Indice
7 11
Prefazione di Alfonso Giancotti Premessa
21 25 29 33 37 41 45
Le case degli altri La casa romana del principe della risata Architetture per le vacanze La silver Factory di Andy Warhol Le Corbusier e la sua Machine à habiter Parasite: l’architettura nel cinema come metafora sociale La casa ai tempi del coronavirus Attraverso lo specchio: Philip Johnson e Mies van der Rohe
51 55 59 63 67
Storie di spazi Tra i fornelli I bagni pubblici di Tokyo L’atrio errante Breve storia del focolare e del suo lento declino Elogio del corridoio
73 77 81 85
Microstorie intorno al bagno L’invenzione dei sanitari sospesi a muro La vasca nuda di Wagner Gio Ponti e la lezione a proposito d’un W.C. Una doccia diabolica
91 95 101 105 109 113
Ri-vestimenti Venezia c’est moi! I pavimenti veneziani di Carlo Scarpa 5 ceramiche per 5 autori L’attrazione fatale per il bianco in architettura Il colore secondo Le Corbusier Kintsugi e trencadís, ovvero della seconda vita del frammento Progettare con il colore
La prima casa ha tre stanze da letto, un soggiorno, una cucina e un bagno. La stanza da letto dove dorme il bambino, che per convenzione chiameremo Io, è in realtà uno sgabuzzino con una brandina. È un po’ umido, come del resto tutta la casa. L’acciottolio delle stoviglie, il toc toc regolare del coltello sul tagliere, il getto d’acqua prolungato nel lavello sono probabilmente tra i primi ricordi di Io, anche se non se ne ricorda. Così come non ricorda il tonfo ammorbidito dello sportello del frigorifero che si chiude, o la resistenza a strappo di quando viene aperto. È la piccola polifonia della cucina: percussioni di metalli con contrappunti di ceramica, getti idrici, ronzio del frigo, la ventola della cappa sopra i fuochi. […] La casa del sottosuolo non è però tutta sotto il livello della strada. La sala da pranzo, la cucina, il bagno e le camere da letto affacciano infatti su due cortili interni. Sala, cucina e bagno su un lato, le camere sull’altro. I cortili interni, o giardini di cemento, sono incassati in mezzo a una serie di condomini a cinque o sei piani costruiti negli anni cinquanta e sessanta del Millenovecento. Andrea Bajani, Il libro delle case.
Prefazione
di Alfonso Giancotti
Inizia così Il libro delle case di Andrea Bajani, con la descrizione della casa del sottosuolo, la prima di una serie attraverso la quale l’autore racconta il personale viaggio dentro un pezzo di storia degli ultimi cinquanta anni del paese. Un racconto stupefacente nel quale la descrizione degli spazi delle case dove lo scrittore ha vissuto dall’infanzia alla maturità, le storie personali alle quali quegli spazi hanno fatto da sfondo si intrecciano con quelle delle case e delle storie trasmesse in forma di immagine dalla televisione in occasione di alcuni tragici eventi consumati, in quegli stessi anni, nel nostro paese. Un procedimento letterario per testimoniare come, per rileggere la vita di un uomo, sia indispensabile esaminare le sue case, scoprirne i dettagli, individuare i pezzi e i frammenti di un ipotetico mosaico che siamo tutti chiamati a ricomporre per prendere coscienza di un principio inconfutabile: è la casa che dà forma a chi la abita. La raccolta di testi brevi (pubblicati prevalentemente on line tra il 2018 e il 2021) che Paolo Marcoaldi rimonta per l’occasione in forma di volume è, a suo modo, un libro delle case, una sequenza di racconti brevi, di micro storie, alcune delle quali note altre meno, che hanno come centro figure di architetti, invasi ed elementi, siano essi di finitura o di arredo, che configurano lo spazio della casa. Se, come ci ricorda George Perec nel suo capolavoro Specie di spazi (al quale Marcoaldi fa esplicito riferimento in questo volume), vivere è passare da uno spazio all’altro, cercando il più possibile di non farsi troppo male questa raccolta può essere letta come un’opportunità per guardare da un diverso punto di vista a luoghi e oggetti che affollano il nostro mondo nel preciso atto in cui lo viviamo.
