Indice
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«Corpi alla pena del lavoro» di Cristina Bianchetti
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Opacità è rumore di Antonio di Campli
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Abitare l’opacità
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I – DINTORNI RURALI
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II – SOVRAPPOSIZIONI
060 068 080 086 092
1. Produzione, estrazione, potere 2. Traiettorie orbitali 3. Calchi 4. Voci. Qui e altrove 5. Abitare e proteggere
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III – QUALE PROGETTO?
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Bibliografia
«Corpi alla pena del lavoro» di Cristina Bianchetti
Dove sono i corpi? J-L. Nancy, 1990: 95
Il brano di Jean Luc Nancy1, richiamato da Camilla Rondot delinea un orizzonte fosco, quasi da XIX secolo. Corpi alla pena del lavoro; corpi ridotti a pura forza lavoro, in viaggio verso il lavoro, di ritorno dal lavoro, espressione di un progetto produttivo che impiega manodopera umana, suoli, piante come materie prime. Un orizzonte coloniale in senso proprio e, al contempo, radicalmente contemporaneo. Perché Borgo Mezzanone fa parte a pieno titolo di quelle filiere produttive che articolano il capitalismo contemporaneo di cui scrive Anna Tsing in un testo divenuto un vero best seller che tratta di funghi, anticipato da un articolo di qualche anno precedente. Filiere che «serpeggiano avanti indietro» non solo tra luoghi spesso molto lontani, ma anche tra standard e condizioni di vita molto diversi2. Sarebbe difficile individuare una sola razionalità al loro interno. Così a Borgo Mezzanone potrebbe essere sbagliato individuare una sola razionalità, fosse pure quella più evidente dell’estrazione di valore dallo sfruttamento di manodopera immigrata, impiegata non sempre regolarmente per la raccolta di pomodori. Lo studio di Camilla Rondot ricostruisce alcuni tratti del sovrapporsi delle diverse razionalità che costruiscono questa filiera: le reti fitte delle imprese agricole, quelle regolari dei campi coltivati puntuati da sequenze di case coloniche 1
Jean-Luc Nancy, Corpus, (Napoli: Cronocopio,1995), 95.
Anna Tsing, Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, (Rovereto: Keller, 2021), 99. (ed or. 2015). 2
ABITARE L’OPACITÀ
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abbandonate e riabitate, i movimenti orbitali delle merci e dei corpi, i mercati cui le merci sono dedicate, le infrastrutture insediative e quelle dei sistemi di protezione. Non ricostruisce per intero la filiera, ma ne illumina alcuni segmenti con uno sguardo che non è mai moralista, ma antropologico-progettuale.
Filiere produttive che serpeggiano Non a caso l’articolo di Anna Tsing rimanda, nel titolo, alla Human Condition di arendtiana memoria3. Non sembra un espediente editoriale, ma un’allusione all’ipotesi che regge l’argomentazione: le catene di approvvigionamento si reggono sulla strutturale differenza del capitale, del lavoro e delle risorse entro una forma di capitalismo che troppo frettolosamente è stata descritta come omogenea, priva di spazi esterni4. Regolata da una singola logica. Nel saggio del 2009, prima che nel testo del 2015 lo sforzo di Tsing è elaborare una posizione critica proprio di questa presunta uniformità e compattezza. La sua angolazione guarda ai modi con i quali i lavoratori sono costretti ad adattarsi all’interno delle nuove catene produttive che valorizzano non più la loro omogeneità (come era per la forza lavoro del passato, ridotta forzatamente ad essere conforme), ma la loro differenza: le abilità acquisite precedentemente, ma anche, in qualche caso, le abilità e l’efficienza come “appaltatori” parte della filiera (in questo caso caporali). Queste prestazioni (questa capacità di mettere al lavoro saperi e competenze spendibili) consolidano il carattere specifico della catena produttiva e affermano la redditività della filiera. In altri termini, nessuna impresa agricola tra quelle che operano nella piana foggiana inventa patriarcato, colonialismo, guerra, razzismo, incertezza insediativa, incapacità di muoversi, povertà. Ma questi elementi mobilitano il lavoro della filiera produttiva. Il rapporto tra l’impresa e la forza lavoro è completamente estraneo alla lunga, importante storia sindacale e di lotte di quel territorio5. Ha a che fare con figure spesso ambigue, liminali, intrappolate nelle contraddizioni tra gerarchie ed esclusioni, veri e
Anna Tsing, “Supply Chains and the Human Conditions”, Rethinking Marxism. A Journal of economic, culture and society 21, n. 2 (2009): 148-176. 3
Ad esempio, Michael Hardt e Antonio Negri, Impero, Il nuovo ordine della globalizzazione, (Milano: Rizzoli, 2002). 4
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Luigi Masella e Biagio Salvemini (a cura di), La Puglia, (Torino: Einaudi, 1989).
