Tangibile, intangibile

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Prefazione Oltre il visibile

Man is a queer sort of body, who has no center of gravity in himself. Our feeling is transitive. It needs an object, which affects it, as its direct complement, at once. It is a question of gravest relation (not all of having, but of being). The artist, more than anyone else, bears the brunt of it, acknowledges the blow». Francis Ponge


Porre delle domande non significa solo ottenere delle risposte finalizzate a colmare delle lacune. In un tempo in cui la velocità dell’informazione è tale da permettere una conoscenza quasi immediata del nostro responso, spesso il quesito stesso muore nel momento in cui è stato posto, in una natura ingannevole di certezze. L’interrogativo che invece anima tutte le domande tese alla conoscenza, e non già alla mera informazione, si trasforma il più delle volte in una esperienza del sapere che conduce a porsi continui dubbi. Quanto detto però non deve necessariamente essere inteso come atteggiamento demolitore di certezze, ma come metodo per una presa di distanza dal contesto nel quale si sta operando, consentendo poi di ri-volgersi al contesto medesimo per comprenderne il significato più profondo. Una conversazione con Juan Navarro Baldeweg non può che andare in questa direzione ed essere uno stimolo a un continuo osservare e sentire la realtà che ci circonda «liberandosi dal vedere attraverso ciò che è già stato visto, da ciò che si crede di sapere vedendo» come lui stesso dice. La sua opera, infatti, richiede prima di tutto la transizione dal mondo della contingenza a un mondo altro, quello dell’immaginazione; dal tangibile all’intangibile. 7


Diana Carta intervista Juan Navarro Baldeweg 2021


SPAZIO E TEMPO ___ Diana Carta: Quando ci si trova di fronte alla sua opera si viene naturalmente e inconsciamente guidati verso la percezione di un qualcosa che va oltre la cosa stessa. Nei suoi scritti lei parla di come il suo lavoro consista proprio nella volontà di attivare dei segni, signos, attraverso le diverse pratiche artistiche, capaci di creare una percezione di saldatura tra il nostro essere (l’osservatore) e l’ambiente circostante. Questa sensazione di fusione originale è transitoria e occasionale; alla sensazione di unità si sussegue poi una sensazione di frattura. Ho letto di un episodio della sua giovane età, avvenuto in Cantabria, che suscitò in lei la consapevolezza del momento di “rottura”, in cui avviene la percezione della persona e della realtà ad essa circostante. Trovo interessante come questo evento, vissuto in prima persona, sia poi diventato elemento di riflessione continua nel suo lavoro. Vorrebbe raccontarci di questa esperienza della sua infanzia? Juan Navarro Baldeweg: Questa prima sensazione di cui parla è una sensazione che porta alla consapevolezza del nostro essere nel mondo 17


Casa della Pioggia, Liérganes, 1979-82.


definita appunto come un’arte del corpo, che considera tutto ciò che ci circonda. Infatti ha descritto come nella Casa della Pioggia sia importante la percezione di diversi livelli, il suolo, l’orizzonte, il cielo. Il suo discorso sull’orizzonte complementare suggerisce il concetto di geometria complementare. Per far comprendere meglio vorrei citare le sue parole nel testo La habitación vacante «un cerchio non è una unione di punti equidistanti dal centro ma è l’unione delle tangenti senza fine». L’idea di spazio e di geometria complementari sembrano essere un elemento centrale nel suo progetto della Casa della Pioggia, così come appunto la presenza di un orizzonte senza fine e l’attivazione dei segni presenti in ciò che esiste tra noi e l’oggetto, o l’opera di architettura che si ha di fronte. È corretto fare questa considerazione? Vuole parlarci dello spazio complementare? Sì, esatto, è proprio questo. Prima, ho infatti parlato del mio primo progetto di architettura attraverso la descrizione delle diverse coordinate che lo compongono: l’orizzonte, la vista, la terra, il suolo e il cielo, la costruzione in pietra alla base, il vetro e lo zinco. Possiamo considerarle come dei diversi ambiti: quello della terra, dell’uomo, della pioggia e di tutto ciò che si trova al di sopra; 31