Prefazione
7
L’ideale della felicità è sempre materializzato nella casa, si tratti di una capanna o di un castello; essa incarna la permanenza e la separazione. Tra le sue mura la famiglia si costituisce in cellula a se stante e afferma la sua identità al di là del passare delle generazioni; il passato, fissato sotto forma di mobili e di ritratti di antenati, promette un avvenire sicuro […] Oggi la casa ha perduto il suo splendore patriarcale; per la maggior parte degli uomini è solo una abitazione, su cui non pesa più la memoria delle generazioni defunte, che non tiene imprigionati i secoli futuri. Simone de Beauvoir, Il secondo sesso.
Le case degli altri
Jørn Utzon, Can Lis, 1971-72, Maiorca. In questa casa, progettata da Utzon per la propria famiglia, gli spazi esterni sono scanditi da una sequenza di portici in pietra di Marés. Courtesy Frans Drewniak
James Ensor, De Baden te Oostende, 1890, Museum of Fine Arts Ghent, www.artinflanders.be, photo Dominique Provost
Architetture per le vacanze
luglio 2018
Progettare la vacanza. Studi sull’architettura balneare del secondo dopoguerra è il titolo di un’interessante monografia di Pisana Posocco1 dedicata al tema delle architetture per il turismo e le case di vacanza. In particolare, il tema del turismo esclusivo e delle seconde case al mare è un filone piuttosto recente, e che in Italia ha subìto un impulso determinante a partire dagli anni del boom economico. Quale stile per la casa al mare? Questa domanda trova una risposta concreta nelle vicende legate alla nascita del mito della Costa Smeralda, e che in pochi anni avrà un’enorme impatto sulle architetture balneari del mediterraneo2. Nel 1962 il principe Karim Aga Khan, insieme ad altri investitori perlopiù anglosassoni, fonda il consorzio Costa Smeralda nella Sardegna nord orientale, istituendo contestualmente un Comitato di Architettura, il cui compito principale è quello di garantire uno sviluppo armonico e unitario dei complessi edilizi, nonché una certa continuità tecnica e formale con le tipiche architetture rurali disseminate lungo le coste Sarde3. L’intenso lavoro dei componenti del Comitato (un gruppo di progettisti internazionali i cui membri iniziali erano lo svizzero Jacques Couelle, il francese Raymond 1. Pisana Posocco, Progettare la vacanza. Studi sull’architettura balneare del secondo dopoguerra, Quodlibet, Macerata, 2017. 2. Cfr. Giuseppe M. Jonghi Lavarini, Franco Magnani, In costa Smeralda. Il segno dell’architetto, Di Baio, Milano, 1991; Bachisio Bandinu, Costa Smeralda. Come nasce una favola turistica, Rizzoli, Milano, 1980. 3. Il Comitato, in maniera indiretta, ha reso meno evidente il violento sfruttamento turistico delle spiagge Sarde. Nel 1966 Antonio Cederna, nelle pagine dell’Espresso, fu il primo a portare alla luce il caso Costa Smeralda. “L’urbanizzazione cervellotica della costa, la sua trasformazione in un ininterrotto nastro edilizio che alterna nuclei di gran lusso a lager balneari di infima qualità, che stronca ogni continuità tra litorale e entroterra, che privatizza quanto dovrebbe essere accessibile a tutti, che chiude il mare in gabbia e degrada irrimediabilmente il prestigio naturale dei luoghi, cioè la stessa materia prima del turismo”.
Le case degli altri
25
Martin, il romano Michele Busiri Vici, il sardo Antonio Simon Mossa e soprattutto il milanese Luigi Vietti) porta in breve tempo alla redazione di un accurato Regolamento Edilizio che fu poi adottato dal comune di Arzachena. Gli indirizzi di questo regolamento vengono genericamente assunti per la costruzione degli edifici destinati al turismo e alla vacanza dell’intera Sardegna e di buona parte del bacino centrale del Mediterraneo.
