Collana Alleli / Research
Comitato scientifico
Edoardo Dotto (ICAR 17, Siracusa)
Nicola Flora (ICAR 16, Napoli)
Antonella Greco (ICAR 18, Roma)
Bruno Messina (ICAR 14, Siracusa)
Stefano Munarin (ICAR 21, Venezia)
Giorgio Peghin (ICAR 14, Cagliari)
Prima edizione luglio 2022
È vietata la riproduzione, anche parziale, effettuata con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purché non danneggi l’autore. Quindi ogni fotocopia che eviti l’acquisto di un libro è illecita e mi naccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.
Progetto grafico: Stefano Perrotta
LetteraVentidue Edizioni S.r.l.
Via Luigi Spagna 50 P 96100 Siracusa
ISBN 978-88-6242-705-0
www.letteraventidue.com 114
LA CITTÀ DI SUPPORTO
Spazi del welfare a Torino 2000-2020: le Case di Quartiere
SIMONE DEVOTI
INDICE
TORINO 2000-2020: COME È CAMBIATA LA RICERCA DEL BENESSERE
QUESTIONI DI WELFARE E WELLBEING URBANO
Welfare state: storie, posizioni, modelli
L’evoluzione della domanda
L’offerta che cambia
LA COSTRUZIONE DEL WELFARE ABITATIVO A TORINO: POLITICHE, PIANI, PROGETTI
L’iniziativa privata e le comunità operaie: i borghi proletari autonomi
Il controllo della forma: i piani regolatori L’emergenza casa e l’iniziativa pubblica: l’edilizia convenzionata
Il disagio delle periferie e le nuove identità locali: i piani di rigenerazione urbana Prove di autogestione nella città dei piani strategici: le Case di Quartiere
FORME DI UN DIVERSO WELFARE URBANO
Costellazioni
Reti EREDITÀ E PROSPETTIVE
Pratiche collettive
intermedi
Grumi
Spazi
Beni comuni BIBLIOGRAFIA 06 10 13 17 23 28 30 37 41 49 54 68 71 74 78 82 84 86 88 94
La città di supporto6 TORINO 2000-2020: COME È CAMBIATA LA RICERCA DEL BENESSERE 6
N
ell’ultimo ventennio la ricerca di benessere a Torino è stata oggetto di rilevanti trasformazioni in riferimento a risorse, servizi e diritti sociali di base (quali sanità, educazione, casa) richiesti. In partico lare, la congiunzione fra sviluppo della società liberal-democratica e regressione economica ha favorito lo sviluppo di un sistema di suppor to al benessere individuale e collettivo alternativo rispetto al tradizionale welfare state. Insomma, a cavallo del cambio di secolo, è sembrato diffon dersi a Torino, e forse più in generale in Europa, un insieme di pratiche più o meno strutturate in grado di contrastare la crescente precarietà, la debolezza delle condizioni di vita e la fragile socialità (Benasayag & Sch mit, 2005). Questa apertura ha determinato il riaffiorare di pratiche di condivisione (Sennett, 2012; Bianchetti, 2014) e di reti solidali in grado di offrire contromisure rispetto all’insicurezza sociale (Castel, 2007) e a favore di una ricerca del benessere in grado di soddisfare la crescente atomizzazione della società e delle esigenze, forse più che di sopperire alla crescente aporia del sistema pubblico e alla contrazione delle capa cità individuali di accesso ai servizi di libero mercato. A Torino, questa stagione è iniziata negli anni Novanta del secolo scorso e si è consolidata verso la fine del primo decennio del nuovo millennio definendo luoghi in grado di raccogliere abitanti attorno ad interessi comuni, spesso capaci di incidere sulla qualità dell’abitare. Queste iniziative, per lo più autoprodotte, hanno palesato la stringente relazione che intercorre fra sofferenza indivi duale e urbana, tanto che non pare azzardato affermare che, in taluni casi, la presenza di queste realtà abbia concretizzato la possibilità di migliorare in modo significativo la qualità locale della vita, anche in assenza di “pub blico”. Qui si è spesso data una molteplicità di piccole e grandi forme cooperative di protezione sociale, proprie di un sistema del welfare che potremmo chiamare «diverso» (De Leonardis O., 1998).