Palazzo dei congressi e delle esposizioni di Castilla-León, Salamanca, 1985-92.


con la quale si relaziona e ridefinisce lo spazio urbano. La porta può così avere una sua dimensione di libertà e può recuperare il ruolo di centralità che aveva perso. Per descrivere meglio questo concetto sulle relazioni c’è una immagine che a volte viene utilizzata, e forse può sembrare un po’ strana; ha a che fare con la corrida. Sai perché? Il torero ha un modo di chiamare da lontano molto diverso rispetto a quando il toro è vicino, quella doppia maniera di relazionarsi in maniera fisica con l’animale con cui deve iniziare una lotta è quasi un tipo di danza corporale, che è appunto completamente distinta nei due momenti di avvicinamento dell’animale. Ci sono diversi stadi: il momento di avvicinamento è quello riconoscibile dalla muleta, nell’altro, invece, quando l’animale è più lontano, viene usato il capote, e tutto è accompagnato da gesti tipici in relazione alla distanza più o meno grande con il toro. Da questo punto di vista la corrida è un’arte molto bella. Tornando all’architettura, ci sono stati per esempio architetti, come Otto Wagner, che hanno gestito un dialogo con il progetto controllandolo a diverse scale e definendolo quindi geograficamente in ogni aspetto. Se guardiamo il progetto di Wagner per la diga e ponte del quartiere di Nußdorf, a 59


È come quello che ha detto Michelangelo riguardo al portico, cioè è un elemento dell’architettura classica, così come la colonna, che si trova in prossimità o in aderenza con il corpo di un edificio, ma nel suo caso l’essenza di questo elemento trova la sua ragion d’essere poiché concepito come se fuoriuscisse dalla materia, come se fosse interno ad essa. Quel cambiamento di attitudine, quel cambiamento creativo, secondo me è molto importante. Sicuramente proviene anche da un’attività artistica che ha un’origine diversa. Un altro grande architetto che mi affascina è Bramante, ma ciò che mi attira di Michelangelo è questo suo sentire che il linguaggio nasce da un’altra madre. Sono temi molto belli e, proseguendo nella risposta alla sua domanda, vorrei di nuovo citare il lavoro dell’architetto John Soane. Quando lui parla di poesia dell’architettura, io penso che quello che vuole dire è che l’architettura è qualcosa al di là della materia. E anche il mio interesse non è rivolto verso la sola materia, mi interessa, sì, però mi interessa anche liberarla, come dice Soane, diciamo… Fare dei tagli, oppure alleggerire uno spazio con la presenza di uno specchio, magari nascosto all’interno delle pareti, far apparire e trasformare le cose. 66


E questo gioco fantastico porta il linguaggio a un punto che non è mai esplorato sufficientemente. Mi piace molto, mi piace anche vedere che il lavoro che ho svolto nella mia vita di architetto segue e continua a guardare in questa direzione. È vivo il tentativo di creare un linguaggio basato sulla visibilità delle energie e creare così un’architettura che si allontani dal formalismo, o meglio, che lo accetti quando deve essere necessariamente formalista. Comporre un’architettura per me richiede la consapevolezza della presenza dell’elemento parassitario, quello di cui parlavo prima in riferimento alla scrittura orientale. È quasi un gioco; mi interessa potenziare questo aspetto nel mio lavoro e vorrei che fosse interpretato in questo senso.

SPAZIO ESPOSITIVO, MUSEO SANTA GIULIA DI BRESCIA, 2021 ___ Vorrei farle un’ultima domanda, riferita alla sua recente mostra al museo di Santa Giulia a Brescia15. Nell’organizzazione dello spazio espositivo l’architettura è esposta nella cripta di San 67



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