Lo spazio pubblico
Luigia Lonardelli
come immaginario 06 Loqui LetteraVentidue intervista a Matilde Cassani
Indice PREFAZIONE Matilde Cassani. Immaginando tutto INTERVISTA Il sacro e il rito Utilità Una piazza oggi Di ornamenti e altri dettagli APPARATI Bibliografia Biografia Crediti dei progetti citati 7 15 48 62 85 95 101 103
Prefazione Matilde Cassani.
tutto
Mi interessa mettere in mostra ciò che accade, ma che non si nota. Come se avessi un retino molto stretto e facessi vedere solo alcuni elementi».
Matilde Cassani
Immaginando
Matilde Cassani lavora da sempre al limite fra arte visiva, design, architettura e pratica sociale, un limite vissuto come possibilità di riscrivere i confini fra l’oggetto, la progettazione e coloro che entrano in contatto con il progettato. La pratica di Cassani si nutre di incertezze e ha il suo centro propulsore nella curiosità per il reale e per un mondo, inteso nella globalità delle sue prospettive, si stia attrezzando alla superdiversità. Un sentimento di curiosità e attrazione per l’altro sembra attraversare molti suoi lavori evidenziando una sua naturale predisposizione a cercare nelle situazioni di confine e di marginalità possibilità di discussione e ridefinizione. In questo senso la multidisciplinarietà della sua pratica non è un’opzione, ma l’unica via per abbracciare in maniera piena tutti gli ambiti del reale.
La sua formazione da architetto sembra in questo senso richiamare una tradizione pienamente umanista, leggendo il mondo e la conoscenza come un tutt’uno e recuperando all’azione dell’uomo una possibilità di modifica dell’esistente. Tuttavia la sua attitudine rispetto agli ambiti ai quali si approccia rimane sempre non assertiva ma piuttosto neutrale, Cassani trova delle modalità di “registrazione” dei fenomeni esistenti, siano nuove ritualità religiose, abitudini aggregative o ridefinizioni dello spazio.
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Il catalogo è una collezione d’immagini scattate al televisore dalla fotografa Eman Ali di fatti che avevano coinvolto mediaticamente il Bahrain, come il volo inaugurale del Concorde, l’arrivo di Michael Jackson, la Formula 1, i grandi sviluppi immobiliari. L'installazione, all'interno del padiglione, invece, sovrapponeva due paesaggi: la Venezia della Biennale e il paesaggio di Manama, la capitale, visibile dalle telecamere di sicurezza di un museo nel centro della città. È un lavoro sulla simultaneità. Guardando fuori dalle finestre del padiglione del Bahrain alla Biennale di Venezia vedevi delle scene di vita urbana a Manama proiettate in diretta. Sovrapponendo due orizzonti, il tempo passava simultaneamente nei due luoghi, osservando lo stesso punto di vista. L'immagine visualizzata, anche ripetitiva, era irrilevante, ma reale.
Tra l'altro Venezia soffre anch’essa, anche se in maniera completamente diversa, di un’immagine totalmente stereotipata, un'immagine da background. Probabilmente non esiste uno “sfondo” più italiano del panorama veneziano. Mi sembra interessante il discorso dello “sfondo” nel tuo lavoro. Sì, è vero.
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Nella costruzione dell’immagine veneziana, oltre al concetto di “sfondo”, gioca anche l’egotismo occidentale. Però stiamo parlando comunque dell'immagine di una città che forse quasi non esiste più se non appunto nell'immagine che ci diamo. Ed è forse anche il motivo della forza iconica della Biennale, uno spazio di marginalità regalatoci dal fatto che Venezia non esiste, oramai.
Sì, sono d'accordo. Lo stesso fenomeno è amplificato dai padiglioni nazionali, un terreno sul quale si sovrappongono due giurisdizioni: i padiglioni dei Giardini rispondono alle leggi del paese d'origine e non del paese ospite.
Sono quasi extraterritoriali.
Quindi sono extraterritoriali, esatto.