26
Il repertorio formale di queste residenze estive di lusso è assolutamente sorprendente, perché non esibisce grandi materiali e tecniche ma, come ricorda Claudia Conforti, riproduce “una sorta di esperanto vernacolare, perfettamente adattabile, nelle sue molteplici varianti, ai complessi turistici e alle case per vacanze che sorgono innumerevoli lungo le coste dell’Italia del benessere”4. Il bianco è il colore dominante, spesso associato all’azzurro oppure decorato con ceramiche locali. Riferimenti moreschi, archi e guglie arrotondate connotano spesso geometriche piuttosto elementari. Nulla di più falso e artificioso di questa mitica mediterraneità ritrovata, ma nulla di più riuscito sul piano comunicativo e d’immagine5. Il presunto arcaismo dell’architettura si sposa perfettamente con i finti giardini spontanei. Ma la vera, grande differenza che caratterizza le migliori case di villeggiatura rispetto alle residenze urbane è la capacità di ridurre gli interni domestici alle funzioni fondamentali, eliminando dallo spazio, e quindi anche dal quotidiano, inutili decorazioni e suppellettili.
4. Claudia Conforti, Roma, Napoli, la Sicilia, in Francesco Dal Co (a cura di), Storia dell’architettura italiana. Il secondo Novecento, Electa, Milano, 1995, p. 195. 5. Per approfondire questo tema cfr. Alessandra Cappai, L’architettura turistica di Vietti in Costa Smeralda tra tradizione e finzione, in “FAMagazine” n. 48/49, pp. 86-93.
Le case degli altri
Marco Zanuso, Casa Arzale, 1962-64, Arzachena (SS). La casa, con i suoi muri in granito, si erge severa sopra una scogliera a Nord di Arzachena. Fotografia realizzata nell’ambito del progetto L’Italia raccontata attraverso l’architettura, finanziato dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiC. Courtesy Stefano Ferrando, studio Vetroblu
Casa Arzale, veduta del patio centrale verso il mare, incorniciato da una grande apertura, sormontata da un architrave in pietra lungo 4 metri. Gli spazi interni, essenziali, quasi primitivi, cercano di stabilire un confronto dialettico tra la casa-rifugio e la natura. Fotografia realizzata nell’ambito del progetto L’Italia raccontata attraverso l’architettura, finanziato dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiC. Courtesy Stefano Ferrando, studio Vetroblu
Insomma, gli spazi si sono moltiplicati, spezzettati, diversificati. Ce ne sono oggi di ogni misura e di ogni specie, per ogni uso e per ogni funzione. Vivere, è passare da uno spazio all’altro, cercando il più possibile di non farsi troppo male. Georges Perec, Specie di spazi. La stanza è un mondo […] Stanza: parola molto bella: vuol dire stare, una persona che ci sta; vita). […] non lo sono invece, vano, né locale, né ambiente, né camera, né sala, (parola borghese), né salotto (parola piccolo borghese). Gio Ponti, Amate l’architettura.
Storie di spazi
Denis Diderot, Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert, Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers, 1751. Il laboratorio del panettiere
Pittore della Scuola di Anversa, Cena di Emmaus, fine XVI secolo, Villa medicea di Poggio a Caiano
Tra i fornelli
agosto 2018
Come è cambiato lo spazio della cucina nell’ultimo secolo
L’ambiente domestico che nel corso del tempo ha subito le trasformazioni più radicali è senza dubbio la cucina. La cucina è stata considerata a lungo una zona di servizio, uno spazio marginale e secondario in cui la servitù preparava il cibo per i padroni di casa. Solo i poveri ed i domestici erano costretti a mangiare nelle cucine. Già nella seconda metà dell’800, in America, Catherine Beecher propone una nuova etica domestica, promuovendo la necessità di limitare al massimo l’impiego del personale di servizio, e di sostituirlo con aiuti meccanici. La cucina, inoltre, viene spostata da una posizione periferica nel cuore della casa, all’interno degli ambienti più vissuti e conviviali. In Europa i principi di standardizzazione, produzione in serie e, soprattutto, l’affermazione di un ruolo più emancipato della donna anche tra le mura di casa, indirizzano il progetto della famosa cucina di Francoforte, realizzata nel 1926 da Margarete Schütte-Lihotzky per le case operaie di Francoforte1. Sulla base degli studi di Christine Frederick, Erna Meyer e di Frederick Taylor, Margarete realizza una cucina rivoluzionaria, reinventando tutti gli arredi e riducendo al massimo gli spostamenti all’interno di un ambiente estremamente ridotto2. 1. Cfr. Lorenza Minoli (a cura di), Dalla cucina alla città: Margarete Schütte-Lihotzky, Franco Angeli, Milano, 1999. 2. Sulla storia e gli sviluppi della cucina cfr. Imma Forino, La cucina. Storia culturale di un luogo domestico, Einaudi, Torino, 2019. Anna Giannetti, Storia della cucina. Architettura e pratiche sociali, Jouvence, Sesto San Giovanni (MI), 2019. Decio Giulio Riccardo Carugati, Di cucina in cucina, Electa, Milano, 1998.