Opacità è rumore di Antonio di Campli
The problem with land in this country is there isn’t a lot of it, there’s public access, even when it’s supposed to be private. And the public have rights: dog walkers, foot paths, right to roam, twitchers, badger lovers, bimblers, ramblers and any other busy fucker who’s got nothing better to do than sniff around the green tweed of England. [...] And that’s before you even start looking at getting power there. Matthew McConaughey: Michael “Mickey” Pearson. The Gentlemen, 2019
Opacità è rumore. E il rumore è una proposta in movimento, fondamentalmente una molteplicità. Allora il nostro compito è ascoltarlo senza sforzarsi di ridurlo ad un fenomeno singolare, trasparente e coerente. Piuttosto, dobbiamo rimanere con la sua opacità e i suoi movimenti fuggitivi. Ciò comporta l’ascolto anche di ciò che non possiamo udire ma che potremmo sentire: movimenti vibrazionali, risonanze ed echi persistenti. Come afferma Tina Campt1, tutti i suoni consistono in più di ciò che sentiamo. Il suono è una modalità di ascolto intrinsecamente incarnata costituita da vibrazione e contatto. Il lavoro sullo spazio rurale foggiano di Camilla Rondot, sulle comunità di migranti che lo popolano e sulle interazioni con le ecologie sociali locali, rappresenta un esempio di questa forma dell’ascolto. La sua ricerca evidenzia il senso e la portata di ciò che Paul Gilroy ha definito come politiche di «frequenza più bassa», che potremmo pensare in termini di disorganizzazione organizzata, di movimenti che cercano ostinatamente una via d’uscita dal doppio vincolo dell’estrazione e del capitale razziale2. Il diritto all’opacità è più importante del diritto alla differenza e corrisponde alla necessità per il migrante, o per l’abitante rurale, di conservare sempre qualcosa di
1
Tina M. Campt, Listening to Images, (Durham: Duke University Press, 2017).
