Afferrare lo spazio

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Indice


6 Antichi strumenti per un progetto moderno Presentazione di Edoardo Narne

12 Analogia e astrazione nel progetto di architettura Introduzione di Francesco Cacciatore

SUL DISEGNO 20 Sul disegno evidente di Claudio Patanè

42 Disegnando a “fil di ferro” di Giorgia Cesaro

SUL MODELLO 60 Dallo spazio astratto allo spazio analogico di Francesco Cacciatore

84 Piccoli dispositivi di architettura di Marcello Galiotto

SUL VIAGGIO 94 Italia, andata e ritorno di Roberto Bosi

112 La lezione di Venezia

di Alessandra Rampazzo

124 L’antipodale equilibrio tra reale e astrazione nel progetto Postfazione di Fabrizio Foti

133 APPARATI


Francesco Cacciatore

Analogia e astrazione nel progetto di architettura Introduzione


Francesco Cacciatore

In

questi ultimi anni di didattica e di ricerca abbiamo messo al centro della nostra riflessione progettuale l’esperienza spaziale e l’idea di spazio in architettura1. Uno spazio concepito non tanto in senso teorico, riduzionistico, cartesiano, ma piuttosto in senso concreto, in stretto rapporto con il reale, lo spazio come fenomeno multiforme e complesso, così come si dà alla nostra percezione sensibile e come lo sperimentiamo continuamente nella nostra esperienza quotidiana. Un certo modo di intendere la disciplina considera l’esistenza di numerosi temi di architettura tra loro alternativi e distinti, secondo un approccio di tipo specialistico mutuato dalle scienze positivistiche. Dal nostro punto di vista, invece, se per “tema” intendiamo l’argomento, il soggetto, il motivo dominante della composizione dell’architettura, allora non possono esistere tanti temi alternativi tra loro, ma un solo tema: lo spazio. Apparentemente, assumere questo punto di vista così radicale sembra semplificare l’approccio alla disciplina, ma, in realtà, è solo il punto di partenza per altre domande. Ne era cosciente anche Walter Gropius che, circa un secolo fa, nel 1923, poneva alcuni interrogativi importanti che sono gli stessi quesiti che qualcuno si pone ancora oggi. «Tutte le arti plastiche aspirano alla creazione dello spazio. […] Ma, a tale riguardo, esiste una grande confusione d’idee. Spazio, cosa significa esattamente? Come possiamo afferrare e creare spazio?»2. Mossa da questi interrogativi, la nostra riflessione sullo spazio ha portato a una continua sperimentazione didattica di dispositivi, pratiche e strumenti di lavoro orientati allo sviluppo di un’attitudine, di un approccio tridimensionale al progetto di architettura. Acquisire una sensibilità verso la dimensione spaziale di questa disciplina non è un esercizio semplice poiché si tratta di compiere una vera e propria inversione concettuale dal pieno al vuoto, dal volume allo spazio, dal concavo al convesso, dalla durezza della materia alla morbida resistenza dell’aria3. In questo sforzo di capovolgimento di un punto di vista assuefatto e inerte ci può aiutare la riflessione su due processi cognitivi 12 > 13



Sul disegno


Claudio Patanè

Sul disegno evidente Apprendere la narrazione del reale


Claudio Patanè

«Sono persuaso che l’allievo che seguirà le spiegazioni si accorgerà, in complesso, che la perseveranza è la migliore risposta a tante domande, e che i migliori maestri di disegno sono le foreste e le colline»1 John Ruskin «Dobbiamo studiarci di raggiungere l’esattezza, a qualunque costo: in seguito ci accorgeremo che sappiamo essere esatti nella libertà»2 John Ruskin

L’

uomo, sin dalla nascita, svela la realtà che lo circonda attraverso l’apparato sensoriale. L’emozione, il desiderio e il piacere espandono il corpo nello spazio “rivelandolo” con l’atto del toccare, del gustare, dell’odorare, dell’ascoltare e, infine, dell’osservare. Il di-segnare è una delle primordiali necessità di codifica oggettiva della realtà fatta attraverso lo sguardo soggettivo dell’individuo, che traduce in forme simboliche ciò che lo circonda e ne fa esperienza relazionale tra forma, tempo e spazio. Anticipando ogni scrittura, linguaggio verbale, codificazione numerica. La fame emozionale del guardare passa dall’occhio alla mente e scivola via verso la mano, trasmutandosi in segno grafico su di una “superficie”, sulle pareti difformi di una grotta, sul muro di casa, su di un pavimento, un tavolo e, infine, un foglio di carta. Durante la crescita, l’individuo, oltre a “copiare” ciò che vede, nomina le cose, scopre le relazioni che legano gli oggetti naturali o artificiali allo spazio, dimensiona e rileva/rivela intuitivamente le 20 > 21


Disegnando a “fil di ferro”

[1] – Ricardo Bak Gordon, Casa em Boliqueime, Portogallo, 2002, vista lato sud-est.

