprezzare e a rispettare la terra, al tempo stesso benigna e matrigna, addomesticandola, conservandola, miniaturizzandola, piegandola. Il progetto del 1996, Grass Net, consiste in un sistema di parchi urbani interconnessi in grado di ospitare attività per il tempo libero diversificate e piccole architetture; in caso di calamità, tuttavia, questo sistema di giardini pubblici si può convertire in un luogo dell’accoglienza, della gestione dell’emergenza trasformandosi in un rifugio2. Si può interpretare, dunque, come un sistema verde destinato ad essere contemporaneamente distanza tra gli edifici, ma anche misura di sicurezza, e intervallo di tempo tra fenomeni diversi: l’ordine quotidiano e il caos causato dal disastro. Attraverso questo luogo aperto, libero, nasce l’opportunità di dotare la città di un corridoio ecologico che si configura come un parco pubblico nella quotidianità e come spazio di evacuazione durante una calamità naturale come quella di un terremoto. La rete ideata da Kuma costruisce quindi una pausa che si legge sia come tessuto connettivo tra elementi diversi, sia

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Etica, estetica ed emergenza nell’opera di Kengo Kuma


Kengo Kuma, Grass Net, 1996. A sinistra: veduta aerea con indicazione delle specie vegetali e dei nodi del sistema di emergenza. A destra: tavole illustrative delle possibilità di utilizzo del verde, dei componenti previsti nella quotidianità e di quelli da utilizzarsi in caso di emergenza.

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Giulia Cazzaniga



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