Paul Gilroy in The Black Atlantic, afferma che esistono «politics ... on a lower frequency». This politics exists because words will never be enough to «communicate its unsayable claims to truth» (p. 37). 2
ABITARE L’OPACITÀ
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riserva, di mantenere un segreto. È il diritto a non essere compreso, a non essere oggetto di violenza epistemica di comprensione e di giudizio. Tu non mi conosci, quindi non fingere di conoscermi! L’opacità deve essere quindi considerata come condizione operativa alternativa alla ragione ‘ottica’ del pensiero urbanistico occidentale, alle sue modalità d’indagine e di progetto costantemente volte alla ricerca di trasparenza e di visibilità3. L’opacità mette in discussione la logica binaria del pensiero spaziale occidentale: margini/centro, invisibilità/visibilità, vuoto/pieno, produzione/residuo, pubblico/privato, maschile/femminile. L’opacità suggerisce che ci sono limiti a ciò possiamo conoscere. L’opacità rifiuta la leggibilità come presupposto alla protezione e alla dignità. Il diritto all’opacità è un diritto alla differenza senza la promessa conciliante e pacificante della conoscibilità dal momento che opera contro i limiti e la violenza del riconoscimento stesso. Ogni esistenza ha un fondo complesso e oscuro che non può e non deve essere attraversata dai raggi x di una pretesa conoscenza totale. Bisogna coesistere con l’altro, accettando di non poterlo capire a fondo e di non poter essere capiti a fondo da lui. L’opacità è quindi un rifugio protettivo per la fuga e la luce diventa il duro bagliore dell’esposizione. Come sostenuto da James C. Scott e da Robin D.G. Kelley4, esiste un’infrapolitica oscura fatta di azioni nascoste, di comportamenti antagonisti ai corretti behaviours imposti dalla società neoliberista, capaci sia di sottrarsi dal condizionamento di quest’ultima, sia di prefigurare realtà alternative basate sulla protezione e sul prendersi cura l’uno dell’altro. Sull’esaltazione di relazioni di dipendenza. Secondo Maria Lugones, questa infrapolitica dovrebbe essere intesa esattamente in opposizione alla nozione habermasiana di spazio pubblico. La politica e l’etica di queste infra o ‘sottopolitiche’, di questi undercommons, per dirla con Stefano Harney e Fred Moten5, sono quindi un modo dislocato, sotterraneo e fuggitivo, di coesistere nel rurale, abitando, nel caso foggiano, la rottura e la rovina. Non un modello ma un esperimento continuo che opera nella dissonanza. In particolare, il filosofo e poeta martinicano Édouard Glissant è ha definito una proposta politica e un modello di relazione sociale basata sul ‘diritto all’opacità per tutti’. Nel formulare l’opacità come risposta alla modalità occidentale di conoscenza e di comprensione dell’altro, Glissant ha designato l’opacità come una risorsa per entro politiche dell’esposizione e dell’illuminazione. 3
James C. Scott, Seeing like a State. How Certain Schemes to Improve the Human Condition Have Failed, (New Haven: Yale University Press, 1998). Robin D.G. Kelley, Race Rebels: Culture, Politics, and the Black Working Class, (New York: Free Press,1994). 4
Stefano Harney, Fred Moten, The Undercommons: Fugitive Planning and Black Study, (New York: Minor Compositions, 2013), 133. 5
I – DINTORNI RURALI
Rural studies in general and rural geography in particular have all too rarely taken as an explicit point of departure the variegated human constituents of rural areas [...] nor sought at all systematically to reconstruct their associated geographies. [...] there remains a danger of portraying British rural people [...] as all being ‘Mr Averages’: as being men in employment, earning enough to live, white and probably English, straight and somehow without sexuality, able in body and sound in mind, and devoid of any other quirks of (say) religious belief or political affiliation. This is to reduce the real complexity of the rural population to the ‘same’, and to turn a blind eye to the presence of all manner of ‘other’ human groupings within this population. C. Philo, 1992: 200
ABITARE L’OPACITÀ
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Il Sud Italia è ancora oggi sottovalutato nei discorsi sulla produzione di spazi conflittuali, di collisione, opachi generati da quelle operazioni tipiche del capitalismo contemporaneo. La piana foggiana è un esempio radicale delle ricadute spaziali che la macchina logistica produttiva è in grado di generare1. Piattaforme, infrastrutture tangibili e non, corridoi, soglie, si istituiscono come spazi prodotti dalla collisione tra produzione e sfruttamento. Nello spazio rurale foggiano si rende palese, nello spazio e nei corpi, il legame sempre più stringente tra fenomeni migratori, produzione di tipo estrattivo e dinamiche di sfruttamento2. Nei contesti rurali contemporanei il territorio diventa terreno, oggetto da cui estrarre prodotti e valori; i corpi, spoliati del loro spessore, divengono semplici strumenti. Il ruolo della campagna e del contesto rurale contemporaneo sembrano ormai lontani dalle immagini che Thomas Hardy raccontava nel suo Far From the Madding Crowd3. Quel mondo quasi idilliaco, palcoscenico di coesistenza pacifica tra uomo e natura, si colora Niccolò Cuppini e Irene Peano, a cura di, Un mondo logistico, (Milano: Ledizioni, 2019) e Anna Tsing, “On Nonscalability: The Living World Is Not Amenable to Precision-Nested Scales”, Common Knowledge 18, n. 3 (2012).