dal verde coriaceo di vecchi e maestosi sugheri, sembrava uno specchio dove un tempo si riflettevano le molteplici immagini delle divinità. Uno specchio che rifletteva con la franchezza di un bambino e con quella naturalezza che nasce dai desideri più meravigliosi fra tutti i desideri, dai sogni più meravigliosi fra tutti i sogni. Illuminate dal sole estivo del mezzogiorno, le passioni che vi si specchiavano apparivano serene e pure. La luce che in un attimo vi cadeva, in un attimo era riflessa. E malgrado le immagini di quello specchio fossero ormai scomparse, l’immagine dell’eternità continuava a risplendere nelle sfumature del verde e dell’azzurro che, avvolte dal vapore atmosferico, si fondevano armoniosamente in un solo tono. Quell’immagine era l’eterno batter d’ali della vita. Era l’immagine delle cose che mutano in eterno e che in eterno non mutano. Un’immagine delicata e indimenticabile, come la voce del cuculo che risuona fra le foglie degli alberi, una voce che ricorda il colore del mare. Avvolta dai volumi purissimi della casa, mi tornarono alla mente le parole di Sophia de Mello Breyner Andresen, una delle voci

Afferrare lo spazio


Giorgia Cesaro

più intense della letteratura portoghese del Novecento, la quale, a proposito del paesaggio e dell’architettura dell’Algarve, ebbe a scrivere: «C’è una bellezza che ci è data: la bellezza del mare, della luce, delle montagne, degli animali, dei movimenti e delle persone. Ma c’è anche un’altra bellezza che l’uomo ha il dovere di creare: accanto al nero della terra c’è l’uomo che costruisce il muro bianco dove la luce e il cielo si disegnano. […] Dalla qualità e dal grado di bellezza dell’opera che costruiamo, si saprà se viviamo o meno con verità e dignità. L’opera dell’uomo è sempre uno specchio dove la coscienza si riconosce. […] Guardando le antiche case di pietra e calce, vediamo che la nostra architettura ha saputo creare nobiltà senza ricchezza. Da qui la purezza e la dignità di tante case antiche. Ovviamente non si tratta di copiare il passato: l’architettura è un’arte, e l’arte è creazione e non imitazione. […] Ma è necessario che ci sia quella consapevolezza del passato e del presente che chiamiamo cultura. […] L’arte è sempre stata l’espressione di una relazione dell’uomo con il mondo che lo circonda. L’architettura è

[2] – Ricardo Bak Gordon, Casa em Boliqueime, vista verso sud.

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Dallo spazio astratto allo spazio analogico

[12] – Modello in scala 1:10 di uno spazio sacro. Afferrare lo spazio


Francesco Cacciatore

[13] – Modello in scala 1:10 di uno spazio sacro.

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Sul viaggio


Roberto Bosi

Italia, andata e ritorno La circolarità del viaggio di architettura


Roberto Bosi

«Viaggiare è una prova del fuoco, individuale e collettiva. Ognuno di noi dimentica alla partenza un sacco pieno di preoccupazioni, fastidi, stress, noia, preconcetti. Contemporaneamente perdiamo un mondo di piccole comodità e gli incanti perversi della routine… Da parte mia preferisco sacrificare molte cose, vedere solo quello che immediatamente mi attrae, passeggiare a caso, senza piantina e con un’assurda sensazione di esploratore… Nell’intervallo di un vero viaggio gli occhi, e per essi la mente, acquisiscono insospettate capacità. Apprendiamo a dismisura; quello che apprendiamo riappare, dissolto nei tratti che in seguito tracciamo nei nostri progetti»1 Álvaro Siza

Il

viaggio, mai come nel passato, è diventato lo strumento ideale per conoscere, approfondire, cogliere dai luoghi, un vero e proprio strumento di rappresentazione interpretativa, di apprendimento e assimilazione di contenuti da parte di un individuo predisposto alla ricezione di informazioni sensoriali, in un processo di acquisizione che si presenta dinamico e multidirezionale. La stretta interrelazione tra architettura e viaggio trova un primo approfondimento in una idea di spazio compresa tra l’esperienza odeporica e l’ideazione di nuova architettura. A essere approfonditamente investigata è la “dimensione” di tale spazio, a partire dalla distinzione di tre specifici passaggi: il primo riguarda un atto di sublimazione, intesa come operazione di astrazione architettonica dell’esperienza di viaggio; a questa segue una fase di elaborazione, nella registrazione delle suggestioni per mezzo di schizzi, fotografie, diari; infine, un momento di riformulazione, intesa come atto creativo, che può avvenire in differenti modalità e secondo molteplici declinazioni. Villa Adriana a Tivoli può essere considerata il primo esempio di architettura nato dalla collezione dei ricordi di viaggio del suo 94 > 95


Italia, andata e ritorno

[4] – Alvar Aalto, dettaglio di muro romano, Roma, 1948.

Afferrare lo spazio


Roberto Bosi

[5] – Alvar Aalto, Säynätsalo Town-hall, 1949.

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