Identificare con chiarezza quando questo fenomeno sia realmente iniziato è in realtà assai complesso poiché molto spesso si è trattato di episodi singolari, dispersi, caratterizzati da mutevolezza e intermittenza
Presentazione 7
Villaggio Leumann, scuole elementari: attività all’aperto. Archivio dell’associazione “Amici del villaggio Leumann”
Villaggio Leumann, Il teatro. Archivio dell’associazione “Amici del villaggio Leumann”
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residenziale: decentramento, autonomia formale e organizzazione razio nale degli spazi del lavoro e dell’abitare (Rosso M., 1999). Il progetto iniziale prevedeva la costruzione di 11.000 vani, destinati ad accogliere 15.000 tra operai e dipendenti diversi, dislocati in edifici distinti. In cor so d’opera il villaggio venne drasticamente ridimensionato – il numero di vani scese a 576, per circa 800 dipendenti – ma venne confermata la collocazione extra-urbana. Il progetto dell’ingegnere Vittorio Tornielli realizzò infine sedici case disposte a scacchiera, di quattro piani ciascuna, con quattro alloggi per piano. Le singole abitazioni vennero ideate secondo i principi razionali della “abitazione minima” al fine di ottimizzare spesa e qualità della vita. Nonostante gli intenti iniziali di realizzare una struttura autonoma il villaggio Snia scontò sin dal suo completamento la mancanza di attrezzature primarie (i servizi per gli abitanti consiste vano di una chiesa, un asilo, un lavatoio e pochi negozi per la vendita dei generi di prima necessità) e soprattutto il forte isolamento rispetto al resto della città.
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SNIA viscosa: veduta aerea opificio. Archivio Giorgio Pelassa
La Casa nel Parco, il cortile. Foto dell’autore
La Casa nel Parco, l’atrio esterno coperto. Foto dell’autore
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Cascina Roccafranca, l’accoglienza. Foto dell’autore Cascina Roccafranca, il cortile interno. Foto dell’autore
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marginalità che la città già aveva conosciuto. Per perseguire queste for me di flessibilità e mixité fra cittadini con esigenze diverse il programma previde un potenziamento del servizio terziario, integrandolo con for me di partnership «fra amministrazione locale e comunale, ma anche fra associazioni, gruppi di cittadini ed enti di governo» sedimentatesi nei quartieri durante il secolo precedente.
La formula più comune fu quella di concedere spazi pubblici a co operative ed associazioni oltre ad un parziale finanziamento delle loro attività tramite bandi pubblici.
Negli anni a seguire la crisi di molte forme dell’associazionismo, vi vaci fino agli anni Novanta, non garantì più quel supporto robusto su base volontaristica alle politiche locali. Inoltre la crescente contrazione delle disponibilità pubbliche e private ridusse notevolmente l’efficacia di molti luoghi che erano stati predisposti per la prevenzione dei disagi e la cura del benessere locale: nell’arco di un ventennio molti centri di aggre gazione vennero costruiti, inaugurati (spesso con tempistiche lunghe), utilizzati a pieno regime per pochi anni e poi chiusi per mancanza di
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Il Barrito: cortile. Foto dell’autore
Casa del Quartiere di San Salvario, spazio libreria. Foto dell’autore Casa del Quartiere di San Salvario, la bacheca. Foto dell’autore
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Casa del Quartiere di San Salvario, salone grande. Foto dell’autore Casa del Quartiere di San Salvario, l’atrio. Foto dell’autore
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La Casa del Quartiere delle Vallette: sala performance
fondi34. Nel contempo però le iniziative pubbliche si fecero portatrici di un crescente desiderio di depositare sul territorio dei presidi territoriali in grado di garantire continuità alle iniziative culturali e aggregative fi nanziate. All’interno di questo scenario, e sulla spinta residuale di alcuni fondi pubblici, la municipalità favorì la nascita di tavoli territoriali locali in cui raccogliere e coordinare le associazioni locali e le loro iniziati ve. Uno degli esiti non sempre prevedibili di queste politiche è stata la nascita di laboratori sociali e culturali parzialmente auto organizzati: esperienze basate su una cooperazione fra istituzioni pubbliche, fonda zioni bancarie, imprese sociali, associazioni e liberi cittadini. Infatti l’avanzare della crisi economica di inizio nuovo millennio favorì la nascita
34. A Mirafiori Nord ad esempio, quartiere molto attivo a fine XX secolo, diverse asso ciazioni locali si mobilitarono per richiedere l’intervento pubblico per realizzare spazi di aggregazione giovanile e prevenzione dell’uso delle droghe. A fine anni 90 vennero inaugurati 3 centri, convertendo spazi pubblici non più utilizzati, con l’intenzione di avere dei presidi territoriali sempre aperti. In meno di 20 anni questi spazi sono passati da essere aperti quotidianamente, a sporadici utilizzi, a essere definitivamente chiusi.
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