Non c'è luogo migliore per essere extraterritoriale in effetti. Vorrei chiederti alcune cose rispetto alla tipologia del minbar, per esempio non avevo compreso che era direttamente collegata all'Islam, perché è una forma nella mia memoria – sono nata al Sud – e il minbar è molto evidente in tutte le tipologie di architettura bizantina, in contesti cristiani ma c'è sempre, ed è
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Spiritual Devices, Württembergischen Kunstverein, 2010
sintetici, ma forse, proprio per questo ci è voluto molto tempo per arrivarci. Potrei dirti che tutto inizia nel 2006, quando mi trovo a fare la tesi di laurea in Sri Lanka. Stavo lavorando a Batticaloa, per il governo tedesco - GTZ, la cooperazione tecnica. Dovevo seguire i cantieri della ricostruzione delle case distrutte dopo lo Tsunami.
Volevo in effetti riallacciarmi all’esperienza in Sri Lanka. Il mio lavoro consisteva nell’adattare sul campo un progetto concepito in studi di architettura europei. Presto mi accorgo che il modello abitativo a cui facevano riferimento non era compatibile con la complessità culturale del paese. Nel momento in cui i progetti di abitazioni venivano sottoposti al giudizio delle diverse comunità si creavano grossi fraintendimenti. Lo Sri Lanka ha quattro religioni e culture che rispondono all'esigenza della casa in maniera completamente diversa. Alla fine, il modello si è frammentato in quattro tipologie di casa, partendo dallo stesso progetto iniziale. Da quel momento in poi, inizio a interessarmi a come la differenza culturale e le sue ritualità possano informare il disegno dello spazio. L’interesse diventa tale che quando ritorno in Italia tento di
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Countryside Worship, 15. Biennale di Architettura di Venezia, 2014
Volevo tornare di nuovo sulla ricerca legata a Novellara, poi confluita nelle stampe lenticolari Countryside Worship del 2014, e parlare di questa comunità che non esiste agli occhi dei più, esiste perché lavora ed è anche strettamente necessaria all'economia del luogo. Però c'è soltanto in quel momento in cui la vediamo nell’opera e poi, quando sparisce, ritorna di nuovo questa piazza di questo paese della provincia italiana, che potrebbe essere qualunque paese della provincia italiana del Nord. Quella piazza è evidentemente il risultato di una socialità differente che ora non c'è più, è abbandonata in questa solitudine disperata. Mi interessa capire questo punto perché è come se tu volessi rimarcare questa contraddittorietà: c'è un passaggio fortissimo tra la palette cromatica della pianura padana e quella della comunità Sikh. È come se questi due mondi avessero trovato una modalità temporanea per essere insieme. Volevo chiederti di raccontarmi di questa visita a Novellara – la tua sembra davvero un'illuminazione che hai in quel preciso momento – e anche come mai hai deciso di utilizzare la stampa lenticolare (un tipo di stampa su speciali supporti impiegata per creare immagini con l’impressione della profondità o che cambiano quando l’immagine viene osservata da differenti punti di vista).
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52 Paesaggi abitati, 14. Biennale di Architettura di Venezia, 2014
Avevi utilizzato un pattern molto estivo, molto in stile “vacanze italiane”.
Sì, era molto “vacanze italiane”: era giallo e grigio e tutte le sdraio avevano un poggiatesta con una decorazione diversa.
E comunque sì, fa parte di quei lavori che trattano di come l'uomo scelga di posizionarsi all'interno di uno spazio come atto fondatore di qualcosa. In questa famiglia possiamo includere anche Riviera, il bookshop temporaneo curato da Caterina Riva e Dallas per il Centro Svizzero di Milano. Riviera è una variante di scala cordonata barocca. Un tipo di scala poco faticosa, con la pedata lunga e l’alzata bassa. È una tipologia di spazio ospitale, spesso presente nelle nostre città italiane.
La scala cordonata è di solito posizionata davanti a luoghi di potere che possono essere religiosi o comunque civili proprio per alzarli, è interessante come comunque tutte quelle scalinate vengano sempre individuate come luoghi di messa in scena, no? Esatto.
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