Storie di spazi
51
Moltissime sono le innovazioni della cucina di Francoforte: l’altezza dei mobili bassi e dei pensili viene unificata, tutti gli arredi fissi vengono incassati nelle pareti per evitare l’accumulo di polvere. La scelta dei materiali (vetro, alluminio, legno e ceramica) è orientata da principi estetici, economici ed igienici: il cassetto per la farina è in legno di quercia per tenere lontano i vermi, il colore dei mobili azzurro carico per allontanare le mosche. La cucina di Francoforte, aperta sull’area pranzo-soggiorno con una porta scorrevole, permette inoltre alla donna di interagire con la propria famiglia anche tra i fornelli.
52
L’impulso decisivo per la realizzazione delle moderne cucine a giorno viene, ancora una volta, dagli Stati Uniti, in particolare dalla California. Nel 1945 il direttore della rivista Arts & Architecture John Entenza lancia il Case Study House Program, con l’obiettivo di costruire a basso costo efficienti prototipi di case-tipo per le giovani coppie, pronte ad investire nell’acquisto di una nuova casa all’indomani della fine della seconda guerra mondiale3. I mobili e gli elettrodomestici delle Case Study Houses sono rivestiti con finiture di pregio, in continuità estetica con il resto della casa. La cucina, con i suoi eleganti mobili sospesi, non solo è separata da evanescenti diaframmi mobili, ma spesso diviene uno spazio in perfetta continuità con il salotto, un luogo in cui poter cucinare e conversare con gli ospiti e la famiglia. La ricerca quasi ossessiva del funzionalismo e dell’essenzialità, centrale nell’idea della cucina modernista, oggi tende a risolvere in modo razionale la complessità delle pratiche quotidiane, anche con l’aiuto delle continue innovazioni nel campo della domotica. La raccolta dei rifiuti, ad esempio, è diventata quasi un’arte per le necessità della differenziazione e del riciclo. Anche le nuove ritualità quotidiane, come la coltivazione delle piante aromatiche o la colazione consumata mentre si naviga in rete, impongono un generale ripensamento della cucina di oggi e di domani. 3. Le vicende delle Case Study Houses sono raccolte nel bel volume curato da Elizabeth A. T. Smith e Peter Gössel, Case Study Houses. The Complete CSH Program 1945-1966, Taschen, Colonia, 2015.
Storie di spazi
Margarete SchütteLihotzky, Frankfurt Kitchen, 1926-1930, Francoforte. Courtesy Minneapolis Institute of Art
Studio Dismisura, Casa nel Borghetto, 2015, Roma. La cucina integrata al soggiorno
Chi sia stato l’inventore della vasca da bagno non si sa, eppure trattasi di una delle più importanti invenzioni del nostro millennio, superiore, a mio avviso, alla stessa televisione. Gli antichi romani, per immergersi nell’acqua calda, o tiepida, avevano istituzionalizzato le terme (famose più di tutte quelle di Diocleziano), ma erano pur sempre dei luoghi dove si andava più per incontrare gli amici e conversare che per pensare; l’esatto contrario, quindi, di quanto si chiede a una moderna vasca da bagno. Luciano De Crescenzo, La distrazione.