1
Sandro Mezzarda, “Logistica, Mobilità e Migrazioni. Un’agenda emergente per la ricerca sulle migrazioni?”, in Un mondo logistico, ed. Niccolò Cuppini e Irene Peano, (Milano: Ledizioni, 2019), 30. 2
Thomas Hardy, Far From the Madding Crowd, (Londra: Smith, Elder & co, 1874). Testo tradotto in italiano con il titolo Via dalla Pazza follia, è un romanzo incentrato su una storia d’amore ambientata in una bellissima cornice pastorale tipica della fine del XIX secolo. 3
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100 m
Il borgo Dispositivi di protezione Spazi dedicati ad usi spontanei da parte degli utenti Servizi esistenti in funzione
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La pista Dispositivi di protezione Spazi dedicati ad usi spontanei da parte degli utenti Servizi esistenti in funzione Spazio dedicato a infrastrutture e potenziamento dei servizi già esistenti
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10 km
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Carta uso del suolo
Colture permanenti Aree a pascolo naturale Aree agroforestali
a. San Severo b. Manfredonia c. Zapponeta d. Foggia e. Borgo Mezzanone f. Carapelle g. Orta Nuova h. Cerignola
Vigneti
Bacini idrici
Saline
Boschi misti
Seminativi semplici
Canali e idrovie
Laghi, lagune, paludi
Fiumi e torrenti
Prati e pascoli alberati
Colture orticole in serra
Suoli rimaneggiati
Uliveti
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10 km
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f g
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Insediamenti produttivi agricoli
Colture permanenti Colture temporanee Aree agroforestali
a. San Severo b. Manfredonia c. Zapponeta d. Foggia e. Borgo Mezzanone f. Carapelle g. Orta Nuova h. Cerignola
Colture orticole in serra Seminativi semplici Uliveti Vigneti Frutteti Insediamenti produttivi agricoli
5 — Abitare e proteggere
La condizione dello schiavo risulta da una triplice perdita: la perdita di una “casa”, la perdita dei diritti sul proprio corpo e la perdita dello status politico. A. Mbembe, 2011: 24
ABITARE L’OPACITÀ
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La vita (così come la morte) ha a che fare con il corpo1, si mantiene e ha significato all’interno dei confini del corpo. Per questo, avere a che fare con lo spazio occupato dai braccianti irregolari che lavorano tutto l’anno e con i loro corpi, ha strettamente a che vedere con la vita e con la sua protezione. In questo caso, più precisamente, con la ricaduta spaziale di quello che si intende con protezione e riparo. Una protezione che è al contempo metafora, obiettivo, strumento politico. Non esente da una certa ambiguità poiché alcune forme di protezione, proteggendo, al contempo nutrono meccanismi di privazione. Così in situazioni estreme come quella di Borgo Mezzanone l’ambiguità e l’opacità di ciò che protegge è contemporaneamente anche elemento in grado di alimentare dinamiche di esclusione. Nelle città fatte di baracche, nelle case coloniche abbandonate, si manifesta il lato oscuro della protezione. Sono spazi in cui si cerca protezione, si costruisce (come si può) rifugio, si esplicitano quelle linee di supporto alla vita fatte di legami sociali che si confondono tra legalità ed illegalità. Più che una forza univoca, la protezione, è «un contraccolpo, una controforza, un rimbalzo. È un continuo venire a patti con ciò che c’è. Una forma di resistenza. Qualcosa che ha a che fare con la mētis, i Cristina Bianchetti, “Cartographies of protection” in Lifelines. Politics, ethics, and the affective economy of inhabiting, ed. Cristina Bianchetti e Camillo Boano, (Berlino: Jovis, in corso di stampa). 1