Microstorie intorno al bagno
Gio Ponti: orcio con donne e architetture realizzato per RichardGinori, 1925. Courtesy Sailko
Servizio fotografico di Paolo Monti realizzato per i sanitari Ideal Standard di Ponti. Courtesy Federico Leva
Gio Ponti e la lezione a proposito d’un W.C.
novembre 2018
Gio Ponti è l’architetto italiano che nel corso del 900 si è interessato maggiormente alle molteplici applicazioni in architettura delle ceramiche1. Il suo interesse per la ceramica è stato quasi onnivoro, e comprende non solo i rivestimenti degli ambienti domestici, ma anche gli elementi d’arredo, le stoviglie ed i sanitari. Ponti tuttavia non è mai stato un ceramista in prima persona, un artigiano che modella con le sue mani gli oggetti, ma un progettista interessato a ricostituire, nelle ceramiche come in architettura, “la purezza originale del rapporto tra forma e funzione”2. Dal 1923 al 1930, su esplicita richiesta di Augusto Richard, viene nominato direttore artistico della Richard-Ginori di Doccia, occupandosi nello specifico dei disegni per gli oggetti di arredo in maiolica pregiata e le porcellane di lusso3. Al termine del secondo conflitto mondiale Ponti si riavvicina all’industria ceramica, collaborando stabilmente con la Cooperativa Ceramica di Imola dal ’46 al ’53, sempre in qualità di direttore artistico. A partire dagli anni cinquanta realizza progetti e disegni per piastrelle da rivestimento per la Gabbianelli e la Ceramica Joo di Milano e la Ceramica D’Agostino di Salerno. Nel 1954 la Ideal Standard commissiona all’architetto e designer milanese una nuova linea di apparecchi sanitari. L’azienda si è formata 1. Gian Carlo Bojani, Claudio Piersanti, Rita Rava, Gio Ponti, ceramica e architettura, Edizioni Centro Di, Firenze, 1987. Livia Frescobaldi Malenchini, Maria Teresa Giovannini, Oliva Rucellai, Gio Ponti. La collezione del museo Richard-Ginori della manifattura di Doccia, Maretti editore, Imola (BO), 2019. 2. Gio Ponti, Amate l’architettura. L’architettura è un cristallo, Rizzoli, Milano, 2008, terza ristampa, p. 189. 3. Cfr. Michela Rossi, Giorgio Buratti, Di-segno, forma e colore – L’articolazione cromatica delle ceramiche di Giò Ponti, in Veronica Marchiafava e Francesca Valan (a cura di), Colore e Colorimetria. Contributi Multidisciplinari, Vol. XIII A, Gruppo del Colore – Associazione Italiana Colore, Milano, 2017.
Microstorie intorno al bagno
81
da pochi anni, attraverso la fusione di due storici marchi della società Nazionale dei Radiatori, la Ideal (che si occupa di caldaie) e la Standard (che produce sanitari), ed ha bisogno di un prodotto innovativo, in grado di imporsi all’attenzione del settore a livello internazionale. Come dice lo stesso Ponti, “la Ideal Standard ha voluto che io studiassi non delle forme nuove per i suoi apparecchi (che sarebbe stata solo una variante di più), ma le loro vere forme, le forme cioè, che nella loro essenzialità si avvicinavano a quei caratteri formali tipici i quali identificano definitivamente una cosa”4. Ponti aveva già progettato alcuni apparecchi sanitari all’interno del palazzo della Montecatini di Milano nel 1936, che successivamente erano stati commercializzati dalla Osva. La serie disegnata nel 1954, la PontiZ, ha un successo commerciale immediato, arrivando in pochi anni a vendere circa 400.000 pezzi l’anno.
82
Per Mamoli Ponti disegna la rubinetteria del lavabo Ideal Standard, che si caratterizza per la particolare forma della maniglia, una stella con tre punte pensata per ruotare i rubinetti solo con tre dita. Nel 1966 progetta una nuova serie di apparecchi sanitari, la Oneline, sempre con la Ideal Standard.
4. “Domus” n. 308 (luglio 1955), p. 55.
Microstorie intorno al bagno
Pierre Bonnard, Nudo in controluce, 1908, Royal Museums of Fine Arts of Belgium. Courtesy Sailko